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Autore: IamShe    31/08/2013    17 recensioni
Non è buffo? È mio marito e padre di mio figlio, ma non conosce quel qualcuno che è la causa scatenante delle mie azioni; quel qualcosa a cui la mia vita si relaziona per essere tale. «Shinichi Kudo» dico. Non lo conosce, sa soltanto che è il mio amico d’infanzia.
Sorrido, afflitta. Di che mi lamento? In fondo è davvero così.

Ran è sposata ed ha un figlio, ma il marito e padre del suo bambino non è Shinichi. Lui è mancato per dieci lunghi anni e continua a mancare. Eppure, anche quando credeva di aver finalmente voltato quella maledetta pagina, di aver dimenticato quel nome, si ritrova a dover fare i conti col suo passato. Un passato che è più vicino di quanto voglia ammettere.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo so! Lo so! Avrei dovuto aggiornare domani, ma il fatto è che non ci sarò tutta la giornata... e per non rimandare a lunedì, ho pensato di approfittare di adesso :)
Spero non vi dispiaccia, ed ovviamente spero che il capitolo vi piacerà. Ma ho il vago presentimento che... sarà così. :)

Buona lettura ♥ ♥



#3 Il nome
 
 
Ero innamorata di Shinichi dieci anni fa. Provavo quel tipo di amore smisurato ed incontrollabile, quel tipo di sentimento che ti consuma da dentro, come il peggiore dei batteri. L’ho aspettato per nove anni ininterrottamente, con la stessa voglia di vederlo del primo giorno. L’ho aspettato finché ho creduto che per noi, e tra noi, ci fosse davvero qualcosa di speciale ed unico. L’ho aspettato fino al mio compleanno di ventisei anni, l’ennesima festa che avrei dovuto festeggiare senza di lui. A casa mia c’erano tutti: mio padre e mia madre, Sonoko – la mia migliore amica, il dottor Agasa – uno scienziato un po’ pazzo che ci ha fatto compagnia fin da piccoli, Kazuha ed Heiji – nostri amici di Osaka, i detective boys al completo – Ayumi, Ai, Mistuhiko e Genta, ed infine Conan. Già, sotto una forma diversa, ma lui c’era lo stesso. Il problema è che io non lo sapevo e non l’ho mai saputo. Che l’abbia sospettato sì, ma non sono mai riuscita a formulare una teoria concreta, qualcosa simile ad un castello di carte che non cadesse al primo soffio di vento.
Come ero solita farlo, e sempre io, lo chiamai: mi disse che non sarebbe potuto venire, perché aveva ancora da risolvere quel caso a cui lavorava da tempo. Ricordo che scoppiai a piangere, che la chiamata si interruppe, e che in camera mia entrò lui, o meglio Conan.
«Ti dico solo una cosa» mi guarda con un bellissimo sorriso sulle labbra, che man mano che cresce diventa sempre più attraente. «Tuo padre si è talmente ubriacato che ha incominciato a ballare la macarena, e lo devi assolutamente vedere.»
Cerco di ripulire le mie lacrime con l’aiuto del maglione, ma mi è particolarmente difficile. Allora abbozzo un riso, che avrebbe dovuto risultare spontaneo e divertito. Conan sembra accorgersene, perché non fa altro che fissarmi.
«Quanto sei brutta quando piangi» mi dice, e dalla scrivania afferra un pacchetto di fazzoletti. Ne estrae uno, ed avvicinandosi, me lo passa sotto le palpebre. Sussulto, alzando gli occhi a lui.
«Un pochino» sorrido finalmente, divertita, e lui lascia il fazzoletto tra le mie dita. Non c’è dubbio: se lui è il mio dolore, Conan è la mia felicità.
«Chi è che ti fa piangere? Se lo prendo lo ammazzo» mi sorride, ironico, ed io faccio altrettanto. Sa perfettamente chi è, ma nemmeno lui, come me, sa dov’è.
«È questo il problema. È difficile proprio prenderlo.»
Stavolta Conan ride più forte, poi il suo riso si affievolisce, e diventa man mano più serio.
«Ma non c’è bisogno che tu lo insegua. Se ti vuole bene, troverà il modo di starti vicino, sempre
Perché non mi ha detto che il suo modo per starmi vicino era proprio quello? Io non lo capii. Interpretai le sue parole in modo diverso, come se fossero uno sprone ad andare avanti, a girare quella maledetta pagina che leggevo da quasi dieci anni. Così incominciai ad uscire più spesso. Feci particolare amicizia con un gruppo di karateka ai quali insegnavo da poco la disciplina, ed una di quelle sere incontrai Shirai, che era il fratello di uno dei miei amici. Mi stette fin da subito simpatico, e credo di avergli fatto la stessa impressione. Legammo come amici: lui era appena uscito da una storia importante e non aveva particolare voglia di parlarne, ma col mio aiuto riuscì a voltare pagina. Ed io con lui. Due mesi dopo avemmo il nostro primo appuntamento, ma non dissi nulla a casa né al mio migliore amico di allora, Conan. Avevo paura che la rinascita si celasse dietro il mistero, e così mi zittii per cinque mesi. Cinque mesi fin quando non lo portai a casa mia, e Conan fece cadere quel bicchiere di Cola.
 
Il suono del campanello arriva alle mie orecchie, riportandomi al presente dei miei giorni. Accanto a me, sul divano, il mio bambino gioca con una palla che gli ha regalato Sonoko il giorno che è nato. Assonnata mi alzo, non curandomi nemmeno del mio aspetto. Sono le dieci del mattino e sono ancora in pigiama, senza né trucco né parrucco. Mi guardo allo specchio simulando una smorfia: spero che sia Sonoko, o magari mia madre. Ed invece ci ritrovo Shinichi, o Conan, o come diavolo debba chiamarlo.
Insomma, è lui, ed il mio cuore comincia a palpitare.
«Ciao Ran. Scusami se arrivo a quest’ora. Il cliente da cui dovevo andare mi ha avvisato all’ultimo minuto che non poteva più incontrarmi, e visto che ero da queste parti ho pensato di venire...prima.»
Sorrido, ma chiudo nell’immediato la bocca, rendendomi conto in che stato mi trovo. Sembro uno zombie, e non devo affatto essere un bel vedere. Dannazione, non ho nemmeno lavato i denti!
«Oh, entra, entra», provo a comportarmi spontaneamente ma non faccio altro che portarmi una mano sui capelli per lisciarli.
«Ma ti ho svegliato?» mi domanda, osservandomi da capo a piedi. Bene, perfetto, meraviglioso. Si starà chiedendo perché assomiglio ad un panda col pigiama.
«No, no», e la mia mano cerca di sostituire il lavoro della piastra. «Ero di là a guardare la televisione. Entra.»
Shinichi obbedisce e chiude la porta alle sue spalle, mentre io raggiungo Conan, mio figlio, in salotto. Aspetto che il mio amico d’infanzia arrivi, e nel frattempo lancio occhiate allo specchio di fronte a me. Dio, sono impresentabile.
«Come sta il piccolo oggi?» chiede, avvicinandosi al mio bambino. Si siede sul salotto a fianco a lui, e lo stuzzica con il dito, fingendo di rubargli la palla. Conan squittisce, cercando di riprendersela.
«Molto meglio», è una benedizione che il suo sguardo sia attratto dal mio piccolo e non da me. «Come vedi anche lui adora la palla come te.»
«Già», e mentre lui scherza e gioca con mio figlio, mi rendo conto che è il momento di darmi un’aggiustata. Indietreggio, e fingendo un sorriso spontaneo, lo richiamo col fischio.
«Me lo guardi un attimo? Vado in bagno.»
Lui annuisce ed io fuggo in gabinetto, chiudendomi all’interno. Ok. La faccia è orribile, le occhiaie sono mostruose. Mi guardo le gambe: ci sono dei peli superflui. Le ascelle sono a posto, ma è sempre meglio dare una ripassata. I denti sono tendenti al giallastro. Mi vorrei sotterrare. Gli ho sorriso con questi denti?
Cerco di calmarmi. In fondo lui è Conan, e quante volte Conan mi ha vista appena sveglia? Non c’è di che preoccuparsi. Però... però è meglio darmi un po’ di contegno. Non sarà più abituato al mio orrore mattutino. Trascorro in bagno la bellezza di venti minuti, e tra spazzolini, dentifrici, pennelli, profumi e altri cosmetici, riesco anche a tagliarmi con la lametta. Il sangue schizza dalla mia gamba, ed io impreco tutti i cieli. Il taglio è lieve, ma esteso per circa cinque centimetri. Ho bisogno di un cerotto, e la mia gamba appena depilata perde tutta la sua sensualità. Perfetto: peggio di così non potrebbe andare.
Aspetta... ho parlato di sensualità?
«Eccomi qui.»
Shinichi è ancora sul salotto a giocare con Conan, che adesso è a gattoni sui cuscini con le braccia protese verso il mio amico, tentando di riprendersi la sua palla. Il detective mi guarda, sorridente.
«È simpatico questo bimbo» dice, mentre io mi siedo vicino a mio figlio. «Gli ho rubato la palla, ma non si è messo a piangere. Anzi, sta facendo di tutto per riprendersela.»
«Te l’ho detto... piange pochissimo, tranne a causa delle coliche che il mio latte gli ha causato» ribatto con un’evidente nota di rammarico. Per fortuna ho capito che non devo più star male per il passato, almeno non adesso che allatto Conan. Ci ripenso, è vero, ma tento comunque di tenerlo lontano dal mio umore.
«Sei riuscita a rilassarti?» mi chiede, mentre io affondo lo sguardo nel mare azzurro dei suoi occhi. Ecco, diciamo che rilassare non è proprio il termine adatto.
«Sono riuscita a separare il mio latte dai miei pensieri» rispondo, interrompendo il contatto e osservando la televisione.
«Perché non provi proprio a non pensare più alla sua nascita? In fondo è passata» mi dice, e per qualche secondo rimango spiazzata. Ma poi ricordo: lui sa che io sto male a causa delle due settimane di incubatrice. Da una parte è vero, ma dall’altra c’è proprio il suo pensiero a tormentarmi.
«Ci proverò.» Dico semplicemente, sorridendo.
«Ma tuo marito quando torna?» mi domanda poi, tornando a giocare con Conan.
«Come al solito... alle sei del pomeriggio.»
«Ah», lancia di nuovo lo sguardo a me. «Quindi passi le giornate da sola.»
«Be’, spesso viene o mia madre o Sonoko a farmi compagnia» lo avviso, e lo vedo annuire. Ma non mi fermo lì, ho bisogno di certe spiegazioni. «Tu non sei mai venuto.»
Lui mi osserva e raddrizza la schiena, sbattendo più volte le palpebre. «Vorresti che fossi venuto?»
«Be’...» alzo le spalle, fingendomi divertita. In realtà ci sto male per davvero. «Sei scomparso e non sei venuto nemmeno al mio matrimonio.»
Shinichi rilascia un sospiro, abbassando gli occhi. «Avevo da fare.»
«Cosa?» chiedo, ma il mio tono comincia a farsi un po’ troppo insistente, e tutto questo non sembra più un gioco.
«Riprendermi la mia vita da Shinichi Kudo, per esempio.»
Accovaccio le gambe sul divano, portandole a me. «E ci sei riuscito?» 
Lui alza le spalle, e tornando a giocare con la palla e con mio figlio, sospira. «Più o meno.»
«Ho letto di te su molti giornali», rido, e simulo davanti a me la testata di un quotidiano. «Shinichi Kudo è tornato, Shinichi Kudo risolve un altro caso...»
Si limita a ridere, ed io faccio altrettanto.
«Per il resto? Oltre a fare il detective di fama nazionale che combini?», ho paura che si noti un po’ troppo la mia curiosità.
«Nulla. Sono andato a trovare i miei genitori a Los Angeles qualche mese fa. Ogni tanto mi sento con l’FBI per le ultime faccende legate all’organizzazione, sciocchezze comunque.»
Sospiro, sentendo il mio cuore battere più forte. Ho bisogno di chiederglielo. «Ti sei fidanzato?»
Lui mi guarda e si gira al rallentatore, colpito da quella domanda. «Eh?»
«Non puoi dirmelo?» mi intristisco leggermente, ma la curiosità è lampante nella mia domanda.
Sorride, poi torna ad osservare Conan. «Certo, è che non me l’aspettavo. Comunque no.»
Il mio stomaco comincia a ballare insieme al mio cuore, festeggianti. «Come mai?»
Si gira di nuovo a me, e di nuovo mi sorride. «E tu come mai tutta questa curiosità?»
Se ne è accorto! Alzo le spalle, ma distolgo lo sguardo da lui, imbarazzata. Forse sto esagerando, ma è che pretendo di sapere cosa abbia fatto, chi abbia sentito e chi abbia visto in quest’anno.
«Non ci vediamo da un anno, ed è strano per noi due visto che ci siamo visti per tutta la vita» ribatto, poi gli faccio l’occhiolino. «Da Conan e non...»
Sorride di nuovo, e nel farlo mi ricorda tanto il mio fratellino. «Non ne sento la necessità.»
«E se incontrassi la donna perfetta?» insisto, voglio che mi dia delle risposte sicure.
«Non esiste né la donna perfetta né l’uomo perfetto.»
«Se incontrassi l’amore?», mi vengono i brividi a domandarglielo.
Mi guarda e lascia che la palla cada nelle manine del mio bambino. «L’amore...» ride, mentre lo dice.
«Che c’è?»
«È da un pezzo che non credo più nelle favole.»
Favole, per lui, è sinonimo d’amore. Le mie braccia cadono lungo il mio corpo, lasciandomi interdetta per parecchi secondi. Ma come non ci crede? E quello che c’è stato tra di noi lui come lo definisce?
Comunque non glielo chiedo, o almeno non ne ho il coraggio. «Vuoi rimanere single a vita?»
«Perché no?» accavalla una gamba sull’altra. «Avrei molti meno problemi a cui pensare.»
«Ok, ma... vuoi dirmi che non hai incontrato nessuna nel frattempo?»
Lui mi guarda e si mette a ridere di nuovo. «Mi stai chiedendo se sono andato a letto con qualcuno?»
«No!» Arrossisco, abbassando gli occhi. «È solo che... be’, hai ventotto anni...»
«Già, e me ne sento ottanta. Mi pare di esser stato ibernato negli anni più belli della mia vita.»
«Suvvia, Shinichi...» sorrido. «Sei ancora giovane e abbastanza desiderato da non avere compagnia.»
Lui si gira, divertito. «Sempre lì vai a parare.»
«Figurati, non che mi interessi molto» e gli faccio la linguaccia.
Sorride, ma non mi risponde. Dà nuovamente attenzione a mio figlio, quasi come se volesse sviare la domanda.
«Ah, c’è una cosa che non mi hai detto» mi dice lui, rubando nuovamente la palla a Conan. «Come si chiama il piccoletto?»
Dannazione, non l’avevo proprio previsto questo momento. Il cuore è un tamburo nello sterno e le mani cominciano a sudare. Devo perdere parecchio tempo in questa fase di incoscienza, tanto che Shinichi si volta, quasi preoccupato.
«Ti sei scordata il nome di tuo figlio?»
Mi riprendo, sorridendo nervosa. «No, no, non è questo.»
Mi guardo le mani, e so perfettamente che lui è in attesa di una risposta. Ma come gli spiego che ho chiamato mio figlio come il suo alter-ego? Potrebbe fraintendere, o peggio ancora, potrebbe capire...
«Si chiama...», il mio cuore accelera e la mia faccia si sfuma di rosso. «Si chiama Conan.»
Lo vedo sbattere più volte le palpebre, e il suo stupore è talmente grande che mio figlio riesce a rubargli la palla tra le mani. «Stai scherzando?»
«No», scuoto il capo.
«A-anche tuo marito è un fan di Holmes?»
Lo guardo incredula, con gli occhi ridotti a puntini. Certe volte è davvero ottuso. «No, non credo.»
«Vuoi dirmi che...», quasi riesco ad avvertire la sua lingua seccarsi. «L’hai chiamato come... me?»
Lo guardo e anche lui sta facendo altrettanto: il suo è il sorriso più bello che abbia mai visto.
«Macché. M-mi piaceva il nome.» Non ho il coraggio necessario per rivelargli la verità. Incrocia gli occhi con i miei e per un po’ rimaniamo a fissarci, quasi incantati. Ma un gemito di Conan mi richiama, facendomi sussultare. Guardo mio figlio: si sta lamentando perché non riesce a prendere la palla dalla mano di Shinichi, che è troppo stretta per permettergli di giocare. Il detective se ne accorge e la lascia andare, cosicché il mio bambino ride di nuovo. Mi sbagliavo prima: sono due i sorrisi più belli che io abbia mai visto.
«Quindi ti chiami Conan? Che bel nome che hai...» si rivolge a mio figlio, fingendo di rubargli di nuovo la palla. Conan alza gli occhi azzurri e sorride, divertito. «Quando ti farai più grande ti farò leggere i libri di Conan Doyle. Con un nome come questo non possono non piacerti.»
Sorrido, dandogli un colpetto sulla spalla. È il primo contatto fisico che ho con lui dopo un anno.
«Cerca di non rendere mio figlio un maniaco di gialli come te.»
«Se diventasse intelligente come me non vedo il problema» ammicca, facendomi l’occhiolino.
«Mouri-kun», la professoressa Takumi è invecchiata parecchio da quando mi sono diplomata. Nemmeno le tinte sembrano dare colore ai suoi capelli ormai spenti e secchi. «Che dirle! Edogawa-kun è uno dei ragazzi più intelligenti che io abbia mai seguito. Mi ricorda molto Kudo-san, sa? Il suo amico... vero? Mi pare che andaste molto d’accordo anni fa.»
Io annuisco con titubanza, ma avrei preferito evitare tale confronto. Si somigliano, è vero, e tanto, e su molti fronti.
«Certo, come dimenticarlo» dico con voce bassa, inclinando anche il capo al pavimento.
Lei fa una smorfia un po’ contrariata. «Appunto... e proprio come Kudo-san, nonostante l’intelligenza sopraffina, non è mai attento in classe. È come se... si scocciasse.»
«Be’, professoressa, credo che sia la caratteristica del novanta per cento dei liceali non voler seguire le lezioni» provo, ma la donna alza uno sguardo di fuoco su di me.
«Lo sta difendendo?» mi chiede, minacciosa.
Io strabuzzo le palpebre. «No, no, si figuri.»
«Le ripeto, Mouri-kun. È senza ombra di dubbio una specie di genio, ma questo non crede che possa minare il suo futuro? Lo dico per la sua educazione, insomma... quando viene alla lavagna lo fa con quell’espressione seccata dell’ Adesso-ti-insegno-io-qualcosa, e mi dà molto sui nervi. È un po’... sbruffone, a mio parere.»
Cerco di rimanere calma sulla mia sedia, stringendo la mano sul bracciolo. «Mio fratello non è sbruffone.»
«Sì, Mouri-kun», comincia ad alzare il tono la donna. «Io credo che, a causa dei continui complimenti sulla sua intelligenza, si sia montato la testa. Non mi stupirei se a casa vostra ci fosse una sua statua a mo’ di Dio.»
Questa ha delle paranoie vere e proprie.
«Non c’è nessuna statua, professoressa. Mi risponda solo ad una domanda: Conan le ha mai mancato di rispetto?»
«No, signorina, però...» prova ancora a lamentarsi, ma io la blocco.
«E allora si limiti a giudicarlo per quanto concerne l’ambito scolastico. È un ragazzo d’oro e non ha proprio nessun problema di vanità. E se questo le crea fastidio, cominci a pensare che ce l’abbia lei», mi alzo dalla sedia con lentezza, indietreggio ma non vado via. Le rivolgo un ultimo sguardo: «E se le vuole insegnare qualcosa, lo ascolti. Ne sa veramente più di tutto il corpo docenti messi insieme. Saluti.»
Scivolo fuori dall’aula, adirata per tanta stupidità. Come si può giudicare male un ragazzo perché è troppo intelligente? Ok, forse sarà un po’ saputello, ma niente di che. Al confronto di Shinichi è l’umiltà fatta persona.
«Ohi, ma che voleva la strega?»
Guardo mio fratello con un’espressione seccata, ma allo stesso tempo avverto il cuore battere più forte: i suoi capelli ribelli, i suoi occhi. Tutto di lui mi ricorda Shinichi.
«Ma che le hai fatto?» gli domando, ridacchiando.
«Nulla, si lamenta di sciocchezze, vero?»
Annuisco, e prendendolo sotto spalla, gli accarezzo l’altra spalla. Ormai ha la mia stessa altezza.
«Ti metti a fare lo sbruffoncello tu, eh?» rido e lo attraggo a me, dandogli un bacio sulla guancia. Socchiudo gli occhi e mi gusto il suo profumo, è intenso, forte e dolce nello stesso istante. Mi piace.
«Peste!» gli scompiglio i capelli e lo stringo a me. Avverto i suoi muscoli sciogliersi al mio contatto: mi lascia fare, si rilassa. Rimaniamo ancora un po’ così, nel corridoio del Teitan, e per un istante sembriamo molto più che fratelli.
La mia mano è ancora sulla sua spalla, la stessa spalla di quel giorno, ed io quasi non me ne rendo conto. Al tatto avverto i suoi muscoli e quasi riesco a percepire il calore della sua pelle, nascosta sotto il tessuto. I suo pori emanano profumo; quanto vorrei avvicinarmi e constatare che sia lo stesso di quel giorno. Oggi indossa dei jeans tendenti al blu, una cintura ed una camicia grigio scuro. Sul petto penzola una cravatta nera dal nodo allentato di qualche centimetro. Dovrebbe essere il suo vestire formale, il suo modo di presentarsi ai clienti. E allo stesso modo dovrebbe risultare impostato su alcuni regimi, circondato da quell’aria di professionalità che di solito allontana le persone. Eppure non lo è: quel modo di vestire combacia alla perfezione con la sua personalità, quasi la evidenzia. Non sembra per nulla rigido, né tantomeno a disagio. Mi ricorda i tempi del liceo: sia da Shinichi che da Conan, la divisa gli calzava alla perfezione, pareva fatta apposta per lui.
«Ti ricordi quando venni a parlare con la professoressa Takumi? Quella che ti odiava?»
Lui si gira verso di me, sorpreso. Poi si lascia andare ad un sorriso. «Vagamente.»
«Non so perché ce l’aveva con te... mi disse che crescendo la tua personalità ti avrebbe dato problemi.»
«Ah, sì?» fa lui, inarcando un sopracciglio, divertito.
Annuisco.
«Aveva ragione» dice, ed io lo guardo con ferocia.
«Certo che no! Era solo invidiosa di te. Io la zittii.»
Inclina la schiena un po’ più verso di me, appoggiando la testa sulla spalliera del divano. Le distanze si accorciano, e quasi avverto la tensione e il nervosismo creatisi prima calare a picco sotto la nostra ritrovata confidenza. D’improvviso è come se quest’anno non fosse passato, come se fossimo in camera mia a parlare del più e del meno, della scuola e di quanto i miei litigassero.
«Mi difendesti?» mi sorride.
«Io avrei sempre difeso il mio fratellino.» Arrossisco, e non riesco più a reggere il peso dei suoi occhi su di me. Tossicchio, imbarazzata, ed anche leggermente scossa. Ho come la sensazione che stia per accadere qualcosa di strano, proibito, illecito, meschino e deplorevole. Qualcosa che io non dovrei nemmeno pensare o immaginare. In realtà non dovrebbe neanche attraversarmi o sfiorarmi l’anticamera del cervello.
Mi alzo brusca, dirigendomi in cucina.
«Cosa vuoi per pranzo? Io avevo in mente di mangiare un po’ di pasta. Ti va?»
«Sai cucinare anche italiano?» mi chiede, imitandomi e lasciando Conan a giocare da solo con la pallina.
«La madre di Shirai è italiana. Mi ha insegnato qualche piatto caratteristico.»
«Be’, allora sì. Sono curioso.»
Mi accovaccio sulle ginocchia, aprendo un cassetto situato sotto il lavabo. Ne estraggo due piatti fondi, mentre poco più a destra recupero due bicchieri di vetro. Li poggio a tavola, e vedo lui avvicinarsi.
«Ti aiuto?»
Scuoto il capo. «No, non preoccuparti. In realtà preferirei dessi un’occhiata a Conan. Ti dispiace?»
«Certo» mi sorride e si allontana, ma prima di varcare la porta si gira di nuovo: «ma solo perché si chiama così, eh.»
Sorrido di rimando e mi metto a lavoro. Per fortuna, essendo in casa con un mezzo italico, gli scatoli di pasta sono all’ordine del giorno. Ci impiego un po’ per cucinare il tutto, non essendone una gran esperta. Alla fine ho deciso di condire con dei pomodorini freschi e del basilico, ricordo che a casa dei genitori di Shirai mi piacque tantissimo. Dopo una mezz’oretta finisco di addobbare la tavola, e per qualche secondo mi fermo sopra a pensarci. È la prima volta che pranzo con un uomo in questa casa, e quell’uomo non è Shirai. Però, in fondo che fa? Non significa nulla. E poi mio marito non torna mai a pranzo, è anche ovvio che non sia lui. Torno in salotto dai due, e mentre recupero Conan tra le mie braccia, invito Shinichi a sedersi. Scruta per un po’ il piatto di pasta, e mi sorride.
«Ha un bell’aspetto.»
«Credevi non ci riuscissi, scemo?», mi pento subito di averlo detto. Non dovrei prendermi tutta questa confidenza ed usare questi termini affettuosi.
«L’apparenza però a volte inganna» dice, un ghigno sul viso.
«Invece di prendermi in giro perché non assaggi?»
Annuisce ed inforchetta un po’ di pasta, e quell’aria titubante mi fa saltare i nervi. Fa una serie di smorfie strane e tirate, guadagnandosi la mia peggior occhiata.
«Non ti piace?» gli domando con evidente rammarico. Ho sbagliato qualcosa nei condimenti? Mi pare di aver messo tutto... olio, sale... aspetta, quante volte ho messo il sale?
Lui abbassa il capo, come per non farsi vedere. Mi sporgo un po’ e capisco che sta ridendo.
«E dai! Ti piace o no?» mi lamento, mettendo il broncio. «Com’è? È venuta male?»
Non risponde, continua a sogghignare, ma non ha intenzione di darmi il suo giudizio. Però addenta un’altra po’ di pasta, e poi ancora un po’.
«Mi dici com’è?» insisto, ferita nel mio orgoglio di cuoca provetta.
«E tu...», intavola, beffardo. «Mi dici perché hai chiamato tuo figlio come me?»
Deglutisco, presa alla sprovvista: che colpo basso! Sospiro, e dopo aver steso Conan nel passeggino, comincio a mangiare anche io. Di fronte a lui, occhi negli occhi.
«Perché vuoi saperlo?»
«Ci dev’essere pur sempre un motivo.»
«In questo caso no» ribatto brusca, scuotendo il capo.
«No?»
«No.»
Sbuffo, passandomi la mano libera sulla frangetta. Perché è venuto? Perché Shirai ha avuto bisogno di lui? Sarebbe stato più facile non vederlo! Non posso affrontare questo genere di conversazioni con lui, non in un momento come questo.
«Non ti è mai piaciuto il nome Conan, mi hai sempre detto che ti rompevi di ascoltare le mie manie per Holmes...» riprende il discorso quando io ho già sperato che fosse finita lì. «Ad un tratto però hai cambiato idea, e addirittura hai chiamato tuo figlio in quel modo. Ma ovviamente... non c’è un motivo.»
«Ovviamente, bravo» annuisco solo per tentare di zittirlo. Non lo guardo, ma ho paura ad ascoltare.
«Ovviamente non c’entra nulla che per dieci anni hai avuto un Conan in casa tua, e quel Conan ero io.»
«Ovviamente, no.» Ribatto, brusca.
«È ovvio perché sei sposata?», la sua voce pungente mi infastidisce. Comincio a sentirmi oppressa.
«Per favore, Shinichi.»
«Domandavo.» Risponde con naturalezza e sicurezza. Per un po’ sta zitto, poi torna a parlare. Preferivo quando era Holmes il suo argomento preferito. «Che cosa strana però, eh? Tuo marito non sa nulla di me. E di conseguenza... non sa nulla di te.»
Alzo finalmente gli occhi ai suoi, scontrandomi col suo sorriso spavaldo. Mi è sempre piaciuto con quelle labbra all’in su e quegli occhi scintillanti... ma adesso non posso più permettermi di farlo.
«Questo lo dici tu.»
«Lo dici anche tu.»
Mi metto a ridere, ironica. «Fino a prova contraria, tu sei mancato dalla mia vita per dieci anni. Eravamo migliori amici al liceo, poi sei scomparso.»
Ride anche lui, inarcando un sopracciglio. «Già, peccato che c’ero lo stesso, anche quando non sembrava.»
«Ma non da Shinichi, appunto. Il rapporto che avevo con te l’ho instaurato con Conan. Se tu fossi lui adesso, so che lo sei, ma se avessi quella funzione di “fratellino” che avevi, di certo potevi affermare di essere parte della mia vita.»
«C’è sempre stata anche la mia parte adulta nella tua vita, e lo sai.»
Scuoto il capo, non volendo ascoltarlo. Ma cosa vuole dalla mia vita? È troppo tardi adesso anche solo per ricordare.
«Lascia perdere.»
«No, spiegati.»
«Non ne ho voglia. Per favore, Shinichi.»
Mi alzo dalla sedia, cammino verso i lavabi. Ma lui lascia stare la pasta, ormai raffreddata, e si avvicina. Sono costretta ad allontanarmi di qualche passo.
«Chiariamoci, no?» dice, afferrandomi il polso all’istante.
«Ti ho detto che non ho voglia di parlarne» sbotto, tentando di lasciarmi andare dalla sua stretta. È forte, ma lo è altrettanto la mia voglia di avvicinarmi. Devo lottare contro il mio stesso corpo che risponde a stimoli diversi di quelli della mia mente.
«Voglio solo parlare.»
«Io no! Adesso mi lasci?» ci riprovo, ma è difficile, quasi impossibile, resistere ad una tentazione.
«Perché non vuoi? Hai paura di dire qualcosa di sconveniente?», la sua voce spinosa mi stizza. Finalmente trovo la forza che ho cercato nella rabbia: riesco a spingerlo all’indietro, permettendo che lasci la presa al polso.
«Non mi parlare così, hai capito? Come ti permetti?»
«Perché ti scaldi tanto, eh?»
Gli mollo uno schiaffo sul volto. Ma nello stesso istante che tocco la sua pelle fredda, comincio ad avvertire le lacrime pizzicarmi gli occhi e qualcosa di caldo e soffocante farsi spazio nel mio corpo.
«V-vattene via! Non continuare a rovinarmi la vita, ti prego» sbotto, ho gli occhi bassi e non riesco a vederlo. «Sparisci, lasciami in pace.»
«Come vuoi» dice, freddo. Va’ verso la tavola dove recupera il suo cellulare. Poi si dirige verso il salone.
Se ne sta andando sul serio...
La sua figura è sempre più lontana, ed io già muoio dalla voglia di rivederla. Mi manca e mi strazia il cuore. Mi fa male al petto, tanto che sono costretta ad accovacciarmi a terra.
Il mio pianto diventa una crisi irreparabile, un grido che trova ipocentro nel mio cuore e che stabilisce il suo epicentro in tutto il mio corpo. Il mio fisico diventa vibrante, scosso da continui brividi, da immagini ripetute e strazianti, da ricordi che in quest’anno ho provato con tutta la mia forza a dimenticare.
I passi di Shinichi si fermano. Si gira, mi guarda, sbuffa.
«Quanto sei complicata.»
Lo sento avvicinarsi, avverto la sua mano sollevarmi ed attrarmi a lui. Porta le dita sul mio viso e fa scontrare le nostre labbra. Velocemente, all’improvviso. I respiri affannosi di entrambi coprono i tormenti del mio animo, e quando avverto la sua lingua insinuarsi nella mia bocca mi godo per un attimo l’edenica sensazione di non sentire nient’altro se non la sua saliva confondersi tra i miei denti. All’improvviso mi sento debole, il capo mi gira e la stanza fa altrettanto, l’unico punto fermo è Shinichi. Per qualche istante ricambio il piacere, ma un lampo di lucidità mi coglie e mi porta ad allontanarlo da me. La violenza con cui lo lancio via è tale da farci barcollare entrambi all’indietro, ma io mi rialzo subito. E dal mio occhio non cadono più lacrime, ma pioggia fitta, come quella dei temporali estivi.
«Sparisci» gli indico la porta d’ingresso, ma lui non si muove di un millimetro. Si limita a sorridere, perché adesso lo sa: è conscio di quello che provo e che non ho mai smesso di sentire.
«Ti ho detto di andare via, ti prego» tento di fargli capire, cercando di marcare ancora più il tono. Ma lui si avvicina invece di allontanarsi.
«Sta’ zitta.»
La sua voce autoritaria e sicura spazza via la mia, frantumando ogni tentativo di scordare quello che siamo e siamo sempre stati, sotto i miei e i suoi occhi. Cerco di ripararmi, di fuggire da lui, ma è tutto così ridicolo e inutile. Sto scappando con la mente, ma il cuore e il corpo gli rimangono appiccicati, senza spostarsi di un centimetro. Non ci vuole molto a bloccarmi di nuovo il polso, e ad attrarmi al suo profumo inebriante. Non riesco più a fare un passo, il mio corpo è come calamitato da qualcosa che c’è nel suo. Provo a reagire ma mi risulta impossibile: il cervello è disconnesso da tutto il sistema nervoso e i miei organi cominciano a sentirsi privi di comandi. Sono in tilt.
Mi tiene stretta a sé, ma adesso è la mia schiena ad appoggiarsi ai suoi pettorali. La sua lingua è un pezzo di ghiaccio che scivola con fastidiosa bellezza sul mio collo ardente, mentre le sue mani mi strappano via la camicetta da notte che stamattina, per pigrizia, non ho voluto cambiarmi. Cade a terra ed io rimango in biancheria intima, ma il reggiseno è abbastanza largo da scivolare in pochi istanti. Shinichi mi accarezza il seno... lo adula, lo assapora, ci gioca. Ma il suo spirito è troppo famelico per indugiare oltre, è come se fosse assetato della mia carne. Le sue mani cadono sempre più giù, fin quando non raggiungono la mia intimità, perforandola con intensità. Emetto un gemito che sento echeggiare nella casa per parecchi secondi, a cui si aggiungono i suoi respiri affannati. È come se fossimo vissuti solo per raggiungere questo momento, per aspettarlo, per ricongiungerci. Inclino la mia testa sulla sua spalla, socchiudo gli occhi e avverto il cuore accelerare a dismisura. Struscio le mie dita sulla sua pelle, quando lo sento girarmi verso di lui e prendermi in braccio. Lego le gambe dietro al suo fondoschiena, mentre gli afferro la cravatta, che vola in un punto indeterminato della casa, e poi i bottoni della camicia, strappandoglieli. Ne sento qualcuno rimbalzare a terra, ma sono troppo impegnata a crucciarmi coi polsini della camicia per importarmene, che proprio non hanno voglia di lasciargli le braccia libere. Il letto è vicino, ma Shinichi inciampa in un giocattolo di Conan, e cadiamo entrambi a terra: non mi sfuggono le sue braccia dietro la mia schiena per proteggermi, che rilascia andare solo quando ha la certezza che riesca ad aderire bene al pavimento. Riprende a baciarmi, ad accarezzarmi e leccarmi, ma ciò non fa altro che aumentare il desiderio: distraendomi, i miei gesti diventano talmente rapidi e maldestri che togliergli la cintura dei pantaloni pare un’impresa titanica. Finalmente se ne accorge, perché mi blocca e mi butta il polso altrove. Semplicemente la sbottona, così come i suoi pantaloni. Non li toglie, ma mi strappa da dosso le mutandine. L’istante dopo lo sento entrare in me con decisione e profondità. Rilascio un altro gemito, stavolta più acuto e forte, a cui si sussegue uno nuovo che sfuma nella dolcezza. Si tiene sui gomiti, ma struscia le labbra sul mio collo, rilasciando piccoli sospiri che prendono la forma di ansimi. Ho le palpebre chiuse e quando provo ad aprirle i miei occhi non riescono a mettere a fuoco nulla, nemmeno il suo viso poggiato sotto il mio. Potrei passare le ore a farlo con lui. Ansimo e sento il suo respiro grosso posarsi sulla mia spalla. Me lo godo, ne impazzisco: la presunzione di pensare che possa piacergli mi sconvolge l’animo e il cervello. Continua a muoversi dentro di me, alternando i ritmi, quasi come se non volesse farmi abituare a nessuna sensazione o emozione. Poi si aggrappa a me, i suoi movimenti diventano sempre più violenti e rapidi, e i miei gemiti molto più forti. In un attimo sento qualcosa nascermi da dentro, un calore espandersi per tutto il corpo come fuoco, e la bellezza di non voler nemmeno più respirare devastarmi. Non so quanto sia durato, non so per quanto tempo sia rimasta in quello stato di incoscienza divina. Dopo qualche secondo riesco ad avvertire i battiti dei nostri cuori nel petto, e la stanza riemerge man mano dagli occhi. Lui è ancora sopra di me, ma non si muove più. Non riesco a guardarlo in faccia perché ha il viso affondato nell’incavo della mia spalla, ma so per certo che sta respirando con affanno. Lo stesso che sento io.
«Meglio della pasta, direi» sogghigna, ed io scoppio a ridere. «E dicono che il cibo italiano sia il migliore.»
«Quanto sei idiota...» Socchiudo di nuovo gli occhi e sorrido. A polmoni aperti e cuore vivo, giuro di aver provato la felicità. Quella vera, quella che dura un attimo, quella che solo lui può donarmi. Credo di adorarlo, ma non posso permetterlo, e lo capisco troppo tardi. Il riso scema ed io focalizzo meglio il soffitto della stanza.
«Ho fatto una cazzata, Shinichi.»
«Se ne fanno molte, ma questa è stata meravigliosa.»
«Dai...» Rido di nuovo e gli do un colpo dietro la schiena. «Sto cercando di essere seria, e sto cercando di spiegarti che sarei grata se ti togliessi di dosso adesso.»
«Prima non eri grata però...» alza lo sguardo su di me, ironico.
Ha ragione, e per questo non riesco a non abbracciarlo. Rivoglio sentire il suo corpo su di me, la sua pelle fredda strusciarsi sui miei bollori. Ne inspiro il profumo, me ne drogo.
Sbuffo: «Hai proprio deciso di rovinarmi la vita, vero?»
Lui sorride, mi da un bacio sull’orecchio. «Mi riesce bene.»
Tento di avvicinare di nuovo le nostre labbra, ma uno scatto di serratura mi frena: la porta d’entrata si è aperta, e solo una persona ha le chiavi. Shirai.

 
 
 

Eccomi qui! *tira un profondo respiro* Allora? Com'era... il capitolo?! 
Mi avete chiesto di farlo più lungo... e vi ho accontentato. Mi avete chiesto di farli...riappacificare... e vi ho accontentato. Volevate sapere qualcosa in più su Conan e Ran, e vi ho accontentati. Adesso lascio a voi tutti i giudizi! Ebbene, dovete dirmi cosa ne pensate dei due flashback: il primo, con Conan/Shinichi che tenta di tirar su di morale la poveretta che, al suo compleanno, sperava ancora in un ritorno del suo alter-ego. Lo fa senza rendersi conto che, quelle parole, la inducono a credere che Shinichi non potrà mai trovare tempo per lei... perché non vuole. Ed invece non è così =( ma lei non lo sa, e comincia ad uscire... e conosce Shirai...
Il secondo è decisamente più soft, ma l'ho inserito per darvi un'idea del rapporto che c'era tra Conan e Ran prima che lei incontrasse Shirai, ma quando lui era già abbastanza grande da non essere considerato più un bambino. Dovete dirmi cosa ne pensate della tonnaggine di Shinichi della questione del nome, che Ran ancora si tiene per sé... però Shinichi insiste, vuole sapere (anche se in realtà il suo primo commento è stato "anche tuo marito è fan di Holmes?" *facepalm*)
E poi... ovviamente... dovete dirmi cosa ne pensate della scena. L'hot c'è nella storia, vi avevo avvisati, e vi avevo anche detto che sarebbe potuto facilmente sforare nel rosso. Ebbene, ditemi se debbo cambiare il rating (le scene descritte non andranno oltre questo livello di dettagli). E ditemi anche cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se è apparsa abbastanza passionale, se anche voi volevate essere al posto di Ran avete esultato a quel "sta' zitta". E ditemi se vi è preso un piccolo infarto nel leggere come ultima parola il nome di Shirai.
Insomma, ditemi se il capitolo vi è piaciuto. 
Io, se lo volete sapere, mi sono divertita un mondo a scrivere della parte di Ran che si rade e si tira a lucido, ed anche la parte della professoressa acida. Ovviamente, mi sono emozionata nella parte finale *_*
Vi lascio allo spoiler, e vi dico che ci vediamo il 6 settembre.



Spoiler #4 Il caso
«Certo, immagino» annuisce mia madre, sorridente. «E allora? Come stai? Dove sei stato? Non immagini mia figlia quante volte t’abbia cercato in tutti questi anni.»
Lo sa già, mamma. Non c’è bisogno di ricordarglielo. E grazie per mettermi in imbarazzo di fronte ad uno che credi che non veda da dieci anni.
«Bene, bene. Un po’ in giro per il mondo...» dice, e poi mi guarda, sorridendo. «Anche io l’ho... pensata.» 




A big hug!
Tonia
   
 
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