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Autore: Alexiel_Slicer    01/09/2013    0 recensioni
Charlize sentì le narici e successivamente i polmoni protestare, vittime di quella puzza acuta e fastidiosa, tramutando la loro disapprovazione in tosse.
"Ti ho detto che io non sono pazza!" sbottò, con una mano sulla bocca.
"Ah, no?" ribatté Susan che provava sempre più gusto a stuzzicarla. Voleva vedere fino a dove la sua nuova compagna potesse arrivare. Aveva un'aria così insopportabilmente innocente e irresistibile con i suoi lunghi capelli color carota, l'abito a fiori, il giacchino turchese, le lievi lentiggini sul viso d'alabastro, con quegli occhietti scuri e con quel suo sembrare terribilmente fuori dal mondo. "Allora perché sei qui? Ti hanno mandato in vacanza? O è stato tutto uno sbaglio?" insistette Susan divertita.
"Io...io non lo so...so solo che non sono pazza...vedo le cose semplicemente in maniera diversa..." ammise accigliata Charlize.
[tratto dal secondo capitolo]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Vedrai, andrà tutto bene".
Quelle erano state le ultime parole che le aveva detto Sally, la sua migliore amica, prima che lei salisse sul quel taxi che puzzava di nicotina, mista all'Arbre Magique all'essenza di pino, che ondeggiava appeso allo specchietto dell'auto. Man mano che si allontanava da lei aveva l'impressione che il suo volto, nella sua mente, pian piano stesse cominciando a svanire. Non riusciva più a distinguere il colore dei suoi occhi. Erano azzurri? Verdi? O castani? E i suoi capelli? Nei suoi ricordi erano già diventati una massa informe. Conosceva Sally da anni, possibile che la stesse dimenticando nell'arco di pochi minuti? Si sforzò di ricordarla, ma ad ogni sforzo sembrava confondere i suoi lineamenti ancora di più, così si arrese e guardò fuori dal finestrino.
Erano già usciti dal suo quartiere e adesso percorrevano un viale alberato alla cui fine si vedevano delle case. Quella mattina era una bella giornata, il sole splendeva alto nel cielo di un limpido azzurro e l'aria profumava di primavera. Vide le case, che prima lontane sembravano piccole piccole, diventare sempre più grandi, fino a quando non superarono anche quelle. Lei prese a giocherellare con le pieghe della sua gonna. Quei piccoli fiori stampati sul tessuto sembravano prendere vita e sorriderle ogni volta che li sfiorava.
"Siamo arrivati" l'avvisò il tassista ad un tratto, facendole alzare di colpo gli occhi che rivolse di nuovo all'esterno. Alberi, c'erano degli alberi.
"I signori dei boschi..." mormorò tra sè e sè, per poi far scivolare la sua attenzione sull'insegna di mattoni rossi, con una grossa balata di marmo grigio sopra. Lì, inciso a grandi caratteri neri, troppo seri e spigolosi per i suoi gusti, c'era scritto: "Clinica psichiatrica di Cleanwood".
Scese e le suole morbide dei suoi sandali si adattarono alle miriadi di ciottolini bianchi sul quale si posarono, mentre il tassista le prese la valigia dal bagagliaio della macchina. Lo guardò in faccia per la prima volta: era un uomo barbuto, pelato, con delle guance grassocce e rosse e due occhi piccoli e scuri. Lo fissò finchè, questo stufatosi di aspettare, la spronò a pagarlo.
"Allora?" fece scocciato.
"Oh si, quant'è?" fece lei svegliatasi dal suo stato di osservazione. Doveva ammettere, però, che sembrava tanto un cinghiale.
"Dieci e settanta centesimi" rispose l'uomo.
Lei prese i soldi dal taschino turchese del giacchino di cotone e glieli porse, per poi intraprendere il piccolo vialetto di ciottoli, non curante di ricevere il resto, mentre l'autista dietro le urlava.
"Signorina! Il resto!" e infine un farfugliato "Al diavolo!".
Si, proprio un cinghiale.
La struttura che ospitava quella clinica era imponente e grande: un enorme palazzo color terra bruciata, dalla facciata costellata da finestre sbarrate, strette e lunghe. L'ingresso era formato da un portico bianco, sorretto da colonne doriche più affusolate del normale. Il vialetto conduceva ad una scalinata di marmo dalle venature rosa, dove vi era il portone. La ragazza lo varcò trovandosi davanti ad una scalinata, che salì fermandosi al primo piano. Lì si apriva un ampio salone adibito come sala d'aspetto, con sedili di plastica e una scrivania, cui dietro stava un'infermiera. Questa quando la vide si alzò.
"Devi essere Charlize Cried, la nuova paziente" disse accompagnata da un sorriso gentile. Era di media statura, magra e con capelli biondi raccolti accuratamente e nascosti dalla cuffietta bianca. Tra l'altro era anche molto giovane.
In quell'istante entrò una seconda infermiera, questa però era l'opposto dell'altra. Non poteva avere meno di sessant'anni, bassa e con il viso reso severo dalle rughe, ma che non tradiva una nota di dolcezza che trapelava dagli occhietti azzurrognoli. I grigi capelli li teneva raccolti in una lunga treccia che le ciondolava sulla schiena ad ogni movimento.
"Oh, la nuova arrivata" disse appena accortasi di Charlize "Io sono Mrs Patter" si presentò, per poi presentare anche la sua giovane collega "Lei, invece, è Miss Leaf".
"P-piacere".
"Il piacere è tutto nostro cara! Vieni, ti faccio vedere quella che sarà la tua nuova casa nei prossimi mesi" disse la donna.
"Mesi?" ripetè la ragazza confusa.
"Tesoro, non crederai mica che si possa guarire in uno schiocco di dita" rispose l'infermiera Patter con un sorriso ironico su quelle che erano state carnose labbra, ormai avvizzite.
"Guarire? Ma io non sto male...sto...sto benissimo. Neanche una linea di febbre" mormorò Charlize.
La donna ascoltando l'ingenuità della ragazza rese il suo sorriso bonario "Lo sappiamo, è solo per precauzione...". Detto quello la prese a braccetto e la condusse fuori dalla stanza d'aspetto, dove agli occhi di Charlize si aprì un ampio corridoio, ai cui lati stavano grigie porte di legno; tutte camere delle altre pazienti. In fondo al corridoio vi era una delle strette finestre. Guardandole dall'interno e dallo stesso livello si rese conto che erano molto più alte di come le aveva immaginate osservandole dal vialetto.
La donna nel frattempo parlava e le illustrava i vari ambienti "Qui ci sono le camere delle nostre pazienti" disse indicando le varie porte, per poi trascinarla alla fine del corridoio dove si apriva uno spazioso salone "Questa è l'aria dedicata agli svaghi, invece" ed indicò la TV, i divanetti, i vari tavolini con le scacchiere e altri giochi da tavolo. C'era persino un pianoforte a muro, proprio sotto la finestra.
Charlize si guardava attorno con occhi incantati. Ad ogni passo incontrava volti di ragazze che la incuriosivano e che a loro volta la guardavano con curiosità. Alcune, però, anche con diffidenza.
"Di là" proseguì la vecchia infermiera accennando ad una porta a due ante dello stesso colore delle altre "C'è la sala mensa e vedi quel piccolo sportello che c'è accanto? Da lì un'infermiera ogni pomeriggio alle cinque in punto darà le pillole che dovete prendere".
"Pillole?...perchè?".
"Per farti sentire meglio".
"Non ho bisogno di sentirmi meglio...sto bene così...io...io ho paura delle pillole...quando sto male mia madre me le frantuma e le lascia sciogliere nell'acqua...è bello vederle diventare un tutt'uno con essa...come la neve quando si scioglie e diventa un tutt'uno con la terra...non crede anche lei?".
Mrs Patter dapprima non rispose, poi posò la mano sulla spalla della ragazza e la strofinò con fare amorevole "Lo credo anch'io" mentì.
  
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