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Autore: Hagne    01/09/2013    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
"I fantasmi del passato erano mostri difficili da addomesticare, creature d’ombra che mal tolleravano le catene alle quali venivano costrette, ed i suoi, di fantasmi, non avrebbero potuto essere imbrigliati neanche se avesse avuto le catene più spesse, pesanti e dure con le quali vincolarli"
[ Seguito di " A Demon's Fate"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything '
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Capitolo 8
“He told the tale so many times
About the dream not meant to be
In a world of the free
He plays with your mind
[…]
Deceiver of hearts, Deceiver of fools
He rules with fear
He rules again ,He feeds on fear
Poisons the truth To gain their faith
To lead the way To a world of decay
He will sell your soul to bitterness and cold
Fear him”

( Within Temptation – Deceiver of Fools)





Spalle rigide per l'ansia.
Mandibole serrate con apprensione.
Gambe flesse per essere pronte a concederle  la spinta necessaria a farle tendere il collo taurino e  azzannargli la gola, strappargli, la gola.

Sforzo apprezzabile il suo, quasi scenico, ed eroico, ma patetico, a suo dire.
Non che la Gigante di Ghiaccio avesse potuto avere davvero la possibilità di raggiungerlo  senza trovarsi senza gambe né braccia dopo aver solo azzardato il primo passo, ma Loki apprezzava comunque quel suo tentativo di intimidirlo.
- Una storia piuttosto fantasiosa, te lo concedo.
Sunniva rafforzò la presa attorno ai braccioli della  poltrona su cui sedeva la sua signora quando lo vide scivolare elegantemente in piedi, ergendosi in tutta la sua altera e cruda bellezza a cui  la cicatrice conferiva un’aria spettrale e inquieta, come il ritratto rovinato di uno di quei Tiranni di cui l’odio della  popolazione aveva fatto scempio.
Ma era l’odio del mondo ad averlo reso il mostro del quale  le storie e i miti cantavano le orribili gesta.
Un essere che aberrava ogni forma di dolcezza, amore, comprensione, preferendovi il dolore, la rabbia e la follia.
La stessa follia che dopo tanti anni era tornata ad inghiottigli il cuore e l’unica scintilla di sanità perita assieme ai ricordi oramai perduti.
La stanza era sfarzosa, con pesanti tendaggi verde petrolio a smorzare la luce filtrata dalle finestre alte fino al soffitto.Vi era anche disposta con una precisione quasi maniacale, una mobilia degna del più ricco ed elegante dei Re, ma era sull’enorme libreria  a muro  che Astrid lasciava vagare lo sguardo,  serena nonostante i movimenti serpentini di Loki fossero volti a metterla a disagio.
Ma cercare di scatenare in lei l’avversione alla sua presenza era inutile, perché era così abituata ad averlo vicino, a sentire il suo odore e i suoi occhi seguirla da ritenerli ovvi e naturali, attorno a lei.
- Quello è uno dei tuoi libri preferiti.
Loki smise di circumnavigare la scrivania quando la sentì parlare, ritrovandosi ad assottigliare pericolosamente  le palpebre  nel seguire lo sguardo morbido che la creatura teneva fisso sulla sua libreria, o, se voleva essere più puntiglioso, su una parte specifica della libreria.
- Davvero? E quale di preciso? – le sibilò mellifluo, cercando sui lineamenti gentili di quella che asseriva di essere sua moglie una qualche incertezza, dubbio, disagio, ma quella bizzarra creatura sembrava abituata al suono tagliente della sua voce, avvezza persino allo sguardo insistente che più di una volta aveva costretto sua madre a ritirarsi con un sorriso nervoso dalle sue stanze, ma lei pareva immune ad ogni suo tentativo di renderla vittima dei suoi giochi mentali.
- Quello con la copertina rosso porpora, ha gli angoli un po’ smussati – gli spiegò gentile, continuando a fissare lo stesso punto senza patire minimamente il peso del suo sguardo.
Quando lo vide muovere le dita lungo la parete, carezzando ogni copertina con leggerezza Astrid si lasciò sfuggire un sorriso nostalgico al ricordo di quanto Loki fosse sempre  stato amante del sapere, persino di quello degli esseri umani, di quelle creature che lui riteneva inferiori, l'ultimo anello della catena, ed era verso quella categoria che lei lo aveva condotto.
- Questo?
- Un po’ più a destra – lo guidò ancora, consapevole che Loki stesse giocando con lei, come a tastare il terreno e capire dove mirare per ferirla, per cavarle dal petto un grido di paura e farla fuggire da quella stanza, una delle arti manipolatrici affinate nel tempo con le quali sapeva che il dio amava torturare chiunque osasse anche solo minacciare la sua solitudine con promesse d’amore.
Promesse che non sarebbero mai state mantenute, non se fatte a lui.
Ed era nel vano tentativo di difendersi da un dolore che lui  sapeva, sarebbe arrivato, prima o poi, che provava a metterle paura, così da farsi odiare ancor prima di poterle dare  davvero qualcosa per il quale allontanarlo, ripudiarlo.
Un istinto di autoconservazione che lo rendeva incapace di accettare ciò che sapeva di non  meritare, che non era mai stato abituato a ricevere.
Le dita titubarono un attimo prima di raggiungere il tomo indicato, ma anche quando Loki sentì la consistenza ruvida sotto i polpastrelli non riuscì a distogliere lo sguardo dalle iridi fumose della creatura, placide come un lago insensibile al ringhio feroce del vento.
E quel vento era lui, lui che con tanto accanimento tentava di increspare le sue acque senza però riuscirvi, un fallimento che cominciava ad incattivirgli lo sguardo e gonfiargli la voce di nuovo veleno.
Perché lui odiava perdere, battaglie verbali, fisiche e mentali, e lei, lei stava annientando ogni sua azione offensiva ancor prima di poter  affilare le armi, come se prevedesse in anticipo ogni sua mossa, come se lo conoscesse.
Una spiegazione che non era disposto ad accettare, perché incapace di comprenderla, di capirla.
Eppure, per quanto recalcitrante fosse all’idea di concederle il beneficio del dubbio, la prova delle sue verità, di quelle che il Tesseract aveva ribadito come la realtà, cominciava a lasciarlo perplesso.
Perché nessuno, non uomo né dio sapeva di una passione per la quale aveva provato imbarazzo, fin dall'infanzia, un disagio profondo, nato dalla consapevolezza che essere stato  affascinato dalle parole di un essere umano, di una creatura  inferiore, tanto debole da far ribrezzo,  era patetico, specialmente per chi come lui asseriva di non poterli considerare che  giocattoli con i quali giostrarsi per far passare la noia di un momento.
Ma da bambino, quando ancora c’era stata la curiosità innocente ad attirarlo verso ciò che non conosceva,  aveva ritrovato in quell’uomo solitario la sua stessa tristezza, un’amarezza che lo aveva mangiato dentro fino a lasciare un buco in fondo al quale più volte  si era trovato a cercare qualcosa, qualsiasi cosa, rimanendo sempre deluso da ciò che aveva trovato.
Niente.
- Cosa ti fa credere che non abbia già ipotizzato un  giochetto da parte tua? Non credi che essere il Tesseract ti dia un grosso vantaggio su di me?
Sentire quel nome uscire dalle sue labbra la ferì molto più di quanto avesse pensato e temuto, e quando tentò di ricomporsi si scoprì incapace di inghiottire l’aria senza emettere un verso affaticato e irregolare, come un singhiozzo.
Uno sfogo che però sapeva di non potersi permettere, non con lui che la guardava e cercava un'altra parete da colpire e buttare giù,  ma c’era riuscito, quella volta, a trovare la falla nella sua difesa.
Un attacco inaspettato contro il quale non potè che sbattere più volte le ciglia nel tentativo di rimandare indietro le lacrime, uno sforzo inutile quando l’affanno di nascondere la piega affranta delle labbra e camuffare il suo dolore rese i suoi lineamenti incredibilmente fragili e vulnerabili ad un nuovo colpo.
Quando Loki la vide chinare leggermente il capo per nascondere dietro i capelli la propria smorfia ferita si preparò a sentire il sottile piacere per quella vittoria guadagnata, per lo scacco matto che il Re era tornato a compiere, divorando ogni pedina su quell’enorme scacchiera che era la sua vita.
Il piacere di sapere  un’altra anima angosciata a causa sua, un godimento che però,  in quel caso, il dio non riuscì a provare.
Ci fu invece il rammarico a bruciargli la gola, a costringerlo a schiarirsi la voce per tenderle una nuova trappola mentale  nella quale cadere, ritrovandosi ancora una volta incapace di  finirla.
Perché  c’era qualcosa di profondamente straziante nella piega docile di quel  collo, un profondo senso di disperazione che gli impedì anche solo di azzardare un sorriso obliquo nella sua direzione, lasciandolo immobile contro la libreria, incapace di ferire lei per paura di ferire se stesso nel tentativo di farlo.
- C’è una frase in particolare che amavi recitarmi – si ritrovò a raccontare Astrid quando il pavimento lucido della sala rifletté l’immagine sbiadita di un sorriso che era riuscita ad aggiustare in qualcosa di meno triste di una smorfia desolata.
- E quale sarebbe questa frase?
La mancanza di freddo sarcasmo nella  voce di Loki la convinse a tornare un po’ più ritta, mantenendo comunque gli occhi fissi al suolo per non tradire l’agitazione che le avrebbe fatto tremare la voce di lì a poco.
- *Chi lotta contro mostri, deve fare attenzione a non diventare lui stesso mostro.
Il rumore di passi le impedì di completare la sentenza, ma ad ogni suo tentativo di ritrovare la voce, un passo seguiva ogni suo tentennamento, costringendo entrambi ad una danza di labbra tremanti e passi concitati, ma veloci, che lo portarono poco alla volta ad un soffio da lei, tanto vicino da permetterle di  fissare la punta delle sue scarpe, e non più il pavimento.
- Continua – lo sentì sussurrare sopra di lei, ma ora c’era qualcosa di pericoloso nel suo tono, un’asprezza per la quale sentì Sunniva tendersi alle sue spalle mentre la sensazione di pericolo attorno a lei si inspessiva divenendo  una sciabola pronta a calare di netto sulla sua nuca e spezzarle il collo, tagliarle la testa.
Si costrinse però ad umettarsi le labbra, serrando le braccia sul proprio busto per trovare il coraggio di affrontare un’altra stoccata, un'altra ferita.
-  E se tu guarderai in un abisso – un respiro troppo vicino da lasciarla indifferente, troppo pesante da farle credere di essere al sicuro, in quel momento, mentre poteva quasi sentire  le  pupille del dio dilatarsi per essere pronte ad inghiottirla.
- Anche l'abisso vorrà guardare dentro di te.
Il ruggito di Sunniva le rovinò addosso assieme alle braccia con le quali la gigante la schiacciò contro la poltrona, sottraendola alla presa di quelle mani chiuse in artigli che Loki, nel vederla fuggire dalle sue spire,  serrò sui braccioli, il viso trasfigurato in una maschera d’odio.
E rantolava, la voce ingolfata per il dolore che gli occludeva la gola, ma era tanto il disprezzo che gli avvelenava il cuore da renderlo insensibile allo sguardo spaventato con il quale lei lo fissava da dietro le braccia della Gigante.
Un disprezzo che nel vederla  venne meno assieme al battito isterico del suo cuore.
Fragile.
Non riuscì a trovare un altro aggettivo con il quale descriverla, non nel vederla così piccola e minuta, e fragile,  lì, affondata nel tessuto imbottito della poltrona, i capelli a nasconderle metà viso, come a porre un’ulteriore difesa tra lei e il mostro che voleva divorarla, una fame che Loki non riuscì a saziare con la   paura, non quella di quel viso, non con quella voce nella sua testa ad urlargli che era sbagliato.
Era tutto sbagliato.
La sua rabbia.
La sua paura.
E lo sguardo sperduto che sembrava cercare in lui qualcosa che non c’era, qualcosa che lei si era convinta di poter trovare.
Ma lui sapeva che non c’era nulla, perché aveva guardato lui stesso, e cercato come lei, preda della disperazione di scoprire ciò che tutti avevano temuto, ciò che persino suo padre  aveva detto di aver visto in fondo al suo cuore.
Buio.
Solo buio, e ombre deformi,  sussurri concitati di un bambino che di gridare non aveva smesso, neanche per un attimo, per paura di tutto quel silenzio, per il desiderio di far udire la sua richiesta di aiuto a qualcuno.
Una preghiera che, anche se ascoltata, tutti avevano fatto finta di non udire.
- E tu? – le chiese asciutto, la voce arrochita dall’amarezza che gli inaspriva lo sguardo – tu cosa hai visto?
Toccarlo le venne istintivo, un bisogno viscerale che Astrid esaudì senza  rimproverare se stessa di stare  bruciando le tappe, di permettergli altro tempo per  assorbire la sua confessione e la sua storia  con i suoi tempi.
Ma non ce n’era per nessuno di loro, non con quella guerra alla porte, non con la consapevolezza che forse quel giorno non sarebbe più tornato, e lei non voleva che lui vivesse nella menzogna, non voleva che credesse ancora in una certezza che solo lei era riuscita a sfaldare.
L’impossibilità di essere amato da qualcuno.
Un qualcuno che però, alla fine, c’era stato.
Ed era stata  lei, quel qualcuno.
Era lei.
Lei che  aveva guardato in quell’abisso fino  a venirne inghiottita, fino a perdersi lei stessa.
 Ma poi, poi  lo aveva trovato, alla fine, quel bambino, raggomitolato su se stesso come a proteggersi dal freddo pungente, il viso affondato nelle ginocchia e il piccolo petto scosso da singhiozzi appena udibili che però nelle sue orecchie erano sembrate urla di dolore,
 gemiti che aveva affogato nel suo abbraccio, lasciandosi cadere accanto a lui per trasmettergli un po’ di calore, un pò di amore.
Perché, per quanto  avesse provato, per quanto avesse tentato di recidere il suo legame con tutte quelle ombre,  non sarebbe riuscita  a sottrarlo da tutta  quell’oscurità, non da quel buio che   faceva parte di lui,  di ciò che era, un’anima che nel buio era nata ma che della luce, benchè non l’avesse mai vista, si era innamorata.
E lei gliela aveva concessa, quella luce,  accettando di condividere quello spazio e renderlo con la sua presenza un po’ più confortevole, meno triste, meno doloroso, più umano.
Eppure dirglielo non avrebbe avuto senso, non per chi come lui non si fidava di ciò che sentiva,  ma credeva solo a ciò che vedeva, ad inganni che avrebbe riconosciuto, perché lui ne era il dio.
Ma lei non gli mostrò menzogne, sogni, desideri, solo  ciò che aveva trovato in fondo a quell’abisso, ciò che entrambi avevano imparato a costruire in quel piccolo spazio angusto.

Bianco.
Loki ne fu circondato, sopraffatto.
Soffice e morbido bianco latte che riscoprì sopra il  petto,  una calda coperta di neve  nella quale si trovava ad affondare le dita con gentilezza, un leggero sorriso ad increspargli le labbra.
Ed era una sensazione strana, quella che lo stava assalendo in quel momento, una sensazione che lo turbò, perché  era una sensazione di calma , di pace  che lo confondeva, che gli  faceva paura, lui che pace non ne aveva mai avuta.
Ed era felice, si sentiva, felice,
sapeva di esserlo.
Sapeva che sarebbe dovuta essere così, la felicità, anche se lui non l’aveva mai sperimentata sulla propria pelle, ma la riconosceva, la sentiva scivolare nelle dita che si stavano riempiendo di quel bianco familiare, come se i suoi  fossero gesti consolidati dall’abitudine, un'abitudine che però lui non ricordava di aver mai raggiunto mai,  con nessuno.
Non lo ricordava, ma in qualche modo sapeva che la presenza di quel colore su di lui era naturale, e giusto.
Perché era tutto giusto.
Il peso che sentiva sotto il braccio sinistro, quello  completamente nascosto da quella cascata di nuvole bianche.
La sensazione di pace all’altezza del cuore.
E quel leggero tocco sulle guance.
Giusto, giusto  come  mai niente era stato nella sua vita.
Una sensazione di legittimità che lo rendeva ebbro di quel silenzio, un silenzio che per la prima volta non lo  feriva, non faceva male, perché  c’era  qualcosa a frammentarlo.
Un profondo e placido respiro che inseguì con lo sguardo sotto le dita, ritrovandosi a scavare  gentilmente sotto quella  neve per scoprire dove quel suono provenisse, scostando onde  di quelli che capì essere capelli  mentre delle sfumature colorate cominciavano a rendere più visibile ciò che ben presto trovò davanti a sé.
Un viso.
Un viso placidamente addormentato.
Il desiderio di toccarlo, di sentirlo contro il palmo fu naturale, istintivo, e quando le sue dita vennero in contatto con la pelle morbida delle guance, quando la sfiorò,  Loki sentì nuovamente quella bizzarra sensazione di familiarità assalirlo mentre  sentiva un nuovo sorriso increspargli le labbra  quando la vide arricciare il naso.
Una reazione che lui ricordava di aver visto tante volte senza riuscire mai ad averne abbastanza.
Non di quella sensazione di pienezza nei palmi.
Non del calore di quel corpo che sapeva di stare stringendo a sé, al quale sapeva di essere ancorato come un naufrago in balia della tempesta.
Ed era lì, la sua ancora, era lei, lei che vide  aprire gli occhi e sorridergli come mai nessuno prima di allora gli aveva sorriso, mai a quel  mondo, mai  con tutto quell’amore.
Quando Astrid lo vide riaprire gli occhi sorrise conciliante per non spaventarlo, per non spezzare il filo di ricordi che gli aveva mostrato per  rispondere alla sua domanda.
E Loki trovò la risposta in quegli occhi che continuavano a fissarlo in quel modo,  anche se il bianco era svanito e il tocco gentile di quella mano gli ricordava di essere tornato ad un’altra realtà, ma una realtà, comunque.
Perché non erano menzogne, quelle che lei gli aveva mostrato, lo sapeva, lo sentiva, e per un breve attimo, pregò di aver ragione, di non avere torto.
Ma non ne aveva, perché era giusto.
Tutto quello era giusto.
- Tesseract.
Bastò quel nome e quella voce tetra a spezzare il silente scambio di sguardi dal quale Astrid venne strattonata bruscamente, irritata dall’intrusione del dio che all’entrata della sala fissava entrambi con un velo di rimprovero.
Ma Thor non parve risentirsi dell’astio della creatura, troppo occupato a tenere a bada i guerrieri che dietro le sue spalle si agitavano nervosi.
- Il padre degli dei vuole parlarti.
Quando Loki vide Lady Sif e i suoi compagni sorpassare il fratello con le armi  tese verso di loro strinse ferocemente la vita della creatura accanto a lui, un istinto difensivo che lo lasciò turbato dal logorante bisogno di protezione che chiedeva di più di una misera mano poggiata sulla schiena del Tesseract.
Un ossessivo bisogno di nasconderla da qualche parte e renderla impossibile da trovare per chiunque, soprattutto per il fratello che pareva essersi adombrato nel captare il suo gesto verso di lei.
La frettolosa ritirata della mano del dio non la sorprese, perché era ancora troppo presto per esigere da lui una risposta più concreta e tangibile ai suoi sforzi, sforzi che ora, dopo aver visto il suo sguardo, sapeva di dover raddoppiare per abbattere le sue difese.
E avrebbe dovuto portare pazienza, verso di lui e  verso quelle stupide creature che credevano davvero di poterla imbrigliare, ma se era la sicurezza ciò  che desideravano da lei,  allora lei gli avrebbe concesso  solo il pensiero, di poterla controllare.
Quando le manette le serrarono i polsi Astrid non potè che indurire lo sguardo e lasciare che il dio dei tuoni la scortasse fuori dalla sala assieme agli altri guerrieri mentre Loki, alle loro spalle, si trovava a richiudere i palmi con gli occhi sgranati dall’angoscia e dalla paura di sapere a chi la sua magia stava per divorare anima e corpo.
Non chi, in quando dio affrancato e figlio riconosciuto, avrebbe avuto il dovere di abbattere come una bestia, ma coloro i quali, nella sua testa, erano diventate solo ombre inconsistenti che gli inquinavano la vista e gli impedivano di seguire la luce in fondo al tunnel.
Un tunnel che il dio degli inganni si trovò ad imboccare con sguardo tetro, il passo strascicato e febbrile di chi sembrava pronto ad avventarsi sulle sagome indistinte di coloro i quali, nel suo mondo, non avrebbe mai dovuto  metter  piede.




°°°


- Non mi piace.
Pepper rafforzò la presa attorno al braccio del marito quando ne udì accanto il sussurro scontroso, ma si costrinse a mantenere per entrambi quel freddo distacco che la situazione richiedeva loro, un’indifferenza che però il dottor Barner faticava a piegare al suo volere  quando colei che veniva accusata ingiustamente era sua figlia.
La figlia che ritrovava  nel mezzo alla sala, circondata da lame e parole che tentavano di ferirla, di farla a pezzi, mentre il cigolare delle catene che da terra costringevano il Tesseract a tenere i polsi flessi verso il basso assottigliava la lucidità di ognuno di loro.
- Mi dispiace per questo – esordì il Padre degli dei, indicando con il capo le costrizioni alle quali la creatura era stata obbligata, come a scusarsi di un’ospitalità mancata che non erano soliti mostrare se non ai loro nemici – ma è per la –
- vostra sicurezza – finì Astrid per lui, osservando il proprio riflesso nelle spesse manette magiche prima di alzare il viso e ammorbidire la piega dura delle labbra nel vedere la sottile figura appena accostatasi al Padre degli Dei.
Loki inghiottì la morbidezza di quello sguardo con un deglutire rumoroso, incapace di contenere in gola la sorpresa di tutto quel calore, un calore bruciante che sentì scivolare come fuoco nel spetto, togliendogli il respiro per la forza di quel sentimento che la piccola creatura non aveva fatto altro che riversare in ogni suo sguardo, gesto, tocco a lui rivolto.
E rimasero a fissarsi in silenzio fino a quando non  lo udì.
Un fiotto di bruciante disperazione le si accumulò in gola  quando colse il lieve cigolio che aveva spezzato il loro incontro di sguardi, il cigolio della catena 
  stretta aspramente attorno al collo della guardia ritrovatosi  a rantolare mentre Sunniva sollevava lo sguardo sulla figura altera e minacciosa della sua signora, ancora incatenata, immobile, ma con il sottile collo blu teso dalle vene pulsanti che nei suoi occhi parevano divenire  il battito isterico di una stella che muore.
- Lascialo!
Il grido di Frigga tuonò per la sala con l’angoscia di una madre che di proteggere i suoi figli non sembrava più in grado, una cupa e profonda disperazione per la quale Astrid si trovò a ruotare il busto per fissare la donna mentre poco lontano, il soldato che aveva tentato di costringere la Gigante all’umiliazione delle catene continuava a rantolare.
Ma se l’era meritato, quel trattamento.
Perché era su di lei, che il loro odio poteva inasprirsi fino a ferire la gola, era su di lei che la loro paura e ignoranza sarebbe dovuta essere puntata, non su Sunniva.
E lo ricordò loro, sibilando ciò che le era stato promesso, la libertà della sua famiglia in cambio della sua collaborazione, della sua falsa sottomissione, ma gli dei non mantenevano mai le promesse ricordò a se stessa con acredine  quando sentì la voce roca del dio dei tuoni raschiarle la tempia, come se avesse davvero provato a grattarle la pelle per scoprire tendini e muscoli da colpire con i suoi fulmini.
- Lascialo.
- E perché dovrei ?  – lo zittì cattiva, sorridendo biecamente nel patire il freddo del metallo del suo martello sull’avambraccio destro – è stato il tuo stupido sottoposto a non rispettare i patti.
- Ma è una Gigante di ghiaccio – le ricordò aspramente il dio dei tuoni, rafforzando la presa attorno al manico di ferro – non posso lasciare che-
- Che cosa? Che viva?
Il freddo che piovve su di loro fu secco, violento come se una lastra di ghiaccio temperato avesse comincato a scivolare giù dal tetto, macinando aria e rinsecchendo la lingua di chi la saliva non riusciva più  a trovare per parlare.
Neanche Thor, dall’alto della sua levatura, parve trovare parole utili a maledire quell’abominio che gli sorrideva crudele dal basso, un sogghigno che Astrid rese tagliente come la lingua incastrata tra i denti.
- Cosa ti fa credere che tu possa avanzare una simile pretesa su di lei?
- Mio figlio è giovane – la interruppe con voce grave il padre degli Dei, sollevato di aver riportato su di sé quegli occhi di stelle ora adombrati da una patina perlacea che rendeva le sue pupille di cristallo – non riesce ancora a comprendere.
Un guizzo isterico sul viso della creatura lo costrinse a tacere mentre il freddo si inspessiva e la gravità di quello sguardo gli inchiodava i piedi a terra, come se qualcuno gli avesse appena conficcato dei chiodi nei  piedi per impedirgli di fuggire da quegli occhi che rappresentavano l’abisso e dalle parole che Odino per primo sapeva tinte di verità.
Un’orribile e cruda verità che lui, in quanto padre, non era riuscito mai ad accettare.
- È questa la vostra giustificazione? La giovinezza? – una risata fredda le tuonò in petto prima che il capo che aveva gettato indietro sotto la vibrazione del riso non la portasse nuovamente ritta, nuovamente crudele.
- Ed è per questo che Thor ha tentato di uccidermi appena nata?
Loki udì uno strappo echeggiare attorno a lui, vibrare sotto i piedi e tamburellare l’interno del suo petto, ma più i suoi occhi cercavano la fonte di quel suono, di quell’isterico ‘crack, più si accorgeva che era dentro di lui, che qualcosa aveva cominciato a scricchiolare.
Era il suo cuore, quello che aveva sentito  incrinarsi nell'udire quelle parole.
- È per questo che ha provato a far del male a degli innocenti?
- Tu non sei mai stata innocente – la aggredì Thor con voce tonante, ritrovandosi a stringere le labbra nel trovarsela ad un soffio dal viso, le manette a tenerle lontano le mani che se avesse voluto, Astrid gli avrebbe affondato nel petto per strappargli quel cuore egoista.
- Io sono stata la vittima della  tua frustrazione, figlio di Odino. Vittima innocente di quella rabbia che ti ha reso cieco a tal punto da non vedere che Loki era felice con me, piuttosto che nella tua ombra, lì dove lo hai sempre lasciato.
Il vibrare isterico del martello attirò lo sguardo distante di Loki, ghiacciato accanto alla madre che gli teneva una mano sulla spalla, come a rincuorarlo, ma il dio quella mano non la sentiva.
Ciò che udiva, ciò che scivolava morbidamente giù per il suo essere era quella voce, arrochita dalla rabbia, che nonostante la lieve incrinatura nel tono non lo feriva, non lo gettava nella disperazione di sapere che aveva ragione su tutto.
Su quella felicità mai ricevuta.
Su quel ruolo di antagonista che gli era sempre toccato, perché tinto dal buio della sua anima e dal nero di quell’ombra troppo grande da potervi sfuggire.
Su quella verità che risultava così chiara, nella sua testa, con quella voce, mentre nuove immagini rimpinguavano la fila di ricordi nei quali Loki sapeva di essere stato felice, davvero felice.
- Lui è mio fratello – soffiò il dio dei tuoni con rabbia, facendo irrigidire i presenti per il movimento consulto della mano libera ora chiusa in pugno, come pronta a colpire, a ferirla.
- No – e il sussurro di  Astrid parve un grido lanciato dal fondo dell’anima – tu non sei mai stato suo fratello.
Il vibrare di quelle pupille cerulee non la intimidì, ma rafforzò quella verità che lui per primo non era mai riuscito ad accettare assieme alla consapevolezza di aver fallito con Loki.
- Tu, tutti voi – e Odino trasalì visibilmente nel cogliere il guizzo di quegli occhi tornati a inchiodare il dio dei fulmini al suolo – lo avete tradito, umiliato, relegato a ruolo di comparsa, quando invece Loki avrebbe meritato molto più, e tutto ciò che voi non avete avuto il coraggio di dargli, io gliel’ho dato.  Io l’ho amato – e c’era disperazione ora, nella sua voce, un’angoscia che le incupiva lo sguardo di dolore e  le cospargeva le labbra di un tremolio sconnesso mentre Loki continuava a fissarla, muto.
- Io l’ho protetto e difeso, quando nessuno aveva voluto farlo.
Verità.
Non c’era menzogna, in quelle parole, non ce n’era in lei, nella creatura che il dio degli inganni guardava con la gola secca e il cuore a pulsare nelle  mani, nei  piedi, nella testa che sentiva pesante, affaticata dal dolore che gli bruciava le labbra e gli occhi.
Il dolore di essere stato  respinto da chi amava, rinnegato, da chi credeva, l'avrebbe accettato, abbandonato, da chi aveva promesso di proteggerlo da bambino.
Un bambino che però era sempre rimasto due passi dietro a tutti, affranto dalla  consapevolezza di essersi perduto e di non poter più trovare la via di casa, ma ora, ora Loki la riusciva a vedere, la sua via, una stradina sottile illuminata da quelle che sembravano lucciole, piccoli bagliori che sfrigolavano per essere toccate, per fargli da guida.
E d’un tratto parve vederle levitare attorno a sé, accanto a suo madre, davanti  a suo padre, piccole scintille che oscillavano come un’onda e si gettavano in avanti, verso il mare d’amore che il Tesseract continuava a far scivolare dalle labbra e dagli occhi lucidi di pianto.
- Lui è la mia famiglia.
Il primo passo gli costò fatica, perché si sentiva stanco, e confuso, e spaventato, ma sicuro che se l’avesse raggiunta, se l’avesse stretta tra le braccia, quella sensazione di vuoto sarebbe scomparsa, annichilita dalla pienezza di quegli zigomi abbandonati nei suoi palmi, di quello sguardo affogato nel suo.
- E lui è la mia.
Rosso.
Se ne tinse il suo sguardo, le sue labbra in procinto di urlare quando udì quel  lieve vibrare, il fioco e debole singhiozzo che Astrid si lasciò scappare quando le mani rudi del dio la afferrarono per la schiena.
Una schiena che qualcuno prima di lui aveva provato a incidere con le proprie dita, un’impronta che Thor non ebbe modo di lasciare quando lo sentì schiantarsi contro lo zigomo.
Il lungo stridio che l’armatura del dio emise nel raschiare il suolo costrinse molti a proteggere l’udito dalla cacofonia mentre le mani di Loki correvano a sorreggere il corpo gracile del Tesseract che raccolse tra le braccia.
E quando ne incrociò lo sguardo sofferente, quando la vide tendere quel sorriso che sapeva, era solo suo, Loki si sentì combattuto, diviso tra il prepotente desiderio  di credere a quelle belle parole e la paura di poter essere tradito da lei, da quella piccola creatura che non aveva fatto altro che professargli il suo amore.
Un amore che  lo terrorizzava, perché troppo grande da poter essere accettato senza porsi delle domande su di lei, ma avrebbe avuto tempo per sbrogliare quei pensieri, avrebbe potuto lasciarsi sopraffare dall’ansia e dall’angoscia il giorno dopo, quando la paura di perderla, di scoprirla un’illusione, una bugia come era stata la sua intera esistenza,  sarebbe tornata a sussurrare nelle sue orecchie.
Ma ora, ora aveva solo  bisogno di affogare in quel calore e lasciarsi alle spalle il silenzio di quella stanza che fin da bambino aveva abitato ma dalla quale, per quel giorno, si sarebbe fatto coraggio ad abbandonare per afferrare la  mano tesa nel vuoto da  chi non riusciva a vedere bene  in viso, ma chi, lui  sapeva, non aveva mai smesso di sorridergli, neanche per un istante.




°°°

  

Accadeva spesso, nel ciclo vitale di un essere vivente, di ritrovarsi a dover tirare le somme della propria esistenza  e venire a patti che alla fine ci sarebbero state le conseguenze delle proprie azioni, da dover fronteggiare, e se lo si faceva  a testa alta o a capo chino, ciò non importava, perché, in un modo o nell’altro, si sarebbe dovuto alzare il proprio  sguardo smarrito per incrociare quello di chi sulla propria strada si era incrociato.
Un momento dal quale persino un dio, persino lui,  non poteva fuggire, un momento che tuttavia nel suo caso rappresentava un istante perpetuo che si concretizzava nelle ombrose figure tra le quali si sarebbero potute scorgere facce conosciute, alcune odiate, altre, terribilmente amate, ma quelle che Loki si trovava davanti agli occhi, quelle che il dio degli inganni fissava in silenzio erano nemici.
Solo nemici.
Davanti, di lato, dietro di lui.
Ovunque.
Ne era stato circondato, soffocato come l’anello di una catena che attorno a lui si serrava, sui polsi che teneva morbidi contro la veste pregiata, sul capo ritto e adombrato dall’odio che gli inghiottiva le pupille, e su quelle labbra che di sfrigolare sotto la forza dei suoi gorgoglii sinistri e di riprendere forma umana non sembravano avere intenzione.
Ma non li biasimava, né distoglieva lo sguardo tetro dalla moltitudine di pupille dilatate su di lui, iridi sgranate per l’orrore di rivedere chi per l'uno  aguzzino, chi per l'altro  peggiore incubo lo aveva scambiato, ma c’era anche  chi, semplicemente, lo riteneva lo  scarto di un’esistenza che non era stata all’altezza di quanto sperato.
Ed era su quello sguardo che più di tutti gli rigettava l’odio per ciò che non era mai riuscito ad essere, per chi  della sua patetica malformazione fisica non provava pietà ma sdegno che Loki si convinse a catalizzare la propria attenzione,  colorando il viso di un livore che gli chiazzò le labbra del viola cupo del proprio, di disgusto.
Padre.
Laufey non aveva mai  meritato quel titolo, ma Loki non aveva altro modo di chiamarlo se non con un titolo che il Re dei Giganti di Ghiaccio non aveva mai rivendicato, perché non lo aveva voluto, né desiderato.
Lui lo aveva semplicemente  abbandonato sulle cime sperdute di quei deserti di neve dal quale Odino lo aveva raccolto, credendo di poter essere per lui ciò che quella creatura non era mai stata.
Ma Odino lo aveva cresciuto solo per usarlo, uno volta divenuto adulto, lo aveva amato per dargli motivo di sentirsi debitore di quell’amore, di doverlo ricambiare, una volta avuta la possibilità, e il dio lo aveva ripagato  con la punizione alla quale il padre degli dei aveva condannato la sua razza di divinità dorate credendo di potersi servire  di lui, di poter esigere qualcosa da lui.
Lui che non aveva desiderato altro che amore, un amore che non avrebbe dovuto chiedere, nè  ripagare.
Ma tutti si erano arrogati una parte del suo cuore, avevano rivendicato  un posto nella sua mente, il pegno da pagare per avergli dato il proprio affetto quando lui, lui aveva solo desiderato non doversi privare di una parte di sé per avere ciò che tutti ricevevano senza dover sacrificare qualcosa.
Laufey però non aveva chiesto nulla, perché il nulla era ciò che rappresentava per lui, e quella mano appena serratasi attorno alla sua caviglia mentre la terra sotto i suoi piedi crollava non aveva voluto fargli credere che forse  avrebbe potuto essere almeno  quello, un sostegno, ciò che avrebbe potuto addolcire  la sua discesa negli inferi, inferi nei quali Loki sapeva di avere un posto d’onore.
Lì dove suo padre e le mani tese verso i suoi abiti lo avrebbero voluto trascinare, per ricordargli che anche lui sarebbe dovuto cadere, prima o poi, e quando lo avrebbe fatto, quando sarebbe arrivato il suo turno, tutti loro sarebbero stati lì ad attenderlo, ad aspettarlo.
E quelle stesse mani che a lui si aggrappavano, quelle stesse dita che avevano  provato a lasciarsi il segno del loro passaggio prima di sprofondare nel vuoto, avrebbero potuto incidere sul suo viso una tacca alla volta, il conteggio di quanto dolore avesse generato, quante morti avesse causato, quanto odio lo avrebbe seguito, una volta finito lì.
Eppure ci fu una mano che a fargli male non ci provò, preferendo sostare immobile sullo zigomo freddo che il palmo, muovendosi leggermente, tantò  di  caldare per dare un colore sano alla pelle olivastra che Astrid continuò a strofinare, non aspettandosi di vederlo aprire gli occhi.
Ma quando lo fece, quando vide le pupille del dio dilatarsi  un poco prima che il riconoscimento lo convincesse a ritirare la mano dal suo collo rimase a fissarlo, immobile, la mano abbandonata sul viso che non lasciò, perchè  Loki non sembrava esserne infastidito.
Una carezza fuggevole e delicata, si era costretta a renderla tale, a non imprimere troppo forza, troppo sentimento, perché riabituarlo alla sua presenza era stato difficile, rieducarlo al tocco delle sue mani, delle sue labbra continuava a non essere semplice vista la facilità con la quale il dio faticava a mantenere un contatto fisico prolungato, se non era lui a iniziarlo.
E forse non avrebbe dovuto toccarlo, forse  avrebbe dovuto farsi bastare l’abbraccio con cui Loki l’aveva riportata nella camera e poi deposta sul letto, in silenzio, senza mai guardarla in volto, come se temesse di farle leggere nel suo sguardo qualcosa che non sarebbe dovuto essere scorto, visto, riconosciuto da lei.
Avrebbe dovuto farsi bastare tante cose, ma non c’era più tempo e lei languiva di quell’amore che le urlava di nascondergli il capo nel petto e cullarlo fino a farlo riaddormentare, e dirgli che lei ci sarebbe stata al suo risveglio, che lo avrebbe aspettato e vegliato per tutto la notte.
Avrebbe potuto, se solo non fosse stato tutto così dannatamente complicato, ciononostante,  mantenne il contatto per quanto potè, sorridendo debolmente per convincerlo a sbattere le ciglia, a non aver paura di perderla di vista, perché lei non lo avrebbe lasciato neanche se lui l’avesse costretta a farlo.
E quando non lo fece, quando non espresse il fastidio di essere toccato, di essere  guardato con occhi che lei sapeva essersi ammorbiditi nell’avere quella concessione, Astrid si fece temeraria, decidendo di sfidare la sorte, per una volta.
Andargli in contro le era sempre venuto naturale, ed era accaduto  spesso, anche in passato, che in Loki vi fosse rimasto il residuo del suo vecchio se stesso, del fuggitivo che dai sentimenti preferiva nascondersi per non ripresentarsi più, ma aveva imparato a frenare la sua fuga e bloccargli ogni via d’uscita.
Perché dall’amore, dal suo amore non lo avrebbe lasciato scappare, e quando riuscì a coglierlo di sorpresa, quando riuscì ad cingergli il capo in un abbraccio per spingergli il viso contro il   petto si aspettò di sentirlo irrigidirsi prima che l’istinto lo portasse a stringerle i fianchi per allontanarla.
Per respingerla.
Ma Astrid non glielo permise, mantenne la presa rigida, affondando il naso nei capelli profumati di Loki mentre sentiva le sue mani spostarsi sulla  schiena per afferrarle le spalle e convincerla ad allentare l’abbraccio,  per liberarlo, ma più lui si mostrava desideroso di sfuggirle, più i suoi occhi si serravano per convincersi di stare facendo la cosa giusta.
Perché la creatura che stava soffocando in un abbraccio aveva solo paura.
Paura di lei, dei suoi sguardi, dei suoi sorrisi.
Paura dell’amore.
Loki aveva paura dell’amore, di amare, di essere amato, di dover ripagare chi quell’amore gli donava con qualcosa di suo, un compromesso che da bambino il dio si era costretto ad accettare, concedendo un sorriso timido e incerto ad ogni sguardo rivoltogli, il tentativo di un  abbraccio a chi a lui provava ad accostarsi, ma dopo essersi svuotato, dopo essersi privato di una parte di sé, dopo aver ceduto qualcosa in cambio, nessuno aveva più avuto motivo di amarlo ancora, una volta avuto ciò che fin dall’inizio tutti quanti avevano desiderato ricevere da lui.
Obbedienza.
Controllo.
E Loki aveva imparato a perderlo, quel controllo, aveva imparato a non permettere più a nessuno di metterlo nell’angolo, preferendo non dare fin dall’inizio la possibilità di tradirlo, impedendosi ogni contatto con l'esterno, affinchè  nessun altro potesse divenire importante per lui, necessario, per lui.
Lui che aveva imparato a fidarsi solo di se stesso, esclusivamente di se stesso.
Ma era stanco, si sentiva stanco, e quelle braccia erano così morbide e profumavano di buono, di casa, una casa che non ricordava ma della quale lei gli parlava ogni giorno, spiegandogli di come fossero stati felici insieme, e lui voleva illudersi, per un momento, di poter aver bisogno di qualcuno dopotutto, e quel qualcuno poteva essere lei.
Avrebbe lasciato che fosse lei.
Perché lo abbracciava come aveva sempre voluto essere abbracciato, e lo guardava, come aveva sempre voluto essere guardato.  
Lei era chi aveva sempre voluto avere per sé.
Qualcuno con cui spogliarsi della solitudine per accettare ciò che per la prima volta non chiedeva nulla in cambio.
Lei, non gli chiedeva nulla in cambio.
Astrid impiegò qualche istante ad accorgersi di come le mani che fino a poco prima le avevano stretto duramente i fianchi si fossero ammorbidite, abbracciando gentilmente la pelle arrossata dalla pressione delle sue dita, ma quando si rese conto che stringere non era più necessario, che lui non sarebbe scappato, non potè che inghiottire le lacrime e avvicinarselo un poco, così da permettere anche a lui di averla vicina, di sentirla vicina.
E quando si ritrovarono a stringersi, quando la familiarità di quel contatto convinse Loki di poter davvero fidarsi di qualcuno, Astrid sorrise tra i suoi capelli, rilassando il cuore e il viso nel percepire il respiro tranquillo del dio contro di sé.
Trascorsero minuti di silenzio, minuti nei quali Loki decise di non pensare, di non provare a giocare con lei, perché  non se lo meritava,  e lui non lo voleva, ora come ora, voleva solo chiudere gli occhi e dormire, riposare.
Un riposo che in qualche modo, per qualche ragione, sapeva di poter avere con lei accanto, come se lei, sua moglie, potesse davvero diventare uno scaccia incubi, uno scudo contro il quale, per quante volte quelle mani avessero potuto avventarsi, per quanto forte quella di suo padre avesse provato a sfondarlo, non avrebbe ceduto.
Perché lo avrebbe protetto, lo avrebbe vegliato, lo avrebbe amato in un modo che non poteva paragonare a nulla, perché quel tipo di amore lui non lo aveva mai provato, ricevuto, e  per una volta, non era desideroso di respingerlo, anche se era sconosciuto, anche se aveva paura di scoprire che anche quello, alla fine, sarebbe venuto meno.
- Andrà bene.
Astrid lo disse senza accorgersene, senza aver realizzato di aver dato voce all’incoraggiamento che ogni notte dava a se stessa per continuare a provare, a credere che il giorno dopo sarebbe risultato tutto un po’ meno confuso.
E lo ripetè ancora, e ancora, una litania che accompagnò con il corpo, cullandosi  per augurare ad entrambi un lieto fine, quello che la sua voce sempre più bassa, lenta e lontana pregava di  concedere loro.
E per la prima volta Loki si sentì di credere a quelle parole, a quella voce che lo stava conducendo, mano per mano, fuori dalla sua stanza buia.
Il suo rifugio, il silenzio nascondiglio nel quale lei e la sua voce portarono un pò di luce.
Perché, se era lei a dire che sarebbe andato bene, allora lui avrebbe potuto provare a crederci.
A lei,  e all’unica storia  nella quale  era lui ad essere il protagonista.
Non Thor, ma lui.
Lui.
Lei.
Loro.



Continua…

* La frase è di 
Friedrich Nietzsche;
 - Ringrazio tutti per continuare a seguire la storia, in settimana la storia dovrebbe concludersi perchè i capitoli finali sono stati già scritti, devono solo essere revisionati e corretti, perciò manca poco ormai!

Ancora grazie, al prossimo aggiornamento
Gold eyes


  
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