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Autore: flawselesbian    01/09/2013    1 recensioni
«Non mi piace ricordare.
Non mi piace ricordare il mio passato sebbene quella è la parte migliore.
Non mi piace raccontarlo agli altri perché non ho voglia della compassione e forse neppure la merito.
Magari non c’è nessuno disposto ad ascoltarmi, qui. Anzi, questa è l’unica certezza, cruenta, quasi.»
Una fiaba scritta per un concorso da mia sorella minore.
Spero vi piaccia così come è piaciuta a me.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ricordo del mio passato

Non mi piace ricordare.
Non mi piace ricordare il mio passato sebbene quella è la parte migliore.
Non mi piace raccontarlo agli altri perché non ho voglia della compassione e  forse neppure la merito.
Magari non c’è nessuno disposto ad ascoltarmi, qui. Anzi, questa è l’unica certezza, cruenta, quasi.
Non mi piace raccontarlo agli altri perché la mia non è la storia peggiore.
Ma è la mia e per quanto io possa allontanare questo dolore, snobbandolo quasi, considerandolo lieve, è ancora lì.
Ancora giace al mio fianco in questo ammasso di oggetti inutili e obbrobriosi che le persone gettano trattandole ancor più malamente di come io tratto me stesso.
Sono tutti uguali a me ma più intelligenti.
Loro sono già passati alla terza fase, hanno già dimenticato, mentre io sono ancora indietro.
Ma non mi è mai piaciuto anche solo osservare le persone che corrono, gli atleti che sudano in pantaloncini corti e magliette della medesima lunghezza mentre cercano di arrivare alla fine di quel lunghissimo percorso che solo al pensiero la mia vista inizia ad ingiallirsi precipitosamente; non provo allegria nell’osservare la fatica che si deve compiere, anche solo se limitata.
Non mi sono ancora fatto amici qui, hanno tutti interessi differenti dai miei; loro pensano ai grattacieli, ai boschi, agli altri oggetti che stanno intorno a noi, agli estranei, ai curiosi e fastidiosi animali, alle auto, ai palloni, al tempo.
Io, invece, penso ancora a quel piccolo fazzolettino rosa antico, un po’ sbiadito se vogliamo, che tengo nell’angolo più remoto del mio cassetto.
E profuma, profuma della più nostalgica armoniosa essenza che mi ricorda casa.
E’ dolce, delicato, rilassa tutta la tensione che questo ambiente che ho intorno a me da tempo mi irrita doloso.
E’ quasi talmente surreale che mi porta a sognare cose che nella mia completa coscienza mai riuscirei ad immaginare.
E’ buono che quasi vorrei morderlo e allo stesso tempo mi innervosisce.
Lo vorrei magiare quanto vorrei assaggiare un altro libro di poesie.
Oh, ricordo ancora la prima volta  che me ne diedero uno.
Ricordo ancora la prima volta che iniziai a sfogliare la sue pagine svogliatamente, in uno di quei pomeriggi troppo ansiosi e annoiati.
Ricordo ancora i suoi versi, anche se piuttosto vagamente.
Ricordo alcune poesie e ricordo le emozioni che mi emanavano quasi si combaciassero perfettamente con la mia mente.
E’ talmente dispersivo, questo profumo che mi confonde e mi addormenta cullandomi fra le illusioni che follemente mi fanno credere, reali.
Ma ora lo odio.
Odio sovrumano che mi spinge a uccidere quel desiderio dolce che il mio passato mi riserva, come se fossi la più importante figura su questo mondo di oggetti, come se fossi talmente prezioso da poter essere calpestato da chiunque senza che essi se ne accorgano.
E io sono invisibile, sono invisibile per tutti coloro che mi passano davanti ogni giorno,  che neppure mi rivolgono uno sguardo, un’occhiata, un battito di palpebra.
Sono sconosciuti che lavorano, parlano fra di loro dei grattacieli, dei boschi, degli altri oggetti che stanno intorno a noi, degli estranei, dei curiosi e dei fastidiosi animali, delle auto, dei palloni, del tempo.
Io sono ancora solo, passano i giorni e non parlo con nessuno, penso solamente e non ho amici.
Non mi è mai piaciuto averli, a me basta solo qualcosa da mettere nel mio cassetto,  ma ora non ho nulla se non quel misero fazzolettino che mi ricorda il mio passato.
Provoca dolore, certo, ma in esso si nasconde anche uno dei più romantici amori che un essere possa desiderare.
E’ la cosa più preziosa che ho, nulla compete, l’unica cosa rimasta che mai più di così potrei amare.
A volte, mi perdo nei ricordi che esso emana e non desidererei altro, mi perdo e non soffro più, magicamente.
Mi ricorda di quando la mia padrona conservava in me i suoi ricchi gioielli e poi li distoglieva subito, lasciando solo la collana di perle biancastre ch’io amavo.
Le uniche volte che la indossava erano rare, ne ricordo solo una decina.
In me conservava anche i suoi libri di poesie e anche il suo piccolo taccuino rettangolare con gli angoli stondati color marroncino, dove anche lei scriveva delle strofe che, immedesimo me, erano così incantevoli che mi trasportavano in un’altra dimensione e triste, penso alla fine che hanno fatto, al destino crudele che gli è stato riservato.
Forse è qui con me, in questa discarica di città, abnorme, irrealmente estesa che quasi mi pare un deserto periodico.
Mi rincuora, anzi no, mi deprime.
Non ha nulla anche lui, i versi di poesie non bastano.
Il passato, il nostro passato così bello, non può essere dimenticato in un fazzolettino rosa antico o in delle pagine sbiadite e quadrettate di un taccuino.
Poi, teneva in me anche un mazzolino di belle di notte, secche.
Profumavano anche quelle.
Mi tenevano compagnia, importanti.
Ma ciò non è bastato, le hanno buttate, tempo fa.
Le hanno gettate nel fiume di rifiuti marci che erano accumulati in un sacco nero di plastica che ancora odio.
Non ci sono più neppure loro.
Non c’è più neppure quel portamonete azzurrino.
Quel piccolo oggettino che ogni sera riponeva in me, come se fossi un custode, come se fossi una sicura cassaforte.
Ce n’erano poche, giuste.
Ce n’erano giusto il paio per comprare una penna.
Una penna per scrivere tutto ciò che aveva in mente, che viaggiava, contorto, nella sua affascinante mente.
Mi sentivo bene, allora, mi sentivo come se stessi camminando sui chiodi e provare piacere.
Era tutto facile, tutto mi rendeva felice, fiero.
Tutto mi faceva sentire intelligente e stimabile.
Che insulsa sensazione.
Tutto.
Ma ora non c’era più nulla.
Mi sento vuoto, completamente afflitto da tutto il mio passato.
Non c’è più nulla per andare avanti.
Mi sento oppresso dal dolore.
Mi sento schiacciato da queste montagne di mobili, elettrodomestici, rifiuti che ho intorno a me.
Nessuno mi nota e vorrei non essere invisibile.
Vorrei solo che qualcuno mi salvasse.
Vorrei solo che ci fosse qualcuno disposto a non lasciarmi morire, qui.
Non voglio morire.
Provo a pensare, rilassato.
Immagino Dio, è là.
Mi sta chiamando, la sua luce gloriosa mi arriva dritta e leggera.
Mi sento bene o quasi.
E’ là, mi sta chiamando.
Tento, ora vado.
Sto morendo ed è tutto finito.
Questo tempo antagonista mi ha solo ucciso e il mio passato ne è stato solo l’aiutante.
Eppure io volevo solo riviverlo, anche solo per un istante.
Ma che dico, no.
Avrei voluto solo riviverlo eternamente,cercavo solo la felicità.
Ora vado, è deciso, Dio mi aspetta e io mi voglio incamminare a Lui.
Provo a muovermi ma non ci riesco, sono ancora fermo qui.
E’ straziante, voglio raggiungerLo, ora.
Ho perso le speranze e voglio morire.
Ho preso una decisione e non voglio cambiarla, ma non mi muovo.
Sono ancora qui e non riesco a fare alcun passo verso di Lui.
Perché?
Si sta allontanando, il buio è più forte.
Non lo vedo più, è come una vecchia fotografia sbiadita che incute nervosismo.
E’ andato via, completamente.
Non c’è più ed io non so proprio cosa fare, ancora.
Non sto morendo, no.
Non sto morendo, almeno per ora.
Ansia.
Apro gli occhi e sono ancora qui, beffardamente.
Ho desiderato di morire, che gioco d’azzardo.
Sono ancora qui, non avevo neppure una doppia coppia eppure speravo in una scala reale.
Le montagne di rifiuti sono ancora intorno a me ma ora sento delle voci, estranee.
Sono dei lavoratori ma non sono vestiti come tali.
C’è una signora vestita di giallo, almeno così è la sua giacca, lunga fino a metà gamba, indossa dei jeans e degli stivaletti marroncini.
Non riesco a vedere la sua maglietta; è piuttosto magrolina e ha dei lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri.
-“Quello!”- urla indicandomi.
Io? Che vuole?
Mi si avvicina un uomo e mi prende bruscamente.
Mi stanno trasportando.
E’ arrivata la fine, credo.
Mi caricano su un camioncino bianco sporco.
Dormo.
Passano venti minuti.
Dormo.
Ne passano altri dieci e si ferma.
Mi sveglio.
Mi fanno uscire e siamo davanti ad una casetta piccola piuttosto graziosa.
Lo stesso uomo di prima mi prende e mi porta dentro.
E’ come la immaginavo, piuttosto calda e moderna.
C’è qualche oggetto d’antiquariato.
Non so cosa vogliano farci con me, non ne ho la più pallida idea.
L’uomo esce e resto solo.
Ho un po’ di paura ma sono abituato a peggio.
Mi si avvicina la stessa donna di prima e questa volta non ha il cappotto.
Indossa una maglietta a fiori sui colori del rosso ed è piuttosto attillata.
Mi guarda compiaciuta e io ancora mi chiedo cosa voglia fare con me, un comodino appena ripescato da una discarica.
Inizia a passarmi sopra un panno umido che quasi mi provoca brividi e solletico.
Ridere mi fa piacere, è una sensazione passata e gioiosa.
Sembra che voglia pulirmi ma io ancora non capisco.
Non sembra voglia fare altro dopo quell’azione.
Il mio colore è ancora intatto.
Il mio legno è ancora in buono stato nonostante il tempo e lo sporco.
Forse vuole salvarmi, forse.
Magari ha solo deciso di bruciarmi o di lasciarmi in una cantina freddamente e contrariamente logorroica.
Mi carica di peso e sale, a fatica, delle scale.
Chiudo gli occhi, non mi piace vedere le persone faticare.
Arriva davanti ad una porta e li riapro.
Mi porta dentro.
Sembra che appartenga ad una ragazzina.
Ha le pareti azzurre con un letto piuttosto grande con le lenzuola lilla decorate con piccoli fiorellino dalla più scura.
Ci sono varie mensole e libri, tanti libri.
C’è un comodino ed è simile a me se non per il colore e la forma.
E’ bianco e ha due cassetti, ci sono dei cd ed uno stereo.
Continuo a guardarmi intorno e noto dei poster, tanti poster.
Ci sono fotografati dei ragazzi, cinque e un sesto da solo.
Poi la vedo, è una ragazzina all’incirca tredicenne.
C’è una sua amica, mi pare.
Ha i capelli corti biondi, gli occhi color cielo -bellissimi- ed è magrolina.
La sua amica è più alta e più magra.
Ha i capelli corti castani e gli occhi della stessa tonalità.
Sono entrambe carine ma ancora non capisco.
Che vogliono da me?
Mi posiziona in un angolino, dal lato opposto dell’altro comodino e di fianco al letto.
La signora esce e freneticamente, quasi, le due ragazzine si avvicinano a me piene di oggetti fra le mani.
Ho paura, il mio fazzolettino rosa antico è ancora qua, non voglio perderlo.
Aprono il mio unico cassetto e ci sistemano ordinatamente quegli oggetti.
Sento una strana sensazione.
Ci sono dei cd di musica.
Ci sono dei libri di musica.
Ci sono dei braccialetti.
Ci sono delle cuffie.
Ci sono degli occhiali da sole.
Ci sono delle matite e delle penne.
C’è un astuccio.
C’è un libro di poesie e un taccuino.
E’ uguale a quello della mia padrona.
Ci sono delle poesie scritte ma non so a chi appartengano.
Mi sento strano.
Mi sento quasi male.
Mi sento diverso.
Mi sento a mio agio.
Mi sento senza spazio.
Mi sento sicuro.
Mi sento felice.
Entusiasta.
Elettrizzato.
Felice.
Mi sento strano.
Mi sento completo.
Mi hanno salvato, non sono morto.
Sorrido, anche se loro non possono percepirlo.
Mi hanno salvato, non ci credo.
Queste due ragazzine hanno sguainato le loro spade, stracciando il male che mi affliggeva; loro sono i miei eroi.
Sto vivendo un nuovo momento,ora, felice e indescrivibile.
Forse il mio passato non era la parte migliore, forse la mia non era la storia peggiore, forse ora sono veramente felice grazie a quella donna, forse ora si può dire “E vissero tutti felici e contenti..”, forse.

 
   
 
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