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Autore: RLandH    02/09/2013    2 recensioni
E Goffredo aveva capito di esser un Borgia solo di nome, da questo. Se fosse stato come suo padre o i suoi fratelli, Goffredo se l’ha sarebbe presa. Avrebbe detto che in quanto Borgia lei gli spettava di diritto. Ma lui non aveva mai neanche osato baciarla, neanche quando erano soli, neanche quando si guardavano, quando il silenzio era loro amico e le parole divenivano futili.
Uno spaccato sul Borgia meno Borgia di tutti ed il suo rapporto con le sue due mogli. Sancha e Maria. E su quanto a volte essere egoista non sia un bene, ma neanche necessariamente un male.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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spinoff

Titolo: Era di più

Fandom: Storico

Paring:  Sancha D’Aragona/Goffredo Borgia, Maria de Mila/Goffredo Borgia. Minore: Sancha D’Aragona/Cesare Borgia

Personaggi: Goffredo Borgia, Sancha D’Aragona, Maria de Mila, Rodrigo D’Aragona, Lucrezia Borgia

PoV: Goffredo Borgia

Rating:Verde

Disclaimer: Non possiedo nessuno. E nessuno di loro è frutto della mia immaginazione. Sono esistiti ed hanno provato sentimenti veri. Spero di aver reso loro onore.

Sommario:  E Goffredo aveva capito di esser un Borgia solo di nome, da questo. Se fosse stato come suo padre o i suoi fratelli, Goffredo se l’ha sarebbe presa. Avrebbe detto che in quanto Borgia lei gli spettava di diritto. Ma lui non aveva mai neanche osato baciarla, neanche quando erano soli, neanche quando si guardavano, quando il silenzio era loro amico e le parole divenivano futili.

Beta: Non ne ho una ):
 Note: 
Sarò onesta, io ho sempre amato i Borgia, tutti, particolarmente Goffredo, sarà che sono la più piccola di casa, ho sempre provato una certa empatia per il piccolo di casa Borgia. Il padre non l’ha mai considerato tale. Per via del suo carattere molle, sua moglie  gli ha messo un bel palco di corna, alcune con suo fratello. E l’unica che l’amava era Lucrezia, che poi è comunque scomparsa dalla sua vita. E poi ha sposato questa Maria, di cui non ho trovato nulla, sono stati sposati dieci anni ed hanno avuto quattro figli, così ho pensato che forse erano davvero felici.

 

Era di più

Goffredo era stato con Sancha fino alla fine.  Mentre si spegneva per le febbri, nel suo grande letto, gli occhi rivolti alla finestra e l’azzurro del cielo aperto davanti a loro. Le aveva tenuto la mano. Non in una stretta, quando un leggero sfiorarsi. Come due persone che avevano imparato negli anni a sopportarsi, senza imparare mai a comprendersi.  Sancha non aveva ancora trentanni ed era ancora così bella. Un luminoso fiore. La gemma più lucente della corona del Re di Napoli. Anche stanca, accaldata e malata, vessa sul letto di morte, era la donna più incantevole dello stivale intero. Lei lo aveva guardato, non aveva detto nulla ne preteso che lui dicesse niente. La stanza era stata un via vai di servitori, guaritori, preti. La principessa aveva parlato con tutti coloro che avevano portato le loro preghiere e persone. Si era confessata al prete che l’aveva assolta. Ma Goffredo e Sancha non si erano detti nulla. Avevano aspettato la fine insieme, in un tetro e rispettoso silenzio.

Quando l’ora nera era avvenuta, Goffredo le aveva baciato le labbra, come la prima volta, quando aveva tredici anni, timoroso e spaventato, accarezzandole i capelli, “Il regno dei cieli ti accolga, vita mia” le aveva sussurrato. Lei aveva sorriso. Il suo ultimo meraviglioso sorriso al mondo, Sancha d’Aragona l’aveva concesso a lui. Il marito che tanto aveva sofferto. Il fratello dell’uomo che tanto aveva amato. Aveva chiuso i suoi grandi occhi scuri ed il silenzio era divenuto pregno di lei. Ogni cosa in quella stanza era divenuta Sancha. Perché d’un tratto, la mano che Goffredo stringeva si era fatta immobile come la roccia. D’improvviso la bellezza delicata della principessa di Napoli era sfiorita. Non era rimasta  null’altro che una donna in un letto.

Goffredo volle credere che il Signore aprisse i cancelli del suo regno a sua moglie. Il prete le aveva concesso il perdono, ma non stava agli uomini decidere. Sancha aveva collezionato amanti ed arrecato a lui moltissime offese. Suo padre, si disse Goffredo, le avrebbe dato l’assoluzione per ogni fornica mento. Neanche avrebbe badato all’ oltraggio inflitto al nome dei Borgia, di lui non era importato quasi mai a nessuno, e per anni Sancha aveva saggiamente scelto di dividere il talamo con Cesare. Si occupò lui stesso di scegliere gli abiti che avrebbero vestito per l’ultima volta la principessa. Un abito nero, con maniche larghe, ricamato sul corpetto perle e gioielli preziosi a decorarne la salma.

Rodrigo venne a piangere la zia da lui, aggrappandosi alle sue vesti. Lui lo strinse in un abbraccio paterno. Lucrezia venne in lacrime, il giorno del funerale, la sua bellezza offuscata dal dolore. Mille braccia, mille bocche, diedero abbracci e sostegni a Goffredo. Uomini che avevano giaciuto con Sancha lo strinsero come un fratello. E lui restò in silenzio. Per l’intera cerimonia resto nel suo cupo silenzio, fissando una salma. Quand’era morto suo fratello Juan, lui aveva versato poche lacrime, alla morte di Cesare, ne lui ne Sancha ebbero il coraggio di presentarsi, ma lui pianse. Pianse la morte di un uomo che un tempo era stato. Pianse suo fratello. Non il figlio del deceduto papà. Il Valentino. Il principe. L’amante di sua moglie.  Ma alla morte della donna con cui aveva condiviso dodici anni della sua vita, il principe di Squillace non versò neanche una lacrima.

Il giorno del funerale, dopo aver chiuso sotto il marmo e nella terra, Sancha. Goffredo si rinchiuse nelle sue stanze. In preghiera. Per salvare dalle fiamme dei lussuriosi l’anima della donna che avrebbe ardentemente voluto amare. Era scesa la notte, quando lasciò le sue stanze. Si diresse ai giardini. Era una notte fredda, nonostante l’estate. E’ li trovò Maria. Bella come una venere, vestita di scuro, con lunghi capelli bruni, sciolti, mossi a stento dal vento. “Mio principe” gli disse, con quel suo tono di miele,  aveva un viso triste, rigato da lacrime infuocate. “Mia signora” le rispose lui, con un tono impastato di tristezza. Goffredo aveva conosciuto Maria de Mila pochi anni dopo il suo arrivo a Napoli. Allora ella era un’infante ancora più piccola di quanto fosse lui. Una bambina che negli anni era cresciuta ed era sbocciata una donna di mirabile bellezza. Dopo la morte di suo padre, Goffredo era tornato a Napoli ed allora aveva rincontrato Maria, l’unica fanciulla con così tanto pudore da volger lo sguardo altrove quando si trovava osservata, con le gote sempre in fiamme e parole gentili sulle labbra. E la sua timidezza, forse era stato quella che l’aveva fatto innamorare. Maria sembrava così vera, con gli occhi bassi, il temperamento silenzioso. Così simile a lui. E quando rideva, il cielo sembrava rasserenarsi. E Goffredo aveva capito di esser un Borgia solo di nome, da questo. Se fosse stato come suo padre o i suoi fratelli, Goffredo se l’ha sarebbe presa. Avrebbe detto che in quanto Borgia lei gli spettava di diritto. Ma lui non aveva mai neanche osato baciarla, neanche quando erano soli, neanche quando si guardavano, quando il silenzio era loro amico e le parole divenivano futili.

“Sono addolorata dalla vostra perdita” disse Maria, avanzando di qualche passo. Occhi in fiamme e labbra tremolanti, onesta sempre, divorata negli occhi e nel cuore dalla colpa. “Vi ring razzio, madonna de Mila, per la vostra vicinanza” aveva risposto Goffredo, avanzando un passo verso di lei. Maria prese coraggio e regalò un abbraccio di conforto. Fraterno. Senza alcun cenno di malizia. “Che il cielo l’abbia in gloria” aveva bisbigliato lui, “Sono certa che la buon anima della principessa sia in mani sante” aveva detto lei. La sua voce era un sussurro. E le sue braccia immobili. Lo circondavano. Non lo lasciavano. E Goffredo non sentiva la colpa, di perdersi in quell’abbraccio, anche se il tumulo sotto il quale riposava sua moglie non era ancora fresco. Pianse su quella spalla. Pianse lacrime che non avevano destinatario. Pianse l’intera felicità che quel matrimonio gli aveva strappato. Pianse il sorriso di Sancha nelle cene romane, dedicato al viso di Cesare. Pianse l’arroganza di Juan. Pianse le stretta di Lucrezia. Pianse i baci di sua madre. Pianse gli occhi di suo padre. Pianse le manine di Ottaviano che si stringevano. Pianse Cesare ed il suo modo di arruffargli i capelli. Pianse un altro membro della sua famiglia che li veniva strappato. Pianse un altro arto perso. Pianse la felicità che non aveva colto. Pianse l’amore che non aveva provato.

Smise di piangere, solo quando, bella come un alba, si unì a lui, davanti gli occhi di Dio. Vestita di sete spagnole e gioieli. Più splendida agli occhi di Goffredo di quanto fosse mai stata la sua prima moglie. Bastò guardarla per rendersi conto che quella sensazione alla bocca dello stomaco, quel dolce calore, non era solo amore. Era di più.

   
 
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