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Autore: SylverTrinity    09/03/2008    0 recensioni
La Natura pulsa Vita ed ha un Cuore. Chi ci dice che la pianta sul davanzale, in fondo, non ci volglia bene? A volte servono piccoli fatti, tra sogno e realtà, per farci capire che ciò che sembra un caso è voluto da qualcosa di Vivo che agisce secondo un recondito pensiero volto al nostro benessere...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo ancora come ebbe inizio, adesso mi pare solo un sogno confuso di quando ero bambino. Eppure, eppure io so che sono passati pochi giorni, ma quella voce è già un eco perso nella nebbia delle mattine d’autunno. Se potessi darle un nome la chiamerei…

Stavo uscendo di casa, avevo preso la giacca e le chiavi della macchina, come sempre. Scesi i tre gradini di fretta. Era freddo, l’umidità lasciata dalla notte di pioggia penetrava nelle ossa come una morsa lenta e letale. Mi scivolarono le chiavi, mi chinai per raccoglierle con un lamento dovuto alle articolazioni che non sono più quelle di una volta. Afferrai le chiavi, ma nel momento in cui rialzai lo sguardo intorno a me era sparito il vialetto, la staccionata, la macchina. Anche casa mia era scomparsa, al suo posto si alzava un grande albero, una quercia probabilmente. Chiusi gli occhi lamentandomi del poco sonno, ma una vocina mi spinse a riaprirli. Veniva dalla mia mano e ora che la guardavo non stringevo le chiavi, ma qualcosa di vivo.
Immediatamente gettai quell’essere minuto in terra muovendo qualche passo frettoloso, ma verso dove? Ovunque guardassi la mia realtà era sparita.
Il respiro era affannato, l’aria umida mi riempiva i polmoni gelandomi la gola. Mi aggrappai ad un albero desideroso di percepire la realtà delle cose. Era solido, era ruvida corteccia fredda che profumava di terra.
Un ronzio vibrò accanto al mio orecchio “Scusa, ma mi facevi male” disse una vocina delicata che pareva come quella di un bambino, impossibile capire se fosse quella di un maschio o di una femmina. Il ronzio era provocato dallo sbattere frenetico delle ali dell’essere che avevo stretto poco prima. Se non fossi stato troppo grande per sognare, avrei giurato fosse una fata o un folletto. Aveva un corpicino esile che sembrava fatto di legno, ma era morbido e flessuoso nei movimenti come fosse carne. I capelli non erano altro che foglie, e foglie erano le stesse ali che vibravano incessantemente. Due corna come quelle dei cervi si diramavano sulla sua testa, ma più che corna mi sembravano rami. Aveva i canoni di qualunque creatura delle fiabe, orecchie appuntite, sguardo vispo, sorriso amichevole. Che sogno bizzarro.
Stavo dormendo, ne ero convinto, tanto valeva lasciarsi andare, non mi sarebbe successo nulla nella realtà. Osservai quella creatura che si muoveva intorno a me: non aveva vestiti, né pudore e vista così pareva asessuata. “Non volevo spaventarti” continuava a dire osservandomi. Alla fine decisi di rispondere, forse con fin troppo orgoglio “Non mi hai spaventato”. Rise appena e cominciò a camminare nell’aria con fare disinvolto “Sai chi sono? Io sono una persona importante è!” sospirai rassegnato a vedere quel sogno tanto infantile. “Chi sei?” domandai come si fa con un bambino, giusto per dargli modo di esaltarsi anche se la risposta la si conosce già. La piccola creatura si impettì, con un’aria fiera e nobile “Sono l’albero del tuo giardino!” rispose. Senza neanche pensarci, scoppiai a ridere, ora penso sia stata un’azione piuttosto stupida.
Indispettito, puntò le piccole mani sui fianchi “Smettila di ridere, o giuro che al prossimo vento forte che arriva ti faccio portare tutte le foglie in casa!” quella minaccia mi fece solo aumentare il riso. Infuriata la creaturina si aggrappò ai miei capelli tirandoli. Iniziai a menar l’aria nel tentativo di farla allontanare, ma non c’era nulla da fare “Smettila subito!” la rimproverai “Non la smetto finché tu non giuri di non ridere!” acconsentii, assecondai quel capriccio infantile pur di essere lasciato in pace.
”Bene” disse la creatura “Ancora un po’ di tempo” a quelle parole sospettai che fossi nel mezzo a qualche strano piano, mi sentii minacciato anche se stavo sognando “Tempo per cosa?” ma quella creatura non mi rispose “Mi chiamo Imhera! Quell’albero là è mia nonna!” mi indicò la quercia che sorgeva dove c’era adesso la mia casa “Ma lì adesso c’è casa mia” risposi stranamente tranquillizzato, dimenticandomi di quanto sentito prima. Imhera annuì con aria grave “L’hanno abbattuta per costruirla, a me invece mi hanno lasciato come albero ornamentale” mi sentii colpevole, mi sentii dispiaciuto da quella notizia, come se avessi ucciso qualcuno nel momento in cui avevo deciso di acquistare quella casa ancora in costruzione. “Mi dispiace” mormorai. Sentii fluire quelle parole non da un ragionamento, ma dal cuore, una cosa difficile per un uomo d’affari come me.
”Ancora un po’” mormorò quello che doveva essere il mio albero. Savolta non chiesi nulla, non mi avrebbe comunque risposto “Sai, ti volevo ringraziare di aver chiamato il Giardiniere, quel concime era ottimo!” sorrisi, era come se mi ringraziasse di una cena, ma sentivo il profumo della pura sincerità priva di malizia in quell’esserino “Oh, è un Giardiniere di fiducia” confidai amichevolmente “Lo pago il giusto! Piuttosto, sei riuscito a sbarazzarti di quei parassiti che ti sciupavano le foglie?” non so come, ma mi sentivo rilassato, libero dallo stress e dall’ansie della vita di tutti i giorni. Mi misi a sedere sul prato osservando quella creatura, parlandoci come fosse stato il migliore degli amici. Si mise seduto anche lui a gambe incrociate poggiando le mani sulle ginocchia assumendo uno sguardo serio “E’ stato un vero problema! Noi non abbiamo mica l’aspirina o l’aulin sai? Quel Giardiniere ci ha messo una vita a trovare la medicina giusta, e puzzava da morire! Quando me la spruzzava sulle foglie non riuscivo più a respirare e pregavo che l’acqua cadesse dal cielo. Però in fondo mi ha fatto bene!” sembrava di parlare con un bambino che non ama le medicine, eppure a vederlo dalla finestra dello studio quell’albero sembrava adulto quanto me, forse di più.
”Ma come mai questo mondo è diverso?” chiesi infine, non per timore, ma per infantile curiosità “Non è il tuo mondo, è il mio, mi pare ovvio” eppure quell’ovvietà non mi apparteneva, forse perché avevo dimenticato cosa significasse sognare. Mi distesi su quell’erba fresca che tutti i giorni calpestavo e curavo solo per l’estetica, ma in quel momento ne percepii la vita, la freschezza, la bellezza insita dentro ogni stelo, ogni foglia, ogni fiore. Osservai il cielo terso attraverso le fronde di quella quercia e mi sentii disteso e rilassato, ascoltavo il cinguettare degli uccelli e mi pareva la più bella melodia mai incisa su un cd.
”Ancora un po’” mormorò la creaturina osservando il sole “Cosa aspetti?” gli chiesi infine “Che passi” mi rispose, ma non aggiunse altro, sembrava concentrato. Ad un certo punto mi venne sonno, strano addormentarsi nel sogno in cui si è protagonista, ma sentii il bisogno di riposare. Appena socchiusi gli occhi Imhera mi fu addosso riempiendomi di pizzicotti e strattoni “Non ancora, non ancora!” urlava tenendomi sveglio “Sai, volevo dirti anche che faresti bene a mettere il ciclamino dello studio un po’ fuori, sennò piano piano appassirà e sarà bruttissimo!” lo guardai “Ah si? A me sembra in ottima salute” quello continuava a strattonarmi negando col capo “No no fidati di me! Io le capisco le piante!” sospirai, a stento riuscivo a tenere gli occhi aperti “Domani lo metto sul davanzale, ora lasciami riposare” mi girai su un fianco tirandomi dietro la creaturina che non poteva nulla col mio peso “No, non farlo! Non ancora, aspetta!”
Mi tirai a sedere innervosito “Ma insomma, basta!” ma quello mi guardò supplicante, solo in quel momento mi accorsi che quelli che erano i suoi capelli, foglie viste semplicemente da sole, era bagnate di qualcosa di vischioso “Che hai tra le fo…tra i capelli?” l’esserino si passò una mano cercando di pulirle “Nulla nulla, sarà un po’ di raffreddore” ignorante in materia di folletti, non potevo sapere se il raffreddore venisse loro con quei sintomi, ma non volevo darlo a vedere, così annuii appena.
”Va bene, ci siamo” sospirò come sollevato e mi sorrise. Non ricordo altro di lui, mi distesi e finalmente fui lasciato in pace a dormire. I suoni rimasero, scomparve solo la sua voce e la sua figura. Quando riaprii gli occhi ero disteso nel mio giardino, intorno a me alcuni vicini che mi chiamavano insistentemente.
”Si è ripreso grazie al cielo” alzai la testa.U forte dolore alla nuca, di fianco a me un ramo spezzato dell’albero. Mi misi in ginocchio massaggiandomi il capo osservando l’albero dall’alto in basso “Dovrebbe tagliarlo, è così vecchio che gli si spezzano i rami” brontolò una donna del vicinato sempre pronta a polemizzare “Ma è poco più di un bambino” risposi ancora assorto nei miei pensieri. Quella scosse la testa accennando a qualcosa riguardo la botta e le rotelle del mio cervello, ma non vi feci caso.
”Sto bene grazie” mi alzai sorridendo appena ai vicini per poi avvicinarmi all’albero con fare dubbioso. Mentre i vicini se ne tornavano a casa mormorando, il ragazzo che abitava di fronte a me e che lavorava nel bar dove andavo durante la pausa pranzo mi si avvicinò “Sa, è stato fortunato in fondo” “Perché mai?” gli chiesi stranito “Sulla strada che fa per andare a lavoro c’è stato un terribile incidente, come minimo sarebbe stato coinvolto se non fosse svenuto qui sul vialetto” “Ah” non sapevo che altro dire, per un attimo tutto mi parve chiaro, ovvio seppur irreale.
Guardai quel ramo spezzato, compresi che quella sostanza vischiosa, linfa vitale, era come il sangue che fuoriusciva dal sacrificio di quell’albero per fermarmi. Il suo trattenermi…calcolava il tempo e non sapevo come fosse possibile che sapesse dell’incidente che sarebbe avvenuto. So solo che mi aveva salvato, ammiravo quell’albero così giovane, lo amavo come creatura e non più come portatore di ombra nel mio giardino.
Compresi solo allora il legame che ci unisce alla natura, capii che il rispettarla giovava anche a me stesso e che un giardino non è un semplice decoro, ma un mondo da rispettare, vivere e capire. Mi stupii di quanto tempo avessi sprecato nel cercare cd di musica che mi rilassassero durante il tempo passato nello studio quando avrei potuto aprire la finestra e ascoltare il canto degli uccelli. Avevo speso tanto in letti che potessero donarmi un riposo tranquillo quando se mi fossi disteso all’ombra di un albero sull’erba avrei trovato il più comodo e rilassante dei giacigli.
Diedi un pacca a quell’albero, poi rientrai in casa a concedermi un giorno di riposo.

Sono passati pochi giorni. Ogni mattina esco di casa e mi avvicino alla mia quercia dandole una pacca “Ci si vede stasera Imhera!” le sussurro, e vado a lavoro. Quando torno la saluto con una pacca “Sono tornato” e quando fa caldo le do un po’ d’acqua. A volte, quando torno tardi, mi faccio perdonare con qualche pasticca di quel fertilizzante che le piace tanto. Quel ramo lo custodisco nel mio studio, gli ho dato una mano di coppale e l’ho infilato in un vaso di pietre colorate, fa un bell’effetto, originale. Ci ho inciso una data, credo che sia il compleanno della mia quercia. Manca ancora un anno, magari in tutto questo tempo mi dirà cosa vuole avere come regalo, sperando che non me lo faccia capire con un altro ramo sulla testa!

Se potessi darle un nome la chiamerei…ma in fondo, un nome ce l’ha già, la mia Imhera

  
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