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Autore: kayybritin    03/09/2013    1 recensioni
Kurt, studente di Lima. Sebastian, studente di Parigi. Apparentemente nulla in comune.
Uno scambio tra gli studenti delle due scuole li porterà a conoscersi, confrontarsi e abbandonare le rispettive insicurezze.
Dopotutto, si sa, l'apparenza trae in inganno.
Dal primo capitolo:
“Oddio. E se non gli piacessi perché sono gay? E se fosse omofobo? E’ possibile. No, no. Forse non dovrei farlo, dovrei rimanere a Lima e–”
“Kurt! Sta calmo. Non metterti in testa queste idee, perché potrebbe anche succede il contrario, no? Mi mancherai tanto. Mancherai a tutti noi. E ti prometto che tratteremo Sebastian come un principe. Anzi, un re! Va bene?” Kurt sorrise, cacciando via la lacrima che gli aveva rigato la guancia. Però era davvero in ansia.

Rating indicativo per presenza di alcuni accenni a scene violente.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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cap 1

Pov Kurt

Kurt era in piedi davanti al proprio armadio con le ante aperte, decidendo cosa avrebbe dovuto portarsi a Parigi.

“Posso?” Sam era sulla porta, che guardava Kurt sorridendo. Quest’ultimo si voltò, e fece segno al biondo di entrare. “Che fai?” Domandò.

“Uhm. Non so che robe portarmi a Parigi. Insomma, è la capitale della moda – e, modestia a parte, ho parecchi outfit che sono all’altezza di quella città. Solo che sono parecchio indeciso.” Erano quasi tre quarti d’ora che fissava i suoi vestiti.

“Ti aiuto io, se vuoi” disse Sam, alzando le spalle. Kurt lo guardò e rise, scuotendo il capo.

“Senza offesa, Sammy, so che vuoi aiutarmi – e ti ringrazio –, ma onestamente credo che dovrei decidere da solo.” Il ragazzo sbuffò, incrociando le braccia e mettendo il broncio. Aveva l’espressione simile a quella di un bambino quando i genitori non gli comprano il gelato. “… Non fare così. Sai che non ti resisto.” Sam non voleva proprio saperne di smettere di tenere il broncio, così Kurt roteò gli occhi, annuendo.

“Yeppi!” esclamò Sam tutto eccitato, iniziando subito a scartare determinati vestiti di Kurt. “Questo decisamente no, huh. Questo neanche...”

“Sam! Stai scartando i migliori!” Urlò Kurt. L’altro, però, sembrava non prestargli attenzione. Era immerso fra i vestiti del coabitante – ed erano davvero tanti. Ad un certo punto, si voltò verso il controtenore.

“Ci rinuncio. Abbiamo gusti troppo diversi.” Kurt rise.

“Io sono più raffinato, tu un po’ più… casual” affermò, tentando di aprire la propria valigia. Non ci riusciva – non ci era mai riuscito. Infatti lo aiutava sempre Burt, ma in quel momento non era in casa. Si voltò lentamente verso Sam, facendogli un sorriso a trentadue denti.

“Ora lo vuoi il mio aiuto, mh?” affermò ironicamente, aprendo la valigia con due semplici mosse. Kurt lo ringraziò.

“Per questo ho bisogno di un ragazzo muscoloso. Non dico certamente con i muscoli di David Beckham – anche se non mi dispiacerebbe, ma comunque, ” aveva assunto un’espressione sognante. “Vorrei solo avere un ragazzo che mi coccoli sul divano, così, senza dire nulla.”

Sam lo guardò intenerito. Lui era etero – così diceva –, però doveva ammettere che, la prima volta che vide Kurt, lo trovò parecchio attraente. “Spero che ne troverai uno così, te lo meriti. Chissà, magari lo conoscerai a Parigi”.

“Già. I francesi sono i miglior baciatori, dicono” affermò Kurt ridendo. “Lo testerò.” Sam aggrottò le sopracciglia.

“Potrei diventare geloso, sai?” disse, tentando di dare una nota seria a quella frase. Kurt gli diede una leggera spallata, sorridendogli.

“Rimarrai sempre il mio biondo preferito, Sammy” gli rispose, dandogli un bacio sulla guancia.

“Allora non andare mai in Germania, o in Svizzera. Potresti cambiare idea, sai?” Kurt lo abbracciò e si dondolò un po’.

“Non lo farei mai.” Rimasero così per qualche secondo, per poi distaccarsi. Sam guardò Kurt negli occhi. Amava quegli occhi, gli ricordavano tanto il mare limpido. Poi si concentrò sulle labbra: rosse, risaltavano sulla sua carnagione molto chiara, con dei lineamenti delicati, quasi perfetti.

“Sam? Ho qualcosa sulle labbra?” Domandò Kurt all’improvviso, interrompendo i pensieri dell’altro.

Il biondo, senza nemmeno pensarci, baciò dolcemente il controtenore, il quale spalancò gli occhi, incredulo.

“Ehm. Credo che sulle tue labbra ci fossero… le mie” affermò Sam sorridendo. Kurt non sapeva come prendere quel gesto. “Scusa.”

“No, no” Doveva ammettere che non gli era dispiaciuto. Le labbra di Sam, per quanto potessero essere buffe, erano morbide. E poi lui baciava benissimo. “Non devi scusarti, Sammy.”

“Oh. Quindi non ti ho messo a disagio, vero?”

“No”.

“Quindi se lo rifacessi…” Kurt fece un mezzo sorriso, per poi inclinare leggermente il capo. Sam prese il volto dell’altro fra le mani, posando nuovamente le proprie labbra su quelle di Kurt. Quel bacio era più ‘sicuro’ del primo. Kurt poteva sentire il calore di Sam avvolgerlo.

“Ah, Kurt” si interruppe il biondo ad un certo punto “è solo che sai, uhm, ecco – è che non voglio che tu parta senza un bel ricordo di me.”

“Ho capito. E’ un bel gesto. E’… amichevole. No?”

Sam gli sorrise “Sì”. In quel momento Kurt avrebbe solo voluto stare fra le braccia di Sam.

“E’ scomodo qui. Ci spostiamo sul letto?” domandò Sam.

“Mh, sì. E’ meglio” senza preavviso, Sam spinse Kurt sul letto, ridendo. “Hey!” urlò questi, abbastanza divertito – ma anche un po’ irritato, insomma, non voleva sgualcire la maglia nuova. Il biondo lo interrupe baciandolo, il ché non dispiacque al controtenore.

A Sam piaceva la situazione. Era qualcosa di nuovo, per lui. Non erano gli uomini che lo attraevano, era Kurt.

Sarebbe rimasto a guardare i suoi occhi per l’eternità: li adorava. Eccome se li adorava. Erano molto meglio dell’oceano, diceva lui.

“Kurt, io ecco – nel caso non trovassi nessuno a Parigi, non voglio mandarti senza prima aver–”

“Oh.”

“Se non vuoi, non fa nulla, davvero” disse Sam, tenendosi abbracciato a Kurt.

“No. Mi fido di te, Sammy”

“Wow”.

“Cosa?” Sam passò una mano fra i capelli di Kurt e, per la prima volta, quest’ultimo non si lamentò.

“Sembri quasi un angelo” Kurt arrossì e scosse il capo, negando. “Sono serio!” aggiunse Sam. Gli diede un fugace bacio sulle labbra. “Ne sei convinto, ora?”

“Mh. Direi di sì” Sam gli sorrise, contento. Kurt era adorabile, perché quando gli si faceva un complimento arrossiva sempre. Anche se non gli piaceva il fatto che, dentro di sé, era molto insicuro. All’apparenza poteva sembrare Mr. modestia in persona, ma non lo era, non del tutto.

E avrebbe voluto dirgli “ti amo”, ma non poteva. No. Se l’avesse fatto, la loro amicizia sarebbe finita lì, e probabilmente non si sarebbero più parlati.

Doveva tenersi quelle due parole per sé, e gli faceva male. Molto male.

“Cosa?”

Oh oh. Forse non l'aveva esattamente pensato quel ti amo.

“Mi è uscito spontaneo, io non volevo, giuro, io–”

“Anche io.” Sam perse qualche battito dopo quelle due parole pronunciate da Kurt. “La prima volta che ti vidi, giuro, mi sembrava di aver appena visto l’essere più bello di tutto l’universo”

“… Ma?”

“Ma non potrei mai fare questo a Mercedes.” Sam si sentì il mondo crollare addosso. Già, Mercedes. Pensò.

“Capisco. Scusa” Il biondo si alzò dal letto, senza dare spiegazioni. Si mise un paio di pantaloni, per poi uscire dalla stanza.

Kurt rimase a bocca aperta, indeciso se seguirlo o meno.

Sam, intanto, era andato a sedersi sul divano in soggiorno. Si massaggiava le tempie, mentre tentava di capire il perché di tutto quello.Non è giusto.

Ad un certo punto sentì un calore avvolgergli le spalle. Si voltò, notando che era Kurt. Gli stava bagnando il collo con le lacrime.

“Kurt…” Sam cacciò via una lacrima lasciandogli un bacio sulla guancia. “Ti prego, Kurt. Non piangere. Ti prego.”

“Da quanto, Sam? Da quanto ti piaccio?” Quella domanda lasciò Sam un po’ intontito.

“Uhm. Credo sempre. Sai, Kurt, io non ho mai provato attrazione per gli uomini, ma tu sei… la mia eccezione.” Kurt era felice di sapere di essere l’eccezione di Sam. In quel momento era un misto di emozioni indescrivibile. Si sedette accanto all’amico – se così si poteva definire, in quel momento.

“Baciami, Sam”

“No”

“Baciami.” Ci fu un attimo di tensione fra i due. Kurt abbassò il capo, sospirando. Sam gli alzò il mento con una mano, avvicinando pericolosamente il volto a quello di Kurt.

E lo baciò.

Non era un bacio qualsiasi, era uno di quei baci che si danno prima di un “addio”. Come per dire “è stato bello, finché è durato”.

Kurt non aveva smesso di lacrimare. Non voleva che tutto quello finisse, perché entrambi si volevano, ma non potevano aversi.

“Mi mancherai”.

“Non- non parlare.” Kurt non voleva che niente e nessuno rovinasse quel momento. Era importante, per lui, e i “mi mancherai” e robe del genere lo avrebbero solo fatto stare più male.

“Ti prego, ti prego, non ti dimenticare di me, a Parigi. Non ti dimenticare di noi.” Sussurrò Sam nell’orecchio di Kurt.

“Non lo farò, te lo prometto, Sam… Non potrei mai dimenticare il mio biondo preferito” affermò, calcando la parola “mio”. Sam sorrise, poggiando la propria fronte contro quella di Kurt.

“Quando arriverò a casa di Sebastian ti manderò un messaggio, va bene?” Sam si allontanò di poco dal volto di Kurt. Non ci aveva pensato nemmeno un po’ al fatto che avrebbe dormito da Sebastian, con Sebastian. La gelosia stava prendendo il sopravvento su di lui.

“Va bene”. Kurt sentiva che qualcosa non andava nella voce di Sam. Era diventata più cupa, più ‘triste’.

“Sarà meglio che vada a farmi la doccia” affermò, alzandosi. Sam lo tenne per il polso e Kurt aggrottò le sopracciglia. “Sam, devo andare–”

“Un ultimo bacio” Sam tirò Kurt a sé, facendo congiungere le proprie labbra un’ultima volta, stringendo le braccia attorno alle spalle dell’altro. “Grazie. Di tutto.”











Pov Sebastian

Marie bussò alla porta della camera del figlio, facendo attenzione a non far cadere il vassoio con la colazione in terra. Bussò piano, senza troppa insistenza, consapevole del fatto che il figlio fosse un dormiglione tanto quanto lo era lei. In più Sebastian aveva non un solo impiego, ma ben due pur di dare una mano in casa, ecco perché sua madre non si era mai arrabbiata con lui quando aveva saltato un giorno di scuola perché non aveva sentito la sveglia.
Un figlio come lui era un sogno per le altre mamme. Era intelligente, aveva un aspetto angelico e non faceva mai le cose senza aver prima pensato alle ripercussioni che avrebbero avuto i suoi gesti sulla sua famiglia. Sebastian era diventato grande presto quando, all'età di sedici anni, suo padre lasciò lui e sua madre senza neanche premurarsi di salutarli. Da allora era stato sempre lui l'uomo di casa, e sicuramente non avrebbe passato le estati a grattarsi la testa o a guardare chissà quali video su internet.
Aveva trovato prima un lavoro come barista e poi, dal momento che le visite mediche della madre ammontavano ad una cifra con tre zeri, aveva cercato un ulteriore impiego per far sì che la donna non dovesse preoccuparsi di niente se non della propria salute. Andava a scuola, tornava a casa per pranzo e subito usciva per andare a lavorare nella vecchia libreria del quartiere; verso le sei del pomeriggio, poi, abbassava la serranda e andava a lavorare come barista fino alla mezzanotte.
Neanche gli pesavano più quei ritmi, anzi, piano piano aveva trovato varie scorciatoie per arrivare prima da un posto all'altro, cambiandosi e indossando il grembiule del bar ancora prima di uscire dalla libreria.
"Sebastian," mormorò sua madre entrando nella mansarda. Sebastian stesso l'aveva decorata e arredata qualche anno prima, rendendo molto intimo e personale uno spazio di dimensioni anguste. Amava la luce soffusa della vecchia lampada che aveva sul comodino, forse tanto quanto amava stare a leggere avvolto nel piumone mentre la pioggia batteva sulla finestra sopra di lui.
Il ragazzo mugugnò qualcosa mentre si copriva fino alla testa con il piumone celeste, cosa che fece ridere la madre. Lei si avvicinò e posà il vassoio sulla scrivania, avvicinandosi al letto e scostando il piumone dalla testa del figlio.
"A che ora sei tornato?" domandò lei con tono pimpante, del tutto convinta a voler fare alzare quel figlio pigro. Sarebbe rimasto a casa anche quel giorno, visto l'orologio che segnava le undici meno cinque del mattino, ormai neanche i suoi professori ci facevano tanto caso da quando furono informati del grande carico di responsabilità che aveva il ragazzo. Marie non voleva ammetterlo a sé stessa, ma Sebastian era praticamente l'unico che portava soldi a casa - quei soldi che lei spendeva quasi sempre per qualche bevanda alcolica.
"Quando ho guardato l'orologio l'ultima volta era l'una e venti e stavo ancora lavorando, sinceramente ho preferito non guardare l'ora quando sono tornato," mormorò lui da sotto il piumone. "Mi sarei depresso a puntare la sveglia per scuola," aggiunse poi quando Marie gli sfilò nuovamente il piumone dal viso.
"E' arrivata una lettera per te, amore," disse poi lei sedendosi sul letto e scompigliando i capelli al figlio. "Arriva da Lima e, oh, sembra proprio che sia appena uscita da una boccetta di profumo da donna," continuò poi, portandosi la lettera al naso per allontanarla dopo pochi istanti.
"Sarà di quel Kurt, quello che dobbiamo ospitare, sai?" mormorò poi lui mentre si liberava del piumone e si sedeva al centro del letto.
Sua madre lo guardò e rise un po', perché era ottobre inoltrato e Sebastian dormiva ancora solo con l'intimo ma coperto dalla testa ai piedi con il piumone. 
Afferrò il vassoio dalla scrivania e lo appoggiò sul letto, del tutto decisa a coccolare il suo piccolo uomo di casa. Sebastian si alzò e le diede un grande abbraccio, osservando poi tutto ciò che la madre aveva preparato: succo di frutta, una mela, delle uova e delle omelette.
"Hai cucinato tu?" domandò poi lui mentre alzava una delle omelette dal piatto con una forchetta, senza farsi troppi problemi a nascondere la sua perplessità. Marie annuì fiera del suo lavoro, spronando il figlio ad assaggiare.
"Spero che tu abbia già chiamato l'ambulanza perché, non prenderla sul personale, ma queste omelette hanno un colore... Strano," bofonchiò lui mentre ne assaggiava un pezzo. Effettivamente non solo avevano un colore strano, per quanto il gusto era molto più deciso rispetto a ciò che era abituato a mangiare lui per colazione.
"Se non ti piacciono puoi scendere in cucina e fartele tu," disse lei con finto tono offeso, alzandosi e facendo per allontanarsi dal letto. Sebastian rise e, facendo attenzione a non far rovesciare il vassoio, le afferrò un braccio e si scusò più volte.
Sebastian finì quasi tutto, abituandosi dopo poco a quel sapore forte di erba cipollina e funghi all'interno delle omelette. Diciamo che lui era più per le classiche omelette con cioccolata o marmellata, ma visto l'orario non propriamente consono per la colazione...
"Era tutto buonissimo, mamma," disse lui, alzandosi un poco e dandole un bacio sulla guancia. Diede uno sguardo all'orologio e andò a prepararsi, se avesse fatto tardi all'incontro avrebbe passato mezz'ora a sentirsi dire di essere irresponsabile.
"Cosa ti sei fatto lì? Sebastian, cos'hai dietro la schiena?" domandò sua madre quando il ragazzo si alzò per andare al bagno.
Sebastian le mentì per la prima volta nella sua vita, ma non gli importava. Era una bugia a fin di bene - una bugia che, almeno quella sera, non si sarebbe conclusa con delle bottiglie di vodka vuote sul pavimento di fronte a Marie.

Andare dallo psicologo non era assolutamente come si vedeva nei film. Non c'era nessun divanetto dove stendersi, nessun dottore che prendeva appunti e nessuna scatola di fazzoletti pronta ad essere passata al paziente se le lacrime avessero avuto la meglio.
Quella stanza era poco più grande di camera sua, con una grande libreria al lato e giusto una scrivania con due sedie al centro. Niente arredo, niente finestre, niente che fosse in grado di rassicurarlo. L'unica fonte di luce era il lampadario con luce gialla posto sopra le loro teste.
"Sei silenzioso oggi," disse Georg, lo psicologo, dopo un ragionevole lasso di tempo. Lui non usava l'approccio del fare domande al paziente, preferiva che fosse il paziente ad aprirsi e parlare di ciò che preferiva. Purtroppo, però, con Sebastian era sempre stato difficile sapere cosa gli passasse per la testa.
Aveva passato gli ultimi anni a tenere nascosto il vizio dell'alcolismo di sua madre, l'assenza di suo padre e altri dettagli sulla sua famiglia che seguivano la falsa riga di quelli, quindi Sebastian era un ragazzo che teneva fin troppo le cose per sé.
Georg non avrebbe mai dimenticato il primo giorno di seduta con Sebastian, ossia l'unica volta in cui il ragazzo aprì bocca di sua spontanea volontà per dare al medico tutte le informazioni generali delle quali aveva bisogno per fare un quadro generale della situazione.
Quello che Georg aveva capito era che Sebastian era una persona estremamente sola per via del carico che portava sulle spalle da due anni a quella parte, che probabilmente si precludeva da solo in fatto di amicizie per via della sua vita piena di cose da fare e persone a cui badare.
"Ieri è stata una giornata piuttosto lunga, mi scusi," mormorò il ragazzo mentre si torturava il bordo della maglietta dal nervosismo, cosa che faceva sempre anche sua madre.
"Non preoccuparti," rispose il dottore con un sorriso. "Ho saputo dello scambio culturale," aggiunse poi, alzandosi e andando a prendere un caffè dalla macchinetta presente nella stanza. Prese anche una cioccolata calda a Sebastian e gliela porse, andandosi a sedere di nuovo al suo posto.
"Ti senti pronto?", domandò poi Georg.
Sebastian annuì mentre beveva un sorso di cioccolata calda dal bicchiere di plastica. A dire il vero non si sentiva pronto per niente, ma era stato Georg stesso a dirgli di doversi fare degli amici... E quale occasione migliore di quella? Avrebbe avuto un amico, per giunta proveniente da un paese diverso.
"Sì, proprio oggi ho ricevuto una lettera da parte di... Kurt, il ragazzo che dovrò ospitare, ma non sono riuscito a leggerla perché ero in ritardo," rispose Sebastian con un sorriso. "Siamo entrambi pronti per ospitarlo - io e mia madre, intendo," forse ripetendolo se ne sarebbe convinto. La verità era che lui era prontissimo ad ospitarlo, anzi, era eccitatissimo all'idea di conoscere una persona proveniente da un paese diverso ma, allo stesso tempo, era preoccupato per sua madre.
"Siete pronti? Sebastian, lo sai che puoi contare su di me per qualsiasi cosa," disse poi Georg. Sebastian abbassò lo sguardo, con una sola immagine che continuava a ripetersi nella sua mente.

"Vada via, fuori da casa mia! Sebastian, aiuto!"
Sebastian entrò in casa e trovò la madre nel panico intenta a gridare e lanciare oggetti a quella signora che aveva creduto potesse essere una buona compagnia per la madre. Marie dimenticava le cose da qualche settimana, ormai, e per quanto Sebastian volesse stare con lei non avrebbe potuto di certo saltare scuola e lavoro.
Quindi chiamò l'ospedale dove Marie era stata ricoverata per un po', chiedendo qualche nome con qualche buona referenza per avere qualcuno che stesse con lei qualche ora al giorno. Sarebbero bastate due o tre ore, lui avrebbe parlato con entrambi i suoi datori di lavoro e avrebbe richiesto una diminuzione delle ore per motivi personali. Certo, avrebbe voluto dire che avrebbe guadagnato di meno, ma avrebbe trovato il modo di gestire tutto - doveva trovarlo, non c'erano alternative.
Natalie, la signora che l'ospedale aveva raccomandato, stava accucciata in terra in preda al panico. Sebastian non ne era sicuro al cento percento, ma se la sua vista era ancora buona allora Natalie si era anche ferita ad una mano.
Lui stesso si abbassò giusto in tempo per evitare di essere colpito sul viso da un bicchiere di vetro, avvicinandosi a Natalie e lasciandole i 190 dollati pattuiti prima di mandarla via. In quelle situazioni neanche lui era in grado di gestire sua madre, figurarsi con un estraneo in casa.
"Mamma, stai calma," urlò Sebastian cercando di avvicinarsi a lei. "Siamo soli adesso, calmati, è andata via," continuò poi prima di abbassarsi di nuovo evitando un posacenere.
"Ma tu chi sei? E cosa ci fai in casa mia? Hai fatto del male al mio bambino, bastardo!" urlò Marie in risposta, tremando e piangendo. Era evidentemente sotto shock e anche se Sebastian era preparato, non avrebbe mai pensato che la situazione sarebbe potuta peggiorare così velocemente.
"Mamma, sono io, Sebastian," rispose lui cercando di trattenere le lacrime. Giusto il giorno prima pensava che le cose potessero solo migliorare, e invece...
Marie continuava a gridare, piangere e lanciare oggetti, e Sebastian cercò di non farsi prendere dal panico. Si avvicinò a lei e fece per abbracciarla, ma questa lo allontanò in maniera brusca e lo fece cadere di schiena su un piatto già rotto sul pavimento.
Sebastian non sapeva cosa faceva più male, se il dolore fisico dovuto alla caduta e all'essersi tagliato con i cocci o se il dolore morale dell'essere stato dimenticato da sua madre. Certo, lei si sarebbe ricordata di lui dopo cinque minuti, ma faceva comunque male.
"Lasciami stare, lasciami stare," mormorava lei piangendo, appoggiandosi al muro e scivolando piano fino a sedersi per terra. "Lasciami stare, voglio mio figlio," mormorava.

"Stiamo bene, sul serio", rispose Sebastian. C'era una sola cosa che avrebbe fatto più male dell'essere stato dimenticato da sua madre: dire a Georg quello che era successo e non avere più la possibilità di rivederla.









Note autrici:

Ciao, sono Antonia e vi autorizzo a picchiare Lisa per Kurt e Sam.
Per il resto niente, speriamo che anche questo capitolo vi piaccia. Ringraziamo le oh mamma mia sedici persone che hanno inserito la storia tra le seguite e le cinque che l'hanno inserita tra i preferiti. In più, un grazie enorme a chi ha recensito e a chi su ask ci sta riempiendo di complimenti e domande sulla storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo :3

Uh e, in caso vogliate domandarci qualcosa:
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