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Autore: kayybritin    27/08/2013    3 recensioni
Kurt, studente di Lima. Sebastian, studente di Parigi. Apparentemente nulla in comune.
Uno scambio tra gli studenti delle due scuole li porterà a conoscersi, confrontarsi e abbandonare le rispettive insicurezze.
Dopotutto, si sa, l'apparenza trae in inganno.
Dal primo capitolo:
“Oddio. E se non gli piacessi perché sono gay? E se fosse omofobo? E’ possibile. No, no. Forse non dovrei farlo, dovrei rimanere a Lima e–”
“Kurt! Sta calmo. Non metterti in testa queste idee, perché potrebbe anche succede il contrario, no? Mi mancherai tanto. Mancherai a tutti noi. E ti prometto che tratteremo Sebastian come un principe. Anzi, un re! Va bene?” Kurt sorrise, cacciando via la lacrima che gli aveva rigato la guancia. Però era davvero in ansia.

Rating indicativo per presenza di alcuni accenni a scene violente.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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PROLOGO COMPLESSO
Pov Kurt

Quella mattina Kurt si svegliò prima del solito. Era molto emozionato, poiché quel giorno avrebbe saputo il nome di chi lo avrebbe ospitato. Non aveva mai fatto uno scambio culturale, era eccitatissimo all’idea di poter visitare un altro paese, un'altra scuola.

La classe era impegnata in un compito di matematica, quando si sentì provenire uno schiarirsi la gola dall’altoparlante. A quanto pare, il preside Figgins aveva un annuncio importante da fare.
“Attenzione, ragazzi! Devo dirvi un paio di cose. Primo, chiunque l’altro giorno abbia appeso dietro la mia schiena un foglietto con su scritto ‘dammi un calcio’, è pregato di non farlo più. Grazie” In quel momento Stecchino ed un suo amico si scambiarono il cinque, “Secondo, nel periodo dicembre-gennaio ci sarà uno scambio fra gli studenti di Parigi e quelli di Lima. Chiunque sia interessato, sia pregato di raggiungermi nel mio ufficio. Arrivederci” Alcuni studenti erano felici di aver ricevuto questa notizia, altri si lamentavano perché in quel periodo sarebbero dovuti partire, ad altri ancora, invece, non gli importava.
Kurt era subito scattato sul posto, poiché aveva sempre desiderato effettuare uno scambio con altri studenti, farsi amici stranieri e, soprattutto, visitare paesi stranieri. Sì, ci avrebbe decisamente provato – anzi, no. Ci sarebbe riuscito.

 
Mentre faceva colazione, mentre si lavava e mentre si vestiva aveva in mente solo un pensiero: “Chissà dove andrò”.
Quando fu l’ora di uscire di casa, salutò suo padre, il quale gli raccomandò di non svenire nel momento in cui avrebbe letto il nome del ragazzo o della ragazza che lo avrebbe ospitato.
 
Quando arrivò a scuola, parcheggiò la macchina e nel cortile incontrò Mercedes.
“ ‘Cedes! Sono emozionatissimo per oggi. Chissà quale posto splendido visiterò. Mi gira la testa per quanto sono in ansia!” disse ridendo, mentre Mercedes camminava a braccetto con lui fino alla propria aula.
“Preferirei che non svenissi né altro, Kurt” affermò. Era seria, nonostante lo stesse dicendo col sorriso sulle labbra, “in quel momento sarò lì con te, comunque. Tranquillo!” Kurt la guardò e inclinò la testa sorridendo, stringendola a sé. Arrivarono all’aula, e quando la campanella suonò si sedettero ai propri posti.
“Queste ore saranno molto lunghe, temo…” Pensò. Non seguiva nemmeno la lezione, sorreggeva la propria testa con la mano, con gli occhi rivolti verso il professore e  la mente totalmente persa fra le nuvole.
 
Le ore per Kurt sembravano infinite, ma quando suonò la campanella della quarta ora si riprese.
“Oddio.” La gamba iniziò a tremargli, si sentiva lo stomaco sottosopra ed era quasi certo di star per svenire. Mercedes gli accarezzò la spalla, tentando di consolarlo con qualche parola, ma in quel momento Kurt non riusciva nemmeno a sentire, tanto era preso dai suoi pensieri. Quando la professoressa entrò in aula, Kurt si alzò e sentì un groppo alla gola.
“Acqua, ho bisogno di acqua” disse, tossendo. Mercedes rise, portando una ciocca dei capelli di Kurt dietro l’orecchio.
“No, Kurt, tu hai bisogno di calmarti” gli rispose, facendolo risedere. La professoressa tirò fuori dalla borsa un piccolo contenitore trasparente, con dei bigliettini dentro. Kurt strinse con abbastanza forza la mano a Mercedes – la quale arricciò il naso –, trattenendo un urlo.
“Kurt Hummel?” Lo richiamò la professoressa, facendogli segno di alzarsi e avvicinarsi alla cattedra.
“Sta calmo, OK?” Kurt annuì e sospirò, incamminandosi piano verso il tavolo. Alzò lo sguardo al cielo per un istante, poi tornò a guardare quel contenitore.
“Prego, peschi un bigliettino”. Il ragazzo mise la mano nel recipiente,  bagnando un angolo della bocca con la punta della lingua. Si fece forza e, tremando, prese un biglietto. Lo aprì molto lentamente, il cuore gli batteva forte, mentre nell’aula era calato un silenzio inquietante.
“Sebastian Smythe” scandì quel nome con enfasi, entusiasta “Viene da… Parigi. Oddio” in quel momento si sentiva svenire. Mercedes era felicissima per lui, infatti sorrideva in continuazione. La prof era intenerita e allo stesso tempo divertita dall’espressione dell’alunno.
“Congratulazioni, Kurt. Passerai dei giorni fantastici a Parigi. E noi siamo pronti ad accogliere Sebastian, vero ragazzi?” fece rivolgendosi alla classe, la quale aveva gli occhi puntati su Kurt.
“Sicuro!” affermarono all’unisono. Il controtenore sorrise come non aveva mai fatto in vita sua, tantoché gli facevano male le guance.  Tornò al proprio posto più tranquillo, rilassato. Anche il tempo aveva ripreso a scorrere normalmente.
“Sebastian Smythe”  disse fra sé e sé, sorridendo al solo pensiero “Sebastian Smythe.”
 
Dopo le lezioni e dopo il Glee Club, Kurt tornò a casa tutto contento. Si parò di fronte a suo padre che stava guardando una partita di Football, e aggrottò le sopracciglia.
“Figliolo, qualsiasi cosa sia puoi dirmela anche senza metterti davanti alla TV, sai?” Kurt si voltò e chiese scusa, spostandosi. Poi sorrise e incrociò le mani, portandosele sotto il mento.
“Indovina un po’? Andrò a Parigi!” Disse saltellando, gustandosi l’espressione che andava dal sorpreso al felice di suo padre.
“Uno dei tuoi più grande sogni dopo un poster autografato da Madonna! Sono davvero felice per te, Kurt” disse Burt, alzandosi e abbracciando il figlio. Si era totalmente dimenticato della partita. Parigi era davvero la meta da sogno di Kurt, da piccolo non faceva altro che tormentare i suoi genitori dicendo che voleva andare a vivere in Francia, voleva visitare la Francia e se, prima o poi, l’avrebbero fatto per davvero. Beh, a quanto pare il suo sogno stava per realizzarsi.
 
Kurt era letteralmente elettrizzato da un lato, poiché sarebbe andato nella città più bella del mondo, per lui. Ma da un altro lato era anche abbastanza malinconico, perché non avrebbe visto né la sua famiglia né i suoi amici per un po’ di tempo. Certo, avrebbe potuto scrivergli, ma non sarebbe stato lo stesso senza di loro. Come avrebbe fatto senza il suo fratellone che non sa ballare o le sue migliori amiche che sopporta ogni santo giorno? Senza Santana, che, per quanto si punzecchiassero a vicenda, in realtà adorava? Senza il Glee lui si sarebbe sentito perso. Nel suo profondo aveva molta, molta paura di non riuscire a fare amicizia con nessuno, lì.
Il nome di Sebastian, intanto, rimbombava nella sua testa come l’urlo del coach in palestra.
 
Il controtenore era steso comodamente sul letto, parlando al telefono con Mercedes.
“Chissà com’è questo Sebastian. Magari è simpatico, o scorbutico, divertente, timido, insicuro, sfacciato… L’unica cosa di cui sono certo, è del fatto che i ragazzi lo accoglieranno con piacere.” Dall’altro capo della cornetta, Mercedes assecondava Kurt.
“Sicuramente anche le ragazze. Speriamo sia carino!” Kurt spalancò gli occhi per poi scoppiare a ridere.
“Mercedes! E Sam?”
“Ma io parlavo per le altre. Andiamo, Kurt! Non stiamo nemmeno insieme” si poteva percepire un tono dispiaciuto nella voce di Mercedes.
“Già. Se la smettete con questo tira e molla, farete felici tante persone. Comunque, vi supplico, trattate Sebastian come… come un principe. OK?” Kurt era davvero preoccupato. Voleva fare una bella – anzi, bellissima figura con Sebastian. Non ne carpiva esattamente il motivo, ma ci teneva molto. Forse troppo. “Oddio. E se non gli piacessi perché sono gay? E se fosse omofobo? E’ possibile. No, no. Forse non dovrei farlo, dovrei rimanere a Lima e–”
“Kurt! Sta calmo. Non metterti in testa queste idee, perché potrebbe anche succede il contrario, no? Mi mancherai tanto. Mancherai a tutti noi. E ti prometto che tratteremo Sebastian come un principe. Anzi, un re! Va bene?” Kurt sorrise, cacciando via la lacrima che gli aveva rigato la guancia. Però era davvero in ansia.
E se non piacerò a Sebastian perché sono omosessuale? E se, quando lo scoprirà, si rifiuterà categoricamente di scrivermi? Ho paura.
 
“Grazie. Anche voi mi mancherete davvero molto, ma vi scriverò, promesso.”
“Scendi.” Il ragazzo aggrottò le sopracciglia quando Mercedes gli chiuse il telefono in faccia, senza nemmeno dargli possibilità di chiedere o quant’altro. Prese rapidamente il giubbotto e uscì di casa. Si accorse che Mercedes lo stava salutando dalla propria macchina, facendoli segno di salire. Si incamminò verso l’auto, aprendo lo sportello e allacciandosi la cintura.
“Dove andiamo?” domandò curioso. Non ci stava capendo molto di tutta quella situazione.
“Sorpresa.”
Guidò per un quarto d’ora circa, quando poi si fermò davanti al McKinley. Kurt era sempre più confuso.
“Mercedes? Vuoi darmi ripetizioni di matematica, per caso?” L’amica rise, scuotendo il capo e scendendo dalla macchina.
“No. Ma ti servirebbero, sai?” affermò, incamminandosi verso l’entrata della scuola.
“Non sono io che non capisco la matematica. E’ la matematica che non capisce me.” Mercedes lo condusse nell’auditorium, facendolo mettere comodo su di una poltrona in prima fila. “OK, che sta succedendo qui?”
La ragazza salì sul palco, “Goditi lo spettacolo”. La band cominciò a suonare, era una melodia lenta e tranquilla.
“Oddio, non ditemi che questa è–”
 
Hey there Delilah
What’s it like in New York city?
I’m a thousand miles away
But girl, tonight you look so pretty
Yes you do
Times Square can’t shine as bright as you
I swear it’s true
 
Kurt era in lacrime, anche se tentava di nasconderlo. Finn gli sorrise, prendendogli le mani e facendolo salire sul palco, ballando con lui, come al matrimonio di Burt e Carole. Finn gli lasciò un bacio sulla guancia, e ciò non poteva far altro se non aumentare la gioia di Kurt. Questi provava felicità e tristezza nello stesso momento, chiedendosi come fosse possibile. Ma in quel momento non gli importava di nulla, se non dei suoi amici.
 
Hey there Delilah
Don’t you worry about the distance
I’m right there if you get lonely
Give this song another listen
Close your eyes
Listen to my voice, it’s my disguise
I’m by your side
 
Artie abbracciò Kurt, cantando una strofa della canzone. Lo guardò e capì, tramite la canzone gli stava dicendo che non doveva mai sentirsi solo, perché tutti sarebbero stati proprio lì accanto a lui. Voleva anche dirgli che, se avesse chiuso gli occhi per un istante, probabilmente avrebbe sentito le loro voci cantare. Kurt non voleva proprio lasciar andare Artie, difatti era ancora stretto a lui, bagnandoli anche la maglietta con le lacrime. Ma non importava a nessuno dei due, in quel momento.
 
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
What you do to me
 
Quello per Kurt era, molto probabilmente, il momento più bello della sua vita.
 
Hey there Delilah
I know times are getting hard
But just believe me, girl
Someday I’ll pay the bills with this guitar
We’ll have it good
We’ll have the life we knew we should
My word is good
 
Sam sorrise a Kurt come solo lui sapeva fare, e nel mentre suonava la chitarra. Il controtenore ricambiò il sorriso, strofinandosi gli occhi.
 
Hey there Delilah
I’ve got so much left to say
If every simple song I wrote to you
Would take your breath away
I’d write it all
Even more in love with me you’d fall
We’d have it all
 
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
 
A thousand miles seems pretty far
But they've got planes and trains and cars
I'd walk to you if I had no other way
Our friends would all make fun of us
and we'll just laugh along because we know
That none of them have felt this way
Delilah I can promise you
That by the time we get through
The world will never ever be the same
And you're to blame
 
Santana, Mike, Brittany, Rachel, Finn, Mercedes, Sam, Quinn, Tina, Puck e anche Will, si riunirono in cerchio attorno a Kurt, continuando a cantare.
 
Hey there Delilah
You be good and don't you miss me
Two more years and you'll be done with school
And I'll be making history like I do
You'll know it's all because of you
We can do whatever we want to
Hey there Delilah here's to you
This ones for you
 
Ci fu un abbraccio di gruppo, di quelli veri, sinceri. Il Glee sicuramente non sarebbe stato lo stesso senza Kurt – un po’ come lo era quando egli si trasferì alla Dalton –, né Kurt sarebbe stato lo stesso senza il Glee. Certo, sarebbe stato momentaneo, ma sarebbe stato comunque un po’ di tempo.
 
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
 
L’abbraccio si sciolse; Finn si mise davanti a Kurt, intonando le ultime parole della canzone, mentre lo guardava negli occhi.

What you do to me

Lo avvolse fra le sue braccia, dondolandosi un po’.
“Fratellino, io sarò sempre qui per te. Per qualsiasi cosa. OK? Se c’è bisogno scrivimi, chiama. Anche alle 3 di notte. Ti voglio bene, e mi – ci!, mancherai tanto, tantissimo.”










Pov Sebastian

Sebastian entrò in aula come aveva fatto per i tre anni precedenti e come avrebbe fatto per i prossimi dieci, se non avesse recuperato quell'insufficienza in chimica. Nessuno aveva passato quel test ma, a quanto sembrava, Sebastian era l'unico che si preoccupava e si impegnava per passarlo a tutti i costi. Una sola insufficienza in pagella e si sarebbe giocato l'anno, il che avrebbe praticamente mandato a monte i suoi piani di viaggi per l'estate.
Che diavolo di materia era, poi, chimica? Nessuno in quell'aula ne capiva l'utilità - o meglio nessuno in quell'aula capiva qualcosa in generale, era una scuola di architettura e di certo nessuno voleva diventare il nuovo Einstein, lì dentro - e, nel caso qualcuno avesse avuto in progetto di inventare la cura contro il cancro, aveva sbagliato sicuramente strada.

Prese posto al solito banco e salutò gli amici con delle pacche sulle spalle, scambiando qualche occhiata in più con David, il nuovo arrivato. Era abbastanza carino, niente che si avvicinasse al suo genere ma era accettabile per chi, come Sebastian, era solito avere sempre qualcuno a fargli la corte. In quella scuola, invece, aveva rifiutato tutte. Sì, esclusivamente ragazze, perché erano solo le ragazze che lo trovavano attraente.
Nella scuola privata è così, o sei etero oppure dichiari la tua omosessualità salendo su una sedia durante la pausa pranzo per urlarlo al mondo. Decisamente una cosa poco da Sebastian.

Sebastian, comunque, aveva sempre declinato ogni invito. Non che gli dessero fastidio tutte quelle attenzioni, ma era già fin troppo indietro e, da quello che gli era stato detto, la scuola privata sarebbe stata molto più avanti rispetto all'inutile liceo che aveva frequentato a Sidney, città dove i suoi genitori avevano lavorato per un po'.

Facevano i restauratori, loro, e quindi avevano viaggiato molto prima dell'arrivo del figlio e avevano continuato a farlo non appena il bambino acquisì la capacità di camminare e parlare. In fin dei conti non si era mai definito sfigato per questo, anzi, grazie al lavoro dei suoi genitori aveva conosciuto ed esplorato posti di cui i suoi compagni di classe neanche conoscevano l'esistenza.

Insomma, lui era il classico tipo che amava la traccia del tema "quali posti hai visitato". Si riempiva la bocca di parole e storie fin troppo grandi per lui, ma se c'era una cosa che Sebastian aveva subito capito era una: alla scuola privata, la notorietà te la dovevi cercare.

Non era il tipo di ragazzo che amava far parlare di sé, ma era sicuramente il ragazzo che voleva essere ricordato ad ogni costo. Ovviamente, come ogni adolescente, aveva optato per la strada più chiacchierata e che sicuramente gli altri ragazzi avrebbero apprezzato senza battere ciglio o fare ulteriori domande: il sesso.
"Woho, che occhiaie che hai," esordì uno dei suoi compagni di classe non appena lo vide. "Ti ho visto andare via insieme a Jasmine ieri sera, allora, c'è niente che devi dire a Derek?"
Sebastian aveva un ricordo molto confuso della nottata precedente. Era andato in un locale per stare con i suoi amici, aveva bevuto qualche drink leggero e si era trovato quella rossa che non solo non l'aveva mollato un attimo, per quanto poi continuava ad offrirgli drink e ad avvicinarsi in cerca di attenzioni - attenzioni che Sebastian non le voleva dare di proposito. Aveva un'aria troppo da ragazza frivola, Jasmine, e sicuramente Sebastian non avrebbe voluto vivere la sua prima volta con una persona del genere.
Era diverso dagli altri della sua età, Sebastian. Non solo per i genitori che viaggiavano molto e per il suo passaporto che aveva visto la bellezza di sette stati diversi, era diverso in tutto. Aveva avuto un sacco di occasioni per perdere la sua verginità e fare sesso, ma le aveva declinate tutte perché lui voleva amare una persona - amarla a tal punto da desiderare di volerci fare l'amore nella maniera più semplice, senza gioccattolini erotici e oggetti simili.
"Cosa c'è Derek, devo raccontarti delle mie notti di fuoco perché tu non ne hai mai?" lo apostrofò Sebastian con l'approvazione di tutti. Derek, a
differenza sua, era il classico donnaiolo che passava gli intervalli sempre in compagnia, solitamente negli spogliatoi delle ragazze.
Ovviamente il compagno gelò sul posto, abbandonando la sua postazione e avviandosi verso una ragazza a caso che, a primo impatto visivo, non sembrava neanche una del loro corso.
La verità era che Sebastian non aveva fatto niente con Jasmine. Lei continuava a strusciarsi e stringergli le mani, ma lui non aveva mai ricambiato. Forse qualche sorriso l'aveva concesso, ma niente che facesse intendere di voler andare oltre. Non capiva neanche il perché le ragazze di quella scuola si vendessero per uomini così subdoli ed insignificanti, quando avrebbero sicuramente meritato di meglio quando sarebbero diventate più adulte.
"Ma quindi te l'ha data?" domandò poi Mark con un sorriso sornione sul volto. Sebastian rise appena mentre gli batteva il cinque giusto mentre il professore entrava in aula e pregava tutti di tornare ai propri posti.
Sebastian benedì il professor Burke per aver messo fine a quell'interrogatorio. Un'altra verità era che non solo aveva letteralmente mollato Jasmine nel parcheggio - in una maniera che, a pensarci, non era stata neanche troppo gentile - per quanto poi l'aveva mollata per un'altra donna: sua madre.

Quando sentì il telefono squillare, aveva creduto che sua madre lo stesse cercando perché era tardi o semplicemente perché non voleva stare da sola. Le cose erano peggiorate quando un agente di polizia di nome Richard Keith lo pregò di presentarsi alla centrale di polizia.
Sebastian aveva già capito tutto e, senza troppi giri di parole, lasciò il locale senza neanche degnarsi di avvisare gli amici con il quale era arrivato e che avrebbe dovuto riportare a casa essendo l'autista designato.
"Sebbie, aspettami," urlava una voce femminile alle sue spalle. Sebbie? Sul serio?
La ignorò completamente, convinto che quello sarebbe bastato ad essere lasciato in pace - speranza, ovviamente, invana. Quando Jasmine lo vide salire in auto si esaltò e cominciò a corrergli incontro, aprendo la portiera del passeggero e accomodandosi come se fosse stata invitata.
"Dove mi porti?" domandò lei in preda all'eccitazione. Sebastian non avrebbe saputo dire se era eccitata per aver lasciato quel locale sudicio o perché sperava in qualche proseguimento di serata all'insegna del sesso - probabilmente sadomaso, visti gli accessori borchiati che indossava lei.
"Jasmine, te ne devi andare," disse secco lui quando la ragazza gli mise una mano sulla coscia. "Te ne devi andare perché io, ehm, ho appuntamento con un'altra persona," continuò poi, osservando le labbra di lei incurvarsi verso il basso.
"Quindi... Quindi volevi solo pomiciare?" domandò poi lei con aria mista tra l'arrabbiato e il dispiaciuto. Ciò nonostante, però, rimase comodamente seduta sul sedile e, anzi, allacciò anche la cintura di sicurezza.
"A dire il vero volevo fare del buon sesso, Jasmine, ma tu non mi ecciti neanche un po'. Ora, visto che non ho assolutamente intenzione di passare la mia serata a consolarti, puoi accettare l'idea che non mi ecciti e scendere dalla mia auto tipo... Adesso?" continuò invece lui. Avrebbe tanto voluto dirle che cosa stava succedendo in realtà, avere un amico al quale potersi appoggiare, ma la storia del donnaiolo era sicuramente dieci volte migliore della storia di quello con la madre alcolista.
Jasmine fece una sceneggiata quasi credibile, mettendosi addirittura a piangere prima di scendere dall'auto. Se fosse stata una situazione più tranquilla, Sebastian le avrebbe addirittura fatto un applauso per l'ottima recitazione. Ma non c'era tempo, e sua madre era più importante di qualsiasi altra cosa.
Quando arrivò alla stazione di polizia notò subito sua madre seduta su una poltrona. Le andò incontro e si sedette accanto a lei con un gran sorriso, quasi come se volesse alleggerire la situazione.
"Scusa Bastian, lo so che ti avevo promesso di non farlo perché sono disoccupata e ogni drink che bevo lo pago con i tuoi soldi, ma non ho resistito," mormorò lei in preda allo sconforto. I suoi capelli scuri le cadevano sul viso e le sue mani non erano più curate e belle come un tempo, ma Sebastian le avrebbe sempre voluto bene. Si alzò e si sedette di fronte a lei, appoggiandosi sui suoi stessi talloni.
"La cosa importante è che tu stia bene, okay? Non mi interessa nient'altro," sussurrò poi lui mantenendo il sorriso. Le passò un pollice su una guancia per asciugare una lacrima e, dopo averle dato un bacio sulla fronte, si alzò e pregò lei di aspettarlo lì. "Ora io vado a compilare i moduli per farti uscire, però tu prima promettimi che starai bene e smetterai di pensare a ciò che mi hai detto."
Quando la donna annuì, allora Sebastian le voltò le spalle e seguì l'agente nel suo ufficio.
"Sono Sebastian Smythe, mia madre è Marie Lusting - Smythe."

"Allora ragazzi," cominciò il professore. "Come saprete lo scambio degli studenti si avvicina e, siccome non vogliamo che prenotiate alberghi vicini a dei night club, l'Istituto ha optato per una soluzione economica e che ci frutterà qualche buona raccomandazione: sarete ospitati dalle famiglie del luogo - famiglie degli studenti, per essere precisi."
In quel momento si alzò un lamento generale da parte della classe che, probabilmente, si aspettava una specie di gita dai night club agli strip club famosi di Lima. Il professore rise.
"Il programma resta invariato, ragazzi. Gli studenti di Lima verranno a farvi visita per un mese nel periodo di dicembre, voi andrete a Lima nel periodo di gennaio. Se i genitori di tutti acconsentono, si può anche pensare di far viaggiare insieme le due classi da qui a Lima," continuò poi l'uomo mentre passava tra i banchi e restituiva i compiti di letteratura alla classe. "E, per la cronaca, lasciatemi dire che mi aspettavo di più da questo compito," allora Sebastian smise di prestare attenzione. Se il professore si stava lamentando per letteratura, allora poteva permettersi una distrazione.
Lui amava letteratura, era un ragazzo così fuori dagli standard che preferiva stare a casa a leggere un buon libro di fronte alla finestra piuttosto che ubriacarsi in chissà quale parte della città. Oh, se adorava leggere davanti alla finestra. Quando pioveva, poi, avrebbe passato le giornate intere a sfogliare le pagine di quei vecchi libri ingialliti sul bordo, e quelle copertine di finta pelle lo facevano impazzire tanto quanto l'odore della carta stampata.

Sebastian tornò a casa e, come si aspettava, la trovò silenziosa così come l'aveva lasciata quella mattina. Erano rare le volte in cui sua madre lo accoglieva come un tempo, perché erano rare le volte in cui sua madre era felice. Da quando suo padre li aveva lasciati, lei era caduta in una depressione tale da essere finita anche in un ospedale psichiatrico per settantadue ore.
Non che fosse pericolosa, avevano solo voluto tenerla per un po' sotto controllo "per valutare l'effettivo stato della sua depressione, così da decidere a quale figura affidarla". Avevano usato quelle parole anche con Sebastian, e la sua prospettiva di vita crollò. Si era immaginato l'infermiere dell'ospedale che pensava se affidare sua madre ad un normale psicologo, ad uno psichiatra oppure mandarla in manicomio.
Ovviamente solo dopo gli venne spiegato che non sarebbe stato così, ma lo spavento iniziale di Sebastian non era mai sparito, neanche con il passare degli anni.
"Che guardi?" domandò lui entrando in soggiorno. Ormai quella era la loro vita, la stessa routine ogni giorno: tornava a casa, preparava da mangiare per entrambi e trovava la madre seduta sul divano a guardare l'ennesima puntata di qualche telefilm per signore.
"Ho smesso di prestare attenzione quando hanno parlato per l'ennesima volta di Lady Di," rispose lei con un sorriso, spostandosi un po' per far sedere il figlio sul divano.
Sebastian rise, avvicinandosi e lasciandole il vassoio appoggiato sulla sedia di fronte. Sotto il braccio teneva alcune lettere che, probabilmente, erano state consegnate quella mattina. Bolletta, bolletta, cartolina, pubblicità, bolletta. Sembrava che le spese di casa non finissero mai, Sebastian era davvero molto stanco per via dei due lavori ma, nonostante ciò, cercava sempre di apparire al meglio - soprattutto in presenza della madre.
"Ossia da prima che nascessi io," commentò lui, afferrando il telecomando e mettendo un telegiornale.
"Il decennio è quello," rispose la donna. "Ma te l'ho mai detto che sei proprio bravo a cucinare?"
Sebastian storse il naso. Suo padre aveva una passione per la cucina, passione che aveva tramandato al figlio giusto qualche mese prima di decidere di andare a vivere con una ventottenne viennese con il seno palesemente rifatto.
"Lo so, e mi piacerebbe dire che ho imparato per conto mio invece che dover tutto il mio sapere a quello," commentò lui pigramente mentre esaminava una bolletta.
"Non parlare così di tuo padre," apostrofò lei con una risata. "Voglio fare l'egoista e pensare solo a me, a quanto è buono questo piatto di pasta e a quanto sia stato stupido lui ad andarsene senza aver mai provato la tua cucina," continuò poi la donna con espressione fiera.
Era raro vederla così, era raro poterci parlare. Era raro potersi sentire una famiglia, una vera famiglia e non solo una madre e un figlio che vivono insieme.
"E' stato stupido ad andarsene senza prima morire," commentò poi lui senza neanche pensare. Sinceramente gli importava poco di portare rispetto ad un uomo che non c'era mai stato, ma era consapevole di quanto a sua madre dessero fastidio quei discorsi. "Scusami," aggiunse poi in un sussurro mentre si abbandonava sul divano di fianco a lei.
"Sai cosa mi fa stare bene?" domandò lei, allontanando la sedia con il vassoio e facendo alzare le gambe a Sebastian.
"I miei maccheroni?" rispose subito lui con un sorriso. Fissò la madre che sembrava davvero quella di un tempo, con le labbra sporche di sugo e lo sguardo spensierato.
"A parte quelli," continuò la donna mantenendo sempre il sorriso. "Mi piace vedere che ti preoccupi per me, Sebastian. Credo che nessuno si sia mai preoccupato così tanto per me, neanche tuo padre stesso. Mi fai stare bene tu, Sebastian, perché tu sei sempre dalla mia parte. E poi per i maccheroni, ma non volevo che tu ti sentissi messo in secondo piano."
Risero entrambi e si abbracciarono, proprio come una madre fa con suo figlio. Sebastian spesso dimenticava la sensazione dell'essere abbracciati, perché nessuno lo abbracciava mai.
"A proposito di questo, mamma, devo dirti una cosa," disse poi lui quando l'atmosfera si calmò di nuovo. "Oggi il professore ci ha parlato di quello scambio con gli studenti dell'Ohio e, risparmiandoti il discorso sul perché di questa scelta, non andremo in hotel ma saremo ospitati dalle famiglie degli studenti. Tu te la senti? Insomma, di avere un estraneo per casa che starà qui un mese, non voglio metterti sotto pressione."
Marie si alzò dal divano e fissò suo figlio con espressione preoccupata, chinandosi poi e mettendogli le mani sulle spalle.
"Quando arriverà?" domandò. "Il ragazzo, Sebastian, quando arriverà?"
Sebastian stava capendo sempre meno e, un po' preoccupato, afferrò lo zaino e ne estrasse il programma. "Il nove dicembre."
"Oh miseriaccia, è tardi! Bisogna mettere in ordine il soggiorno, la cucina, dobbiamo riparare la doccia del secondo bagno e... Oh mio Dio, la tua camera Sebastian, è un macello!"
Sebastian vide sparire la madre in cucina, per poi vederla uscire con guanti di lattice e sturalavandino alla mano. Aveva forse intenzione di riparare la doccia con quello?
Sorrise mentre la sentiva parlare da sola, perché il medico aveva detto che i momenti di felicità sarebbero arrivati, prima o poi. Che fosse il momento giusto? Sebastian non lo sapeva, gli importava solo poter dire di avere di nuovo una madre.
Una madre che acconsentiva l'ospitare un completo estraneo a casa per un mese. Chissà chi avrebbe conosciuto, che viso avrebbe avuto e quale fosse il suo libro preferito. E chissà, magari in quel qualcuno si nascondeva l'amico su cui appoggiarsi quando le cose andavano male.





Note delle autrici:

Buongiorno (o buonasera, a seconda di quando leggerete questa storia) :3
Siamo Lisa (Kurt pov) e Anto (Sebastian pov) e, insomma, andiamo contro tutto e tutti scrivendo di un Sebastian così tanto OOC da essere vergine e di un Kurt insicuro sul suo essere - sì, proprio come lo era ai tempi della prima stagione.
Speriamo tanto che questo prologo sia stato di vostro gradimento.
  
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