AUTORE:
Diomache.
RAITING:
PG
TITOLO:
Una sfida a colpi di forchetta.
AMBIENTAZIONE:
è una scena del primo episodio della terza stagione e precisamente quando
House, che per la ketamina non zoppica più, invita Cameron ad uscire con lui,
ma lei rifiuta. Io naturalmente ho cambiato la risposta di Cam che accetta
l’invito.
COMMENTO:
è una storia che avevo in mente da un bel po’ ma che mi sono decisa a scrivere
solo quando ho visto il topic riguardo il concorso nel forum Cottoncandy
(www.cottoncandy.forumfree.net)
è una
storia semplice, leggera, che io mi sono divertita moltissimo a scrivere, spero
di potervi trasmettere altrettanto!
È
dedicato a tutti coloro che avrebbero voluto che Cameron avesse dato una
risposta diversa. Un bacio!
Una sfida a colpi di forchetta
“Ti va di bere qualcosa insieme?”
Lei si
fermò di botto. “Ma lo dici sul serio o vuoi solo cambiare argomento?”
“No.. –
distolse lo sguardo, continuando a camminare con disinvoltura.- tu bevi. E
anch’io bevo. Se vuoi possiamo farlo insieme, allo stesso tavolo. E se mangi…
faremo anche quello…”
Lei si
fermò, incredula e lui fece lo stesso.
House si godette la sua espressione stupita. “Ma se non vuoi…”
-per
tutti quelli che avrebbero voluto una risposta diversa-
Un ristorantino semplice, quasi infantile. Anzi, era
infantile. Decisamente troppo goffo e scadente per essere un posto da
appuntamento.
Uno di quei luoghi che quando ci passi davanti storci il
naso e se sei in compagnia di un’amica le dai di gomito esclamando: “Ma che è
sto posto? Quando l’hanno aperto? Ma chi ci metterebbe piede??!!”
Ovviamente House sì, a quanto pare.
Chissà dove diavolo l’aveva andato a pescare. Un
sorrisetto malizioso si dipinse sulle sue labbra vermiglie immaginandosi Greg
che andava in giro per l’ospedale a chiedere il posto più fatiscente che tutti
conoscessero, il peggiore in assoluto.
Nonostante tutti i suoi sforzi House non l’aveva delusa
nemmeno un po’: sapeva che lui cercava il top in tutto quello che faceva e se
aveva scelto quel posto, ebbene quello doveva essere sul serio il peggio del
peggio.
A suo modo, poteva dirsi lusingata.
“Signorina.. le porto il
menù intanto che aspetta?” un cameriere dall’aria incerta le si avvicinò
proprio in quegli istanti.
Anzi, non un cameriere ma il cameriere. Quello che
la tormentava da più di un’ora.
Lei roteò gli occhi, truccati alla perfezione per
l’occasione, e gli rivolse un sorriso pacato, tranquillo, sereno. “No, grazie.”
L’ennesimo no grazie
L’uomo rimase interdetto. “Mi scusi ma… sono quasi le nove
e un quarto e…”
“Grazie ma immagino che avrà altri clienti da servire.-
una piccola nota di acidità? Forse, ma piccola piccola.- se avrò bisogno la
chiamerò io.” Finalmente l’uomo capì l’antifona e si allontanò da lei
dirigendosi verso gli altri tavoli, popolati da gente decisamente poco
raccomandabile.
Allontanato quell’uomo Allison fece un buon sospiro di
sollievo. Ah, meno male. Non l’avrebbe retto più, dato che era la quarta volta che le veniva a portare il menù.
Quell’ impertinenza rischiava di minare la sua tranquillità e lei non voleva,
assolutamente. Non voleva innervosirsi e non doveva innervosirsi, ma per nessun
motivo al mondo.
Perché era il suo secondo appuntamento con House.
L’appuntamento che House stesso aveva fissato alle otto in
punto. E come le aveva ricordato il cameriere, ora erano le nove e quarto.
Tuttavia lei non si lasciava turbare minimamente dal
ritardo del diagnosta.
L’aveva messo nei calcoli, non era affatto una sorpresa.
Se Epicuro l’avesse vista in quel momento l’avrebbe forgiata
dell’appellativo di miss atarattica dell’epicureismo moderno. Era tranquilla ed
aveva tutto assolutamente sotto controllo.
Impassibile e paziente.
Perché House non sapeva con chi aveva a che fare,
probabilmente.
L’aveva invitata per sfidarla. Lei lo aveva capito non
bene, ma benissimo e non appena lui glielo aveva detto. In lei la curiosità,
l’imbarazzo e la confusione erano durati un battito di ciglia perché poi aveva
realizzato tutto: era una provocazione, una sfida.
Lui desiderava, bramava che rispondesse un “no” al suo invito. Per confermare la sua
teoria cervellotica secondo la quale, ora che stava bene lei non era più
attratta da lui. Giusto?
E invece no.
Sinceramente, stava sul serio per cadere nella sua trappola, e dire “No” perché aveva un
centinaio di motivazioni… perché non
sarebbe stato giusto, lui era ancora confuso e non si era ristabilito e… ma poi
aveva capito, oh se aveva capito.
Ed aveva accettato. L’appuntamento e la sfida.
“Ma se non vuoi…”
“…Certo. Perché no…”
Dire che la sua risposta placida e tranquilla aveva
stupito l’uomo è un eufemismo.
“Bene.- aveva detto lui a quel punto, mascherando
stupore.- facciamo alle otto in punto. Ti farò sapere dove.”
Ecco dove. Un locale orrido, scelto orrido appunto per
l’occasione. Per intimidirla.
E poi il ritardo. Un’ora buona buona di ritardo che chissà
per quanto ancora si sarebbe protratto.
Quale donna non si sarebbe spaventata alla sola idea di entrare in quel
lurido posto e per di più doverci aspettare un’ora, sola, con un insopportabile
cameriere che tenta ogni quarto d’ora di farti iniziare a mangiare?
Poche non sarebbero cadute nella trappola. E House
sbagliava di grosso se pensava che lei era una di quelle, se credeva –povero
illuso.- di entrare nel locale alle dieci e farsi sentire dire dal ristoratore “mi
dispiace, la signorina ha aspettato molto ma poi si è stancata ed è andata
via”.
No, carissimo. Allison Cameron aspetterà qui, buona buona,
con un bicchiere di vino rosso tra le dita, un sorriso sulle labbra e la
certezza che tu verrai.
Non avrebbe avuto la faccia non venire. Ma di venire a
mezzanotte, questo sì.
Dieci minuti dopo si accorse di aver sopravvalutato House.
Del resto le capitava molto spesso.
L’aveva immaginato molto più caparbio, aveva creduto che
avrebbe resistito molto più in là.. e invece lo vide oltrepassare l’entrata
solo alle nove e mezzo.
Che soddisfazione non appena lui incontrò i suoi occhi.
House era evidentemente disorientato; non s’immaginava di vederla e non
s’immaginava nemmeno di non doversi scusare.
Di solito le donne vogliono le scuse quando l’uomo
ritarda. Lei non ne voleva affatto.
Avanzo senza nemmeno salutarla.“Potevi mangiare.”
Cameron non aveva nessun segno d’astio dipinto sul volto.
Paradossalmente, sembrava più arrabbiato lui.
“Un amico mi ha offerto un happyhour questo pomeriggio.
Non avevo molta fame, ho aspettato.”
Bugia. Se solo House avesse teso le orecchie avrebbe
sentito il suo stomaco ruggire dalla fame.
Si sedette di fronte a lei con una naturalezza che era del
tutto nuova in lui, perché ora non aveva il bastone e sembrava più sicuro e
insicuro di sé allo stesso tempo.
“è carino qui..” sorrise lei, ironica.
House arricciò la bocca e strinse gli occhi in un sorriso
divertito e malizioso insieme.“Speravo ti piacesse, in effetti. L’ho scelto con
cura.”
“Non ne dubitavo.” Cameron appoggiò il viso ad un palmo
della mano. “Ordiniamo?”
Non appena detta la parola magica si piombò su di loro il
cameriere con i menù. “Prego signori.” Disse trionfante e s’allontanò subito
dopo, veloce com’era venuto.
House aspettava ad aprirlo. Come se volesse godersi la
faccia che avrebbe fatto lei aprendolo per prima.
Cameron aggrottò la fronte. “Perché mi guardi in questo
modo?”
“Perché credo che tu abbia fame. E credo che dovresti
aprire il menù, anche, e scegliere qualcosa.”
“Tu non dovresti farlo?”
“Mi stai indirettamente chiedendo il motivo del mio
ritardo?” domandò, fingendosi allibito e sistemandosi la giacca beje. Allison
si lasciò sfuggire una piccola risata, poi ritornò composta e spensierata come
prima. “No, assolutamente.”
Aprì il menù. E la sua spensieratezza andò a farsi
friggere. Non poté fare a meno di sbiancare.
Figlio di…
“Tutto ok, Cameron?- la sua voce ironica non mancò di
certo di sottolineare il suo sguardo spaesato.- sembri sconvolta.”
Questo era decisamente un colpo alla cintura. Anzi, al
giro-vita.
Persino la lavagnetta, i pennarelli, le cravatte di
Wilson, le gonne della Cuddy (avrebbe potuto andare avanti all’infinito!)..
insomma persino l’insegna dell’ospedale sapeva che Allison Cameron era una
igienista, una ragazza che mangia sano e biologico! E lui, lui la portava a
mangiare ..quelle.. quelle porcherie??!
House sfoderava il suo ennesimo attacco, dunque. Cibo
ipercalorico.
“Allora, ti piace!? Qui fanno i migliori hamburger della
città. -ovviamente era ironia allo stato puro. O meglio, sadismo allo stato
puro.- Pensa che è una specie di Mc Donald ma è molto più economico. Diciamo un
Mc Donald di terza categoria. Ricordavo che a te non piaceva il Mc Donald
autentico quindi..”
“Che caro.- sviolinò lei con il sorriso più falso che
riusciva a fare.- te ne sei ricordato.”
Arrivò in quell’istante il cameriere con il blocchettino
per le ordinazioni. “I signori hanno fatto?”
“Per me un mega cheeseburger,
grazie.”
Gli occhi divertiti di Greg si posarono su di lei, con
quel suo solito affascinante sguardo ironico. Aspettava lei, adesso, ed era
curioso di sentire che cosa avrebbe detto.
Allison non mollò affatto. “Anche per me.” Disse
frettolosamente lanciando subito uno sguardo d’intesa al suo accompagnatore.
Era una bella sfida. Ma non avrebbe mai mollato. Aveva
aspettato tre anni quest’opportunità, un mega cheeseburger non la spaventava di
certo, avrebbe mangiato qualsiasi cosa, anche un barattoletto di chiodi al
titano e nutella (tanto per unire due cose moolto salutari..) pur di non dargli
soddisfazione…
“E da bere?”
“Coca cola!” propose House con la grinta di un ragazzino.
“E Coca cola sia..” rilanciò a denti stretti. Anche il
vino sarebbe stato meno calorico…
Non appena il cameriere s’allontanò House riprese,
puntando gli occhi fuori dalla finestra. “Sei venuta con un taxi, per caso?”
domandò, quasi noncurante.
“Si. Perché, non avrei dovuto?”
“No, in effetti stavo pensando che sono venuto in moto.
Per te non è un problema, vero, se ti riaccompagno con quella?- Allie deglutì.
Aveva la gonna, una delle poche volte che mette una gonna…- ma se per te è un
problema..”
“Oh no, nessun problema.- resisti, Cam, resisti,
resisti..- senti.” Meglio cambiare argomento. “tu come stai? La gamba?”
Questa volta fu lui ad essere in imbarazzo. Ma lei non se
ne curò minimamente.
In qualche modo doveva pur difendersi.
“Meglio.- rispose tra i denti, distogliendo lo sguardo.-
molto meglio di prima.”
“Wilson mi ha detto che corri molto. Non dovresti farlo,
lo sai, vero?”
“Beh, che vuoi? Sei forse la mia fisioterapista?”
“Ho studiato medicina, anch’io, House. Non credere di
essere l’unico dottore sulla faccia della terra!”
“Ma di sicuro tu non sei la mia fisioterapista!- sbottò.-
guarda che non m’inganni, me la ricordo bene! è bionda ed ha molte più tette e
sedere di te!!”
“Oh, scusami. Di
fronte a certi segni tangibili di bravura e intelligenza faccio un passo
indietro”
Per fortuna arrivò il cameriere con il loro lauto pasto
che appoggiò davanti ai suoi ospiti. “Buon Appetito.”
C’è da dire che Cameron è una ragazza molto paziente, una
donna emotiva ma che sa tenersi a freno quando ce n’è bisogno. E in quel
momento ce n’era davvero bisogno.
Davanti a lei c’era un bicchiere pieno fino all’orlo di
una bevanda gassata e calorica ed era l’unica cosa che potesse bere, nel suo
piatto albergavano due pezzi di pane con all’interno carne fritta, pomodoro,
insalata e formaggio, il tutto luccicante d’unto ed olio che si espandeva con
un piccolo rigagnolo giallastro, sulla superficie bianca del piatto.
Sapeva che quello sarebbe stato il momento più difficile
di tutta la serata.
“Mm, ha un aspetto decisamente invitante, non trovi?”
Non ebbe la forza di rispondere.
Quando House vi infilò in mezzo la forchetta e il pomodoro
schizzò un po’ ovunque, si sentì veramente morire.
“Cameron…- Greg vide bene che la giovane era all’orlo.-
non mangi?”
Dannazione, House! Accidenti a te e a quando ho accettato!
Decise però di non mollare. Perché House doveva capire
bene di che pasta era fatta.
Quindi prese la forchetta. “Certo che mangio..” sussurrò
come un condannato a morte.
Quel boccone orrendo era nella sua bocca adesso. E adesso
lui la fissava incuriosito e divertito assieme aspettando pazientemente che lei
deglutisse, godendosi il suo sguardo raccapricciato e disgustato.
La giovane lentamente masticò, sostenendo il suo sguardo.
Sembravano i due protagonisti del film di Spielberg, lui
il camionista, lei l’automobilista.
Il sapore di quel panino era ripugnante, orrendo, sapeva
d’olio, di fritto… deglutì il boccone con uno sforzo tremendo poi, non
riuscendo più a resistere, diede una piccola spinta in avanti al piatto,
facendolo collimare con il bicchiere.
Era esplosa.
“Questa farsa mi ha stancato! E se credi che io mangi
questa roba ti sbaglio di grosso!- avrebbe urlato, se fossero stati soli. Ma lì
tenne il tono basso.- io me ne torno a casa e non ti scomodare, chiamo un taxi
o magari me la faccio di corsa, almeno smaltisco questo bomba di colesterolo di
terza categoria!”
S’alzò facendo rumore con la sedia. “Bastardo..” sussurrò
tra di denti, voltandosi e detestandolo con tutta se stessa mentre camminava
velocemente verso l’uscita del ristorante.
Sbatté la porta e una volta fuori chiamò un taxi e rimase
lì ad attendere, con le braccia conserti e il volto imbronciato di una ragazza
che non solo detestava la sgarberia di quello stronzo dell’uomo che amava, ma
che detestava pure se stessa:
1- Perché
non aveva saputo resistere
2- Perché
lui sapeva tutti i suoi punti deboli
3- ….perché
lo amava troppo per odiarlo quanto avrebbe meritato.
“Non ti consiglio di farla di corsa.”
La sua voce la fece sobbalzare. Era abituata a sentire il
tocco del bastone quando lui si avvicinava, ma questa volta l’aveva colta di
sorpresa perché di bastoni non ce n’erano più.
Da dietro, House poté finalmente osservare come si era
vestita per l’occasione. Era con una gonna (come aveva immaginato), una bella
gonna sul ginocchio dall’intenso colore viola, abbinata alla camicetta che
aveva visto al ristorante e poi sopra un cappotto stretto in vita e delle
decolté nere. Semplice ma curatissima.
“Potresti slogarti una caviglia.”
Lei non rispose subito. Poi la sua voce inviperita tornò a
farsi sentire. “Puoi tornartene dal tuo panino se vuoi. Io sto aspettando il
mio taxi.”
“E la tua corsa?”
“Domani chiedo un permesso e sto tutto il giorno in
palestra. Sei tranquillo adesso?”
Lui si lasciò sfuggire un risolino e questo la fece
imbestialire. “Senti.- si voltò, iraconda.- avevo sempre pensato che fosse la
malattia a renderti così.. così.. insopportabile! Ma adesso stai bene e sei
peggio di prima!”
“Che vuoi farci. Sono i misteri della medicina..”
Arrivò proprio in quell’istante il taxi. Parcheggiò lì
davanti ed Allison si slanciò subito per entrare ma la sua voce la bloccò ad un
passo dalla portiera.
“Non andare.”
4- Odiava
come bastassero solamente due sue parole per farla bloccare.
“Allora, signorina, andiamo?” fece il tassista, notando la
sua indecisione.
Andiamo, Cameron, fai la dura, voltagli le spalle e
vattene!
E per tutta risposta si voltò verso di lui. “Cosa?”
House era serissimo adesso. “Vieni.” La tirò leggermente
per un polso e s’incamminò lungo il marciapiede. La giovane restò un attimo a
bocca aperta come un’imbecille, poi
ignorò il tassista e gli andò dietro.
Tu lo
seguisti senza una ragione…
Come un
ragazzo segue un aquilone…
Esattamente così. Come recitava quella vecchia canzone
italiana.
“House..” lo richiamò dopo pochissimi passi, però,
letteralmente nella confusione. Lui si voltò con la nonchalance della sua nuova
andatura da bipede, porgendole un sacchettino bianco, di cartone, di quelli del
supermercato.
Chissà da dove l’aveva tirato fuori…
Lei aggrottò la fronte. “è una bomba a mano?”
Il volto affascinante del diagnosta s’illuminò di un sorriso.
“Te lo sei meritato. Io ho vinto ma tu hai resistito molto più di quello che
credessi. Se avessi mangiato tutto il panino avrei chiamato la neurodeliri.”
Con un’espressione decisamente più rilassata, Allison
afferrò il sacchettino, mentre si dirigevano lentamente verso la moto di Greg.
L’aprì.
Dentro c’erano due sfogliatine di farina integrale, al
farro e con i cereali sopra. Lei sorrise, poi ne prese una e l’addentò. “Spero
per te che mi porti via quel sapore dalla bocca.”
Lui prese l’altra, mentre ormai erano arrivati proprio
accanto alla moto arancione. Si appoggiò al sedile ed invitò Cameron a fare
altrettanto.
Sembravano due adolescenti che mangiavano panini
macrobiotici seduti sul muretto. Loro erano seduti su una moto ma la sostanza
era uguale. Cameron notò che sulla moto c’era anche una piccola bottiglietta
d’acqua. “Ti conosco fin troppo bene.” Esclamò lui. “e comunque scordatelo.”
“Che cosa?”
“Il tuo permesso per domani. Un misero morso a quel panino
non giustifica tutte le tue paranoie da anoressica.”
Lei rise ed acconsentì giusto perché quella sfogliatina
era buonissima e quella cena lì, all’aperto, appoggiati ad una moto, era
l’appuntamento più bello che potesse mai immaginare.
Finirono di mangiare, poi Greg fece un sorso alla
bottiglietta d’acqua e la passò a lei.
Questo poteva sembrare un gesto normalissimo ma non lo era
affatto.
Era un piccolo richiamo allo zucchero filato che lui aveva
addentato e che lei poi aveva morso di nuovo, due anni prima. Cameron lo capì
benissimo e fissandolo negli occhi prese la bottiglietta e, con la sacralità di
un rito, se la portò alle labbra, attingendone un piccolo sorso.
“Come va?” domandò lui. “Quel sapore cattivo è andato
via?” il suo tono fanciullesco non la disturbò affatto.
Erano molto vicini e il sentire la sua presenza così forte
accanto a lei la inebriava. “Abbastanza- sussurrò, piano.- ma potresti fare di
meglio.”
Lui roteò gli occhi. “Beh, che cosa vuoi? Che ritorni
dentro e ti prenda pure un caffè? Io non credo affatto che sia una buona idea,
se quelli mettono topo fritto nei panini, per fare il caffè useranno l’ acqua
stagnante di un barile arrugginito!”
La sua battuta la fece arricciare in un sorriso malizioso.
Poi con un piccolo slancio realizzò ciò che lei intendeva per fare di meglio.
Un bacio.
La vicinanza delle labbra calde di lei lo mandò nella più
totale confusione. Una confusione molto piacevole. Sentì che lei si allontanava
piano, ma s’accorse di non voler affatto interrompere il contatto. Prima che
lei si staccasse del tutto le passò una mano dietro la nuca e la spinse di
nuovo verso di lui, con più impeto, mentre la lingua esigeva un libero accesso
nella sua bocca.
E Cameron non glielo negò affatto.
Si baciarono a lungo, concedendosi lentamente il piacere
di scoprire realmente quelle sensazioni che fino ad allora avevano solo
immaginato, entrambi.
Poi si distanziarono, sorridendo tutti e due, senza un
motivo preciso.
“Passato.” esclamò lei, inclinando appena il capo
all’indietro.
Lui non trovò nulla da aggiungere.
A parte un piccolo appunto a se stesso: Aveva vinto lei.
Fine
Diomache.