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Autore: _dirty_ice    03/09/2013    1 recensioni
Un viaggio senza ritorno le aprirà gli occhi su un mondo nuovo, che non ha mai visto prima perchè è stata bendata da un passato nero. Scopre che si può scappare da qualcuno o qualcosa, ma non dalla propria mente. Megan vuole imparare a vivere, perchè vuole salvarsi.
«Mi rialzai sanguinante e sciaquai le ferite. Guardai lo specchio rotto e pensai che sarebbe stata l'ora di una rivoluzione. Sarei riuscita a conquistare la parte di me che non vedevo riflessa, mi sarei completata. Capii che quello era lo scopo della mia vita.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Like A Family - Part One
 

Anche oggi piove, ma è tutta un'altra cosa. Non ho mai visto una pioggia del genere. Fine, ma che scende fitta. I miei capelli si uniscono in ciocche scure. Cammino silenziosa e me ne frego se vado dentro ogni pozza. Il mio umore è non a terra, ma almeno sprofondato. Dopo essermi resa conto di come sono, di cosa sono la tristezza fa parte di me.
Scappo ancora da qualcosa che però non so cosa potrebbe essere in realtà.
Scendo sulla spiaggia sassosa quando vedo una specie di grotta, e ci entro dentro senza pensarci due volte.
E' vuota, non c'è niente o nessuno. Meglio così.
Mi raggomitolo a una parete e inizio a piangere. Singhiozzo, e non ho intenzione di calmarmi. Ho intenzione di piangere fino a quando rimarrò senza acqua in corpo, non voglio tenermi dentro tutta quella sensazione orribile.
Il mio pianto si diffonde nella grotta, che fa eco, ma contiene tutto lì dentro.
Sto ripensando a tutto e non faccio altro che odiarmi sempre di più. Fino a quando, non so come, vedo un'ombra di fronte a me, sul suolo sabbioso coperto di sassi. Non riesco ad alzare lo sguardo che la figura si piega col viso contro il mio, e poi due dita mi sollevano il mento, costringendomi a guardare. Un volto, quasi impassibile se non per un alone di comprensione che aleggia ovunque e scorre insieme alla tristezza nel suo corpo come fili elettrici, e hanno come risultato movimenti lenti, deboli. Mi guarda fisso, senza dire niente. Il ragazzo.
Solo la scorsa notte avrei voluto dirgli tante cose, ma quando incontro i suoi occhi i miei pensieri marciscono, si decompongono.
Non ho niente da chiedergli o dirgli anche io, quindi l'unica cosa che faccio è attenuare le lacrime, un po' anche per la sorpresa. Mi abbraccia, e dopo qualche secondo i miei arti cingono il suo torace. Le mie lacrime si depositano sulla sua spalla, e il mio cuore sta letteramente impazzendo contro il suo petto, ma lui non apre bocca.
Rimaniamo così per non so quanto. Non ho mai saputo calcolare il tempo, nè mi interessa saperlo fare. Odio il tempo.
Quando lui mi slega, rimane ad osservarmi, fino a quando non sento la sua voce.
- Non c'è niente di sbagliato in te. - mi dice. Mi ha letto nel pensiero. Ancora.
- Tu, non hai neanche idea di quanto puoi essere forte. -
- E tu non sai cosa dici. - lo guardo seria, con gli occhi probabilmente lucidi ma concentrati a cogliere ogni sua espressione.
- Insomma, guardami! Ogni volta mi ritrovo a piangere. Sono troppo debole per vivere. Io non ce la faccio a vivere, io morirò. - tutto ciò che dico è confuso dai singhiozzi, ed è talmente stupido, patetico e scollegato che vorrei rimangiarmi tutto.
- Non morirai. Non fino a quando ci sarò io. - queste parole mi creano una grande confusione.
- Io voglio morire. - dico. E non so neanche da dove venga questa cosa.
- Non lo vuoi. Vuoi solo essere salvata. -
Probabilmente ha ragione. Ma se pensa che sarà lui a salvarmi, si sbaglia di grosso.
- Sei tu quello che sta male. Sei tu quello da salvare, non una stupida piagnucolona. Vuoi pensare a me quando in verità non sai neanche pensare a te stesso. - mi rendo conto di aver detto una cosa orribile. Lo penso davvero, ma fa comunque male, e lo vedo dalla sua espressione. Inarca i sopraccigli, ma la sua voce è ancora ferma e calma.
- Sai, hai ragione. Non so pensare a me stesso. Però non sto più male, ormai è acqua passata...o almeno credo. - i suoi occhi incontrano il mare agitato dall'entrata della grotta.
- Tu stai male, è inutile che lo neghi. Il passato ti tormenta, e tu vuoi rimediare. E' per questo che cerchi di aiutarmi. Solo per questo. - sospiro, mi asciugo le lacrime di prima e lo guardo seria - E questo mi da fastidio, quindi vattene e lasciami in pace, stai sprecando il tuo tempo.
Lui rimane come congelato dalle mie parole gelide, ma poi si scosta, si alza in piedi e sussurra - Non è così. - e se ne va. Il mio cuore, che pensavo di non usare neanche, si incrina.

Mi alzo da terra, mi asciugo di nuovo gli occhi con la manica e poi mi avvicino all'entrata della grotta. Appoggio le mie mani tiepide su di uno scoglio, ruvido e grigio come il cielo, e poi mi affaccio appena per vedere se il ragazzo è ancora quì. Niente, non riesco a vederlo, e perfino le sue orme sulla sabbia sono già state spazzate via dal vento. Rimango lì, a pensare, mentre il mare agitato spumeggia e il vento mi scivola fra i capelli.
Penso davvero ciò che ho detto, ma essere riuscita a dirlo mi ha distrutta.
Se non è così, se è vero che non lo fa per rimediare, perché vuole aiutarmi?
Non riesco a capire.

Quando mi sento giù di morale devo fare qualcosa che mi piace per stare meglio.
Così sono andata di nuovo in pasticceria, cercando sfogo in un pezzo di dolce.
- Buongiorno, non ti è bastata la glassa di ieri? - ridacchia il vecchio dai baffoni grigi.
- A dire il vero oggi vorrei una fetta di quella torta -
Ad ogni morso penso sempre meno alla tristezza. Semplicemente, ti concentri sul sapore e metti da parte il resto.
- Ehi, Megan - mi saluta mentre si siede al tavolino.
- Ciao, Ray - rispondo con un briciolo di entusiasmo.
- Come stai? Va tutto bene? - mi chiede, percependo subito il mio stato d'animo.
- Più o meno. Non ti preoccupare - tento di sdrammatizzare, ma la mia espressione rimane impassibile.
- Sei sicura? Davvero, se hai bisogno di... -
- Ray, sto bene. Basta. - taglio corto.
- Okay, non volevo infastidirti. Scusa. - risponde sospirando lui, chinando il capo come sconfitto.
Mi attanaglia allo stomaco un senso di colpevolezza. Lui non c'entra niente, non merita di essere trattato così. Sono un'idiota.
- Scusami Ray, sono solo una stupida. Non volevo...-
- Tranquilla - mi rassicura subito - non fa niente. -
Lo guardo negli occhi, e come sempre sono limpidi e trasparenti. Sei sicuro di poterci vedere attraverso, ma forse nascondono molto più di quello che ti aspetti.
Gli sorrido.
Una voce lo richiama in cucina dopo qualche minuto, così si alza in piedi.
- Arrivo! Ciao Megan, ci vediamo eh! -
Prima che non faccia neanche un passo lo richiamo.
- Aspetta Ray! -
- Sì? - mi guarda sorpreso
- Volevo solo dirti che...insomma, ci sei questo pomeriggio? - chiedo timidamente.
- Oh. Certo Megan, se hai bisogno di qualcosa, io ci sono - mi sorride - ma ora devo andare. Facciamo alle cinque quì davanti? - annuisco. Ma la mia testa deve ancora riuscire ad afferrare il "se hai bisogno di qualcosa, io ci sono".
Volevo vederlo perchè pensavo che Ray potesse distrarmi dalla mia stupida esistenza. Ma non ne ho bisogno. Le sue parole mi hanno dato il permesso di liberarmi. Ho l'impressione di potergli dire tutto, di potermi fidare.

Così quando il sole si abbassa e vado al negozio che odora di dolce lo trovo già lì, ad aspettarmi, con le spalle contro al muro e le braccia incrociate, lo sguardo abbassato.
Ci salutiamo e chiacchieriamo del più e del meno, mentre le nostre gambe ci portano al parco. E' così bello e rassicurante vederlo sorridere e scherzare, osservare come sembri sereno nonostante la sua vita sia così monotona. Pare che lui riesca a cogliere qualcosa che io non riesco a percepire, oppure che sia come un bambino che trova meraviglia in ogni più piccola cosa. Eppure si capisce immediatamente che non è affatto un ingenuo e anzi, è consapevole del mondo che lo circonda, delle persone che incrocia per strada.
- Ma quindi tu non vivi quì? Ah, non lo avrei mai detto, guarda. Hai un accento strano, sai? - mi prende in giro mentre siamo seduti su una panchina a goderci le voci allegre dei bambini.
- Non fare lo spaccone, ricciolone. -
- Ah sì? Perchè, altrimenti che fai, sentiamo -
- Ti...ti butto nel lago! -
- Certo, sì. Ma stai zitta, che non avresti neanche la forza per trascinarmici - ridacchia
- ...tu mi stai sfidando. -
- Uuuuh, guarda, mi tremano le gambe! -
Detto così, mi alzo in piedi e ridendo lo prendo per una mano cercando con tutta la poca forza che ho di farlo alzare e trascinarlo fino al lago per poi fargli fare un bagno.
- Ehi! ferma! ma che... -
SPLASH!
- Bene, e adesso cosa hai da dire sulla pappamolle? - gli faccio la linguaccia e poi mi metto in una posa da supereroe.
Non faccio in tempo a finire la frase che Ray mi prende per una gamba e mi trascina nell'acqua.
Mentre i passanti ci guardano come se fossimo pazzi (cosa che è in effetti vera) e i bambini ci guardano curiosi, io e Ray ci schizziamo ridendo.
Non mi sono mai sentita così bambina. Divertirmi senza pensare alle conseguenze. Dopotutto, le conseguenze sono secondarie.

Passiamo così l'intero pomeriggio, fra risate, schizzi, scherzi e divertimento, e quando l'aria si fa più fresca e si accendono i lampioni andiamo a casa di Ray, sfiniti e felici.
Quando entriamo nel suo rifugio una sensazione di calore mi pervade la pelle. Nonostante tutto Ray decide di accendere un fuocherello del camino, che insieme alle poche luci soffuse rende l'atmosfera piacevole.
- Meg, vado a farmi una doccia, okay? Tu fai quello che ti pare - mi rassicura Ray.
- Mh-mh - annuisco.
Mentre lui sale le scale e mi lascia sola inizio a curiosare nel disordine. Le mensole sono piene di fumetti e di strani libri, alcuni sciupati e pieni di pezzi di fogli con un sacco di appunti dentro, altri tenuti molto bene. Ne prendo uno a caso, di quelli sgualciti, con la copertina scura e lo sfoglio. Appena qualche pagina e trovo una vecchia foto, di un giovane Ray che abbraccia quello che presumo sia un suo amico. Un ragazzo bassino, con i capelli scompigliati abbastanza lunghi, degli occhi che ispirano simpatia e un sorriso sincero.
Tengo in mano la foto osservando i lineamenti del volto del ragazzo, quando Ray scende le scale e mi viene incontro. Cerco immediatamente di rimettere a posto le sue cose per non farmi beccare a frugare. Mi volto e gli sorrido.
- Oh, non ti preoccupare, fai pure che ti pare. - ridacchia. Ah, mi ha scoperto, bene.
- Io vado a cucinare, che ne dici se ti vai a fare tu una doccia? -
- Umh, certo, okay! - così dicendo salgo le scale e mi infilo in doccia. Il mio dimenticatoio. Solo che adesso non ho motivo di dimenticare. Non voglio dimenticare.

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Buon giorno/pomeriggio/sera/notte c:
Come va? Io ci ho messo un sacco come sempre ad aggiornare, ma sono stata al mare per 15 giorni. Pensate che siano tutte scuse? Avete ragione in parte.
Quindi questo capitolo è diviso in due parti, o almeno così penso adesso. Ho vagamente idea del prossimo capitolo, ma ho dei capitoli successivi già pronti e allora devo riuscire anche a far combaciare il tutto. Perchè sono molto disordinata, ma devo scrivere ciò che mi ispira in quel momento e...sì, infatti per esempio l'inizio di questo capitolo l'ho scritto in un momento non proprio felice. Ero piuttosto giù di morale.
Ho detto alla Bembi che lei è un po' il mio Ray, ricordi B? Ecco, ancora non si capisce molto bene, ma l'idea in sostanza è che per me tu sei come una famiglia, sei una vera amica, sei il mio rifugio sicuro. Nel prossimo capitolo, che in parte ho già scritto, tutto sarà più chiaro, ma adesso sto zitta c':
Per tutti quelli che leggono, anche se non vi fate vivi, sempre se ci siete e se esistete, grazie di sopportarmi.
E grazie alla Bembi che mi sopporta/supporta sempre ♥

  
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