L'ennesima goccia di pioggia scorreva sulla mia guancia. Di lì a poco le gocce di trasformarono in una tempesta.

Mi bagnai completamente.

Responsabile com'ero, avrei subito cercato di ripararmi il prima possibile nel luogo più vicino a me, per non ammalarmi.  Ma ora mi importava poco, perché mi avevano appena privato di ogni sentimento.

"Ti odio" , aveva urlato.

"Non me ne frega più un cazzo!", aveva continuato.

E  "Non voglio più vederti!" , aveva concluso.

Sì, ero rimasta per più di mezz'ora lì.

Lì sotto la pioggia sulla strada di quella che era casa nostra.

Il mio senso di responsabilità era andato a farsi fottere.

Il dolore non era apparso spontaneo come mi aspettavo, e come faceva di solito : la totale apatia mi aveva assalita. Ero inerme, stanca di respirare. Lo sguardo fisso nel vuoto, il cuore fermo.

La pioggia era tutto ciò che si muoveva.

Per un attimo addirittura credetti di sognare, o meglio, di fare un incubo. Un incubo in cui i miei pensieri non trovavano riscontro nelle emozioni.

Emozioni? Per un attimo la parola mi parve persino strana. 

Ah sì, poi ricordai il significato. Da quel giorno però, rimase solo un ricordo.

E mentre accendevo la terza sigaretta del giorno, quattro settimane dopo, ricordai di quando ci conoscemmo. Mi aveva abbordata con una sigaretta, la stessa marca di quella che tenevo fra le dita della mano destra.

Ed ecco allora, che in quell'attimo uno tsunami mi aggredì, ferendomi e quasi uccidendomi.

Il dolore era arrivato ; in ritardo, ma era arrivato.