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Autore: Son Of a Bitch    04/09/2013    2 recensioni
«Non lamentarti. Gwen è una ragazza in gamba!»
«E' insopportabile, Bobby. Per non parlare delle sue manie di protagonismo!»
«Senti chi parla.»
Dean arricciò il naso e storse le labbra in una smorfia. In effetti Bobby non aveva tutti i torti: Gwen era una specie di sua versione femminile.
«Hai parlato con Sam?»
Il ragazzo si schiarì la gola un po' a disagio. «Dove posso trovare Gwen?»
Si udì un profondo sospiro da parte di Bobby, poi l'uomo gli diede le informazioni che gli servivano. Gwen era a Toledo, in Ohio. Alloggiava al Dark motel, stanza 69.
«Cercherò di ignorare la sottile ironia» commentò quando si ritrovò davanti alla porta. Allungò una mano e bussò più volte, borsone alla spalla.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Bobby, Dean Winchester, Ellen Harvelle, Jo
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Quinta stagione
Capitoli:
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Cazzate!, avrebbe voluto dirgli con quella sua intonazione menefreghista ed insopportabile. Forse era proprio perchè le importava che rimase in silenzio a far finta di bersi quell'enorme balla che Dean le aveva rifilato senza nemmeno preoccuparsi di sembrare credibile.
Ma non voleva parlarne, quindi rispettava questa sua decisione.
«Cerca di non fissarmi troppo mentre dormo, okay?»
Erano tornati in loro, due idioti le quali spalle avevano il compito di sopportare peso su peso. Bella merda. Se non si tiravano su con della salutare ironia come sarebbero potuti andare avanti? 
«Oh, ma ti prego!» Ruotò gli occhi al cielo, escogitando un'altra delle sue diavolerie per farlo rimanere di merda. Si divertiva così con Dean. Cioè, un altro modo per divertirsi con lui lo aveva, ma quello di coglionarlo era quello che occupava la seconda posizione della classifica.
Il tempo di lanciargli un'ultima occhiata snob e gli voltò le spalle, sbattendogli i capelli biondi ed ondulati in faccia. 
Avrebbe tanto voluto vedere la smorfia di Dean ma la sua immaginazione le regalò un'anteprima che bastò per farla sorridere.
Si erano dati la buonanotte, a modo loro ma l'avevano fatto.
Prendere sonno per Gwen era sempre un'ardua impresa. Specialmente quando non era sola in stanza. In più il coltello di Dean aveva rubato il posto sotto al cuscino al suo amato teser, il che le metteva addosso una certa ansia. Non che si sarebbe fatta dei problemi ad usare l'arma di Dean se fosse stato necessario, ma trovava la sua scelta difensiva un po' più -ed era il caso di dirlo- elettrizzante. 
Chiuse gli occhi ma li riaprì all'istante, incapace di ignorare quel dannato buio nella sua testa trasformarsi in una interminabile lista di morti causati dalla sua precedente inesperienza. 
Restò in silenzio mentre ascoltava i canti notturni dei grilli mutarsi in sussurri di persone casuali ma alle quali sapeva di aver tolto la vita. Più che incubi o sensi di colpa amava definire quelle allucinazioni come "ulteriore fardello". Che poi questo coincidesse con l'instabilità mentale che ogni cacciatore aveva era un qualcosa che non avrebbe mai ammesso, specialmente a sé stessa.
Non appena il sonno decise di sopprimere quella sua segreta pazzia, le luci del mattino colpirono i suoi occhi chiari, costringendoli a riaprirsi. 
Buongiorno, Gwen!, la maledì in quel modo il suo cervello, sveglio da troppo tempo, inconsapevolmente. Era proprio vero che a volte il tempo volava.

Gli ci volle un bel po' per addormentarsi sul serio. Il pensiero di Sam aveva cominciato a torturarlo non appena Gwen lo nominò. Adesso non faceva altro che immaginarsi suo fratello che cercava di vivere una vita normale. Ma quanto sarebbe durata quella storia? Per quanto tempo i due sarebbero andati avanti in quelle condizioni? 
Voci nella sua testa lo assalirono:
La famiglia deve farti stare male! Per questo si chiama famiglia!
Io non sono un mostro! 
Noi siamo fratelli e, nonostante tutto, questo non cambierà mai. 
Se non ti conoscessi, ti darei la caccia. 
Sei un mostro!

«Dean?» 
Dean aprì gli occhi, e poté constatare con sollievo di aver fatto soltanto un maledetto incubo. La faccia stranita di Gwen lo osservava come se fosse una specie di alieno venuto dallo spazio, come se Dean fosse l'essere più insolito di tutto l'universo. 
Il ragazzo si stropicciò la faccia, trattenendo un enorme sbadiglio. Notò con sorpresa che era già mattina, eppure gli era sembrato così poco il tempo che aveva usato per riposarsi. 
«Che ore sono?» chiese roco, la fronte aggrottata e gli occhi ridotti a due fessure, confusi dal sonno. 
«Sono le sette» rispose Gwen, scuotendo la testa e tornando a fare ciò che stava facendo, ossia prepararsi per uscire. Aveva indossato uno dei quei tajer da segretaria sexy, con tanto di occhiali da vista. Dean non poté non trattenersi dal farci un pensierino, nonostante si fosse appena svegliato.
«Be', questo non aiuta di certo» borbottò tra sé e sé, alludendo a qualcosa che di solito succedeva a tutti gli uomini al mattino presto. 
«Come?» 
«Niente, niente» mormorò, agitando una mano in un gesto noncurante. «Lascia perdere.» 
Si rizzò a sedere e sospirò. Gwen gli ripeté più volte di darsi una mossa, che qualsiasi cosa loro stessero cacciando avrebbe attaccato ancora. Dean, dopo essersi preparato come lei, vestito in giacca e cravatta, le ricordò che senza aver fatto colazione non sarebbe andato da nessuna parte. 
«L'Impala... quanti bei ricordi.» 
Dean e Gwen si scambiarono un'occhiata complice da sopra il tettuccio. Entrambi sapevano cos'era successo all'interno di quell'abitacolo, ed entrambi sorrisero con una nota di divertimento misto a compiacenza. 
Il cacciatore si mise alla guida, Gwen si sedette nel sedile del passeggero. 
«Ricapitolando: io sono l'agente Colfax, FBI. Tu sei la mia adorabile collega. Siamo qui perché troviamo che ci siano delle similitudini con dei nostri vecchi casi irrisolti. Tutto chiaro?»

«Non è la prima volta che mi fingo un'agente dell'FBI, Dean» gli fece notare con quell'accento del Texas plasmato per trasmettere quanta più professionalità possibile. «Pensa, so anche scegliere dei falsi nomi migliori dei tuoi! Colfax? Sul serio? Sembra il nome di qualche detersivo di sottomarca» ridacchiò allungando la mano verso di lui per sfilargli il distintivo dalla giacca e controllare con i propri occhi che quello fosse il nome giusto. Dean la lasciò fare, non dandole corda come lei avrebbe voluto. Scelta saggia visto altrimenti avrebbe dovuto sopportarla per tutto il viaggio mentre lo prendeva in giro imitando la sua prossima presentazione ai familiari delle vittime. 

«Stringiti quella cravatta» mormorò lei mentre si sistemava gli occhiali sul naso da brava perfezionista qual'era, aspettando che qualcuno andasse ad aprire la porta.
«Va bene, mamma» borbottò Dean in modo infantile ma seguendo quel suo consiglio che sembrava esser stato detto più come una minaccia.
Quando davanti agli occhi gli si presentò una donna tutta in tiro -forse anche più di loro- e con un fazzoletto di stoffa nella mano, capirono di avere di fronte la vedova Dumont, moglie della prima vittima.
Prima che Dean potesse cacciare dalla tasca il suo distintivo -recuperato dalle mani di Gwen solo alla fine del tragitto in macchina-, la ragazza lo anticipò, sventolando sotto il naso della donna il proprio, a suo parere più decoroso e credibile.
Gwen non amava essere presentata come "la collega" o più genericamente come "l'altra": prima lei e dopo il resto. Egocentrico ma da vera donna indipendente, impossibile da calpestare. 
«Salve Signora Dumont, sono l'agente Bush e lui è il mio collega» lo indicò con una fugace occhiatina seria e professionale. In quel momento voleva solo ridere. «L'agente Colfax.» No, ecco. Adesso voleva ridere. «Dovremmo farle alcune domande su suo marito.»
La donna, dapprima spaesata, sembrò riluttante nel farli entrare ma, convintasi della loro affidabilità, li fece accomodare all'interno della sua immensa residenza.
Pierre Dumont era un finanziatore, cos'altro avrebbero potuto aspettarsi?
«In campo finanziario è impossibile non avere dei nemici» disse tra un singhiozzo e l'altro Fleur, anche lei di origini francesi come il marito e il suo inconfondibile quanto insopportabile accento. «La polizia ha detto che è stato un animale selvatico.»
Un animale selvatico? In casa?? Certo che ce n'è di fumo buono in Francia!, le avrebbe voluto dire Gwen mentre si imponeva di prendere appunti sul suo taccuino.
«Dobbiamo prendere in considerazione tutte le possibilità» la informò Dean cordiale. Frase di routine di un cacciatore e alla quale credevano tutti. 
«Sa se suo marito conosceva quest'uomo?» Arrivò al dunque la versione elegante di Gwen, mostrandogli la foto della seconda vittima morta nelle stesse circostanze.
«Certamente, chéri. Era il socio in affari del mio amato Pierre. Il capo cantiere.»
Bingo!, pensò immediatamente scambiandosi un'occhiata d'intesa con Dean, seduto al suo fianco.

A parte lo scherzetto di Gwen molto divertente, Dean dovette sopportare il fatto di essere sovrastato dal suo ego mastodontico. Avrebbdovuto immaginare che avrebbe avuto u altro dei suoi attacchi di superiorità. Lei non avrebbe mai permesso che Dean lapresentasse come semplice collega, adorava stare al centro dell'attenzione più di lui. Si limitò a lanciarle un'occhiataccia comunque e sforzò un sorrisetto verso la signora Dumont quando quest'ultima gli rivolse uno sguardo veloce. 
La casa non era niente male, molto grande e non sembrava essere privo di alcuni confort tipici della gente benestante. Dean diede un'occhiata breve per tutto il salotto, abbastanza largo e accogliente. La padrona di casa, offrì loro qualcosa da bere, ma entrambi decisero di non approfittare della sua gentilezza. Decisero di passare subito al dunque, ossia concentrarsi sul caso.
Quindi come immaginava -e come Gwen si era lasciata sfuggire- le due vittime si conoscevano e anche da un bel po' di tempo. 
«Lavoravano al progetto del lago Eire» spiegò la donna, il naso rosso e gli occhi piccoli e stanchi. 
Dean e Gwen inarcarono le sopracciglia nella stessa identica espressione confusa. Avevano l'aria di chi non aveva assolutamente idea di che cosa si stesse parlando.
«Stanno costruendo una diga» aggiunse, quando si accorse delle loro facci interrogative.
«Oh» fecero loro all'unisono. 
Ci fu una pausa si silenzio durante la quale Gwen e Dean si guardarono, complici. Entrambi stavano pensando alla stessa cosa: si trattava di una vendetta, e siccome le vittime erano soci in affari e quindi si conoscevano, c'era un sicuro collegamento con quel lago. 
«Suo marito è stato trovato qui, giusto?» domandò Dean, accigliato, spezzando così quel contatto visivo con la collega e il silenzio creatosi poco prima. 
«Sì» la donna annuì e cominciò a singhiozzare, affondando il naso in un fazzolettino colorato. Dean e Gwen provarono un improvviso disagio, tutti e due spostarono lo sguardo in direzioni opposte, non sapendo cosa dire. «Era nella nostra camera da letto... come p-potrò continuare a vivere senza di lui?!» 
Dean sentì un enorme senso di vuoto infondo allo stomaco, perché quella situazione gli sembrava tanto famigliare. Si schiarì la gola e chiese la direzione per il bagno alla signora Dumont, la quale gliela indicò con garbo. Dean seguì la scalinata, come suggeritogli, ma invece di raggiungere l'ultima porta a sinistra, si intrufolò nella camera da letto della donna, dove era stata trovata la vittima. Tirò fuori il rilevatore di frequenze elettro magnetiche, speranzoso. Ma l'aggeggio non si illuminò, nè emise quello strano suono. 
Così mise da parte la teoria dello spettro vendicativo. 
Sospirò profondamente e scosse appena la testa. Distrattamente notò qualcosa sul pavimento. Sembrava una foglia, o una cosa del genere. Dean aggrottò la fronte e la raccolse. Era un'alga... che ci faceva un'alga nella danza di Pierre Dumont?

Quindi i bersagli rientravano nell'edilizia e in quel progetto. Gwen sperava sul serio che quella fosse la traccia giusta perchè, francamente, non ne vedeva altre per risolvere quel dannato caso.
Appena vide Dean alzarsi dal sofà, capì le sue intenzioni. Avrebbe controllato di sopra mentre lei avrebbe continuato a fare domande alla donna, anche se sembrava non saperne molto di affari, non quanto suo marito almeno.
«Che lei sappia questo progetto va avanti da molto tempo?» Riuscì a chiederle a stento: la vedova continuava a singhiozzare e a soffiarsi il naso e Gwen non era certo la persona più sensibile del mondo anzi, perdeva la pazienza molto facilmente. 
Tentò di contare fino a dieci -come spesso le aveva suggerito sua sorella- ma si fermò a stento al cinque: non era nel suo DNA saper aspettare.
Subito dopo lo scadere del fatidico "cinque" la donna scosse la testa ma non per riferirle la sua ignoranza a riguardo: era un no.
«Siamo tornati da Parigi appositamente per questo lavoro. Siamo qui da una settimana... e adesso il mio amato Pierre è morto!» E di nuovo giù con le lacrime. L'insensibilità di Gwen la costrinse ad alzare gli occhi sul soffitto, leggermente a disagio di trovarsi in presenza di qualcuno così fragile. 
«Mi scusi ma questi giorni non sono stati facili...»
«Posso immaginarlo» annuì per poi sistemare gli occhiali al loro posto.
«L'ho visto così di rado. Da quando sono iniziati i lavori era sempre in cantiere: ne controllava l'andamento per calcolarne una scadenza approssimativa.»
Non seppe spiegarsi il perchè, ma quel dato le era sembrato piuttosto importante.
«Quindi la diga è già in fase di costruzione?»
«Agente Bush, sarà meglio tornare in centrale» riconquistò la scena la voce di Dean: aveva trovato qualcosa.

«Da' un'occhiata!» La invitò Dean porgendole un sacchetto di plastica, nuovamente a bordo dell'Impala.
«Che diavolo è?» Lo guardò meglio, scuotendolo di tanto in tanto.
«A te che sembra?» Simpaticone.
«D'accordo, te lo chiedo in un altro modo più semplice: che ci faceva un'alga nella stanza da letto di quel tizio secondo te?»
Ma lui scrollò le spalle, come a dire "me lo domandavo anch'io."
«Dobbiamo controllare quella diga» battè la penna sul suo taccuino Gwen prima di iniziare a mordicchiarne il tappo.

  
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