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Autore: Cracked Actress    04/09/2013    10 recensioni
"Stanotte ho rischiato di perderti, John. Sarebbe bastato qualche millesimo di secondo di ritardo nella reazione, provocato da una sensazione di stanchezza improvvisa o da un crampo, e quello sparo ti avrebbe raggiunto. A quest’ora sarei ad esaminare il tuo cadavere su un tavolo operatorio del Bart’s, ad accarezzare la tua pelle fredda e violacea. Non posso perderti, John. Un mese fa mi hai baciato e abbiamo fatto sesso sul tappeto che hai calpestato proprio adesso. Mi hai detto di amarmi. Me lo ripeti spesso da allora, nei momenti meno prevedibili ed opportuni: mentre ti chini al mio fianco su una scena del crimine o quando compongo musica al violino per riflettere su un caso particolarmente complicato. Io non ti ho mai risposto."
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“If you open the window…”

Sei stanco, John. Posso leggerlo su ogni ruga di quel volto che conosco alla perfezione dalla prima volta che l’ho visto. Accarezzi le palpebre con i polpastrelli, massaggi le tempie e sbadigli nel palmo della mano, senza accorgerti che i miei occhi non ti abbandonano neanche per un istante. Sono ben protetti dall’oscurità del salotto che ci ha accolti silenzioso dopo un estenuante inseguimento per le strade di Hampstead. Non succedeva da tanto tempo e hai perso l’abitudine.
Sei stanco, John, e vieni lentamente verso di me mormorando qualcosa che non ho voglia di ascoltare. Il tuo odore giunge prima di te, per poi dissolversi d’un tratto ed essere sostituito dall’aria umida di Londra non appena apri di poco la finestra, restando a guardare fuori rapito. Cosa guardi, John? Mi stupisco sempre di cosa possa attirare la tua attenzione. Se io guardassi fuori in questo preciso istante non troverei nulla che stuzzicasse la mia curiosità, ma tu non sei come me. Sei un uomo qualunque.
Stanotte ho rischiato di perderti, John. Sarebbe bastato qualche millesimo di secondo di ritardo nella reazione, provocato da una sensazione di stanchezza improvvisa o da un crampo, e quello sparo ti avrebbe raggiunto. A quest’ora sarei ad esaminare il tuo cadavere su un tavolo operatorio del Bart’s, ad accarezzare la tua pelle fredda e violacea. Non posso perderti, John. Un mese fa mi hai baciato e abbiamo fatto sesso sul tappeto che hai calpestato proprio adesso. Mi hai detto di amarmi. Me lo ripeti spesso da allora, nei momenti meno prevedibili ed opportuni: mentre ti chini al mio fianco su una scena del crimine o quando compongo musica al violino per riflettere su un caso particolarmente complicato. Io non ti ho mai risposto.
Un soffio di vento oltrepassa le tue spalle e giunge fino alla poltrona su cui sono seduto, scompigliandomi i capelli. Interrompe il flusso dei miei pensieri ed è così fastidioso e frustrante che mi metterei ad urlare, imprecando contro il buio. Devi essertene accorto, perché in un attimo sei al mio fianco e le tue dita robuste si infilano tra i miei riccioli, rimettendoli in ordine con la facilità di chi ha acquisito una certa esperienza. Potrei pensare di ringraziarti, ma la tua mano indugia troppo a lungo, e capisco ciò che sta per succedere prima che tu ci abbia anche solo pensato.
“Ti amo, Sherlock…” mormori, chinandoti fino a sfiorare il mio orecchio con le labbra. Lasci in sospeso quelle parole ancora una volta, aspettandoti una risposta che sai che non posso darti. Non posso, John. Non sento ciò che sentono le persone comuni. Sento tante cose nei tuoi confronti, ma non ho idea se sia amore o no, non l’ho mai sperimentato prima. Sento il bisogno di proteggerti, di parlare con te anche quando non ci sei, di apparire brillante e misterioso ai tuoi occhi, ma non potrei mai dirtelo. Sono tutte parole che ho cancellato, frasi che non ho mai detto.
La tua bocca si sposta sulla mia guancia, baciandola lentamente una, due, tre volte fino a che non mi tiro indietro, girandomi dall’altra parte. Tu ridi, combattuto tra la delusione e la rassegnazione, ormai conscio della punizione che ti sei autoinflitto, ma continui a tenere le dita intrecciate ai miei capelli. È l’unica consolazione che puoi prenderti.

“...I'm free from the words that are hard to come out…”

Un’altra folata di vento ci raggiunge, causando un brivido sulla tua pelle ruvida. Non sulla mia: il tuo corpo fa da schermo e si pone tra me e tutto ciò che entra da quella finestra. Mi stai accanto come se mi stessi proteggendo dal peggiore dei pericoli, ed io mi accorgo di sentirmi stupidamente al sicuro. Non so da dove siano arrivate queste sciocchezze sentimentali, eppure quando il tuo corpo è vicino al mio, dentro al mio, mi coglie una rara sensazione di calma ed appagamento. Per un breve istante, quando le tue labbra sono sulle mie e le tue braccia mi stringono, non ho più bisogno dell’adrenalina dei casi, della cocaina o della nicotina. Sono spaventato, John, ma non te lo dirò. Te l’ho detto soltanto una volta in quasi quattro anni e la mia scarsa lucidità mi ha fatto dire cose che ti hanno destabilizzato. Non succederà di nuovo. Sono spaventato perché non mi sono mai sentito così e non voglio sentirmi così. La mia vita era più che soddisfacente un mese fa, prima che il tuo sentimentalismo la invadesse fino a farmi sentire inadeguato. Inadeguato, ci crederesti? Un aggettivo che non ho mai abbinato alla mia persona. Eppure sono del tutto inadeguato di fronte alle tue confessioni assurdamente romantiche.
Ti aspetti che risponda che ti amo anch’io, John? Credi davvero che ne sarei capace?
Potrei dirtelo, non sarebbe un grande sforzo. Probabilmente se continuassi a tacere finiresti per odiarmi e te ne andresti. Ti perderei, ma io non posso perderti. Sarebbe una bugia soltanto perché ciò che provo io è diverso da ciò che provi tu o perché non riesco a dargli un nome? Forse è davvero amore l’agitazione che mi morde le viscere in questo momento, il desiderio di compiacerti e vederti sorridere. Le tue dita tra i miei capelli scandiscono il tempo e sottolineano impietose ogni secondo che passa senza che io pronunci quelle parole.
“John…” ti chiamo all’improvviso. Tu resti in ascolto, fremendo nell’attesa. “...forse...con buona probabilità...” Il mio cervello cortocircuita come se l’hardware si fosse bloccato di colpo, e non sono in grado di continuare. Vedi, John? Non riesco a farlo, per quanto possa volerlo.
Non c’è delusione nei tuoi occhi quando mi prendi il volto tra le mani e appoggi le tue labbra sulla mia fronte. Forse posso ancora farcela con la pelle che si scalda a contatto con la tua.
“John” ripeto più convinto, nutrendomi delle lettere del tuo nome per rallentare il momento che sta per arrivare, “io credo che potrei amarti.” Me lo lascio sfuggire tutto d’un fiato, controllando il tono come se stessi parlando dell’esito di un esperimento sulla tossicità del cadmio.

“It's a weeping willow...your fingers and my hair…”

Le tue labbra si staccano di colpo, tremanti, mentre le pupille si dilatano per la sorpresa. Non sai cosa dire perché non credevi che sarebbe mai successo, ti saresti rassegnato a dirmelo per il resto dei tuoi giorni senza ricevere nulla in cambio. Questo è amore: ciò che provo io è soltanto una pallida imitazione, una versione egoista ed utilitaristica.
Capisco che non commenti per paura di rovinare tutto, ma mi stringi forte al petto con una sicurezza che non avevi fino ad un minuto fa. Ti stacchi soltanto quando la voglia di baciarmi prende il sopravvento, e mentre assali le mie labbra e le assaggi come se fossero davvero tue per la prima volta, infili ancora una mano tra i miei riccioli, accarezzandoli e tirandoli delicatamente.

“...if the wind comes and play its music…”

Non so per quanto tempo rimaniamo ad assaggiarci premuti l’uno sull’altro sopra la poltrona. Per la prima volta nella mia vita perdo la cognizione del tempo, e smetto di pensare alle difficoltà che sorgeranno non appena torneremo alla routine quotidiana e alla possibilità che tutto finisca e tu te ne vada una volta per tutte. Continuo a baciarti con zelo e curiosità, come se stessi scoprendo qualcosa di nuovo su un argomento affascinante e sconosciuto.
Fuori, il vento soffia senza sosta e sibila la sua musica attraverso la finestra socchiusa.

 
 
 

 

 

Perdonatemi questa cosina breve e un po' OOC (spero non troppo!) che ho scritto stanotte di getto dopo aver ascoltato "The window", una canzone - altrettanto breve - di Elisa. Il testo consiste solamente nelle frasi riportate in corsivo. 

   
 
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