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Autore: Il Saggio Trentstiel    04/09/2013    7 recensioni
La Corte era riunita.
Una corte assai strana, andava detto.
Sull'alto scranno del giudice, una bizzarra figura con una inquietante maschera bianca sul volto sedeva immobile: impossibile dire se stesse scrutando le poche persone presenti nella sala o, addirittura, se fosse desta o dormiente.
[...]
-Ho sempre amato l'arte.- dichiarò semplicemente -Un amore così forte da farmi giustificare in continuazione i comportamenti di quello lì...-

Mini-long ispirata da quel capolavoro che è il "Cell Block Tango", dal musical "Chicago".
Sei capitoli per sei carcerate, macchiatesi del terribile crimine di omicidio.
Come però la canzone stessa dice "They had it coming": "Se la sono cercata".
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Pop.
Six.
Squish.
Uh-uh.
Cicero.
Lipschitz.

 

 

 

 

 

 

 

 


La monumentale LeShawna fece un cenno noncurante al giudice e, sovrastando gli stridii e i cigolii provocati dall'apertura della sua gabbia, si rivolse al giudice.
-Non si preoccupi, sto bene qui.-
L'irritazione del giudice mascherato, ormai a livelli inimmaginabili, venne prontamente soffocata: fece un gesto brusco all'indirizzo dell'afroamericana e le concesse di cominciare il suo racconto.
LeShawna sbadigliò a bella posta e accavallò le gambe, sorridendo alle sue compagne di sventura.
-C'è qualcosa che non va, giudice?-
L'uomo batté un pugno sul tavolo, la maschera che gli copriva il volto inespressiva, ma l'ira che veniva emanata a ondate da lui ben percepibile.
-La sua testimonianza, signorina Edwards.- disse laconicamente, la voce contorta e più simile a un ringhio.
La donna sorrise nuovamente e, dopo un sospiro teatrale, chiuse gli occhi.
-Ho sempre amato l'arte.- dichiarò semplicemente -Un amore così forte da farmi giustificare in continuazione i comportamenti di quello lì...-

 

 

 

 

 

 

 

 


Il modesto appartamentino di LeShawna era sempre stato una gioia per gli occhi.
Curato, pulito e, soprattutto, decorato con dozzine e dozzine di dipinti. Molti erano stati acquistati a esposizioni di giovani artisti emergenti che, per un pugno di dollari, praticamente regalavano le proprie opere; altri erano stati dipinti da LeShawna stessa.
L'amore per la pittura e per l'arte in generale l'aveva ereditato dal defunto padre: dunque era più che ovvio che vedesse il suo uomo ideale in Harold Lipschitz.
Non era affascinante, non era bello, non era atletico; eppure per LeShawna era l'uomo più bello sulla faccia della terra.
Era un artista anche lui e i due si erano conosciuti a una delle innumerevoli esposizioni d'arte che la donna amava frequentare. Harold, con quella bizzarra sicurezza propria degli artisti, le si era avvicinato e aveva declamato una breve poesia in suo onore.
Pur lusingata, LeShawna lo aveva squadrato con aria scettica.
-Cosa sarebbe, questa?-
Lui aveva sorriso, aggiustandosi gli occhiali sul naso adunco.
-Un omaggio alla tua prepotente bellezza, una bellezza che neanche Alfons Mucha sarebbe in grado di riprodurre nelle sue opere!-
A quel punto lei era arrossita: di più, era avvampata e aveva sorriso compiaciuta. Non solo per il complimento, ma anche per l'evidente cultura artistica di Harold.
Avevano cominciato a chiacchierare, a parlare di arte, e LeShawna era sempre più stupita da quell'uomo all'apparenza così insignificante: si intendeva di arte, poesia, musica e perfino scultura.
Dopo la mostra avevano preso un caffè insieme e, salutatisi, si erano ripromessi di vedersi nei giorni successivi.
Dopo una settimana avevano cominciato la loro relazione. Non vivevano assieme, no! Harold, diceva, aveva bisogno del suo spazio per creare poesie: LeShawna, accecata dall'amore, aveva accettato senza indugi questa sua richiesta.
Passarono i mesi e Harold sembrava divenire di giorno in giorno più strano.
I suoi momenti cupi – che lui chiamava “blocchi dello scrittore” – erano più frequenti e duraturi. In quei casi non voleva nessuno attorno, neanche LeShawna: si limitava a uscire, a fare lunghe passeggiate in cerca dell'ispirazione e rientrava sempre con un gran sorriso sulle labbra. Poi, con una frenesia quasi preoccupante, stilava poesie su poesie.
LeShawna non era sospettosa per natura, eppure qualcosa nel comportamento di Harold aveva fatto scattare un campanello d'allarme nella sua testa. La tradiva, forse? Aveva intenzione di lasciarla? Frequentava compagnie poco raccomandabili? Si drogava?
Troppe domande, nessuna risposta.
La donna attese con impazienza che un altro blocco dello scrittore facesse visita a Harold e, quando questi la pregò di tornare a casa, promettendole di raggiungerla in serata, lei eseguì senza protestare. Uscita dalla palazzina dell'uomo si appostò nelle immediate vicinanze e, non appena questo uscì, lo seguì discretamente.
Camminarono a lungo, apparentemente senza meta: una meta invece ce l'avevano, oh se ce l'avevano!
Il suo nome era “Lotus Flower”. Era un locale di dubbia fama e una casa di appuntamenti.
LeShawna sgranò gli occhi quando vide Harold imboccare con tranquillità e sicurezza la porta del locale e sparire al suo interno: piena di funesti presagi, la donna si affrettò a seguirlo all'interno.
Un'enorme sala riccamente decorata e fiocamente illuminata la accolse: ovunque uomini di ogni età e condizione scrutavano avidi ballerine seminude, gettavano loro banconote, le prendevano a braccetto e si lasciavano condurre in stanze private. Come quella splendida bionda. Che teneva Harold sottobraccio.
LeShawna si sentì svenire: avrebbe voluto urlare, ma la voce le era morta in gola.
Uscì in tutta fretta dal Lotus Flower e corse fino a casa. Si barricò nel suo appartamento e, gettatasi sul divano, pianse finché ebbe lacrime da consumare.
Poi cominciò a ragionare con lucidità. E sangue freddo.

 

 

 

 

 

 

 

 


Harold bussò alla porta di LeShawna alle nove di sera, notando con sospetto come l'uscio fosse già socchiuso.
Si affacciò esitante nell'appartamento e si guardò attorno.
-LeShawna? LeShawnina?-
Nulla. Non un suono, non un movimento.
Avanzò titubante di un paio di passi e i suoi occhi notarono qualcosa: una tela, fino al giorno prima ancora intonsa, era divenuta la nuova opera di LeShawna.
Un'opera bizzarra, composta unicamente da schizzi di colore rosso e nero, e parole. Tante, tante parole.
“Morte”. “Furia”. “Finzione”. “Lipschitz”.
Harold avvertì una stretta allo stomaco ma, prima di poter anche formulare una domanda mentale, percepì una stretta ben più violenta attorno al suo collo magro.
LeShawna era dietro di lui, pazza di furore, e lo stava strangolando con una cintura.
L'uomo boccheggiò, il volto sempre più cianotico per la mancanza d'aria, ma LeShawna non accennava ad allentare la presa.
-Blocco dello scrittore, eh?- domandò sprezzante -Assieme a Margareth? Cheryl? Donna? Tutte quelle puttane?-
Le ginocchia di Harold cedettero e l'uomo si ritrovò quasi prono sul pavimento.
-Anche a loro dedicavi poesie? Rispondimi, Lipshitz!-
Il suo cognome fu l'ultima cosa che il poeta udì: poi, immobile e patetico come un manichino, stramazzò morto al suolo.

 

 

 

 

 

 

 

 


-Vedete... Ci siamo separati per pareri discordanti sull'arte, sull'amore e sulla vita. Harold Lipschitz si vedeva felice e pieno di vita. Io, invece, lo vedevo meglio morto!-
Stavolta il misterioso giudice cominciò a battere il suo martelletto sul banco in contemporanea alle prevedibili urla acclamanti delle altre cinque prigioniere.
A un suo cenno le gabbie di Courtney, Heather, Gwen, Bridgette e Sadie si aprirono: le cinque più LeShawna si levarono in piedi e avanzarono con espressioni imperscrutabili fin sotto il banco del giudice, continuando ognuna a mormorare una singola parola.
-Pop.-
-Six.-
-Squish.-
-Uh uh.-
-Cicero.-
-Lipschitz.-
L'uomo le osservò dall'alto in basso, il suo ghigno crudelmente soddisfatto celato dalla candida maschera: si schiarì la voce e si rivolse poi a tutte loro.
-Ascoltate le vostre testimonianze, compresa la ferocia ingiustificata dei vostri atti e non trovata alcuna traccia di umana pietà in voi... Questa corte vi condanna alla pena capitale!-
Levò il braccio destro e fece per battere per l'ennesima volta il martelletto sul ligneo banco, quando l'unica porta d'accesso alla stanza si aprì cigolando appena.
Sulla soglia, applaudendo leggermente con un ampio e gelido sorriso sulle labbra, stava una donna bionda.

   
 
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