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Autore: Sissi 25    10/03/2008    5 recensioni
Ciao a tutti! Eccomi tornata con la mia seconda fan fiction. Una sera, dopo il Cell Game, Chichi scruta l'orizzonte pensando a Goku e all'ultimo regalo che le ha lasciato, quando...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chichi, Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Questa volta ho voluto sperimentare una one-shot su un personaggio che mi piace molto: Chichi. La mia intenzione, inoltre, è quella di difendere Goku perché secondo me non è vero che ha lasciato la famiglia unicamente per allenarsi… così ho voluto immaginare un motivo che redimesse un po’ il nostro eroe! Avverto subito che è stomachevolmente romantica, ma ho cercato di dare il meglio di me quindi, se amate il genere, mi farebbe piacere avere tante recensioni! Grazie in anticipo a tutti quelli che leggeranno!

 

Quando te ne andasti

 

 

Appoggiata sul davanzale, scrutava l’orizzonte.

Era tardi, molto tardi e fuori era buio, ma lei non aveva sonno. Aveva solo voglia di starsene lì, seduta, cercando di non pensare. Ma come poteva riuscirci?

 

“Sì, signora, lei è incinta”

 

Questo aveva detto la ginecologa proprio quel pomeriggio. Queste 5, brevi parole, che molti anni prima l’avevano resa la donna più felice della Terra, ora avevano portato con sé solo altro dolore, altra disperazione. Benché si ritenesse spregevole, non riusciva a provare gioia.

Si sfiorò il ventre. Eccolo, il suo ultimo regalo, prima di andarsene, ancora una volta, forse per sempre. L’aveva lasciata sola spesso, non riusciva più neanche a ricordare quanto a lungo. Ma l’aveva sempre amato, l’aveva perdonato e, quando tornava, per lei era come innamorarsi di nuovo.

Ma ora… Non sarebbe stata più la sola a dover capire, perdonare, amare. Dentro di lei cresceva una vita che ben presto avrebbe chiesto perché suo padre non era lì con loro. E cosa avrebbe risposto lei? Perché non ci voleva bene.

Non era vero, lo sapeva benissimo. Lui l’amava, glielo aveva letto molte volte negli occhi, quando, stesi sul letto, stavano ore ed ore abbracciati, fissandosi, mai sazi l’uno dell’altra. E amava Gohan. Di certo non era stato quel che si definisce un padre esemplare, ma voleva bene a suo figlio, era orgoglioso di lui e, ogni volta che era in pericolo, anche se non lo dava a vedere, soffriva. Ma allora, cosa avrebbe dovuto rispondere?

Sentì qualcosa di caldo e umido scorrerle lungo una guancia; lasciò che la lacrima solitaria percorresse la lunghezza del suo viso e si infrangesse sul davanzale. Alzò gli occhi lacrimosi e osservò la luna come se potesse darle delle risposte, come se potesse restituirle ciò che le era stato strappato.

 

“Perché, Goku?” chiese semplicemente.

 

Un fruscio, dietro di lei, impercettibile ad altre orecchie che non fossero le sue. Ma lei aveva amato quel suono dalla prima volta che aveva visto colui che lo produceva, aveva imparato ad attenderlo con ansia, nelle notti passate sola abbracciata al cuscino, e lo avrebbe riconosciuto fra mille perché per lei era il suono più bello che potesse sperare di udire e portava speranza, gioia, amore.

Sorrise. Un sorriso amaro, il suo.

“Che ci fai, qui? Non dovresti essere nell’aldilà ad allenarti?”. Aveva calcato volutamente sull’ultima parola. Il suo tono poteva essere quello che usava per chiedere a Gohan perché non stava studiando. Voleva essere come quando lui era lì: ironica, pungente, severa. Ma non le riuscì. Dalle sue parole traspariva solo amarezza e dolore.

Non si era voltata: non voleva scoprire se era un sogno oppure no. Voleva solo continuare a vivere quel momento. Sentì ancora i passi, sempre più vicini. Poco dopo due braccia la cinsero in vita, stringendola al corpo che amava, che avrebbe voluto restasse sempre lì con lei.

 

“Perdonami!”. Le sue labbra si erano avvicinate a quelle di lei e avevano sussurrato quella piccola ma grande parola nell’orecchio. Sentì le lacrime che minacciavano di uscire completamente dai suoi occhi e serrò ancora di più le palpebre.

 

“Dimmi perché” chiese con voce tremante, semplicemente. Doveva assolutamente sapere.

 

Udì un sospiro e la presa farsi più forte. “Lo sai che ti amo” disse lui.

“E allora” disse, ormai pericolosamente vicina al pianto. “perché non rimani qui? Perché te ne vai, sempre, mi lasci sola, preferisci allenarti, anche lontano dalla Terra… non ti importa di quanto sto male, non puoi capire…”. Stava ormai singhiozzando. Si voltò verso di lui, senza guardarlo negli occhi e seppellì il viso nella tuta arancione che indossava sempre.

 

Lui non la interruppe. Quando si voltò, l’abbracciò ancora più stretta, accarezzandole i capelli ma non parlò. “L’ho fatto per te e per Gohan” disse infine.

 

Dalla bocca di lei uscì un piccolo sbuffo.  “Non potevi inventarti una scusa migliore?”

 

Lo sentì ridacchiare. “Questa è la mia Chichi” disse. “Ironica e combattiva. Come posso non amarti?”

“Guarda che non sto scherzando!” replicò lei.

 

Finalmente trovò coraggio e alzò lo sguardo. I suoi occhi incontrarono quelli di lui: neri, profondi, caldi. Erano giocosi, come sempre: era una caratteristica che li contraddistingueva, era ciò per cui si era innamorata. Subito, però, si fecero seri.

 

“Come puoi avere il coraggio di dire che l’hai fatto per noi? Ci hai lasciato qui, da soli e non puoi neanche immaginare quanto stiamo male. Gohan non parla da giorni, si sente responsabile per la tua scomparsa. E io… hai mai pensato a me qualche volta, Son Goku? Non riesci a capire quanto ti ami, quanto mi manchi quando non ci sei… e ora mi hai lasciato anche questo!”. Afferrò la mano di lui e la fece poggiare sul proprio ventre. Era calda.

 

“Lo so” rispose lui, senza staccare la mano. “Credimi, Chichi, sto male anche io. So che ti è difficile credermi ma quando non ci sei provo dolore almeno quanto te. Ma cerca di capire”. Prese un profondo respiro, la strinse ancora di più a sé e cominciò.

“Come sai non sono stato io a sconfiggere Cell, ma nostro figlio. Lui era diventato più potente di me e me n’ero accorto da tempo. Così ho voluto combattere per primo, misurarmi con lui e poi far andare avanti Gohan. Non avevo i minimo dubbio che sarebbe riuscito a sconfiggerlo, così l’ho incitato a prendere il mio posto, combattendo contro un mostro che non ci avrebbe pensato due volte prima di eliminarlo. Capisci? Ero sicuro che lui volesse combattere e ho fatto di tutto per fornirgli un’occasione. Ma non ho considerato una cosa fondamentale” la sua voce si spezzò. Chichi guardò verso di lui e non riuscì a credere a ciò che vedeva: i suoi occhi erano lucidi, tratteneva a fatica le lacrime.

 

“Gohan non è come me” riprese lui dopo un momento. “Lui non ha mai voluto combattere e non avrà mai la mia stessa passione. Lui vuole essere come te: dolce, gentile, intelligente, non un guerriero rozzo e dedito solo al combattere. E io questo non l’ho capito. Me lo ha dovuto dire Junior. Junior, capisci? Una persona che sì, è stata il suo maestro, ma ha passato insieme a Gohan soltanto un anno, tanto tempo fa. Eppure lui conosce mio figlio più di me, ha capito cosa c’è nel suo cuore, mentre io sono sempre stato troppo stupido e orgoglioso per vedere”.

 

Sospirò nuovamente. Poi ricominciò, con più convinzione. “Per questo mi sto allenando. Voglio fare qualcosa per lui, visto che non sono stato un buon padre. Voglio diventare più forte di lui, imbattibile, così che, se si ripresenterà un nuovo pericolo, non dovrà più combattere al mio posto. Potrà fare quello che vuole, non lo esporrò più a nessun pericolo. E tu, amore mio” le sorrise dolcemente. “non dovrai più stare in ansia per lui. Non dovrai più vederlo partire e rischiare la vita”.

 

Chichi lo fissò. Le lacrime si erano fermate ed ora restava solo uno strano sentimento. Poteva essere commozione o forse… orgoglio. Sì. Orgoglio per aver sposato l’uomo che stava in piedi davanti a lei. Ricambiò il sorriso che lui le rivolgeva e posò la propria guancia sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalle sue forti braccia.

 

“Ti sbagli, sai?” disse dopo qualche minuto.

“Come?” chiese lui.

“Gohan non odia combattere. Semplicemente è un bambino un po’ timido, che non ama la guerra. Ma ama te. Sei il suo eroe e non posso immaginare una persona a cui voglia più bene. Non pensare di essere un pessimo padre per lui, perché se sapesse che credi questo ci rimarrebbe molto male. Penso che nostro figlio sia una persona straordinaria e che non sarà mai completamente un combattente, come vuoi tu, o uno studioso, come voglio io. Sarà entrambi perché più di ogni altra cosa vuole vederci fieri di lui. E come potremmo non esserlo?”

“Certo” rispose lui ridendo. “D’altra parte è figlio tuo!”

“No” lo corresse lei. “È figlio nostro”.

 

Rimasero abbracciati ancora qualche minuto, cullandosi. Alla fine la voce di lei arrivò per interrompere quel momento idilliaco che, entrambi lo sapevano, non sarebbe potuto durare in eterno.

 

“Devi andare vero?”. Lui annuì.

 “Il tempo che posso passare qui è quasi scaduto. Ma dovevo vederti. Dovevo spiegarti. Dovevo dirti, una volta di più, che ti amo”.

“Ti amo anche io” rispose Chichi, sciogliendosi dal suo abbraccio.

 

Lui si voltò e si diresse a passi lenti e silenziosi verso la porta.

 

“Aspetta” chiamò lei. “Un’ultima cosa”. Gli si avvicinò e accostò il suo viso a quello di lui.

“Tornerai?”

 

Lui alzò una mano e la passò sulla guancia di lei, per poi avvicinarsi all’orecchio e riavviarle i capelli sciolti. Poi avvicinò le labbra e le donò un ultimo, breve bacio, dolce e amaro al tempo stesso. Interrupe quel contatto e poi lasciò scivolare la mano, ancora una volta, sul ventre di lei.

 

“Chiamalo Goten” disse semplicemente. Poi si voltò e si incamminò verso la porta. Un attimo dopo era sparito.

 

Chichi avanzò verso il letto, suo e di Goku, scostò il lenzuolo e vi si sdraiò. Guardò verso il soffitto e sorrise. Ora sapeva cosa avrebbe dovuto rispondere al piccolo nascituro. Perché ci amava sopra ogni altra cosa al mondo.

 

E se le avesse chiesto se sarebbe tornato, non avrebbe avuto dubbi sulla risposta. Sì. Tornerà.

 

  
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