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Autore: myheartwillgoon    04/09/2013    6 recensioni
Tutto iniziò con una vacanza... Da sola, a Dublino
La famiglia che la ospita diventa la sua seconda casa. Marito e moglie con due figli adorabili.
Uno scontro con un uomo al parco la condiziona nel profondo.
Una serie di coincidenze li riporta a rincontrarsi.
Un incidente e tutto va a rotoli.
L'odio che prova è grande, ma riuscirà a resistere al suo cuore?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 8 Fobia


«Be’ che ci fai lì sulla porta? Entra. »
   «Oh, grazie. Scusa se non ti ho avvisato che sarei arrivato in anticipo, torna pure a vestirti...» Tossicchiò, guardando in basso.
   Mi venne un orribile presentimento, abbassai lo sguardo verso terra.
   Merda. Nella fretta avevo dimenticato di indossare i jeans.
   Feci una risatina imbarazzata e corsi su per le scale, rintanandomi in camera, sperando di essermi immaginata tutto. Socchiusi la porta e intravidi Danny all’ingresso. No, era successo davvero. Perché dovevo essere sempre così dannatamente sbadata?
   Presi un paio di pantaloni dall’armadio, li infilai e mi soffermai nuovamente sulla porta a osservarlo di nascosto, mentre stava a naso all’insù e contemplava le fotografie appese. Si grattò il naso e starnutì e non potetti fare a meno di notare quanto fosse dolce il suo viso candido e con quella espressione malinconica che sembrava sempre avere. Sospirai e mi appoggiai alla parete. Perché mi comportavo così? Avrei dovuto odiarlo o perlomeno essere infastidita dalla sua presenza e invece niente. Be’ il problema era che avrei dovuto per forza parlargli di quello che era successo, ma non sapevo come.
   «Anna, posso entrare?» disse una vocina da dietro la porta.
   Mi ridestai e aprii a Cleo. «Scusa tesoro, entra che finisco di sistemarti i capelli.»
   Le infilai due mollette e presi la borsa. Avevo il cuore a mille e le mani sudate. Odiavo la mia maledetta ansia.
   «Possiamo andare» dissi. Chiusi la porta a chiave e presi per mano Cleo. Danny fece salire sulle sue spalle Nick che rideva felice.
   Aspettammo il bus per alcuni minuti, passati in assoluto silenzio. Sentivo la tensione stringermi lo stomaco, ma gli altri erano tranquilli, come se fossi io l’unica pazza.
   Salimmo sul mezzo. Nick ci trascinò al piano superiore scoperto. Mi sedetti vicino a Danny, subito dietro ai bambini. Infilai gli auricolari e accesi l’iPod.
   Notai che le case erano costruite sempre più vicine man mano che ci avvicinavamo al centro. Adoravo le villette a schiera nonostante fossero tutte appiccicate tra di loro e assolutamente identiche. Avevano un non so che di romantico e accogliente che probabilmente altri avrebbero considerato mancanza di privacy e silenzio.
   «Hai una bellissima voce, sai?»
   Mi girai verso Danny, con un’espressione stupita. Aveva lo sguardo fisso avanti e ripeté quello che aveva appena detto, voltandosi e sorridendomi. Venni investita dal calore di suoi occhi, così dolci e così espressivi da far venire il capogiro. Mi tornò in mente perché mi ero innamorata di lui dalla prima volta che lo avevo visto. Quel suo sguardo così carico di emozioni, quel suo sorriso, il più bello del mondo e il modo in cui riusciva a ucciderti senza toccarti mi facevano andare nel pallone.
   «Cosa dici?» gli chiesi, togliendomi le cuffie.
   «Stavo dicendo che hai una bella voce quando canti.»
   «Ah... e come fai a saperlo?»
   Scoppiò a ridere. «Perché è da quando siamo saliti che stai canticchiando. Devo dire che Science and Faith è quasi più bella sentita cantare da te, che da me.»
   Merda. Non potevo per un giorno ascoltare qualcun altro che non fossero i The Script? A ripensarci mi aveva appena fatto un complimento. O forse era solo un modo galante per dirmi di smettere di cantare le sue canzoni?
 

Danny sentiva bisbigliare qualcosa alla sua destra ma pensò che fosse solo uno scherzo del vento. Il suono, tuttavia, persisteva e sembrava diventare una melodia. Si voltò quanto bastava per vedere le labbra di Anna muoversi impercettibilmente. Riconobbe il testo di “For The First Time”, seguito da “Nothing”, “Science and Faith”, una dopo l’altra. Guardò il suo volto, aveva un’espressione rilassata, gli occhi socchiusi, l’aria che le scompigliava i capelli dorati.
   Tornò a osservare le persone che camminavano sui marciapiedi, i bambini che giocavano a pallone, mentre una ferita si riapriva nel suo petto. Le sue canzoni, chissà se sarebbe più riuscito a fare emozionare la gente con la sua voce o se avrebbe dovuto lasciare il gruppo, sconfitto. Aveva provato a intonare qualcosa dopo l’incidente, quando la voce era tornata, ma non riusciva più a raggiungere le note che lo distinguevano. Certo, alcune melodie non richiedevano grandi sforzi, ma non poteva fare a meno di mettersi a piangere ogni volta che la voce si strozzava in gola, lasciandolo muto.
   Portò una mano al petto, là dove stavano le sue collane portafortuna. Poteva sembrare una cosa stupida, ma gli ricordavano i numerosi rosari che possedeva suo padre. Era estremamente devoto e trasmetteva a chiunque il suo credo. Anche Danny lo era stato per molto tempo finché Shay non li aveva lasciati, poi la magia di Dio se n’era andata miseramente, lasciando solo un gran vuoto. Si era stancato di sentir dire che qualcuno sceglieva di far morire bambini e persone innocenti “perché se l’erano meritato”. Non era più un bambino.
 

Fu davanti al Trinity College che lasciammo il bus per prenderne subito un altro, e di seguito altri tre. Quando arrivammo allo zoo era passata almeno un’ora, ma l’ansia continuava a perseguitarmi. Alla biglietteria Danny mi precedette, insistendo per offrirci il biglietto d’entrata. I bimbi lo ringraziarono in coro e io feci lo stesso. Il luogo era abbastanza affollato quindi decisi di fissare un punto d’incontro nel caso ci fossimo persi. I bambini presero una cartina del parco e ci fecero da guida. Ne presi una anche io e notai con orrore che era presente, all’interno del parco, anche un reparto degli insetti, con un’esposizione temporanea di aracnidi tropicali. Mi vennero i brividi anche solo a pensarci.
   Passammo davanti a numerosi recinti, soffermandoci a leggere le caratteristiche di ogni animale. Danny si dimostrava sempre più disponibile ad ascoltare tutto quello che i bambini dicevano riguardo a leoni, tigri, nonostante fossero perlopiù storielle inventate.
   Io e Danny parlavamo poco, del più e del meno. Presi coraggio e decisi che più aspettavo, più sapevo che non gli avrei detto nulla sulla nostra discussione. Mi concentrai, cercando le parole giuste per iniziare.
   Non facevo caso a dove camminavo così andai a sbattere contro una donna che si girò stizzita. Appena mi vide, però, sembrò calmarsi.
   «Mi scusi, non l’avevo vista... » dissi mortificata.
   «Nessun problema, quando si sta con la propria famiglia non si fa caso a chi ci sta intorno.»
   O la mia salute mentale stava davvero peggiorando, o quella donna pensava davvero che Danny fosse mio marito e Cleo e Nick i miei figli? Va bene che non ero lontana dai vent’anni, ma non mi sembrava di apparire così adulta.
   Le sorrisi nervosa e passai oltre.
   Tornando al fianco di Danny, gli chiesi quanti anni mi avrebbe dato.
   «Non più di venti. Perché?»
   «Quella donna contro cui mi sono scontrata ti ha preso per mio marito e queste pesti per i miei figli! Cleo ha quasi dieci anni, non dirmi che sembra che io ne abbia dieci in più di quanti ne ho!» Poi mi ricordai che lui ne aveva molti più di me. «Senza offesa per te!»
   Danny scoppiò in una fragorosa risata, che mi coinvolse. «Tranquilla, so di essere decrepito ormai. E no, non sembri una trentenne.»
   «Grazie, mi serviva sentirtelo dire...»
   «Senti,» disse, tornando serio. «Voglio scusarmi con te per il modo in cui ti ho trattata. So che adesso starai pensando che sono uno stronzo opportunista perché non mi sono fatto sentire prima, ma la verità è che non ne avevo il coraggio... Questa storia della voce mi ha buttato a terra e non sapevo come fare per farmi perdonare.» Abbassò lo sguardo sui suoi piedi, calciando la ghiaia davanti a sé. «E sappi che mi dispiace molto per tua sorella... » concluse, senza alzare la testa.
   «Volevo iniziare io questo discorso ma per fortuna mi hai preceduto. Devo scusarmi anche io perché la mia reazione perché è stata un tantino esagerata, ma sono una persona impulsiva, non riesco proprio a frenarmi. E a me dispiace per tuo padre, so quanto ci tenevi.»
   Mi guardò e sorrise. I suoi occhi brillarono. Sapevo di essermi guadagnata la sua fiducia. «Ora siamo pari» annunciò divertito, «ma devi ancora dirmi cosa devo fare per essere perdonato.»
   «Mi basta un tuo bacio.» No, non potevo averlo detto veramente. Stupida boccaccia.
   Mi preparai a ricevere un sonoro “Mai e poi mai”, ma sentii solo le sue labbra umide poggiarsi alla mia guancia. Si allontanò di poco sfiorandomi l’orecchio con la bocca. Percepivo la barba ispida pizzicarmi la pelle. Ero bloccata, come una statua di gesso. Prese fiato.
   «Ricordati questo: una persona non muore fino a quando resta nel cuore di chi la ama.»

 
Quella ragazza aveva il potere di renderlo un’altra persona, il Danny che era, senza maschera. Nel momento in cui le aveva chiesto quel bacio aveva sentito il suo bisogno di essere accettata, la paura di essere respinta. Si era chinato, inumidendo le labbra. La sua pelle morbida aveva accolto quel gesto come se fosse l’unica cosa che contava.
   «Andiamo?» le disse, ridestandola da quello stato di intontimento. «Altrimenti perdiamo i bambini.»
   «Sì, certo. Grazie.»

 
Non ci potevo credere. Danny, Daniel O’Donoghue mi aveva dato un bacio. In quell’istante realizzai di essere la persona più fortunata sulla Terra, almeno dal mio punto di vista. Pensai alla sera, quando avrei detto tutto alla mia migliore amica, facendola schiattare d’invidia.
   Raggiunti Cleo e Nick, il secondo disse una cosa che mi fece gelare il sangue. Voleva andare a vedere gli insetti. Non sapevo se mettermi a urlare o piangere. Provavo ribrezzo per quelle creaturine e una paura irrazionale verso i ragni. Non potevo farci niente, appena ne vedevo uno stavo male. Pensai che Nick mi avrebbe fatto morire prima o poi, sembrava scovare ogni mio punto debole, rigirando la lama nella ferita.
   «D... D’accordo» dissi, dopotutto non potevo negarglielo.
   Ci avviammo nell’edificio dove regnava un caldo infernale.
   «E così, hai paura dei ragni...»
   Ma coma aveva fatto a capirlo? Annuii.
   «È semplice da capire. Appena ha indicato l’insettario sei impallidita e considerato che l’aracnofobia è la paura più diffusa ho fatto uno più uno.»
   Deglutii. Mi sentivo davvero male.
   «Se hai bisogno aggrappati pure al mio braccio.»
   «Ok, grazie infinite.» Ma nemmeno lui riusciva a calmarmi, non completamente.
   Entrammo in quella che sembrava una specie di serra. L’aria era irrespirabile. Mi girava la testa e l’umidità era talmente elevata da farmi sudare.
   Alcune farfalle svolazzavano sopra le nostre teste, mentre gli altri insetti erano rinchiusi in gigantesche teche di vetro. Abbassai lo sguardo e lo tenni fisso sul sentiero di terra battuta. L’ambiente circostante era rigoglioso e in ogni singolo angolo cresceva qualche pianta tropicale che non avevo mai visto. Arrivammo alla fine della serra dove, sopra una porta, c’era un’insegna che indicava la mostra degli aracnidi. Era arrivato il momento della verità. Sarei morta dentro o sarei stata trasportata fuori in ambulanza? Tremavo come una foglia scossa dal vento, le gocce di sudore che mi scorrevano lungo la schiena. Ok, decisamente sarei morta.
   Danny mi prese per mano. «Coraggio, ci sono qua io.»
   Annuii riluttante. La sua presa era salda ma allo stesso tempo delicata e mi infuse una minima quantità di coraggio.
   La stanza seguente era un luogo abbastanza scuro e la luce proveniva solamente dalle teche brulicanti di esseri mostruosi. Provai ad avvicinarmi a una di quelle, dove si erano fermati i bambini. Alzai lo sguardo giusto un attimo e incontrai quello di una grossa tarantola, con una macchia gialla sul dorso. I suoi occhietti neri mi fissavano come se fossi una sua preda. Soffocai un urlo e mi avvinghiai al braccio di Danny, come una bambina impaurita.
   Lui mi prese la testa e la appoggiò al suo petto, ripetendo alcune parole per distrarmi e aiutarmi a calmarmi. Respirai a fondo il suo aroma, un insieme di sapone e costoso profumo maschile. Chiusi gli occhi e lui mi guidò fuori. Ci sedemmo su una panchina. I piccoli mi si avvicinarono chiedendomi se stessi bene e io sorrisi per evitare che si preoccupassero.
   «Scusa per la mia reazione, ma non riesco proprio a farci nulla...» dissi.
   «Non devi scusarti. Se fossimo entrati in un rettilario probabilmente mi avresti visto avere la tua identica reazione.» Rise. «Solo che vederne uno come me che va in panico per alcuni serpenti e strilla non è una bella scena.»
   «D’accoro, forse è meglio non entrarci allora» constatai, immaginandomi la scena. L’orologio del parco suonò. Dovevamo proprio tornare a casa, si stava facendo tardi.
   Una volta lì presi le chiavi e aprii la porta, lasciando passare i due piccoli uragani, che si fiondarono sul divano.
   Mi fermai sull’uscio e chiesi a Danny se volesse entrare per bere qualcosa.
   «Grazie per l’invito ma devo proprio scappare. Se un giorno di questi ti va di fare un giro per Dublino potrei accompagnarti» disse lui, con un tono normalissimo.
   Io, invece cominciai ad arrossire. «Certamente, chiedo il numero ad Alisha!» balbettai, stringendo tra le mani che chiavi fino a farmi male.
   «Perfetto. Be’ allora io vado.» Si avvicinò e mi diede un altro bacio sulla guancia. Questa volta non feci nemmeno in tempo ad accorgermene che lui già mi salutava con la mano dall’altra parte della strada. Alzai anche io la mia e poi richiusi la porta. Sospirai e corsi in camera.

 
Decise di tornarsene a casa a piedi, almeno avrebbe avuto il tempo di riflettere. Era stata una giornata intensa. Ogni passo che faceva i suoi piedi imploravano pietà ma non li ascoltò. Rivisse nella sua mente tutta la giornata, assaporandosi ogni attimo. Rivide davanti a sé Anna che rincorreva i bambini, senza abbandonare mai quel sorriso che la rendeva ancora più bella. Pensò che forse era merito del fatto che fosse italiana. Dopotutto gli italiani erano famosi in tutto il mondo per essere sempre di buon umore.
   Si toccò il braccio destro e gli parve di sentirla ancora aggrappata, impietrita dalla paura. Sorrise e percepì la sua pelle vellutata sotto le labbra. Come poteva stare con lui dopo tutto quello che le aveva fatto?

 
Aspettò che il cellulare squillasse due volte e poi dall’altro capo rispose la voce squillante della sua migliore amica.
   «Anna, sei ancora viva? Era ora di farsi sentire!»
   «Ciao Eli, scusami se non ti ho più chiamata!» dissi, cercando di scusarmi, ero davvero un’amica pessima.
   «Ok, falla finita» tagliò corto lei. Non era una permalosa. «Raccontami tutto.»
   «Cosa pensi se ti dico: Danny O’Donoghue?»
   «Penso all’uomo più figo della Terra! Cosa diavolo è successo? Guarda che se lo hai visto nud...»
   La bloccai. Era sempre stata una persona senza peli sulla lingua. «Ti avevo detto che lo avevo incontrato al parco e che era stato uno stronzo e blablabla. L’ho incontrato ancora, alla sala di registrazione di Chris, il mio papà inglese, e non mi ha rivolto la parola!»
   Elisabetta mi interruppe. «Quanto tempo fa è successo?»
   «Non mi ricordo. Più di due settimane fa.»
   «E ci credo che era scontroso. La sua tipa l’ha lasciato! L’ha scritto persino su Twitter!»
   Fu come una doccia fredda. «Non lo sapevo...»
   «Comunque, vai avanti, voglio sapere cos’è successo.»
   «Lo stesso giorno ha avuto un incidente in auto e ha rischiato di morire...»
   Elisabetta si mise a urlare, distruggendomi il timpano sinistro. «Cosa è successo? Ecco perché non hanno più scritto niente da quel giorno. Oddio, come sta adesso? Ti prego dimmi bene.»
   Preferii evitare di dirle della voce di Danny. «Sta bene. Oggi, e adesso arriva la bella notizia, ha accompagnato me e i figli della famiglia che mi ospita allo zoo.»
   «Vuoi dire che hai passato una giornata intera con lui?! Se fossi lì probabilmente ti ammazzerei!»
   Scoppiai a ridere. «E mi ha dato anche due baci sulle guance.»
   Dall’altra parte della cornetta Elisabetta cominciò a insultarsi, maledicendosi per non essere lì con me.
   In quel momento pensai a Danny.
  
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