Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: sallythecountess    04/09/2013    1 recensioni
A qualche anno dal loro "matrimonio-non matrimonio" i due immaturi, irresponsabili e egomaniaci ritornano a far danni. Questa volta, tra bambini, baci saffici, sbronze con ottuagenari e liti familiari, si ritroveranno a fare i conti con un problema ben più serio: diventare adulti.
Ricordo a tutti che questa storia è il sequel di "La ragazza di Tokyo" che potete leggere qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3886156&i=1
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'La ragazza di Tokyo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 18: tre donne.

 

“Ah sei qua...complimenti!”

Gli gridò una voce, e lui ci rimase di stucco. Diciamo che il tono acido che aveva usato, se lo sarebbe aspettato da qualunque voce, ma non da quella. Eppure la voce continuò “...bell'infame che sei! Trattarla in quel modo e poi, magari, pretendere anche di dormire con lei. Ben ti sta, ti auguro di dormire sempre sul divano...certo, se questo non facesse male a quella poverina...”

Lor era di spalle, ma continuava a non capire che diavolo c'entrasse Ava nella sua lite con Alice. Era in cucina, cercava di sfogare la sua frustrazione, e per un po' ci era anche riuscito. Sì, era riuscito a distrarsi e a non pensare a lei, a quella lei che stava per scappare così lontano, eppure l'arrivo di Ava l'aveva spinto di nuovo nel baratro delle sue considerazioni.

Ora, cercate di capirlo: Lor era innamorato e pronto ad avere una famiglia. S'immaginava già a fare il padre, con la sua dolce sposa gentile accanto e ora...beh scopriva un lato di Alice che non era né dolce, né gentile. Si girò di scatto, come per volerla aggredire, ma immediatamente scoprì qual era la causa del suo arrivo in cucina: il piccolo Morice pendeva letteralmente dal collo della mamma, sveglio e apparentemente affamato. Quei piccoli occhi lo spinsero a sorridere, e Ava si accorse della sua tristezza, ma decise di continuare a parlargli, seppure con un tono più pacato. Si avvicinò alla cucina per preparare il latte, gesto che lui aveva fatto miliardi di volte, e gli porse Morice. Lor lo prese ben volentieri, anche se faceva molto male tenerlo tra le braccia, ora che lei desiderava solo scappare via da lui.

Quante volte avevano passato la notte insieme svegli, a giocare e a raccontare favole a quel cucciolo? Lui era sempre lì, al centro del letto, pronto ad ascoltare o accarezzare l'uno o l'altro. Morice era, un po', anche il loro bambino, e quante volte gli era successo di non poter distogliere lo sguardo da Alice che dormiva con Morice sul petto?

“Non è bello sapere che la persona che ami deve andare via, ma...”

“Deve?”sussurrò Lor, senza rabbia, solo con mesta rassegnazione. “Veramente vuole andare via. Niente la costringe a farlo...”

“Lor” aggiunse Ava, con un atteggiamento molto diverso: non era più aggressiva, ma determinata e gentile. “Alice deve tentare, e lo sai quanto me. Se non lo facesse, se rinunciasse solo per te, prima o poi se ne pentirebbe amaramente. E tu lo sai. Sai che prima o poi ti incolperebbe di averle tarpato le ali più volte e questo certamente non fa bene ai rapporti.”

“Io non la tengo mica legata... se ne può andare dove vuole”rispose, con un tono poco convincente, mentre le sue dita si arrotolavano intorno ai riccioli di Morice. Fu allora che Ava commise un enorme errore, che provocò l'ira di Lor.

Lui era convinto che Alice stesse bene in qualunque posto, purchè fossero insieme. Sapeva che le mancava casa sua, ma non credeva che fosse una cosa tanto grave da pregiudicare il loro amore, ma quando Ava gli raccontò della loro chiacchierata di qualche settimana prima, lui impazzì.

“Mi stai dicendo che Alice medita di lasciarmi da settimane? Forse mesi?”

Ava capì immediatamente di aver detto la cosa sbagliata, e provò a sistemare la situazione, ma non ci riuscì. Voleva solo dargli un consiglio, fargli capire che Alice già soffriva facendo la brava casalinga francese, ma non ci riuscì e anzi, scatenò un putiferio.

Adesso Lor era realmente ferito. Adesso sapeva che lei stava aspettando solo l'occasione giusta per scappare e lasciarlo, e il suo cuore si richiuse come un riccio: non l'avrebbe mai più amata e neanche trattenuta. Per lui era finita definitivamente. Ora vedeva le cose in un'altra ottica:Alice aveva colto la palla al balzo. Probabilmente non era capace di lasciarlo, magari si sentiva in colpa, e così aveva approfittato della situazione per far ricadere tutte le colpe su di lui. Certo era furba. Sconvolto consegnò Morice a sua madre e le ringhiò “dille che deve andarsene. E non parlo del Giappone, ma di questa casa. Dille che non voglio vederla mai più.”

Ava sconvolta sussurrò “Lor riflettici: davvero vuoi farle questo?” Sapeva di essere lei la colpevole, e sapeva di aver portato alla rottura una coppia in crisi, e non sapeva come fare per rimediare. Lor, però, con fare algido e rigido, ringhiò “hai ragione...” corse al tavolo, strappò un pezzetto di carta dalla sua agenda, scrisse due righe e poi lo ripiegò e andò via.

Ava rimase talmente immersa nelle sue considerazioni da non accorgersi che il latte era giunto ad ebollizione, ed ora si riversava copioso su tutto il piano cottura. Morice non sapeva bene cosa aveva visto, non sapeva cosa stesse succedendo, ma sussurrò “mamma...”e Ava riuscì a tornare alla realtà e a ricordarsi del latte.

Doveva parlarle, dirle che Lor sapeva di quella loro chiacchierata, ma non sapeva quando o come farlo e poi sentì qualcosa di strano che quasi la spaventò. Qualcuno che scendeva velocemente le scale e sbatteva la porta. Era lui? Stava andando via? E come poteva lei fermarlo? Si decise: doveva parlare con Matias del disastro che aveva combinato, ma salendo le scale incontrò qualcuno che la sorprese. Alice, con i capelli in disordine, gli occhi gonfi e le ultime lacrime ancora sulle guance, si sorprese molto nel vedersi davanti la mamma e il bambino.

“L'hai visto? E' uscito?”

“Sì...almeno ho sentito la porta...”

Alice annuì senza parlare, e si accostò alla finestra per cercare la sua macchina.

“E' colpa mia Ali. Sono stata io a dirgli che tu...che già soffrivi per aver lasciato la fumetteria. E' stato allora che è esploso e ti giuro che farò qualsiasi cosa per farlo ragionare.”

Per un attimo Alice pensò di prenderla a schiaffi, ma poi la guardò e un moto di compassione l'avvolse: Ava aveva un pancione enorme e un ragazzino in braccio, tremava e i suoi occhi erano pieni di lacrime.

“Che...che cosa gli hai detto?”sussurrò piano, vergognandosi di quel desiderio di vedetta nei confronti di quella mamma così fragile e emotiva, e Ava singhiozzando le disse tutto. Si sedettero sulle scale come due sorelle, e Alice le tolse di dosso Matias addormentato. Ascoltò tutto con attenzione, pensando solo “ma perchè glielo hai detto?” E poi, quando Ava finì le prese la mano e sussurrò “era quello che aspettava. La scusa perfetta per lasciarmi.”

Ava si portò di nuovo la mano alla bocca, ma Alice non pianse, non era triste, ma furiosa.

“Sapeva tutto quello che gli hai detto, sono stata io a dirglielo prima di te, quindi tranquilla. Sai di cosa si è sentito in diritto di accusarmi? Di aver parlato alle sue spalle...”

Un moto d'ira percorse Ava, ma Alice con calma rassegnazione rispose “si vede che era giunta la fine. Se ci pensi le occasioni per chiudere le abbiamo avute, e sono state anche tante. Una coppia che litiga in questo modo, così spesso, non è destinata a fare nulla.”

Era tremendo dire quelle cose, sembrava quasi che non fosse lei a dirle. Sembrava quasi che stesse parlando di uno dei suoi personaggi, ma non era così.

“...quindi va' a letto tranquilla, perchè non hai distrutto niente. O meglio, niente che non fosse già a pezzi. Riposati o ci metti al mondo i gemelli troppo presto.”

“E tu che farai?”le chiese Ava confusa, ma Alice scosse le spalle e si portò una mano alla tasca. Strinse con forza quei piccoli lembi di carta nella mano, fino a conficcarsi le unghie nella carne per sentire dolore, perchè quello si meritava.

“...io aspetto fino a domani. Gli parlo e poi...se veramente vuole ciò che mi ha chiesto, lo accontenterò.”

Per un attimo rimasero in silenzio, senza sapere cosa dire, poi Alice aggiunse brusca “Buonanotte Ava, a domani”e questa rimase senza parole, guardandola andare via. Poi, girandosi di colpo concluse “...non stare in pena, non è successo nulla. O almeno...non hai colpe.”

Alice, però, non tornò nella sua stanza. Quelle pareti in cui avevano scherzato e fatto l'amore, sembravano crollarle addosso. No, ora aveva bisogno d'aria, di cielo e stelle, e così passò le ultime ore di quella notte in giardino.

“Dato che, a quanto pare, sono mesi che dici al mondo che vuoi lasciami alle mie spelle, ti chiedo di andartene. Torna nel paese che ami tanto, e trascorri lì i tuoi ultimi giorni prima del viaggio a Tokyo, con persone che sopportano ancora la tua vista.”

Era il biglietto più crudele e freddo che chiunque le avesse mai scritto, eppure per qualche motivo, lo trovava ridicolo. Surreale e ridicolo. Era così stupido lasciare una persona per quel motivo. Non c'erano veri margini di rottura, avrebbero potuto amarsi ancora per molto tempo, ma a quanto pare lui non voleva essere ragionevole. Si chiese se un po' di tempo l'avrebbe aiutato, e la risposta arrivò insieme alla luce del sole: avrebbe dovuto parlarci e poi andare via. Sì, avevano davvero bisogno di un po' di tempo lontani.

“Oh Alice, che sorpresa...”le Madame Dubois, colpita. Scendeva sempre intorno alle sei per la sua passeggiata nella vigna, ma quella mattina si era svegliata molto prima.

“Se n'è andato...”sussurrò, quasi come per dire “è per questo che sono qui a struggermi, è per questo che ho questi occhi da panda e questo aspetto orrendo”. Madame Diane, dolcemente si sedette accanto a lei e le rivolse uno sguardo che le ricordò molto quello di Lor, poi con un sorriso tenero aggiunse “oh bambina mia...devi capirlo...è un ragazzino. Dolce, tenero, affidabile, ma un ragazzino con le crisi d'abbandono.”

Un sorriso apparve sul volto di Alice, che mai e poi mai avrebbe potuto prevedere di avere Madame Diane dalla sua. Difendeva Lor a spada tratta contro tutto e tutti, ma stavolta sembrava riconoscere davvero i suoi limiti.

“...devi ammettere, però, che non ha tutti i torti.”Ecco, il sorriso si cancellò totalmente dal viso di Alice, che pensò solo “ed ecco che arriva la ramanzina!” Eppure non arrivò.

“Lor non è una persona che si affeziona facilmente, e tu lo sai. Frequenta da una vita sempre le stesse persone, e si è persino sposato col suo primo amore...”

“Ed è una cosa negativa?”chiese Alice confusa, ma Diane scosse la testa e aggiunse “no, ma ti fa capire quanto ha paura di essere ferito. Pensaci un attimo: quante persone amate ha perso nella sua vita?”

Ecco, adesso doveva sentirsi in colpa? Ma che razza di discorso le stava facendo questa donna? Ai rimase in silenzio, sprofondando nei dubbi, ma Diane parve non accorgersene.

“Vedi, ha solo paura che tu possa lasciarlo. Tutto qua. Dovreste riuscire a parlare da soli, con calma, e dovreste dirvi che vi amerete lo stesso. Digli che non smetterai di amarlo solo perchè c'è qualche continente di mezzo...”

Alice rise forte, ma non rispose. Non sapeva bene cosa dirgli. Aveva fatto la moglie dolce e gentile per troppo tempo, e non voleva mostrarsi ancora più debole, ma d'altro canto, rischiava di perderlo senza parlarci. E poi improvvisamente furono raggiunte da un'altra persona che si preparava a partire. Cristina accettò volentieri di fare quattro chiacchiere con loro, anche se in francese.

“E' così, è infantile. Pensa a tutte le sue reazioni nel vostro rapporto Ali.”

Ci fu un attimo di pausa, Madame Diane si alzò per prendere qualcosa e le due donne rimasero in silenzio.

“Ali...non buttare tutto. Se lui non vuole, non partire.”

“Questa poi! No, non è giusto. Se lei vuole, deve partire e se lui l'ama, come tutte crediamo, l'aspetterà.”

Alice e Cristina fissarono per un attimo Madame Diane un po' confuse: aveva sciolto i capelli, che ora volavano selvaggi al vento; portava tra le mani una bottiglia e il maglione si era abbassato e lasciava scoperta la spalla destra. Dava l'idea di essere quasi un cavallo selvaggio e le due donne si fissarono sconcertate. Alice neanche era certa di aver capito bene, data la sua conoscenza del francese.

“Ma sì, è così. Sapete quante persone si son dovute separare per colpa della guerra? Si sono lasciate, forse?”

Bell'argomento, ma Alice era troppo presa a fissare gli enormi calici che la donna stava riempiendo di una splendida sostanza dorata e spumeggiante. Poi, quando fu il momento giusto, mandò giù tutto d'un colpo.

“Insomma due persone si possono amare anche così, anche a distanza di chilometri, e non è mica detto che debbano separarsi.”

Poi, per un istante i suoi occhi si rabbuiarono e sussurrò “a me è successo. E ci amavamo molto.”

Alice e Cristina si fissarono: la bocca aperta e gli occhi spalancati esprimevano la loro sorpresa.

“Sì, mi è successo, e se lui non fosse morto ci saremmo sposati sicuramente...”

Altro enorme momento d'imbarazzo, ma Alice si chiese se lui lo sapesse.

“Insomma, se lei deve partire, che parta! Il loro è un legame stabile e durerà, vedrete. Non hanno mica sedici anni, per l'amor del cielo! E poi oggi ci sono miliardi di tecnologie e potreste chiamarvi e persino vedervi sempre.Provate a immaginare com'era una volta...”

“Ma Lor” sussurrò Cristina incerta “...sapete com'è fatto! Lo prenderà come un rifiuto, come un abbandono e non lo sopporterà. Insomma è come quando gli hai detto che non sapevi se volevi sposarti...è uguale.”

“Per niente!” Ribattè ridendo Madame Diane, con un tono e un'espressione che ricordò ad Alice Minerva Mcgranitt.

“E invece sì. Dimentichi che non ti ha lasciato neanche un secondo per pensare? Ha visto i tuoi dubbi come un no, e ha deciso di scappare per non soffrire, anche se stava morendo, e te lo posso giurare. Lui è fatto così: per paura di soffrire, s'infligge un dolore ancora più forte.”

Aggiunse Cristina costernata, e fu allora che Alice parlò, sconvolgendo entrambe. Raccontò del biglietto, delle difficoltà che avevano avuto negli ultimi mesi e persino del loro “odiato” soggiorno a Nevers. Questo, ovviamente, ferì Diane che però non lo prese come un insulto, anzi, si rammaricò di aver provocato tanta infelicità a quei suoi due ragazzi.

“...quindi il viaggio a Tokyo non è la nuvola a ciel sereno, diciamo che somiglia più alla goccia che fa traboccare il vaso. Solo che in questo caso non si tratta di un piccolo vaso, ma di un fiume gigantesco che sta straripando, travolgendoci.”

Fece un lungo attimo di pausa, poi sussurrò “credo che un momento di pausa possa aiutare entrambi. Credo che proverò a parlargli e poi...tornerò a Inverness.”

Le due donne quasi inorridirono, ma Alice aggiunse “...lascerò la porta aperta, sempre. Non chiuderò i canali di comunicazione, ma...dobbiamo ristabilire le nostre priorità prima di ritrovarci, è inevitabile direi.”

“Ti chiedo solo una cosa...”sussurrò Diane mestamente. Aveva ripreso a parlare in inglese, come per farsi capire, come per non lasciare dubbi.

“non fargli troppo male, bambina mia.”Aggiunse e Alice sorridendo rispose “non potrei farlo. Fargli del male è come farlo a me stessa...”

Le tre donne si separarono, allora. Alice decise di tornare nella sua stanza per provare a sistemare le cose. Cristina tornò dal suo uomo, dal padre del suo bambino e lo strinse forte contro al suo cuore, chiedendosi quando sarebbe capitato anche a lei. Diane, invece, decise di assumere un atteggiamento meno passivo: se aveva colpe in quella loro separazione, doveva assolutamente provare a rimediare. Così senza parlare, iniziò ad escogitare un piano per aiutare Lor, e qualche ora dopo convocò Matias nella sua stanza.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: sallythecountess