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Autore: Alex Wolf    04/09/2013    7 recensioni
Dal primo capitolo:
« Ma che cosa fai? Mettimi giù rampollo viziato!. »protestai nel mentre il mio sedere toccava il cuoio chiaro della sua sella.
« Quanto sei bisbetica. » borbottò salendo dietro di me e passando le sue mani attorno ai miei fianchi per prendere le redini.
« Togli quelle mani, guido io. » ringhiai afferrando d’impulso le redini e procurandomi una fitta alla spalla.
« Smettila. » mi riprese il principe scocciato levando le mie mani dalla giuda e riportandoci le sue. « E sta zitta. Hai già parlato troppo. » spronò il cavallo.
Risucchiai le guance e le labbra all’interno e le rilasciai andare con uno schiocco frustrato.
« Se dovrò viaggiare così, tanto vale che mi metta comoda. » borbottai appoggiando la mia schiena al suo torace e chiusi gli occhi. « Se ti metti a cantare qualche canzone in elfico ti strappo le labbra. » aggiunsi.
Non fatevi ingannare dalle apparenze, leggete e poi saprete dirmi che ne pensate ;)
Storia ispirata al film "la compagnia dell'anello"
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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When you let her go.  
 
 




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I primi giorni passarono, tranquilli, e la compagnia avanzò a passo regolare per tutto il tragitto. Il pomeriggio non mancavo mai di battibeccare con Bormir, come per esempio: il giorno successivo la nostra partenza si era divertito a svegliarmi gettandomi contro dell’acqua ghiacciata, ma l’aveva pagata ricevendo uno schiaffo e finendo a terra, sconfitto, dopo che mi aveva sfidato, ricevendo battute dai nostri compagni. Il giorno dopo l’avevo gettato, per sbaglio (si fa per dire), a terra con uno sgambetto. Da allora, nei giorni a seguire era stato un via vai di occhiatacce, frecciatine e sconfitte, sue.  La sera non mancavano le storie riguardanti le vite che tutti avevano vissuto prima di allora, e “il branco di deficienti”, come li avevo chiamati tempo prima, si divertivano a schernirsi fra loro con battutine, a volte sconce.  L’unico che tendeva a stare in disparte, sebbene non si staccasse da noi, mi sembrava Legolas. Ogni volta che mi voltavo e lo trovavo a fissarmi gli lanciavo occhiate inferocite in modo che si concentrasse sugli altri e non su di me. Altre volte, quando ero io a scrutarlo, l’osservavo, e studiavo il suo comportamento. Guardandolo allenarsi con l’arco avevo imparato a memoria i suoi movimenti, e ormai mi sembravano scontati come quelli di Boromir con la spada. Quando arrivò il turno dell’elfo, di raccontare la sua storia, lui si dilungò sulle sue origini, su Bosco Atro, e suo padre Thranduil e gli enormi cervi che sostavano nelle vicinanze del suo reame. Che noia, borbottai trattenendo uno sbadiglio, Persino i racconti della mia prof di matematica sono più eccitanti. E la mia prof parla di calcoli.
« Sembra un bel posto, per viverci », sorrise Gandalf.
« E lo è », rispose prontamente l’elfo, il viso illuminato dal falò.  Le fiamme danzavano sulla sua pelle, bianca e perfetta , come ballerine dolci e aggraziate. Gli occhi, quella sera , erano limpidi e azzurri più del solito. Le stelle erano su di loro, un riflesso incondizionato del tempo. I lunghi capelli biondi erano stati gettati dietro la schiena e chiusi in una treccia, per stare più comodo durante il sonno.  Bla, bla, bla, ma non succede mai nulla da queste parti?, gracchiò la voce di Boromir. Alzai la testa dal palmo su cui l’avevo poggiata e lo guardai. Lui se ne accorse e ricambiò lo sguardo, sfidandomi.
« Hai detto qualcosa? », indagai, sbattendo le palpebre.
 « Ehm… no. Perché?  », domandò allungandosi nella mia direzione. I capelli gli ricaddero sul collo, e sul volto quando ci passò una mano in mezzo. Uno stupido tentativo di abbordaggio.
Feci una smorfia disgustata e lo spinsi via, facendolo cadere sulla schiena.
 « Sei ridicolo. Stammi lontano », lo schernii alzandomi e andandomi a rifugiare tra Gimli e Aragorn. I due mi sorrisero e l’uomo mi circondò le spalle con un braccio, con fare fraterno. Sorrisi e lo guardai, lui ricambiò lo sguardo, ancora divertito dalla scena di pochi minuti prima.
 « La bambina sa come farsi rispettare », rise il nano, dandomi una pacca sul ginocchio fasciato dal pantalone di pelle.
« Lo puoi dire! », esclamò Pipino, saltando in piedi dal suo giaciglio. Lo fissammo tutti, sorpresi che fosse ancora sveglio.
« Non dovresti dormire? », borbottò Gandalf al mezz’uomo. La lunga barba era stata tramutata, da Legolas, a cui quella sera era presa la “passione del parrucchiere”, in una treccia. All’inizio Gandalf l’aveva allontanato, ma gli era bastato assopirsi pochi minuti che al suo risveglio la folta chioma grigia era stata intrecciata, con esperienza. Aveva tirato il bastone in testa al biondo qualche volta, mentre lo riprendeva, ma non aveva sfatto la treccia, “per pigrizia” aveva detto lui. A mio parere era perché gli piaceva.
« E’ una regola ingiusta! », protestò lo hobbit, congiungendo le braccia al petto indignato, « Voi potete stare alzati per quasi tutta la notte, e noi, ioooo, dovrei dormire per restare in forze?  » , borbottò il piccoletto,  « Tzé, sei proprio uno stolto se credi che lo farò! », imitò la voce del mago.  Trattenni a stento una risata divertita, ma Pipino se ne accorse e continuò il suo teatrino, smanioso di altre risate. « Io non farò mai quello che dici! Io sono un hobbit libero! Non puoi rinchiudermi in una stanza come un bambolaaaa! », Gandalf sospirò e si alzò brandendo il bastone. Con poche falcate lo raggiunse, nel suo tripudio di stoffa grigia e gli puntò contro l’oggetto a cui si poggiava, « Peregrino Tuc, che i Valar mi proteggano dalla tua stupidità! », gli inveì contro.
« Mai! Viva la libertà, viva i Tuc! », alzò la mano in un gesto di superiorità. Gandalf alzò gli occhi al cielo e gli tirò una bastonata sulla testa. Mi coprii la bocca, stupita e spaventata, quando vidi Pipino crollare a terra, tipo morto. Aragorn, accanto a me, s’irrigidì aspettando una risposta alla sua domanda “Perché l’hai fattooo?!”.
« Questo hobbit ha troppa voglia di sperimentare, per la sua razza. E poi ha la testa dura, al massimo domani mattina avrà un bernoccolo e, forse, un po’ di cervello in più », spiegò Gandalf, tornando a sedersi al suo posto vicino a Legolas.
Oh mio Dio, pensai soltanto, Sarà morto? Attendendo anche io una risposta, alla mia domanda mentale, spostai il braccio del re e gattonai fino al mezz’uomo, che non era lontano da me. Poggiai una mano davanti al suo naso e aspettai di sentirlo respirare, col fiato sospeso. Quando un piccolo getto d’aria si frantumò contro le mie dita lasciai uscire dalle labbra un sospiro di sollievo.
« E’ vivo, è vivo », tranquillizzai tutti. Mi sedetti sui talloni gettando all’indietro una ciocca di capelli, che mi era ricaduta sulla fronte. Chiusi gli occhi, per un attimo, per sentire un po’ di tranquillità, per avere un po’ di privacy, forse, e solo allora mi accorsi che la stanchezza mi attanagliava le palpebre. Riaprii gli occhi e mi portai una mano alla bocca, per sbadigliare.
« Stanca? », domandò Gimli, con un sorriso a trentadue denti. Annuii e mi alzai scrocchiando le nocche.
« Eh, certo. Le donne non sono fatte per restare alzate troppo a lungo… hanno bisogno di fare la nanna », rise Bormir. Tesi la mascella quando gli passai vicino e gli sferrai un calcio nello stinco, « Disse l’uomo che la sera cerca, ancora, il suo orsacchiotto », lo schernii continuando a camminare. Lui borbottò qualcosa che passò inosservato alle mie orecchie perché sovrastato dalla risata degli altri. Sorpassai il tronco su cui era seduto l’elfo e mi andai a sdraiare accanto a tutta la mia roba. Avevamo posizionato le coperte, su cui dormivamo, leggermente lontano dal falò, in modo che se qualcuno ci avesse attaccato non ci avrebbe trovato immediatamente. Io avevo poggiato al mia sotto le fronde di un albero secolare, dal quale provenivano i canti degli uccelli e dal quale riuscivo a sentire lo sfrigolio del fuoco contro il legno. Portai un braccio sotto la testa e chiusi gli occhi, mettendomi di lato. L’anello, nascosto sotto un guanto, mi sembrò tremolare appena, il tempo che riuscissi a chiudere gli occhi e addormentarmi.
 
Uncover di Zara Larsson mi rimbomba negli auricolari. La mia voce l’intona, come sempre. Sono intenta a cercare, su un sito di nomi elfici il mio e quando lo trovo sorrido divertita. “ Isil, non è male. Ricorda tanto Isildur”, penso contenta. Con la coda dell’occhio vedo cadere dal cielo una stella e esprimo immediatamente un desiderio. “ Voglio essere felice ”, grido nella mia mente, “ Voglio trovare il mio posto e voglio essere ricordata! ”, continuo. Poi la stella sparisce nel cielo, oltre la luna e al suo posto nascono dei fuochi d’artificio di tutti i tipi e colori. Pochi secondi dopo la pancia comincia a farmi male e la testa a girarmi. Mi aggrappo alla ringhiera di ferro del viale che da sulla spiaggia dove si sta svolgendo la festa di compleanno della mia sorellina, che stasera compie otto anni,  e chiudo gli occhi. Non ho bevuto. Cosa mi accade? Rafforzo la stretta sul ferro finché il dolore non finisce, e solo allora mi rilasso e riprendo a cantare. Quando mi accorgo che la ringhiera non è più sotto le mie mani apro gli occhi e mi ritrovo in un enorme salone. Molti occhi mi guardano, stupiti, incuriositi, ma solo un paio mi rapisce. Sono azzurri, come il mare, ma freddi, come il ghiaccio. Non riesco a capire di chi siano, chi sia quell’uomo, con una strana corona che mi ricorda le corna di un cervo ricoperte di foglie, che viene verso di me e fa un cenno a degli uomini  che si affrettano a puntarmi delle frecce contro. Una mi sfiora il braccio sinistro facendomi sobbalzare e borbottare contrariata. Un piccolo rivolo di sangue inzuppa la t-shirt grigia che porto. “Perfetto, grazie tante. Mi rimarrà la cicatrice”, ringhiò mentalmente, staccandomi le cuffie dalle orecchie e riponendo l’mp3 nella tasca posteriore dei jeans.
 
Mi svegliai di scatto e portai, d’istinto, una mano sulla spalla sinistra. Con impeto abbassai la spallina dell’indumento e controllai la pelle. Una piccola cicatrice la percorreva, risaltando  più bianca rispetto al resto della carnagione. Mi risistemai  e poi poggiai la schiena contro il tronco dell’albero che avevo dietro, aspettando che il respiro si regolarizzasse. Quando mi sentii meglio mi alzai, facendo attenzione a non svegliar gli altri, che si erano assopiti, poi mi diressi verso il falò e mi lasciai cadere su un tronco, portando le mani sulle guance, per sorreggere la faccia. Chissà cosa significava quel sogno. Non ero arrivata nella Terra di Mezzo in quel modo, ma secondo Elrond non era la prima volta che mettevo piede in quel regno… magari era un flash di un arrivo passato. Mi ritrovai a sorridere ripensando agli sguardi delle persone nel mio sogno. Certo, dovevo ammetterlo, avevo proprio un bel modo di entrare in scena.
« Cosa ci fai ancora alzata? », mi sorprese una voce nell’oscurità. Balzai subito in piedi e mi guardai intorno, colta alla sprovvista. Dalle fronde dell’albero più vicino comparve una figura alta e slanciata, con un arco in mano. Lasciai uscire dalle labbra un sospiro di sollievo e poi gettai gli occhi nei suoi.
« Ti sembra il modo di chiedermi qualcosa? », borbottai, attaccandolo. Legolas mi fissò, incuriosito e dispiaciuto, poi si accarezzò i capelli con fare distratto. Detesto quella treccia, mi dissi.
« Ti ho sentita », mi avvertì lui, divertito. Trassi un respiro profondo e poi incrociai le braccia sotto il petto, « Non. Non, curiosare nella mia testa  », sbottai silenziosamente, per non svegliare nessuno.
« Ehy, sei tu che pensi a voce alta », ribatté il ragazzo. Sbattei le palpebre, sorpresa dalla sua risposta pronta e non potei fare a meno di alzare furtivamente un angolo delle mie labbra. Legolas aveva appena ribattuto a una mia frase… stava acquistando coraggio, ma questo non gli permetteva di farmi venire gli infarti.
« Bhe, tu non ascoltare allora », lo zittii convinta, « E non farmi venire più gli infarti, principino! Come si fa a chiedere a una ragazza perché è ancora sveglia nascosto su un albero? Prima di ricevere una risposta, probabilmente, lei urlerà e ti inveirà contro! »
« Tu però non hai urlato », osservò lui giocando con la corda dell’arco.
« Già, ma solo perché già pensavo come fare a farti ingoiare quello stupido arco che ami tanto », spiegai tirandogli un pizzicotto sul braccio. Lui protestò, facendo un salto indietro e mi guardò.
« Comunque, tu, che ci fai sveglio? », la domanda mi sorse spontanea.  Il giovane elfo alzò le spalle e piegò la testa da un lato socchiudendo le palpebre, visibilmente provato. « E’ il mio turno di guardia, e poi noi elfi non dormiamo. Cadiamo in uno stato di dormi veglia ma non riusciamo a dormire », puntualizzò.
Respirai rumorosamente, tirando l’aria fra i denti e gli poggiai una mano sulla spalla, « Mi dispiace per te, non sai che cosa ti perdi! » esclamai con una smorfia in viso. Poi, con accurata velocità, gli rubai l’arco dalle mani piroettando su me stessa e lo affiancai, mentre i suoi occhi mi esaminavano stupiti.
« Va a dorm… vai nel tuo mondo immaginario di dormi veglia e salutami i folletti quando li vedi », dissi prendendogli anche il fodero con le frecce.
« Ma che diavolo fai? », protestò tentando di riprendere le sue cose. Io mi allontanai da lui con uno scatto. Ero sempre stata veloce grazie al mio peso e al mio corpo in generale. « Ti ho ordinato di dileguarti! Salirò io su un albero e domani mattina ti farò prendere un colpo come tu hai fatto con me, solo che io sarò più crudele », specificai.
Lui rimase imbambolato al suo posto, poi sorrise e si ritirò sulla sua coperta chiudendo gli occhi e mormorando un “grazie”. Lo guardai “addormentarsi” e sorrisi, per la prima volta sorrisi per lui, mentre borbottava qualcosa nella sua, sotto specie, di trans.
In fondo, non è così antipatico… Però resterà sempre il principino dei miei stivali.
Ti sento…
Arrossii di rabbia e gridai nella mia mente: Stai zitto e dormivegliati! Sennò ti faccio provare io cosa vuol dire DORMIRE, PRINCIPE DEI MIEI STIVALI! 
  
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