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Autore: but honestly    05/09/2013    1 recensioni
«Ti troverò!» urlò il principe, mentre recuperava le forze per tornare in sella al suo destriero: cieco, ma intrepido, leale e altruista. «Ti troverò sempre!». [...] Quella storia finiva sempre così. Il lieto fine, qualche pagina bianca, la copertina rigida. E la sua? E la sua storia? Alisa Strauss è una ragazza che, improvvisamente, si trova a dover scegliere tra due grandi amori della sua vita. Ma se avesse effettuato la scelta sbagliata?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice ~

Sì, stavolta sono meno mainstream e le note dell'autrice le metto prima. Perchè ci terrei che leggeste questo piccolo angolino prima della fanfiction stessa. Allorssssss~ Sappiate che, anzitutto, i personaggi della storia non sono tutti inventati da me. Appartengono ad un GDR, ragione per cui Caleb Stark - applauso, grazie - è stato interamente realizzato da Silvia, anche conosciuta qui come Tesi - altro applauso - di cui vi consiglio caldamente di leggere le storie, perchè è veramente molto brava. Io mi sono limitata a "prenderlo in prestito" per scrivere questa oneshot.
Comunque... nella vicenda originale, per una serie di problemi Alisa si trova costretta a scegliere tra Cecil, primo amore e amico d'infanzia, e Caleb, il ragazzo che ha conosciuto dopo la sua fuga dal casato e dalla madre, alla volta del Giappone. Dopo un paio di giorni di grandi pensamenti - ma intanto noi player ce la spassavamo ipotizzando stupidaggini *coff* - decide di tornare con Caleb in Giappone, perchè capisce di amare lui dopo averlo incontrato casualmente di notte - sesto senso ovunque ~ 
E guardando Once Upon A Time - e chi lo segue, capirà il riferimento - mi è venuta in mente una situazione diversa. Ovvero, se Alisa - per qualche ragione - avesse deciso di restare con Cecil a Monaco di Baviera... cosa sarebbe successo?
Quindi, non dico altro, perchè mi sto dilungando anche troppo x'' spero che la fanfiction sia di vostro gradimento.


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«Ti troverò.
Ti troverò sempre
 
La luce trapelava leggera, dalle tende chiuse della sua camera. Da uno spiraglio, un unico fascio brillante che si rifletteva nello specchio, generando un piccolo, insignificante ed anonimo arcobaleno sul mobiletto in legno.
 
C’erano una volta un principe, una principessa e una strega malvagia che faceva la guardia alla sua torre. Ogni sera, il principe si arrampicava sulle mura del castello, facendo leva sulle pietre, per portare una rosa alla sua bella e la promessa che l’avrebbe liberata.
L’ultima sera, ad accoglierlo fu la strega.
 
Alisa si trovava dalla parte opposta della stanza. Era mattina inoltrata e lei avrebbe già dovuto essere uscita per darsi da fare, in vista del lieto evento che la coinvolgeva. In realtà, era già pronta da parecchio, ma non sembrava aver alcuna intenzione di abbandonare la sua camera.
Seduta su una sedia di legno dai morbidi cuscini rossi, in velluto, le gambe accavallate sotto ai drappi di stoffe pregiate e ricamate con merletti e trame floreali che costituivano la gonna del suo magnifico abito.
Le dita sottili ed affusolate stringevano le pagine di un libro. Il profumo di carta stampata la inebriava come una fragranza nostalgica e familiare.
Di tutta una libreria a disposizione, di tutta la biblioteca di famiglia, tra  tutti i volumi del suo personale scaffale, lì, nella sua stanza al terzo piano della villa… aveva scelto quello.
Il suo preferito.
Aveva ripreso a leggerlo a partire dal suo terzo giorno di permanenza a Feld der Rosen.
Il primo per accusare il colpo e sentire il bruciore sulle labbra rosse.
Il secondo per riflettere, per accettare, per riprendere il fiato perduto.
Il terzo per ricominciare. Ricominciare a dimenticare.
 
Erano passate due settimane e mezzo.
Per la precisione, due settimane, tre giorni, sette ore. Alisa ne teneva il conto. Non sapeva perché, anzi: era più che consapevole di quanto potesse risultare sciocco un comportamento simile. Aveva cercato di darsi una spiegazione da sola, ma alla fine aveva semplicemente lasciato perdere. La sua immagine… presente e viva. Non posso farne a meno e basta. Questa era stata la risposta a tutta quella serie di strane attitudini che avevano costituito il suo grande punto interrogativo. E suscitato la preoccupazione di Cecil.
 
Lui se n’era accorto.
Fin da bambina, quella ragazza era stata una divoratrice di libri. Non li leggeva soltanto per passare il tempo: si proponeva la conoscenza come un proprio dovere di essere umano.
Cominciava tre, quattro libri assieme: li completava in due giorni, il terzo li rileggeva, il quarto e il quinto era capace di segnarvi note e riflessioni a margine di pagina, quindi intavolare conversazioni intere a proposito del senso di minimi dettagli e compilare un intero commento in stesure differenti.
Avrebbe dovuto finire quel libro da giorni. Eppure, era ferma sulla stessa pagina da... quanto tempo?
Cecil ricordava quella storia.
L’avevano letta assieme, decine di volte, come dei giovani Paolo e Francesca: così tante, da aver cancellato quasi completamente i caratteri d’oro del titolo, sulla copertina. Il cavaliere errante.
La sua preferita. No, non era famosa, era contenuta in quel volume che suo padre le aveva portato in dono, al ritorno da un lungo viaggio di lavoro. Gliene portava sempre uno, ogni volta che rientrava a casa. Alisa era ancora una bambina.
 
La strega gettò il principe giù dalla torre, dove si trovava un cespuglio di rovi. Le spine lo accecarono, ma dal suo sangue sbocciarono delle bellissime rose rosse.
Quanto alla principessa, per punirla della sua infedeltà nei suoi confronti, la strega decise di relegarla nell’angolo più remoto e inaccessibile della terra, in modo da rendere impossibile il loro ricongiungimento.
«Ti troverò!» urlò il principe, mentre recuperava le forze per tornare in sella al suo destriero: cieco, ma intrepido, leale e altruista. «Ti troverò sempre!».
 
Quella storia parlava e aveva sempre parlato di loro.
Il principe e la principessa.
Ti troverò sempre.
Era ancora così?
 
Alisa richiuse il libro non appena sentì dei passi avvicinarsi alla sua porta. Non vi lasciò un segno, ricordava il numero della pagina a memoria. Passò la mano sulla copertina di tela, logorata dal tempo, accarezzandola dolcemente. Un sospiro le uscì dalle labbra morbide.
 
Si tolse gli occhiali. Aveva smesso di portare le lenti, aveva smesso di tingersi i capelli.
Quel colore rosa, che per anni aveva amato, che l’aveva sempre contraddistinta…
Quel rosa che a lui piaceva tanto, perché la faceva somigliare ad una nuvoletta di zucchero filato alla fragola. Ad una caramella dolce.
Improvvisamente, aveva cominciato a odiarlo.
 
«Ti troverò sempre!».
Si morse appena un labbro, lasciandovi scivolare sopra gli incisivi bianchi.
Sapeva perfettamente come si sarebbe conclusa la storia. Il principe avrebbe rincorso la sua principessa in capo al mondo e, non importava quanto difficile sarebbe stato raggiungerla, ma l’avrebbe trovata, baciata e portata con il suo cavallo bianco laggiù, dove il sole bacia il profilo scabro dell’orizzonte, in un oceano di colori.
Quella storia finiva sempre così. Il lieto fine, qualche pagina bianca, la copertina rigida.
E la sua?
E la sua storia?
 
«Alisa!»
La ragazza si riscosse. Il libro le scivolò dalle mani, cadendo a terra con un tonfo sordo che la fece sobbalzare. La voce melodica e cinguettante della madre la chiamava all’ordine, dall’altra parte della porta. Doveva prepararsi per le nozze con il suo nuovo partito. Cecil. Il principe.
Il collegamento le venne spontaneo. La loro storia era sempre stata travagliata. Fin da bambini, il loro amore era stato impossibile. Tra loro, si era inserita perfino la spina della morte. Però l’aveva ritrovata. Vero? Come nella storia, come…
«Arrivo.»
La sua voce sembrava stanca, esausta, esasperata.
 
Aveva fatto la sua scelta appena qualche giorno prima. In qualche modo, il ritorno di Cecil l’aveva derubata di qualunque forza di volontà l’avesse animata durante il suo arrivo in Germania. Tutto ciò che aveva fatto, era rispondere con un “sì” meccanico a tutte le affermazioni che le erano state rivolte per convincerla.
Il capo abbandonato alla spalla, i boccoli che le scivolavano lungo la guancia, il busto, l’abito.
 
«Ti amo.»
«Sì…»
 
Era la cosa giusta. Lui l’aveva aspettata, l’aveva aspettata per così tanto tempo…
 
«Sposami.»
«Sì.»
 
Chissà perché, l’aveva immaginato differente.
Aveva immaginato di trovare Cecil a potare le rose, nel giardino in cui giocavano da bambini. Di vederlo inginocchiarlesi di fronte, i petali rossi che danzavano attorno a loro. Un bacio appassionato, la sua stretta salda. Quelle labbra che erano sempre state un traguardo proibito, per lei.
 
Eppure non era riuscita a staccare gli occhi da lui, quella fatidica sera.
Da quella sagoma in penombra, dietro la porta, di cui si intravedevano soltanto i bagliori leggeri degli occhi cristallini, azzurri come il mare. Quegli occhi che non riusciva ad allontanare dai suoi pensieri, mai. Non riusciva a capire quale espressione gli stesse animando il volto, tantomeno riusciva a figurarsi la sua.
Fu l’ultima volta che vide Caleb, prima che partisse senza neanche salutarla.
«È partito stamattina. Ha detto di avere molto lavoro da sbrigare.»
Ma Cecil era la scelta giusta, no? Era il suo principe. Lo era sempre stato. Ricordava la sua mano accarezzarle la chioma rosa pastello, mentre con le labbra le baciava il collo dolcemente. Quelle labbra che si increspavano in mille sorrisi diversi, mille sfumature differenti che amava, ognuna a suo modo. I suoi capelli le solleticavano il viso: fini, sottili… candidi come la neve.
 
Ecco, ecco! Forse era proprio questo! Lo stava facendo di nuovo!
Alisa scosse appena il capo, portandosi la mano alla fronte. «Biondi. Capelli biondi.» si corresse sottovoce, col sibilio seccato di chi cerca di memorizzare una parte di un copione. Le due sarte che la aiutavano a sistemare i lembi dell’abito nuziale, mentre si dedicava all’ultima prova prima del gran giorno, le gettarono uno sguardo ricco di disappunto, come incuriosite dalla sua espressione. Non poteva inciampare su dettagli così sciocchi.
Caleb era andato, per sempre. Il suo profumo, il suo respiro leggero mentre cercava di non fare rumore rientrando tardi dal lavoro, per non svegliarla. Tutto sparito.
Sua madre l’aveva definita una “parentesi”. Magari aveva anche ragione.
Però se lo chiedeva. È davvero possibile chiudere un capitolo della propria vita e ricominciare… come se non fosse successo nulla?
Tutti quei giorni, quelle emozioni che aveva provato… non avevano modificato niente, dentro di lei? Era rimasta la stessa Alisa Strauss di un tempo? La lettrice accanita di romanzi inglesi, che passava i pomeriggi a fissare il paesaggio fuori dalla finestra della sua stanza, sorseggiando un buon tè pregiato e sperando in un futuro migliore?
Le principesse non cambiano, se non incontrano il principe che possa salvarle.
«Cielo, bambina mia! Sei meravigliosa!»
La voce di sua madre. Le giungeva sempre e inconfondibilmente all’orecchio come il rumore strascicato del gessetto su una lavagna nuova.
Serrò le labbra e respirò a fondo. Insomma, era una nobile tedesca, una donna nordica, fredda, forte. Sarebbe andata avanti. Spalle al passato. Una passata di spugna lava anche il sangue. Perché con il suo cuore avrebbe dovuto essere diverso?
Si trattava solo di recuperare le sane e vecchie abitudini. Lettura, passeggio, scherma, conversazione, ricevimenti e, come sempre, l’ora del tè.
Sì, sarebbe partita proprio da quella.
 
Alle tre in punto, spaccate dalla lancetta, Alisa varcò la soglia della porta d’ingresso al salone principale, dove l’attendeva la madre. Per la verità, attendeva in corridoio già da un quarto d’ora abbondante. Come se avesse fretta di liberarsi di quel peso doloroso che le gravava addosso ma, allo stesso tempo, se ne sentisse attratta. Una parte di lei non sembrava troppo sicura di volersene separare.
Ma decise di non darle ascolto comunque.
Edith, come sempre, indossava un abito viola scuro e merlettato di nero, dalla foggia splendida. Il volto candido non sembrava essere variato, in tanti anni di intrighi. Non importava quanto Alisa ci sperasse: il volto di sua madre non cambiava mai, come anche la sua personalità. Ingoiò il rospo e decise di avvicinarlesi senza girarci troppo intorno.
Avrebbe dovuto farci l’abitudine.  «Sei perfettamente in orario.» osservò, con un sorriso cortese «Ottimo.» . Alisa rispose con un’espressione altrettanto posata. Adesso non poteva più ferirla, perché finalmente avevano trovato un punto d’accordo.
Non importava quanto turbamento avrebbe dovuto costarle, quella pace che aveva tanto agognato era finalmente giunta e… e sì, questo era un paradosso bello e buono, ma ci avrebbe fatto il callo, sarebbe andata avanti, come una giovane nobile tedesca. Alisa Strauss, la donna che andava avanti, sempre.
 
Il tè le fu servito da Cecil. Non era più parte dei dipendenti di Villa Strauss, né del casato Voralberg, questo no. Aveva semplicemente deciso di pensare lui a tutto, per rievocare un po’ di quel tempo perduto che avrebbe voluto sentire più vicino.
Inoltre, sapeva quanto Alisa adorasse il sapore morbido del tè. L’aveva vista assentarsi a molti eventi organizzati da sua madre, ma neanche una volta aveva saltato la cerimoniale ora del tè. Aveva quasi assunto il ritmo di un rito giornaliero, qualcosa che si fa perché si deve fare.
Portò il beccuccio della teiera a contatto con il bordo della tazzina, facendola tintinnare appena. Alisa, che si era persa nei suoi pensieri e nei discorsi della madre, guardando fuori dalla finestra, sembrò come risvegliarsi nell’udire quel rumore.
Si riscosse, sbattè più volte le palpebre, quindi voltò lo sguardo verso Cecil, che le rivolse un sorriso dolce. Alisa ricambiò. Le sue premure la inenerivano enormemente. Però…
«L’ho fatto come piace a te.» le sussurrò, accostandosi al suo orecchio con le labbra fine «Senza zucchero, l’infuso alle rose. Il tuo preferito.».
Alisa stirò le labbra verso di lui, senza necessariamente lasciar apparire la sua espressione forzata. «Grazie.» Quindi portò le labbra alla tazzina, con un gesto elegante. L’aroma era raffinato, quel profumo di fiori che le ricordava la sua infanzia. Sì, era il suo preferito, era…
Lasciò bagnare le labbra nel tè caldo, ottanta gradi precisi.
Le dita che impugnavano il piccolo manico ebbero un tremito leggero.
Quel sapore…
 
 
«Che stai combinando?»
I capelli un po’ spettinati, i ciuffi rosa che le scendevano lungo il volto arrossato dalla lieve febbre che si era buscata. Lo sguardo incuriosito, puntato su quegli occhi azzurri che la incantavano sempre. «Non lo vedi?» rispose lui, con un sorriso compiaciuto dipinto sul volto; di quelli furbi, che già si aspettano la dovuta ricompensa. Con aria esperta – ma gesti tutt’altro che sapienti – armeggiava con una teiera bianca e una tazza colorata a pois rosa. Alisa inarcò un sopracciglio, grattandosi la testolina color caramella con una certa perplessità. «Credo che se lo intuissi, non te lo chiederei.» contestò, avvicinandosi per osservare quel modo strano in cui, evidentemente, Caleb pretendeva di ottenere del tè. Ma che, piuttosto, somigliava ad uno strano metodo di tortura che doveva aver messo a punto alla Shinto. Un aroma fruttato ed incredibilmente forte aleggiava per la cucina, al punto da risultare stucchevole.
«Mi prendo cura di te!» esclamò lui, assumendo l’espressione spavalda del grande eroe che si accinge a salvare la donzella. «Torturando una bustina di… qualunque roba tu abbia infilato lì dentro?» aggiunse lei, ridacchiando ed aggrappandosi al suo braccio come un cucciolo di koala ad un grosso ramo di eucalipto. Lui sbuffò sonoramente. «Sto preparando il tè! Quindi non lamentarti, tedesca dispotica.» si lagnò, schioccandole due dita sul naso per invitarla a non intromettersi. Più volte Alisa tentò di spiegargli  che, sì, stava completamente sbagliando metodo di preparazione, ma lui non volle ascoltarla. Tutto ciò che ottenne, fu un energico invito a sedersi in soggiorno e aspettare che la grande opera fosse compiuta. In un’altra situazione, la giovane avrebbe contestato, certo. Ma era così intontita dalla febbre che decise di dargliela vinta.
«Allora? Hai vinto la tua battaglia, eroico giovane americano?» domandò, non appena lo vide entrare. Lui bofonchiò qualcosa, ridacchiando, mentre portava un vassoio con aria trionfale. Prima di porle la tazza ricolma di tè, esitò un secondo. La squadrò per bene. «Ma è la mia camicia, quella?» domandò, inarcando un sopracciglio con un’aria vagamente divertita. Alisa sembrò completamente ignorare la domanda, prendendo la tazza tra le mani e rivolgendogli un sorrisetto furbo, che avrebbe voluto dire “Adesso è la mia camicia”. Portò lo sguardo alla tazza. Aveva un aroma dolciastro, ma non seppe riconoscere a quale frutto appartenesse in particolare. Portò lo sguardo su Caleb, che la invitò caldamente a provare quello che, più che un tè, sembrava un esperimento fallimentare della NASA, potenzialmente radioattivo.
Decisamente poco convinta, portò le labbra al bordo della tazzina. Deglutì un sorso del tè e… rimase interdetta per qualche istante. Dolce. Incredibilmente, eccessivamente dolce.
Sembrava che avesse mischiato dell’acqua a un barattolo di zucchero e quell’aroma di frutta… «Fragole…?».
Il ragazzo annuì energicamente, attendendo con ansia un responso riguardo alla bevanda.
Alisa osservò la tazzina ancora piena. Detestava i dolci, lo zucchero e ancora di più le fragole. Strinse le labbra. Quella specie di tisana bollente aveva un sapore terribile.
«È buono?»
Puntò lo sgurdo verso il ragazzo. Si era dato così tanta pena per farla stare meglio, che…
«Molto.» rispose, con un sorriso, prima di prenderne un altro sorso.  «Grazie!»
 
 
Quel sapore… era sgradevole.
Quello stesso tè che per anni aveva gustato allo stesso modo, senza un solo cucchiaino di zucchero, le diede la sensazione fastidiosa di un morso sulla lingua. Pungeva.
Non aveva quel sapore che ricordava. Quel sapore che non sembrava affatto di tè, quell’aroma fruttato e stucchevole che la prendeva alla bocca dello stomaco e che, sì, detestava con tutto il cuore, ma del quale non avrebbe fatto a meno per nulla al mondo, perché le ricordava casa.
E la tazza a pois rosa, la teiera bianca, le mani salde che le tenevano entrambe. Quelle stesse mani che l’avevano stretta e accarezzata un milione di volte. Potevano appartenere ad una sola persona. I capelli candidi come la neve.
La tazzina di porcellana le scivolò di mano, il tè si rovesciò sul suo abito rosso. Gli occhi spalancati sul disastro che aveva combinato. No, non si trattava di una semplice tisana versata sulla gonna di stoffa pregiata, no.
Lo aveva appena realizzato.
Non sarebbe stata felice, se non avesse potuto più assaporare quel tè disgustoso alla fragola, se non avesse più potuto tenere tra le mani la tazza a pois rosa, nel soggiorno di quell’appartamento a Shibuya. Che condivideva con lui.
 
Con il suo principe.
 
E quando la principessa, finalmente, aprì gli occhi, comprese che la distanza di un mondo intero non sarebbe bastata a tenerla separata dal suo principe.
 
Volo AZ404 – direzione Monaco di Baviera. Arrivo previsto per le ore 14.00.
Non sapeva neanche perché stava facendo ritorno.
Lo sentiva e basta.
 
Una luce fioca in fondo ad una caverna scura.
 
Perché lui l’avrebbe trovata.
 
Caleb rivolse un’occhiata allo schermo del cellulare con impazienza, poi al biglietto che teneva fra le mani.
Arrivo previsto per le ore 14.00.
 
L’avrebbe trovata sempre.

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Un grazie speciale a:
 ~ Tesi, cui dedico questa storiella *cuoricin*
 ~ Sacchan - anche conosciuta come Hina - che mi ha sapientemente aiutata quando cominciavo a darmi seriamente per vinta :'3 

 
   
 
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