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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    05/09/2013    1 recensioni
Mi chiamo Lena. Ho diciassette anni. Vivo, o meglio, vivevo a Sacramento. Adesso vivo a New York con mio fratello e mio zio, Mac Taylor. Com'è successo? Bè, è una lunga storia. Ma tenterò di raccontarvela. Partirò da dove tutto è cominciato e vi racconterò una piccola parte della mia vita nella Grande Mela. Questi sono little pieces of my life.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Don Flack, Mac Taylor, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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Little pieces of my life

CAPITOLO 22

 
Ci svegliamo di soprassalto sentendo la porta sbattere violentemente. Romanoff entra con passo deciso. In mano tiene una pistola e dietro di lui c’è James. Quando lo vedo il mio cuore mi salta nel petto. Sembra stare bene.
“Buon giorno.” ci saluta Romanoff.
Noi non rispondiamo. Come sempre.
Siamo qui da cinque giorni, ormai. Siamo spossate, l’acqua è utile ma non ci terrà in vita molto a lungo.
“Non saluti il tuo fratellastro, piccola Taylor?” domanda il russo, accortosi che sto guardando mio fratello da un po’.
“Ciao, Lena.” mi dice lui. Io vorrei rispondergli per le rime, insultarlo, ma non mi sembra il caso, perciò rispondo semplicemente con un ‘ciao’.
“Allora, detective. Questo ragazzo deve fare pratica col coltello. Che ne dici di aiutarlo?” la invita.
Lei si volta verso James e lo implora con lo sguardo. Lui, impassibile, alza le spalle.
“Alzati!” mi dice Romanoff. Io non muovo un muscolo, così lui si avvicina e mi solleva per un braccio. Mi spinge su un lato della stanza e si mette tra me a mio fratello. Solo ora mi accorgo che James tiene un coltello in mano. Sobbalzo, e la consapevolezza di ciò che sta per succedere si fa strada in me.
Jo si alza in piedi e lo guarda, l’implorazione si trasforma in pietà. In vera e propria pena, perché sa che in qualche modo James è stato manipolato, non avrebbe mai fatto nulla del genere se Romanoff non avesse mentito su qualcosa.
“James.” comincia “Perché fai tutto questo?”
“Sta’ zitta!” grida lui. Lei indietreggia. Ha capito che fa sul serio. Non riuscirà a fermarlo. Non questa volta.
Romanoff si avvicina, prende Jo per le spalle e la tiene ferma. Dopo un momento di esitazione, senza che io passo fare niente, James si muove verso di lei e la pugnala. Il coltello penetra nel fianco sinistro facendola indietreggiare. Un gemito esce dalla sua gola e crolla a terra reggendosi il fianco e tentando di tamponare la ferita.
Devo fermarli. Non posso permettere che la uccidano. Mi avvicino ma Romanoff mi punta contro l’arma.
“Ferma dove sei.” dice tranquillamente “Ora finiscila.” ordina a James. Mio fratello osserva Jo, ma invece di procedere, esita ancora.
Suo zio lo osserva e annuisce.
“Forse è ancora troppo complicato con un coltello, ci vorrebbe più esperienza.” dice dopo aver riflettuto “Tieni, usa questa.” conclude, porgendogli la pistola.
No. Non può farlo. Non la può uccidere. Non James.
Romanoff si allontana per lasciargli spazio. Quando mio fratello carica l’arma capisco che devo agire. Punta la pistola dritta alla testa di Jo, ma prima che possa sparare mi paro davanti a lei.
Lui mi scruta con sguardo torvo.
“Levati di mezzo, Lena.” mi ordina.
“No.” rispondo secca.
“Allora dovrò uccidere te al posto suo.” mi dice, forse sperando che io mi sposti. Ma non lo faccio. Vedo le nocche della mano destra, con cui impugna la pistola, diventare bianche. È arrabbiato. Per qualche istante abbassa la pistola, ma, deciso a non deludere suo zio, la alza di nuovo, puntandola al mio petto. Sento Jo, gemere dietro di me, vuole che mi tolga di mezzo, che almeno io mi salvi. Punto i piedi a terra, decisa a non spostarmi. So che non lo farà, in fondo, è ancora il vecchio James.
“Fallo.” dico, vedendo che non accenna ad abbassare la pistola.
“Spostati!” grida.
“No!” strillo io di rimando.
Stringe i denti per contenere la rabbia e poi si volta verso suo zio.
“Devono vederlo morire. Entrambe.” conclude ed esce.
Romanoff sorride e fa lo stesso, lasciandoci sole.
Mi inginocchio accanto a Jo, la aiuto ad alzarsi e ad avvicinarsi al muro, appallottolo la mia giacca, così che possa usarla come cuscino. Prendo il suo golfino, che giace sul pavimento, e lo utilizzo per tamponare la ferita. Le offro la mia razione d’acqua e la obbligo a berla tutta. Lei a piccoli sorsi la finisce e poi le consiglio di dormire, promettendole che veglierò su di lei.
 
Alba del settimo giorno.
Jo dorme spesso, quindi sono praticamente sola. La ferita si è quasi rimarginata, ma a volte perde ancora sangue, come successe a me durante il primo rapimento.
Deve essere mezzogiorno quando mio fratello entra a passo deciso nella stanza in cui siamo rinchiuse. È solo e quando vede che Jo sta dormendo si accovaccia di fronte a me.
Lo guardo.
“Come sta?” domanda, indicando Jo.
“Adesso ti importa? Dopo averla pugnalata?” chiedo, di rimando. Fa spallucce, come se la cosa fosse normale.
“Se lo merita. Scommetto che sapeva tutto.”
“Come poteva?” dico, dubito che fosse a conoscenza dell’intera storia, forse di una piccola parte. Ma nulla di più.
“Vedi” comincia, alzando la voce “la cosa che non riesco a capire, è perché tu non mi abbia più chiamato. Perché non vuoi vendicarti di Mac, dopo tutto ciò che ci ha fatto?” domanda.
“Che ci ha fatto? Non ha fatto niente, James.” dico convinta “Ci ha accolti a braccia aperte, ci ha mantenuti…” concludo.
“Se davvero non sei arrabbiata, nonostante ti abbia mentito, dovresti almeno sostenermi. Ha ucciso mio padre e mi ha strappato a mio zio. Ti sembra giusto?” chiede.
Lo guardo. “Forse. Questo non giustifica la tua vendetta o quello che hai fatto a Jo.”
“No? Ne sei sicura?” domanda avvicinando il suo volto al mio.
“Ti ha salvato da questo mondo. Dovresti essere grato a Mac.” esclamo.
Lui ride. “Questo mondo è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Qui mi sento a casa, sento di far parte di una famiglia.”
“Io e te non eravamo una famiglia?” chiedo. Mi sento offesa, lo confesso. Io e lui siamo stati uniti per così tanto tempo, che quelle parole mi feriscono nel profondo.
“Non lo siamo mai stati davvero.” non so perché, ma non piango. Nessuna lacrima riga il mio volto. Rimango apparentemente impassibile di fronte a ciò che mi dice. Infatti, se ne accorge e mi guarda con aria perplessa. Credeva di ferirmi, magari di scatenarmi un altro crollo emotivo. Si sbagliava, non ne ho la forza, o meglio, ce l’ho, ma ne ho bisogno per riuscire a sopravvivere ancora. Non la sprecherò per lui.
 “Torna in te, James. Torna in te prima che sia tardi.” dico, prendendogli il volto fra le mani e sfiorandogli le guance con le dita, ma, stranamente, non lo sto implorando, gli sto dando un consiglio. Ormai so di averlo perso, perché sprecare fiato? Anche se qui, adesso, tornasse in sé, niente sarebbe più come prima. Mi ha spezzato il cuore, ha rovinato tutto.
“Sono in me. Non sono mai stato meglio.” ribatte, allontanando le mie mani dal suo viso così bruscamente da farmi male. Si alza mi guarda ancora una volta e se ne va.
Scuoto la testa, incredula e ferita. Sento la mano di Jo stringere la mia e questo mi riporta alla realtà.
“Lena.” mi chiama.
“Sono qui, Jo.” dico e la aiuto ad alzarsi. La sua ferita ha smesso di sanguinare, ma so quanto possono fare male le fitte che ne conseguono. Ad ogni movimento sembra di ricevere un’altra pugnalata e non è piacevole.
Jo si siede con la schiena appoggiata al muro e io faccio lo stesso.
Credo che abbia sentito ogni cosa. Lo capisco da come mi stringe la mano e dalle parole che pronuncia.
“Mi dispiace.” che posso risponderle? Che posso dirle?
“Anche a me.” sono le parole che scelgo e nemmeno so perché: mio fratello è felice qui, forse dovrei gioire per lui. Ma non ci riesco e mi sento un’egoista.
 
Sono passati dieci giorni e la porta della nostra “cella” si è aperta una sola volta. Questa mattina, nessuna visita. Che si siano dimenticati di noi? La mia speranza è talmente vana che appena quel pensiero mi balena nella mente lo elimino.
Alle due del pomeriggio entra un uomo che ha il corpo quasi completamente tatuato. Ci osserva e poi ci ordina di alzarci. Io aiuto Jo, non ho più voglia di opporre resistenza. Ci accompagna in un piccolo bagno e lì ci dice che potremo farci una doccia, abbiamo venti minuti in tutto. Comincia a Jo e poi è il mio turno. Quando abbiamo finito ci riaccompagna nella stanza vuota e ci chiude dentro. Ancora.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
 
Ciao a tutti! Ecco qui il ventiduesimo capitolo. Spero vi piaccia. È tutto incentrato sulla prigionia di Jo e Lena. E per la vostra felicità e anche tornato James. ;D
Fatemi sapere…
xX__Eli_Sev__Xx

   
 
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