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Autore: Kirara_Kiwisa    05/09/2013    1 recensioni
Volume 2. Seguito di: "Victoria's Memories. Il Regno dei Demoni".
Victoria e Nolan si allontanano prendendo due strade diverse, la protagonista vorrebbe dimenticarlo ma il marchio che il demone le ha imposto le impedisce di essere realmente libera. Pur essendo legata a lui, tenta almeno di affezionarsi sentimentalmente ad una nuova persona. Ma l'amore non può durare quando appartieni al prossimo Re dei Demoni...
"Mi rivoltai verso la persona che mi aveva afferrata, verso Elehandro. Gli saltai addosso, iniziando a combattere e a rotolarmi sotto la pioggia con un vampiro che presentava un buco nel petto.
Nonostante le ferite, alle fine fu lui che riuscì ad atterrarmi. Mi bloccò a terra, sedendosi sopra di me stringendomi forte i polsi [...] Il sangue che perdeva dal petto mi gocciolava addosso, macchiandomi. Qualche goccia mi cadde sulle labbra. Lo assaggiai, anche se non necessitavo di possederlo. Il suo sangue mi stava già crescendo dentro. "
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Victoria's Memories'
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Stavo camminando da giorni, lentamente e senza fretta. 
Il tocco di una brezza leggera mi ricordò di essere giunta fino al mare. Avevo seguito l’orizzonte, incessantemente, senza ben sapere dove sarei andata. 
Era la terza volta che vedevo le onde.
Come le altre volte, non avveniva in una piacevole circostanza.
La prima volta che puntai gli occhi sul mare, mi trovavo sull’oceano meridionale e stavo scappando dai cani del Concilio. Avevo solo sette anni e conobbi la furia dei veri angeli del Cielo. Le streghe ne avevano convinto uno a darmi la caccia e lui accettò di buon grado, a patto di non dovermi uccidere. Asmodai non avrebbe mai infranto gli accordi presi alla mia nascita: io ero una responsabilità degli uomini e come tale non potevo essere giustiziata dal Cielo. Comunque sia potevo essere punita, ogni qualvolta trasgredissi. L’angelo più vicino al nostro mondo, la creatura celeste che più lavorava con il Concilio per mantenere l’ordine e la pace, era sempre ben lieto di darmi una lezione. Lo conobbi in un giorno grigio e senza sole.
La seconda volta che vidi il mare mi trovavo nel Regno delle Fate, più a nord, verso il grande arcipelago. Era inverno, l’acqua era quasi congelata ed io avevo appena ucciso la mia prima fata. Mi ero avvicinata al mare ghiacciato colma di rabbia e tristezza, toccandone la dura superficie chiedendomi se mai avessi potuto attraversarla. Avrei voluto raggiungere le isole, tentando quasi di lasciarmi alle spalle ciò che avevo appena commesso. Sfortunatamente, non appena sfiorai il ghiaccio questo si sciolse. La calotta di gelo che imprigionava le acque evaporò, impedendomi di proseguire. Avevo sospirato, constatando che sarei dovuta tornare indietro, a casa.
A vent’anni per la terza volta mi trovavo di fronte al mare, sulle rive dell’oceano orientale. Lo avevo raggiunto amaramente, provando un dolore al petto e allo stomaco insopportabile.
Credetti di dover morire, di aver preso una strana malattia. Solo il terzo giorno mi resi conto che in realtà non sarei morta, si trattava della sindrome del cuore spezzato.
Nonostante avessi fatto di tutto per non affezionarmi più a nessuno, alla fine era successo.
I sentimenti prendevano il sopravvento ancora una volta, bensì la mente fosse conscia di quanto fosse pericoloso. Sospirai, credendo fermamente che l’amore fosse il peggior nemico dell’istinto di sopravvivenza. Mi avrebbe uccisa, l’amore per lui mi avrebbe uccisa alla fine. Ne ero già consapevole.
Per questo, stavolta non sarei tornata indietro. Giunta al mare, non sarei tornata indietro.
Avrei proseguito, con qualsiasi mezzo, per sfuggire al dolore che mi stava inseguendo.
Conservavo la speranza che più mi sarei allontanata, meno avrei pensato a lui. I suoi occhi d’oro mi sarebbero stati sempre più lontani, il calore delle sue mani sempre più irraggiungibile. Eppure per quanto scappassi, il marchio che mi aveva impresso sulla pelle restava sempre con me. Per non essere più costretta a vederlo, avevo preso in prestito un polsino nero da ginnastica. Questo semplice oggetto si era mostrato a me come una salvezza, in un caldo pomeriggio dove la cicatrice non faceva che tormentarmi. Ogni qualvolta sfioravo con lo sguardo quelle linee circolari e quei puntini, provavo una fitta al cuore insopportabile. Raccolsi il polsino alle spalle del suo legittimo proprietario, senza pensarci molto. Lo indossai, nascondendo alla vista il marchio. Mi sentì subito incredibilmente meglio, certa che altrimenti sarei impazzita. Non sopportavo vedere neanche i graffi e i segni su di esso, da me inferti quando avevo minacciato di strapparmelo dalla pelle. Le ferite di quando, davanti a lui, avevo giurato di lacerarlo se mai lo avessi rivisto ancora. Dopo quelle parole, Nolan non mi aveva più cercata.
Avrei dovuto sentirmi libera, eppure non era così. Intorno a me percepivo ancora la sua presenza. Questo mi spingeva ad avanzare, ad allontanarmi il più possibile fino ad aver raggiunto la costa.
Davanti al gigantesco specchio d’acqua, capì che avrei dovuto imbarcarmi.
Il sole estivo batteva incessante sulla piccola cittadina portuaria di Reims. La moltitudine di fate e streghe che frequentava il trafficato molo non sembrava risentirne, solamente io ero sudata fradicia. Il solstizio era passato da una settimana, regalandoci temperature sempre più torride.
Mi rinfrescai il volto alla prima fontanella che trovai, rispecchiandomi nel piccolo rigagnolo d’acqua sottostante. Osservai il riflesso dei miei occhi d’oro, fissandolo intensamente per qualche istante. Ogni volta che li guardavo, ricordavo i suoi.
Così simili ai miei, il suo sguardo mi inseguiva tramite il mio.
Sbuffai, voltando la schiena alla fontana. Il leggero vento condusse ai miei piedi un pezzo di carta, un volantino con sopra la taglia per la mia cattura. Osservai i capelli lunghi e neri che le fate avevano disegnato a carboncino, trovandoli semplicemente orrendi. Appallottolai e gettai via uno dei tanti proclami affissi per tutto il regno. La ricompensa per consegnarmi era più alta di quanto non avesse mai offerto il Concilio. Le fate non dovevano aver gradito la strage che avevo compiuto nel giorno della loro importante festa del sole. Sorrisi, ricordando i numerosi stolti che avevano preteso di catturarmi in quella settimana, finendo preda del mio calore maledetto. Sotto la temperatura delle mie mani, in quei giorni forse erano perite più fate di quante non ne avessi uccise alla festa.
Proseguì fra la folla, invisibile agli indaffarati occhi dei cittadini. Avevano il “mostro delle fate” proprio sotto il naso ma la loro importante routine impediva a tutti di accorgersene.
Sfilai tacitamente fra di loro, contenendo la mia smania di sangue di fata. Non desideravo creare scompiglio prima di imbarcarmi, se c’era qualcosa che avevo imparato nell’ultimo mese era che l’avventatezza portava a ben poco. Un comportamento normale mi rendeva trascurabile alla vista dei marinai, nonostante una voce dentro di me mi implorasse di dar sfogo alla rabbia che provavo dentro. Mi sedetti sulla banchina, respirando la fresca brezza dell’oceano per calmarmi. Uccidere l’intero porto non mi avrebbe fatto partire prima. Dovevo collaborare con la ciurma che mi avrebbe ospitata per lasciare il paese, non ero certamente in grado di governare una nave da sola. Mi scappò un risolino a quella parola. “Collaborare”. Non avevo mai collaborato con nessuno da quando ero nata. Ultimamente avevo ricevuto un paio di offerte a proposito, due demoni che mi contendevano nelle loro scaramucce. Uno era il successore al trono Abrahel Lancaster, l’altro colui che mi aveva ferito l’anima, il figliastro dell’ultimo Re dei Demoni. I due, come bravi fratelli, erano perennemente in guerra fra loro e avevano deciso di coinvolgermi per il semplice gusto di complicarmi la vita. Grazie al mio sangue misto e al mio potere particolare, secondo loro avrei decretato la vittoria e la sconfitta dei loro eserciti. Da quando lo avevo saputo niente era stato più facile, nonostante fino a quel momento la mia esistenza già non lo fosse stata affatto. Il Concilio delle Streghe aveva desiderato la mia testa da sempre, infastidita dalla mia presenza nel creato. Per loro conto, un influenzabile orfano di nome Isaac aveva quasi portato a termine la sentenza, riducendomi in fin di vita. Rabbrividì un attimo al ricordo. Fino ad allora ero sopravvissuta alla pazzia di quello stregone solamente grazie a Nolan. Adesso che mi ero allontanata da lui, non sarei scampata ad un altro incontro con il giovane membro del Concilio.
Sospirai. Eppure non era quello ciò che mi preoccupava di più. Non era al centro dei miei pensieri avere un mago assetato di sangue alle spalle. Accusavo un morso allo stomaco da sette giorni, da quando Abrahel mi aveva parlato per l’ultima volta. Mi ero sentita tradita da Nolan già un’infinità di volte, ma ciò che ero venuta a sapere non voleva proprio lasciarmi in pace. Il cuore continuava sì a dolermi al solo pensiero che il demone dagli occhi d’oro mi avesse incontrata per usarmi, che mi avesse raggirata, che avesse tentato di sacrificarmi per la sua guerra. Possedevo l’anima straziata al ricordo che avesse detto al fratello della mia particolarità, dei miei poteri, del mio sangue misto e provavo un’enorme rabbia al pensiero che mi aveva coinvolto per poi negarmi l’incantesimo che mi avrebbe resa incredibilmente potente. Ma ciò che la notte risuonava nella mia mente era la possibilità che realmente Nolan fosse manovrato da qualcuno che io odiavo, qualcuno che tentava di uccidermi tramite lui. Se il ragazzo non ne fosse consapevole lo ignoravo, comunque, a detta di Abrahel, non potevo fidarmi di lui perché non potevo fidarmi di questa persona. Sospirai nuovamente, rannicchiando le gambe al ventre sul bordo della banchina. Il dolore che provavo nell’averlo perso era più forte della preoccupazione di essere uccisa da Isaac. Se fosse comparso in quel momento a giustiziarmi, forse, non avrei neanche combattuto.
La voce di un vecchio dietro di me, mi fece sussultare. Stava parlando concitato con un altro marinaio, della stessa veneranda età. Era convinto di aver visto una nave completamente d’oro approdare nell’insenatura vicina, fra gli stretti scogli di una montagna. Avvolta dalla nebbia era scivolata sull’acqua più leggera di una piuma, la famosa nave d’oro. Chiunque intorno a lui prese a schernirlo, a chiamarlo pazzo e a voltargli le spalle. Anche io sorrisi, fino a che non udì qualcosa di interessante.
- Ve lo ripeto! E’ la Gold Sea! Ne sono sicuro! E’ una nave pirata di demoni!-
Due parole che riuscivano a darmi il buonumore: pirati e demoni. Forse il mio biglietto per lasciare quell’insulsa landa popolata da insetti magici. Mi recai lì dove aveva blaterato il vecchio, in una baia lontana solo due chilometri. Il porticciolo era stato abbandonato da almeno cento anni, considerato troppo pericoloso a causa degli scogli e i massi appuntiti. I grandi vascelli non riuscivano ad approdare in quel molo diroccato senza cadere preda della stretta insenatura. Eppure il vecchio matto era certo che la nave delle leggende fosse giunta proprio lì, incurante del pericolo, pronta a ripartire non appena la luna fosse sorta. Scalai la collina sopra la baia, ben fiduciosa delle sue farfugliate parole. Adoravo le leggende, incredibilmente spesso scoprivo quanto esse fossero vere. In fondo, anche io appartenevo ad una di esse. Raggiunta la punta dell’alta scogliera, potei subito notare la strana e fitta nebbia che attanagliava il porticciolo. Non riuscivo a vedere niente, neanche le onde che si infrangevano sui massi. Mi accucciai a terra, con il naso premuto contro le rocce. Ero certa che ci fosse qualcosa là sotto, qualcosa che non voleva essere visto. Lanciai un piccolo incantesimo del vento, qualcosa di semplice e che attirasse poco l’attenzione. La nebbia si diradò leggermente, abbastanza da farmi notare lo scintillio dell’oro sotto la luce del sole.
Sorrisi entusiasta. Se ne stava fra gli scogli, ormeggiata tranquillamente ad un passo dal centro abitato. Una nave di pirati demoniaci.
 
Rimasi sulla scogliera il tempo necessario per elaborare un piano.
Dovevo convincerli ad imbarcarmi, a portarmi lontano ovunque loro stessero andando. Tentai di pensare a qualcosa di decente, una sorta di storia o di scusa che potesse aiutarmi. Spazientita della mia mancanza di immaginazione, decisi di improvvisare. Non ero mai stata molto brava a mentire. Un attimo prima di scendere verso la baia, il vento mi scompigliò i lunghi capelli neri, portandomeli davanti al volto. Li osservai attentamente, ricordando che non li sopportavo affatto. Decisi di modificarli, trovando perfetto il momento. Stavo iniziando una nuova vita, una vita senza Nolan, e possibilmente, senza Abrahel. Entrambi mi avevano offerto protezione, entrambi avevano minacciato di uccidermi ed entrambi mi avevano offerto il potere. Intendevano usarmi con arma di distruzione, in cambio di una lauta ricompensa. Scegliere da quale parte stare e seguirla probabilmente sarebbe stato molto più semplice. Io purtroppo non sono mai stata semplice.
Avevo complicato tutto tradendo prima uno poi l’altro e alla fine piantandoli in asso entrambi.
Sospirai forte, fino a farmi male ai polmoni. Desideravo davvero tanto che prendendo il mare i problemi rimanessero sulla costa, impossibilitati nel raggiungermi. In attesa della realizzazione di una tale aspirazione, sfiorai i miei capelli ordinando che divenissero mossi e di un colore rosso scuro. Magicamente, essi obbedirono. Soddisfatta, mi incamminai verso il vascello.
Lo raggiunsi faticosamente, percorrendo un sentiero ripido avvolto dalla nebbia. Passò un’eternità prima di arrivare al veliero, tanto che il sole iniziò a tramontare. Scesa sulla baia mi accorsi di non vedere un palmo dal naso. La nebbia quasi mi impedì di scorgere le forme della nave. Sembrava che provenisse direttamente da essa, rendendosi più fitta man mano che mi avvicinassi. La toccai delicatamente, quasi per convincermi che fosse veramente lì. Un vascello d’oro che galleggiava sull’acqua.
Sussultai quando udì lo scatto di una pistola dietro la testa. Mi volsi leggermente, notando la canna dell’arma a pochi centimetri dalla nuca.
- Odio le pistole-
Borbottai roteando gli occhi. I proiettili erano troppo difficili da evitare.
- Chi sei?-
Domandò una voce roca il cui volto mi era nascosto dalla foschia.
- Come ci hai trovati?-
- Non è stato così difficile-
Affermai, poco prima che l’uomo mi colpisse con l’arma.
 
Mi risvegliai bruscamente sul ponte, investita dal gettito di un secchio d’acqua. Aprì gli occhi temendo d’annegare, cercando di prendere aria istintivamente.
- Maledetti-
Urlai, divenendo immediatamente nervosa una volta compreso che mi avevano rovinato i capelli. Bagnata fradicia di acqua sudicia, osservai quello che sembrava essere il ponte della nave e la ciurma che mi stava fissando. Sorridevano tutti, estremamente divertiti mentre uno di loro stringeva ancora il secchio fra le mani. Prima di tentare di alzarmi, mi posi una mano alla nuca, accusando un terribile mal di testa. Percepì subito il bernoccolo, terribilmente gonfio.
- Maledetti-
Ribadì a denti stretti, cercando la figura di chi mi avesse colpita.
Mi posi in ginocchio sulle assi dorate del ponte, scrutando i volti degli uomini. Sembravano tutti demoni, grossi e muscolosi. Riuscivo a scorgerli perfettamente, senza il fastidio della nebbia. Mi accorsi allora che in tutta la nave non c’era la foschia, ne eravamo solamente circondati.
L’equipaggio mi fissava ridacchiante, alcuni di loro seduti altri in piedi. Giocavano con le proprie armi, che fossero fucili, pistole o sciabole.
- Ben fatto Thos, adesso ne hai rovinato il sapore-
Disse uno, al compagno che posava il secchio a terra.
- Non abbiamo certo tutta la sera-
Spiegò il grosso demone muscoloso, tornando ad avvicinarsi a me. Mi squadrò da capo a piedi, come il resto degli uomini d’altronde.
- Sei stato tu a colpirmi?-
Ringhiai.
- Chi è stato a mandarti?-
Domandò a sua volta il demone, ignorandomi completamente.
Non risposi, fissando il suo sorrisetto infastidita.  
- E’ stata la regina? Oppure il governo delle streghe? A chi dobbiamo inviare la tua testa?-
Proseguì l’uomo, incalzando con la voce roca.
- A nessuno-
Risposi, fissando il marinaio dritto negli occhi.
- Così fareste un favore ad entrambi. Sia il Concilio che le guardie della regina vogliono la mia testa-
- Una fuorilegge dunque? Di che genere?-
- Ha importanza?-
La creatura scrollò le spalle, voltandosi verso l’equipaggio.
- Qui ce n’è di tutti i tipi-
Rispose un altro, appoggiato ad un barile intento a lucidare la sua pistola.
- Ladri, assassini. Siamo tutti ricercati, considerati criminali da ogni regno o nazione. Un cacciatore di taglie farebbe un bel po’ di soldi conosciuta la nostra posizione-
- Ecco perché uccidiamo chiunque scopra dove ci troviamo-
Spiegò un altro.
- Non possiamo lasciarti andare, bambolina-
Sentenziò il grosso demone davanti a me, estraendo la spada.
- La vostra posizione non è poi un mistero-
Spiegai seriamente.
- Un vecchio al porto ne stava parlando con tutti-
Calò il silenzio per qualche istante, attimi in cui qualcuno di loro sussultò. Il demone di nome Thos arretrò di un passo, prima di imprecare e abbassare la spada.
- Lo sapevo!-
Continuò a blaterare.
- Lo avevo detto io che il guardiano del faro ci aveva visto! La nebbia non era abbastanza fitta! HUNTER!!-
Chiamò infine, urlando a squarciagola facendo rimbombare la sua voce in ogni angolo del vascello.
- Calma-
Disse uno venendo avanti.
- Partiremo appena la luna sarà alta. Infittiremo la nebbia, non ci troveranno-
- E se qualcun altro dovesse arrivare…-
Affermò un terzo appoggiato sulla balaustra d’oro del ponte.
- …lo uccideremo allo stesso modo. Finalmente ci sarebbe un po’ di esercizio-
- Tienilo per te il tuo esercizio-
Replicò colui che mi aveva inzuppata d’acqua.
- Se il Capitano sapesse che ci siamo fatti scoprire da un gruppo di fate giocherebbe a biglie con i nostri occhi-
- Io non sono una fata-
Precisai, catturando nuovamente l’attenzione su di me.
- Non sei una fata senza ali?-
Chiese seriamente il demone muscoloso.
- Una fata senza…? No! Non sapete che sono solamente una leggenda?-
- Anche la Gold Sea-
Sbottò un ragazzino smilzo, grande e alto almeno la metà di tutti gli altri. Il grosso pirata si avvicinò dandogli uno schiaffo alla testa, senza colpirlo troppo forte.
- E’ colpa tua Hunter. Cosa stavi pensando quando ci siamo avvicinati alla costa?!-
- A tua madre-
L’uomo cercò di colpirlo nuovamente. Il ragazzo lo schivò agilmente, aggirando la pesante figura del demone sino a giungere innanzi a me. Si inclinò leggermente in avanti, fissandomi con i suoi occhi nocciola.
- E’ una strega-
Spiegò, facendomi sussultare.
- Almeno in parte. Sicuramente, è qualcosa di assolutamente unico-
- Può essere anche la cosa più unica del mondo-
Borbottò l’uomo alle sue spalle.
- Gli ordini sono di uccidere ogni intruso-
- Aspetta Thos, non possiamo sprecarla-
Contraddisse un demone bendato, armato di baionetta.
- Mettiamola sul menù-
Propose, facendomi rabbrividire.
- Gli ordini…-
Cercò di ribattere il grosso e muscoloso pirata.
- Cuoco, che ne dici?-
Interpellò il marinaio con la benda, ignorando il compagno.
Un uomo basso e tozzo si fece avanti, osservandomi come un semplice pezzo di carne.
- E’ magrolina. Non avrà molto sangue in corpo. Potrei usarla come antipasto-
- Visto? Non sprechiamola-
Deglutì, leggermente spaventata. Demoni cannibali. Questa sì che era fortuna.
- Prima potremmo anche giocarci un po’-
Suggerì uno dei pirati, sorridendo e mostrando i denti placcati.
- In ogni caso, giustiziarla qui sarebbe un peccato-
La piega che stava prendendo la discussione non mi piacque. Ero sola contro più di venti creature demoniache, uscire indenne da quello scontro non sarebbe stato facile.
- A prendere le decisioni in questo turno di giorno sono io-
Ricordò seccato il grosso demone con la sciabola al proprio fianco.
- Quindi decido io se giustiziarla o meno-
Calò il silenzio. L’equipaggio lasciò che il pirata decretasse la sentenza, attendendo pazientemente. Anche il ragazzino smilzo si fece da parte, aspettando con uno strano sorrisetto sul volto.
Dopo qualche secondo il demone con la spada si fece avanti, fissandomi dritto negli occhi.
- Prova a convincermi a non ucciderti adesso-
Sbottò, fissandomi ad un palmo dal volto. Tacqui, non sapendo cosa rispondere.
- Finendo sul menù avresti ancora qualche ora di vita, al massimo un giorno. Hai una possibilità per indurmi a farti questo regalo, capelli arancioni-
La creatura sorrise, io al contrario non ci trovavo niente di divertente.
- Sono rossi-
Brontolai.  
- Non sono arancioni, stupido-
L’uomo fece una smorfia, alzando la sciabola, decretando la sua scelta.
- Risposta sbagliata, bambolina-
Me la puntò al collo, facendomi sussultare. Potevo avvertirne l’odore, del metallo che presto mi avrebbe uccisa.
- Finirai in pasto ai pesci-
Proferì, scatenando lo scontento generale. L’uomo alzò la spada in alto per farla calare su di me, mentre i pirati sbuffavano delusi.
- Fermo!-
Implorai socchiudendo gli occhi innanzi alla morte. Rimasi immobile, impietrita, riaprendoli solo quando constatai di non percepire nessun dolore. Osservai sbigottita la figura del ragazzino dagli occhi marroni, bloccare la spessa sciabola con il solo utilizzo delle dita. Stava contrastando la forza del gigantesco demone, senza alcuno sforzo.
- Hunter-
Rimproverò il pirata Thos.
- Non si blocca mai un’esecuzione. Le regole sono…-
- Qualcuno le ha chiesto cosa ci fa qui?-
Domandò il giovane, vestito come un mozzo, spiazzando l’equipaggio.
- Cosa?-
- Ho chiesto se qualcuno, prima di ucciderla, le ha domandato perché è venuta fino qui?-
L’uomo abbassò la spada, tornando a fissare negli occhi i compagni. Si squadrarono a lungo, dando tutti la stessa risposta negativa.
- Lo sapevo-
Sbottò il ragazzo avvicinandosi maggiormente a me.
- Allora, come ti chiami?-
- Victoria-
Balbettai.
- Victoria, prima di morire…dimmi cosa ti ha portato qui?-
- Voglio un passaggio-
Affermai seriamente, nonostante le mie parole provocarono una risata generale sul ponte della nave.
- Ti sembriamo una carrozza?-
Domandò pacatamente il mozzo, al contrario dei compagni che si stavano sbellicando dalle risa.
- Io ho bisogno di un passaggio-
Incalzai.
Il ragazzino mi fissò intensamente, a braccia incrociate. Alle sue spalle i pirati si spintonavano dal ridere, colpendosi a vicenda per gioco. Molti vennero colti dalla tosse per lo sforzo.
Le mani mi fremettero dalla rabbia. Strinsi i pugni, percependo il volto andare a fuoco.
Il mio corpo iniziò a tremare, desiderando ardentemente sopprimere quelle risa.
- Deciderà il capitano-
Eruppe il ragazzo, facendo tornare il silenzio fra i compagni. Alzai lo sguardo verso di lui, sorpresa. Le mani smisero di fremere, il calore iniziò ad abbassarsi.
- Cosa? Sei impazzito?!-
Urlarono alcuni.
- Disturbarlo per questo? Vuoi farci uccidere tutti?-
- Vorrà dire che mi farò perdonare, quando finirete in fondo al mare-
- Avanti Hunter, non puoi parlare sul serio. E’ colpa mia, perdonami. Mettiamola sul menù e basta-
Borbottò il grosso demone muscoloso, innanzi allo smilzo ragazzino. Li fissai sbalordita, chiedendomi chi fosse il mozzo per ottenere tanto rispetto.  
- Sarà lui a decidere, ho detto-
Ripeté il ragazzo, facendo tacere ogni obiezione.
- Potrà essergli sicuramente utile, sia da morta che da viva. Non vorrete togliere questo piacere al Capitano-
I pirati tacquero, lasciando che il più giovane di tutti, mi portasse all’interno della nave. Lo seguì, non riuscendo a smettere di fissare gli sguardi preoccupati dell’equipaggio.
 
- Penso di doverti ringraziare-
Sussurrai, dopo un po’ che stavamo camminando nell’oscurità dei corridoi del vascello.
- Aspetta a ringraziarmi, non è detto che il Capitano ti risparmi la vita. Potresti ancora finire sul menù-
- Quale menù?-
Domandai ansiosa.
- Il menù del nostro bravissimo cuoco-
- Voi…vorreste mangiarmi?-
- Certo che no!-
Sbottò il ragazzo ridendo. Feci un respiro di sollievo, continuando a seguirlo in quello che sembrava un labirinto.
- Il nostro Capitano ti mangerà-
- Come? Lui cosa?-
- Ecco, siamo arrivati. Ti avverto, potrebbe essere un po’ nervoso. Solitamente non gli piace essere svegliato-
- Sta dormendo?-
Domandai.
- Ma è quasi il tramonto-
- Appunto-
Affermò il giovane mollandomi davanti alla cabina del comandante. Mi lasciò nel corridoio buio e cigolante della nave, davanti alla porta in legno del capitano, augurandomi buona fortuna.
Mi aggiustai i capelli bagnati, strizzandoli il più possibile. Presi un profondo respiro, prima di bussare. Ciò che vi era oltre quella porta non poteva essere peggio di ciò che avevo già affrontato.
Attesi, forse qualche secondo che parvero minuti. Notando che nessuno stava rispondendo, bussai ancora. Allora udì del movimento all’interno della stanza ma la porta non si stava ancora aprendo. Aspettai ulteriormente, già innervosita. Bussai di nuovo, questa volta chiamando il suo nome.
Finalmente, mugolando, qualcuno aprì.
- Spero che la nave stia andando a fuoco-
Borbottò l’uomo oltre l’uscio, nascosto nelle tenebre. Inizialmente non riuscì a vedere la sua figura, immersa nell’oscurità della cabina. Tentai di sforzarmi, di cercare il suo sguardo nel buio.
- Oh-
Udì successivamente.
- Scommetto che non sei qui per avvertirmi di un incendio-
Pronunciò ancora il Capitano, mostrandosi ai miei occhi che smisero di vagare a vuoto nelle tenebre.
Il demone stava reggendo la porta davanti a me, a torso nudo e con i capelli spettinati.
- Guarda guarda, cosa sei? Un regalino per me?-
Mi squadrò da capo a piedi, quasi desiderasse mangiarmi. Indietreggiai di un passo, sistemando imbarazzata i vestiti fradici.  
- Capitano-
Iniziai cercando di restare seria, davanti all’uomo che indossava solamente dei pantaloni neri attillati, forse infilati di fretta. I capelli lunghi neri leggermente arruffati erano tenuti sciolti lungo le spalle, contornando la sua pelle pallida. Era terribilmente affascinante.
- Sì? Dimmi, cosa ci fai qui?-
Domandò con i suoi occhi neri, quanto il buio nel quale era immerso. Il suo volto e i suoi pettorali mi avevano provocato una leggera aritmia e, a causa loro, non riuscì a parlare perfettamente.
- I-I suoi uomini mi hanno indirizzato da lei…-
Balbettai.
- Ma davvero? Che bravi ragazzi…-
Cercai di distogliere lo sguardo dal suo corpo. Avevo sempre avuto qualche difficoltà a concentrarmi davanti a un uomo mezzo nudo.
- Sarò franca-
Continuai.
- Ho urgente bisogno di un passaggio-
- Ti sembro una carrozza io, bella signorina?-
Chiese fermamente il capitano, ripetendo le stesse parole del mozzo.
Feci un respiro profondo, cercando di tenere duro.
- Non mi aspetto di ottenere il viaggio gratis. Ditemi il vostro prezzo-
- Non credo che saresti lieta di pagarlo-
Dichiarò il demone, bagnandosi leggermente le labbra con la lingua. Percepì dei brividi lungo la schiena. Avevo ancora la sensazione che desiderasse mangiarmi.
- Ve ne stupireste-
Spiegai.
- Sarei disposta a pagare qualsiasi prezzo pur di allontanarmi da qui-
- Qualunque?-
L’uomo ci pensò seriamente, prima di contornarsi il mento con una mano.
- Sei un demone, ragazza?-
Io scossi il capo.
- Allora cosa?-
- E’ irrilevante-
- Una fata senza ali?-
Roteai gli occhi, dichiarando ancora una volta che esse non esistevano.
- Una strega dunque. Una strega su una nave di pirati? Con tutte le navi, perché proprio la mia?-
- Non ho così tanta scelta quanto voi crediate, Capitano-
La creatura tacque, attendendo maggiori spiegazioni.
- Ho bisogno di persone come voi, che chiudano un occhio riguardo alla legge-
Fece uno strano ghigno a quelle parole.  
- Quindi una bella signorina come te, sarebbe una fuorilegge-
Annuì.
- E cosa avresti fatto? Hai pestato le ali a qualcuno?-
Chiese ridendo, schernendomi.
- No, veramente io…-
Iniziai dicendo innervosita, tentando di elencare i vari motivi per cui vi era una taglia sulla mia testa. Mi bloccai, cercando di capire se ne valesse veramente la pena.
- Al Diavolo, forse non è stata una buona idea-
Borbottai furibonda fra me e me, voltando le spalle all’uomo e facendo qualche passo nell’oscurità. Non dovevo dimostrare niente a nessuno, tantomeno a lui e alla sua banda di pirati pazzi.
Forse ero ancora in tempo a requisire una nave a Reims.
- Aspetta-
Chiamò il Capitano, facendomi bloccare nel piccolo corridoio.
- Hai detto, qualsiasi cosa?-
- Sì, pur di andarmene in fretta-
- Da cosa stai scappando?-
- E’ tanto importante?-
Domandai, tornando ad avanzare verso la sua figura semi nuda.
- Forse sì, se mette a rischio la mia nave-
- Sono solo una ragazza di vent’anni, una strega come voi avete detto. Come potrei mettere a rischio la Gold Sea? Voi siete i demoni più ricercati dell’oceano, o sbaglio?-
Il comandante sorrise, riprendendo a squadrarmi in ogni mia forma.
- E va bene, mi hai convinto. Puoi salire a bordo ma non posso garantirti che durerai a lungo su questa nave, come hai detto tu, siamo demoni-
Sorrisi, accettando la sfida.
 
Tornai lentamente verso il ponte, cercando di non perdermi. Varcata la soglia, incontrai subito lo sguardo del ragazzo vestito di stracci. Mi fissò incredulo, scendendo da un barile sul quale sedeva.
- Sei viva-
Affermò divertito, mentre il resto della ciurma indaffarata si bloccava per prestarmi attenzione. Come il mozzo, anche i suoi compagni parvero sorpresi nel vedermi ancora respirare.
- Farò il viaggio con voi-
Annunciai, non potendo nascondere la mia felicità nell’allontanarmi dal regno. Echeggiò un risolino generale, prima che tutti tornassero ai loro compiti scuotendo la testa.
- Visto Thos?-
Proferì il ragazzo avvicinandosi saltellante al gigantesco demone.
- Non verrai punito per averla lasciata vivere-
- Ti piace avere ragione eh, Hunter?-
- Ho mai avuto torto?-
L’uomo lo colpì una seconda volta dietro la nuca.
- La devi ancora scontare per averci fatto scoprire. Questa notte lavorerai come non hai mai lavorato prima-
I due presero a litigare, intanto il sole stava calando e l’equipaggio si preparò a prendere il largo. Intorno ai due, intenti ad urlarsi addosso, il resto della ciurma correva da un lato all’altro per aggiustare vele e ancora. Avanzai verso la prua della nave, per non perdermi lo spettacolo della partenza.
Le nebbia che ci circondava ci accompagnò fin fuori dal porticciolo, da cui uscimmo con estrema agilità. Scansammo gli scogli quasi come se fossero quest’ultimi a spostarsi al nostro passaggio. Raggiungemmo indenni il mare aperto, solo allora Hunter e Thos furono stufi di litigare. Si separarono con il broncio, tornando ognuno ai loro doveri. Il ragazzino issò la vela. Aveva il simbolo classico con i teschi, ma non era nera. Il suo sfondo era dorato e si abbinava col resto della nave. Improvvisamente mi ricordai che stavo viaggiando su un vascello fatto interamente in oro e che questo stesse galleggiando. Era impossibile, nonostante ne fossi testimone. Con quel peso non poteva stare a galla, eppure pareva che scivolasse sull’acqua da quanto la nave fosse leggera.
Incredula osservai con attenzione tutta la sua struttura. Il ponte era rivestito di assi dorate, la balaustra era in oro massiccio, così come l’albero maestro. L’unica cosa in legno era il rivestimento delle varie cabine.
Ero proprio finita su una nave eccentrica. 
  
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