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Autore: ReaRyuugu    05/09/2013    3 recensioni
- È possibile che presto o tardi io perda la vita in battaglia. – sussurra, grave, abbassandosi su di te al punto che quasi le vostre fronti si toccano – Pensi di poter sostenere un avvenimento del genere? –
Naturalmente, nel mondo in cui vivi, i momenti di pace privi di ansie e di dubbi per il futuro sono un lusso che non puoi concederti.

EruRi [Irvin Smith x Levi] ~ [Fluff che scivola non proprio lentamente in Angst]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Irvin, Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Sì, stavolta faccio una comunicazione di servizio prima oltre che dopo il testo della storia, solo per mettere le mani avanti perché sono una codarda persona molto insicura (almeno sono sincera, dai).

Volevo precisare semplicemente che ciò che segue è… non so neanche come descriverlo. Per la prima volta ho provato a cimentarmi in una narrazione in seconda persona, e mentre da una parte sono piuttosto soddisfatta del risultato, dall’altra non riesco a realizzare se ciò che ho scritto sia effettivamente leggibile senza desiderare di prendersi a pugni nello stomaco.

Ai posteri l’ardua sentenza, immagino! Per ulteriori delucidazioni (di cosa), aggiungerò qualche nota personale anche alla fine. Buona lettura ~

 

 

Sforzati di non morire

 

 

 

- Levi, la mia altezza ti ha mai messo a disagio? -
Non ti aspetti una simile domanda da una persona che dal niente è piombata nella tua camera come se fosse inseguita da una schiera di titani, mentre con un’espressione perplessa aggrotti le sopracciglia e guardi dritto negli occhi l’uomo appena arrivato – Irvin Smith, colui che sembra appena aver lasciato la carica di Comandante della Squadra di Ricognizione solo per accettare quella di Capitano delle Domande Imbecilli.

La tua aria a metà tra il “Che cazzo hai detto?” e il “Penso che tu debba bere di meno” non gli passa inosservata, cosa che increspa le sue labbra in un sorriso, quel perfetto sorriso arcaico che solo raramente cela un reale sentimento, dietro, mentre la maggior parte delle volte è solo un’elegante (e terribilmente affascinante) decorazione atta a conquistarsi la fiducia di coloro che, a differenza tua, ancora cadono nei suoi trucchetti. Almeno stavolta, tuttavia, sembra essere un sorriso sincero; e pare non voler lasciare il viso del comandante neppure mentre, quasi imbarazzato, questi si porta una mano dietro la testa, articolando un’impacciata spiegazione che tu non aspetti altro che ascoltare.

- … è che stavo pensando che, per quanto io non sia neppure il più alto, la differenza di statura tra di noi è comunque abissale. Mi chiedevo solo se la cosa ti abbia mai messo soggezione. –

E distoglie lo sguardo, come se fosse intimorito dalla tua espressione che adesso urla, e anche piuttosto chiaramente, “Mi stai prendendo per il culo?”
Nonostante questo, sospirando, decidi di dargli retta (dopotutto, il comandante ha appena negletto i suoi importantissimi compiti per venire e chiederti quella cazzata): ti alzi dalla sedia che con uno scricchiolio leggero già lamenta la tua assenza, avvicinandoti all’uomo e guardandolo dritto negli occhi.

Sì, per essere alto è fottutamente alto. O meglio: sarebbe più appropriato dire che sei tu quello che è fottutamente basso, ma non vedi quale sia l’utilità di questa precisazione. La differenza d’altezza tra di voi è, e rimane, paurosamente esorbitante.

Se qualcuno che non sa chi sei ti vedesse adesso, davanti a quell’indiscussa bellezza nordica (non sai neppure cosa significhi di preciso questo termine, in quanto non ti risulta che nella zona più a nord delle mura ci siano uomini più belli della media. Probabilmente si tratta di chissà che detto antecedente alla costruzione delle mura stesse, sopravvissuto chissà come per più di cento anni… ma alla fine, queste frivolezze lessicali t’importano quanto basta, o meglio, non ti possono fregare di meno), probabilmente riderebbe di gusto nel vedervi su quei due piani così tanto distanti, catalogandoti senza troppe domande come sfigato o esserino senza talento. Effettivamente, è un po’ quel che succedeva agli inizi: nessuno, nonostante le parole di Irvin, ha mai creduto che tu fossi una persona valida fino a quando non gli hai dimostrato che cosa sai fare.

Sbatti le palpebre, incrociando le braccia. Considerando queste cose, il tuo verdetto può essere solo uno.

- Sì, all’inizio avrei voluto solo segarti le gambe. Adesso però mi sono abituato al fatto che tu sia quasi un fottuto titano. –

Ride, Irvin, appena pronunci quell’ultima frase. A volte, quando gli parli, ti sembra quasi che tutto ciò che dici venga preso come una battuta di spirito, e non con la giusta dose di acidità con cui vorresti le tue parole vengano recepite; ma anche questa è una sua caratteristica a cui ormai ti sei abituato. Lasci che si avvicini ancora di più a te, dunque, poggiandoti con decisione ma allo stesso tempo con dolcezza le mani sulle spalle, dando già per scontato che la sua intenzione sia quantomeno quella di darti un bacio sulla fronte…

Ci metti, però, qualche attimo a processare che non è questo che sta succedendo. Ti domandi se sia un’allucinazione, se davvero quelli che senti appoggiati sul tuo cranio siano i denti di quel cretino, se seriamente stia cercando di morderti la testa.

Alzi lo sguardo, almeno quanto ti è permesso dalla tua attuale posizione, e scopri che sì, Irvin sta davvero cercando di morderti la testa.

Il cervello ti si riempie di mille interrogativi tutti insieme, principalmente affini a “Com’è possibile che la ‘speranza del genere umano’ ogni tanto retroceda all’età mentale di due anni e mezzo?” e “Perché lo sta facendo?” quando, all’improvviso, l’illuminazione.

L’hai appena chiamato titano e, pertanto, questo coglione sta facendo finta di essere un titano. Sospiri per l’ennesima volta da quando è entrato nella stanza, correndo con una mano su per il suo bracco sinistro, arrivando a sfiorargli la spalla; lento ti dirigi sotto la nuca e, ancora più lentamente, passi l’unghia del pollice lungo la base del collo.

- Morto. – pronunci, semplicemente, sentendo i denti voraci di quell’altro abbandonare finalmente i tuoi capelli. Una risata sommessa proviene da sopra la tua testa; la alzi, curioso di capire cosa ci sia di tanto divertente in una scenetta così patetica, ma in fondo non puoi che sentirti sciogliere dentro guardando il suo sorriso, ascoltando il suono composto, ma non per questo meno melodioso, della sua risata. Se stavi per chiedergli cosa cazzo gli stesse passando per la mente mentre ti mordeva i capelli, adesso vuoi solo goderti quel momento, lasciando che le mani di Irvin sfiorino delicate il tuo viso pallido… ma c’è qualcosa, in quell’attimo di pace, che non ti convince.

- Mi hai proprio colto di sorpresa, hm. – sussurra, ignaro (almeno credi) dei tuoi pensieri e dei tuoi sospetti, passando lentamente i polpastrelli lungo tutto il contorno del tuo volto.

Continui a guardarlo, rimanendo imperturbabile anche quando ti sfodera davanti un ennesimo sorriso: stavolta, però, si tratta di uno dei suoi sorrisi a trabocchetto, tutto meno che sinceri.

Gli afferri il polso della mano che ti sta carezzando, allontanandola leggermente dalle guance che già palesano un rosso traditore, le palpebre che si sbarrano, le sopracciglia che si aggrottano sullo sguardo affilato.

- Dimmi cos’hai. – affermi, freddo e diretto. Non è una richiesta, è semplicemente un ordine, vale a dire ciò che non dovresti assolutamente rivolgere ad un tuo superiore. Tuttavia, dopo aver sgranato sorpreso gli occhi, Irvin sembra intenzionato a perdonare questo improvviso atto di insubordinazione.

Si libera placidamente dalla tua stretta, prendendosi tempo – troppo tempo – prima di obbedirti. Ti sistema la camicia già perfettamente sistemata, ti sposta un paio di ciuffetti disturbati dall’assalto di poco prima… e quasi all’improvviso ti afferra il volto tra le mani.

Senza violenza, senza troppo impeto; semplicemente ti appoggia entrambi i palmi sulla faccia, tornando a guardarti dritto dritto negli occhi.

È serio, è terribilmente serio, e la cosa non preannuncia niente di buono.

- Chiaramente adesso non sono morto sul serio, ma è possibile che presto o tardi io perda la vita in battaglia. – sussurra, grave, abbassandosi su di te al punto che quasi le vostre fronti si toccano – Pensi di poter sostenere un avvenimento del genere? –

Stringi forte i pugni, al punto che senti le unghie cercare di farsi strada nei tuoi palmi. Naturalmente, nel mondo in cui vivi, i momenti di pace privi di ansie e di dubbi per il futuro sono un lusso che non puoi concederti e, palesemente, questo non fa eccezione.

Abbassi lo sguardo, anzi, abbassi tutta la testa. Un sommesso “Levi…” accompagna lo spostarsi delle mani di Irvin dal tuo viso alle tue braccia, impedendoti inesorabilmente di muoverti, di scappare a quella domanda.

Di scappare per l’ennesima volta a quella domanda.

Non sei mai scappato davanti a niente, tu. Non sei scappato davanti ad una possibile condanna a morte, quando Irvin ti estrapolò dalle strade della città, non sei scappato durante gli addestramenti dal ritmo distruttivo a cui ti sottoponesti per entrare nella squadra di ricognizione; non sei mai scappato davanti ad un titano, durante all’imminenza di una battaglia.

C’è un’unica realtà che ti rifiuti di accettare, la realtà in cui la vita di Irvin Smith non è contemplata.

Rilasci i pugni, rendendoti solo ora di quanta forza tu abbia impresso in quel gesto involontario, solo per ravvivare di nuovo la dolorosa stretta.

Devi ammetterlo a te stesso, non sei mai stato facilmente impressionabile per quanto riguarda le altre persone. Questo non significa, ovviamente, che la vita ad esempio dei tuoi compagni ti sia indifferente – vuol solo dire che non hai mai provato particolare interesse per gli altri.

Irvin, tuttavia, è sempre stato un’eccezione: mai pensi di aver conosciuto un uomo capace di impressionarti come lui, di suscitare in te una tale attrazione. A prescindere dall’opinione degli altri relativamente al suo modo di fare, decisamente sopra le righe rispetto a ciò a cui le alte cariche sono abituate e talvolta anche un po’ discutibile, non puoi negare che lui sia un grande uomo. Merita una vita dignitosa, pensi, che deve concludersi con una morte altrettanto dignitosa.

Ma tu, voi, dove vivete?

Vivete in un incubo.

E la vita che vi siete scelti difficilmente comporta una morte onorevole: il massimo a cui potete aspirare è morire in una pozza del vostro stesso sangue, anche se sai benissimo che almeno uno di voi due finirà affogato nello stomaco di uno di quei mostri, solo per poi diventare vomito di titano.

Nessuno merita di morire così, e meno di tutti l’uomo che si trova davanti a te. Non vuoi e non puoi accettare un’ingiustizia del genere.

- Non sono parole che dovrebbero uscire dalla bocca della speranza incarnata del genere umano. – potresti paragonare questa frase piena di astio a un rigurgito che ti sale su per l’esofago corrodendoti la gola con la propria acidità, dopotutto l’aggressività con cui ti arriva alla bocca è più o meno la stessa. Lui, però, del tutto noncurante di quanto tu lo stia odiando in quel momento, si china ancora di più su di te, forse cercando quello sguardo che non hai alcuna intenzione di rivolgergli.

- Non ti sto parlando come speranza del genere umano, Levi… – cerca di alzarti la testa nel tentativo di farsi guardare; ma no, cazzo, tu non vuoi guardarlo. Preferisci serrare le palpebre piuttosto che incrociare i suoi maledetti occhi azzurri, piuttosto che guardare la sua espressione da padre apprensivo, o meglio…

- … ti sto parlando come tuo compagno. –

… o meglio, compagno, come gli piace tanto definirsi davanti a te. Ed è l’unico modo, davvero, con cui anche tu lo definiresti: il valore che dai a quella parola quando la rivolgi a lui è completamente diverso rispetto a quando la usi per i tuoi compagni di guerra.

Irvin è molto più simile ad un compagno di vita, per quanto raramente abbiate occasione di dimostrarvi reciprocamente questo legame. In fin dei conti, non avete mai neppure avuto bisogno di troppe platoniche manifestazioni di tutto ciò: a te come a lui, basta sapere che l’altro sia al proprio fianco.

Perché, allora, farsi del male pensando all’eventualità in cui quest’unico presupposto viene a mancare?

Nel frattempo, però, il tuo silenzio non gli basta; adesso molto più di tutte le altre volte pretende una risposta al suo quesito.

- Sei pronto a vedermi morire? –

Sussulti, sgranando gli occhi, vorresti gridare, ma sei costretto a modulare la tua voce in modo tale che lui, e solo lui, ti senta.

- Non sarò mai pronto a vederti morire. – pronunci tutto d’un fiato, per poi stringerti contro di lui.

È stupido da parte tua, terribilmente stupido e infantile. Stai facendo i capricci come un fottuto moccioso e te ne rendi conto, la tua immaturità nel non voler accettare un fato pressoché già scritto è quasi rivoltante, ma nonostante tutto non riesci a mandar giù questa cazzo di amarissima pillola.

Senti un vago sospirare sopra di te, senza capire troppo bene cosa stia dicendo l’altro mentre fai sprofondare il viso nel suo petto forte, stupidamente come se stessi cercando di costatare che il suo cuore stia ancora battendo.

Che Irvin sia vivo davanti a te è poco ma sicuro, altrimenti non lo sentiresti allontanarti gentilmente da sé, riscuotendoti appena. E fa bene, sì, a riscuoterti: non sei un bambino in balìa delle emozioni, sei il soldato più forte di tutta l’umanità, per quanto ancora insisti a rimanere nella tua sciocca ostinazione da cui è anche ora che tu ti decida ad uscire.

Lo guardi di sottecchi, e lui guarda te. Non sembra essere più tanto compassionevole quanto prima, anzi, scorgi nella sua espressione una certa severità che sei anche piuttosto sicuro di meritarti.

Ti liberi bruscamente dalla lieve stretta che le sue dita ancora ti impongono sulle braccia, voltandogli le spalle e dirigendoti verso un mobiletto dall’altra parte della stanza.

- E tu, sei pronto a vedermi morire? – non hai paura di usare quel tono strafottente con lui, nonostante tu abbia perfettamente percepito una certa nota di rabbia da parte sua. La replica dell’uomo è più veloce di quanto ti aspettassi, al punto che quasi sussulti sorpreso mentre tiri fuori una vecchia bottiglia ed un singolo bicchiere.

- Sì, ovvio. – come immaginavi, Irvin è arrabbiato per il tuo comportamento. Sussurri tra i denti quasi stretti un “Naturalmente…” come a fargli eco, stappando la bottiglia con un colpo secco e versandone il contenuto rossastro nell’altro contenitore.

- Immagino che sia il motivo per cui sei il comandante, no? Accettare indistintamente la morte di tutti. - prosegui, portandoti finalmente il bicchiere alle labbra e versandoti in bocca almeno la metà del liquore da esso contenuto. Espiri forte dal naso, disabituato, quasi, al bruciare selvaggio dell’alcol nella tua gola: difficilmente Irvin tollera abitudini quale il bere, soprattutto in sua presenza, ma la lieve inebriazione che speri di raggiungere è tutto ciò di cui hai bisogno adesso. L’unico motivo di tutto ciò è alle tue spalle, ed è proprio a questi che lanci un’occhiata fugace, non scomponendoti nemmeno quando a passi lenti prende ad avvicinarsi a te.

- Proprio così. – ti risponde, ma anche stavolta, anche adesso che il suo sorriso è sparito del tutto, riesci a riconoscere che la sua è una palese menzogna.

Nessun essere umano di sorta può essere indifferente davanti alla morte, e tu più di tutti sai quanto la vita stroncata di ogni soldato defunto in battaglia gravi sulle spalle di quell’uomo. Sai benissimo quanto tenga alla vita di ognuno e alla tua, e quanto si a improbabile che passi sopra alla tua eventuale morte con tutta la facilità che vuole dimostrare.

Fanculo… vorresti essere capace anche tu di mentire in quel modo, ma proprio non sei mai stato capace di rimanere così impassibile pur sapendo di star pronunciando una marea di stronzate.

- Allora, facciamo così. – proclami, stringendo forte le dita sul vetro del bicchiere. Ti volti verso di lui, la sua espressione irritata sembra aver lasciato spazio, di nuovo, allo stupore – Facciamo che io mi sforzo di accettare la tua morte, Irvin, ma tu ti sforzi di non morire. –

Non sai cosa ti imbarazzi di più, se il silenzio interminabile che segue o la mezza risata che subito dopo riempie la stanza, la quale ti ricorda anche perché nonostante le tentazioni non ti avvicini mai all’alcol. Non lo reggi, non l’hai mai retto e ti fa parlare come un idiota (anche se, in realtà, probabilmente quest’ultima pecca è solamente data dalla suggestione, perché è impossibile che già quel mezzo bicchiere a stomaco vuoto stia dando i suoi effetti).

- Ha poco senso. – risponde – Ma ok, si può fare. –

- Fottiti, che abbia senso o no, prendere o lasciare. – gli mugugni contro, voltandoti di nuovo per finire di ingurgitare il poco liquido che rimane, ma non fai in tempo. Non appena il bicchiere ti viene strappato dalle mani tiri indietro la testa, proprio nel momento in cui Irvin ti lancia una breve occhiata prima di bere ciò che era destinato alle tue labbra, non alle sue.

- Mi sembrava giusto suggellare il patto con una bevuta. – ti sorride, e la voglia di mandare a fanculo lui e la sua bella faccia ti passa immediatamente. Beh, se non altro stavolta puoi dire di aver avuto la meglio sulla sua grandiosa capacita di vomitare cazzate, no? Non hai neppure dovuto mentire: se Irvin fa del suo meglio per non crepare, non hai nessun motivo di preoccuparti della sua morte.

Basterebbe un ragazzino di dieci anni a smontare questo ragionamento, te ne rendi perfettamente conto, e dai per scontato che anche quell’altro l’abbia capito appieno, ma a quanto pare, per oggi, non ha intenzione di rigirare più del necessario il dito nella piaga (anche se non puoi fare a meno di vedere quel furto di alcol come una ripicca da parte sua… che razza di stronzo, poteva versarsi un bicchiere per conto suo).

Piuttosto, decide di prendersela comoda, di rimetterti il contenitore di vetro ormai vuoto tra le mani e di carezzarti gentilmente le guance, deciso a costringerti chissà quando a mantenere quella posizione così assurdamente scomoda. Sospiri, rassegnato: in fondo, va bene anche così. Non lo ammetterai mai davanti a qualcuno, meno che tutti davanti a lui, ma ti piace sentire il calore delle sue dita sulla tua pelle, il suo respiro infrangersi da una breve distanza sul tuo viso. E ti piace sentire anche le sue labbra sulla tua fronte, proprio come poco fa ti aspettavi che accadesse, ritrovandoti addirittura a chiudere gli occhi pur di goderti appieno quel singolo momento di calma.

- … ti amo, ricordatelo. – ti sussurra, ma nonostante tutti gli anni passati insieme e le volte che queste parole ti sono state ripetute, ancora non sai come reagire. Raddrizzi di nuovo il capo, dandogli le spalle, cercando in qualche modo di ribattere a dovere a quella frase, ma tutto ciò che ti esce dalle labbra è solamente un vago ‘okay’. Lo senti ridacchiare alle tue spalle, ormai è abituato alle tue risposte ermetiche, e ti dà una leggera pacca sulle spalle prima di allontanarsi da te.

- Torniamo a lavoro, adesso. Ci siamo concessi una pausa anche più lunga del previsto. –

- Ti ricordo che sei stato tu a venir qui a rompermi le palle. –

- Dai, in fondo la mia era una domanda lecita! –

- Irvin. – c’è un certo tono di severa autorità, nella tua voce, forse anche più forte del necessario. Ti giri verso di lui, lo guardi dritto in viso, lasci correre lo sguardo lungo tutta la sua figura. Senti di aver bisogno di farlo, di memorizzare attentamente la sua persona nei più piccoli e anche insignificanti particolari, di imprimerti nel cervello la sua immagine in modo permanente.

Tutti arrivano al termine della propria esistenza, prima o poi. E ogni volta che voi due vi avventurate oltre le mura, lo spettro della morte vi respira incessantemente sul collo, ansioso di recidere la vita via dal vostro corpo e di lasciare quest’ultimo a marcire e sparire per sempre.

Per quanto scioccamente speri che una maggior attenzione in battaglia possa aiutare a ritardare questo processo inevitabile, sai che presto o tardi succederà. Dignitosa o indignitosa che sia, la realtà in cui la vita di Irvin Smith non è contemplata è inesorabile e certa; sai che arriverà il giorno in cui non ci sarà più al tuo fianco, e sai anche che farà male, a prescindere dalla causa di questa mancanza.

È solo questo il motivo per cui ogni occasione è buona per ravvivare il ricordo che hai di lui, conscio che un giorno potrai affidarti solo a quello e a nient’altro; deglutisci appena, i denti che affondano nelle pareti interne della tua bocca, un singolo respiro irregolare che potrebbe tradire ciò che pensi e che subito maledici tra te e te, nonostante grazie al cielo il comandante non sembra essersene reso conto.

- … sì? – decide piuttosto di tentare ad incalzarti, avanzando di nuovo un passo verso di te. Sei costretto a rimangiarti ciò che hai appena pensato, realizzando che con estrema probabilità Irvin ha capito appieno cosa ti passa per la testa. Non vuole forzarti a parlarne, o avrebbe già iniziato a far domande, ma vuole chiaramente darti la possibilità di farlo, lasciandoti capire che se solo tu esternassi il tuo disagio non esiterebbe a rimanere ancora lì.

Ma, a conti fatti, non hai bisogno del sostegno di qualcuno che non sia tu per avere a che fare con i tuoi pensieri; non è un caso se sei il soldato più forte dell’umanità.

- Niente, torna a lavorare, razza di scansafatiche. Non stai dando il buon esempio come comandante. –

Sbatte un paio di volte le palpebre sugli occhi sgranati, anche se c’è poco da stupirsi – davvero, dopotutto, pensava che avresti implorato la sua consolazione? Pure lui deve aver pensato la stessa cosa, visto lo sbuffo divertito a cui si abbandona.

- Va bene, va bene… vado, vado. -

Sapete entrambi quanto tu abbia paura di vederlo morire prima di te, ma tutti e due sapete anche che nonostante i capricci che fai, nonostante il dolore che inevitabilmente proverai, avrai la forza di accettare tutto ciò e andare avanti; e che fino ad allora, se lo vorrai, lui sarà lì pronto ad offrirti il suo aiuto e il suo amore.

 

… anche a prescindere dal tuo comportamento così tanto acido, per fortuna.

 

 

 

 

 

Bello perché questa one-shot ha 3500 parole precise e giuro che me ne sono accorta solo quando l’ho editata per la terza volta.

Ave, voi chi siete arrivati qui in fondo! Sappiate che avete appena alzato di qualche punto la mia autostima, quindi vi voglio bene.

Cosa dire? Come dicevo, è la prima volta che provo a usare una narrazione in seconda persona in uno dei miei scritti, ed è stato… divertente, credo? Semplicemente, mi sembrava che fosse uno stile narrativo adatto a Levi, impersonale ma non troppo, e quindi tra una sosta e l’altra durante lo studio ho pensato di lavorare a questa one-shot.

cheeee ero troppo imbarazzata per postare, visto che mi sembra qualcosa di pesante come una colata di cemento. Però nel frattempo diciamo che mi sono decisa (e ha contribuito molto ciò che è successo, anche se non so come mai, nel capitolo 49, quello di cui le scan sono uscite oggi – roba che non ho intenzione di raccontare perché non voglio spoilerare niente a nessuno NON FATE SPOILER NELLE RECENSIONI PER CARITÀ NON PER ME MA PER GLI ALTRI IGNARI AVVENTORI), e quindi eccomi qui, con dell’eruri non troppo esplicita, un po’ fluff e un po’ angst. Come piace a me.

Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno/favoriteranno/commenteranno, sappiate che vi amo tutti e che cercherò di rispondere a tutte le recensioni, se ci saranno – se non lo faccio, probabilmente sono stata divorata da un titano. O forse mi sono addormentata convinta di avervi risposto e svegliata il giorno dopo ignara di non averlo fatto.

Bonus points per chi trova la citazione molto subdola e molto approssimativa a The Reluctant Heroes!

Alla prossima, bye bye ~

   
 
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