Salve a tutti! Sì,
stavolta faccio una comunicazione di servizio prima oltre che dopo
il testo della storia, solo per mettere le mani avanti perché sono una codarda
persona molto insicura (almeno sono sincera, dai).
Volevo precisare
semplicemente che ciò che segue è… non so neanche come descriverlo. Per la
prima volta ho provato a cimentarmi in una narrazione in seconda persona, e
mentre da una parte sono piuttosto soddisfatta del risultato, dall’altra non
riesco a realizzare se ciò che ho scritto sia effettivamente leggibile
senza desiderare di prendersi a pugni nello stomaco.
Ai
posteri l’ardua sentenza, immagino! Per ulteriori
delucidazioni (di cosa), aggiungerò qualche nota
personale anche alla fine. Buona lettura ~
Sforzati di non morire
- Levi,
la mia altezza ti ha mai messo a disagio? -
Non ti aspetti una simile domanda da una persona che dal niente è piombata
nella tua camera come se fosse inseguita da una schiera di titani, mentre con
un’espressione perplessa aggrotti le sopracciglia e guardi dritto negli occhi
l’uomo appena arrivato – Irvin Smith, colui che
sembra appena aver lasciato la carica di Comandante della Squadra di
Ricognizione solo per accettare quella di Capitano delle Domande Imbecilli.
La tua aria a metà tra il “Che
cazzo hai detto?” e il “Penso che tu debba bere di meno” non gli passa
inosservata, cosa che increspa le sue labbra in un sorriso, quel perfetto
sorriso arcaico che solo raramente cela un reale sentimento, dietro, mentre la
maggior parte delle volte è solo un’elegante (e terribilmente affascinante)
decorazione atta a conquistarsi la fiducia
di coloro che, a differenza tua, ancora cadono nei suoi trucchetti. Almeno
stavolta, tuttavia, sembra essere un sorriso sincero; e pare non voler lasciare
il viso del comandante neppure mentre, quasi imbarazzato, questi si porta una
mano dietro la testa, articolando un’impacciata spiegazione che tu non aspetti
altro che ascoltare.
- … è che stavo pensando che, per
quanto io non sia neppure il più alto, la differenza di
statura tra di noi è comunque abissale. Mi chiedevo solo se la cosa ti abbia
mai messo soggezione. –
E distoglie lo sguardo, come se
fosse intimorito dalla tua espressione che adesso urla, e anche piuttosto
chiaramente, “Mi stai prendendo per il culo?”
Nonostante questo, sospirando, decidi di dargli retta (dopotutto, il comandante
ha appena negletto i suoi importantissimi compiti per venire lì e chiederti quella cazzata): ti alzi
dalla sedia che con uno scricchiolio leggero già lamenta la tua assenza,
avvicinandoti all’uomo e guardandolo dritto negli occhi.
Sì, per essere alto è fottutamente
alto. O meglio: sarebbe più appropriato dire che sei
tu quello che è fottutamente basso,
ma non vedi quale sia l’utilità di questa precisazione. La differenza d’altezza
tra di voi è, e rimane, paurosamente esorbitante.
Se qualcuno che non sa chi sei ti
vedesse adesso, davanti a quell’indiscussa bellezza
nordica (non sai neppure cosa significhi di preciso questo termine, in quanto non ti risulta che nella zona più a nord delle
mura ci siano uomini più belli della media. Probabilmente si tratta di chissà
che detto antecedente alla costruzione delle mura stesse, sopravvissuto chissà
come per più di cento anni… ma alla fine, queste frivolezze lessicali t’importano
quanto basta, o meglio, non ti possono fregare di meno), probabilmente
riderebbe di gusto nel vedervi su quei due piani così tanto distanti,
catalogandoti senza troppe domande come sfigato o esserino senza talento. Effettivamente, è un po’
quel che succedeva agli inizi: nessuno, nonostante le parole di Irvin, ha mai
creduto che tu fossi una persona valida fino a quando non gli hai dimostrato
che cosa sai fare.
Sbatti le palpebre, incrociando le
braccia. Considerando queste cose, il tuo verdetto può essere solo uno.
- Sì, all’inizio avrei voluto solo segarti le gambe. Adesso però mi sono abituato al fatto che tu sia quasi un fottuto titano.
–
Ride, Irvin, appena pronunci
quell’ultima frase. A volte, quando gli parli, ti sembra quasi che tutto ciò
che dici venga preso come una battuta di spirito, e
non con la giusta dose di acidità con cui vorresti le tue parole vengano
recepite; ma anche questa è una sua caratteristica a cui ormai ti sei abituato.
Lasci che si avvicini ancora di più a te, dunque, poggiandoti con decisione ma
allo stesso tempo con dolcezza le mani sulle spalle, dando già per scontato che
la sua intenzione sia quantomeno quella di darti un bacio sulla fronte…
Ci metti, però, qualche attimo a
processare che non è questo che sta succedendo. Ti domandi se sia
un’allucinazione, se davvero quelli che senti appoggiati sul tuo cranio siano i
denti di quel cretino, se seriamente
stia cercando di morderti la testa.
Alzi lo sguardo, almeno quanto ti
è permesso dalla tua attuale posizione, e scopri che sì, Irvin sta davvero cercando di morderti la testa.
Il cervello ti si riempie di mille
interrogativi tutti insieme, principalmente affini a “Com’è possibile che la
‘speranza del genere umano’ ogni tanto retroceda
all’età mentale di due anni e mezzo?” e “Perché lo sta facendo?” quando,
all’improvviso, l’illuminazione.
L’hai appena chiamato titano e,
pertanto, questo coglione sta facendo finta di essere un titano. Sospiri per l’ennesima volta da quando è entrato
nella stanza, correndo con una mano su per il suo bracco sinistro, arrivando a
sfiorargli la spalla; lento ti dirigi sotto la nuca e, ancora più lentamente,
passi l’unghia del pollice lungo la base del collo.
- Morto. –
pronunci, semplicemente, sentendo i denti voraci di quell’altro abbandonare finalmente i tuoi capelli. Una
risata sommessa proviene da sopra la tua testa; la alzi, curioso di capire cosa
ci sia di tanto divertente in una scenetta così patetica, ma in fondo non puoi
che sentirti sciogliere dentro guardando il suo sorriso, ascoltando il suono
composto, ma non per questo meno melodioso, della sua risata. Se stavi per
chiedergli cosa cazzo gli stesse passando per la mente
mentre ti mordeva i capelli, adesso vuoi solo goderti quel momento, lasciando
che le mani di Irvin sfiorino delicate il tuo viso pallido… ma c’è qualcosa, in
quell’attimo di pace, che non ti convince.
- Mi hai proprio colto di
sorpresa, hm. – sussurra, ignaro (almeno credi)
dei tuoi pensieri e dei tuoi sospetti, passando lentamente i polpastrelli lungo
tutto il contorno del tuo volto.
Continui a guardarlo, rimanendo
imperturbabile anche quando ti sfodera davanti un
ennesimo sorriso: stavolta, però, si tratta di uno dei suoi sorrisi a
trabocchetto, tutto meno che sinceri.
Gli afferri il polso della mano
che ti sta carezzando, allontanandola leggermente dalle guance che già palesano
un rosso traditore, le palpebre che si sbarrano, le sopracciglia che si
aggrottano sullo sguardo affilato.
- Dimmi cos’hai. – affermi, freddo e diretto. Non è una richiesta, è
semplicemente un ordine, vale a dire ciò che non dovresti assolutamente
rivolgere ad un tuo superiore. Tuttavia, dopo aver
sgranato sorpreso gli occhi, Irvin sembra intenzionato a perdonare questo
improvviso atto di insubordinazione.
Si libera placidamente dalla tua
stretta, prendendosi tempo – troppo
tempo – prima di obbedirti. Ti sistema la camicia
già perfettamente sistemata, ti sposta un paio di
ciuffetti disturbati dall’assalto di poco prima… e quasi all’improvviso ti
afferra il volto tra le mani.
Senza violenza, senza troppo
impeto; semplicemente ti appoggia entrambi i palmi sulla faccia, tornando a
guardarti dritto dritto
negli occhi.
È serio, è terribilmente serio, e la cosa non preannuncia
niente di buono.
- Chiaramente adesso non sono
morto sul serio, ma è possibile che presto o tardi io perda la vita in
battaglia. – sussurra, grave, abbassandosi su di te al punto che quasi le
vostre fronti si toccano – Pensi di poter sostenere un avvenimento del
genere? –
Stringi forte i pugni, al punto
che senti le unghie cercare di farsi strada nei tuoi
palmi. Naturalmente, nel mondo in cui vivi, i momenti di pace privi di ansie e
di dubbi per il futuro sono un lusso che non puoi concederti e, palesemente, questo
non fa eccezione.
Abbassi lo sguardo, anzi, abbassi tutta la testa. Un sommesso “Levi…” accompagna lo
spostarsi delle mani di Irvin dal tuo viso alle tue braccia, impedendoti
inesorabilmente di muoverti, di scappare a quella domanda.
Di scappare per l’ennesima volta a quella domanda.
Non sei mai scappato davanti a
niente, tu. Non sei scappato davanti ad una possibile condanna a morte, quando
Irvin ti estrapolò dalle strade della città, non sei
scappato durante gli addestramenti dal ritmo distruttivo a cui ti sottoponesti
per entrare nella squadra di ricognizione; non sei mai scappato davanti ad un
titano, durante all’imminenza di una battaglia.
C’è un’unica realtà che ti rifiuti
di accettare, la realtà in cui la vita di Irvin Smith non è contemplata.
Rilasci i pugni, rendendoti solo
ora di quanta forza tu abbia impresso in quel gesto involontario, solo per
ravvivare di nuovo la dolorosa stretta.
Devi ammetterlo a te stesso, non
sei mai stato facilmente impressionabile per quanto riguarda le altre persone.
Questo non significa, ovviamente, che la vita ad esempio dei tuoi compagni ti
sia indifferente – vuol solo dire che non hai mai provato particolare interesse per gli altri.
Irvin, tuttavia, è sempre stato
un’eccezione: mai pensi di aver conosciuto un uomo capace di impressionarti
come lui, di suscitare in te una tale attrazione. A prescindere dall’opinione
degli altri relativamente al suo modo di fare,
decisamente sopra le righe rispetto a ciò a cui le alte cariche sono abituate e
talvolta anche un po’ discutibile, non puoi negare che lui sia un grande uomo.
Merita una vita dignitosa, pensi, che deve concludersi
con una morte altrettanto dignitosa.
Ma tu, voi, dove vivete?
Vivete in un incubo.
E la vita che vi siete scelti
difficilmente comporta una morte onorevole: il massimo a cui
potete aspirare è morire in una pozza del vostro stesso sangue, anche se sai
benissimo che almeno uno di voi due finirà affogato nello stomaco di uno di
quei mostri, solo per poi diventare vomito di titano.
Nessuno
merita di morire così, e meno di tutti l’uomo che si trova davanti a te. Non
vuoi e non puoi accettare un’ingiustizia del genere.
- Non sono parole che dovrebbero
uscire dalla bocca della speranza incarnata del genere umano. – potresti
paragonare questa frase piena di astio a un rigurgito che ti sale su per
l’esofago corrodendoti la gola con la propria acidità, dopotutto l’aggressività
con cui ti arriva alla bocca è più o meno la stessa. Lui, però, del tutto noncurante di
quanto tu lo stia odiando in quel momento, si china
ancora di più su di te, forse cercando quello sguardo che non hai alcuna
intenzione di rivolgergli.
- Non ti sto parlando come speranza
del genere umano, Levi… – cerca di alzarti la testa nel tentativo di
farsi guardare; ma no, cazzo, tu non vuoi guardarlo. Preferisci serrare le
palpebre piuttosto che incrociare i suoi maledetti occhi azzurri, piuttosto che
guardare la sua espressione da padre apprensivo, o meglio…
- … ti sto parlando come tuo
compagno. –
… o meglio, compagno, come gli piace tanto definirsi davanti a te. Ed è l’unico
modo, davvero, con cui anche tu lo definiresti: il valore che dai a quella
parola quando la rivolgi a lui è completamente diverso rispetto a quando la usi
per i tuoi compagni di guerra.
Irvin è molto più simile ad un compagno di vita,
per quanto raramente abbiate occasione di dimostrarvi reciprocamente questo
legame. In fin dei conti, non avete mai neppure avuto bisogno di troppe
platoniche manifestazioni di tutto ciò: a te come a lui, basta sapere che
l’altro sia al proprio fianco.
Perché, allora, farsi del male
pensando all’eventualità in cui quest’unico presupposto viene a mancare?
Nel frattempo, però, il tuo silenzio
non gli basta; adesso molto più di tutte le altre volte pretende una risposta
al suo quesito.
- Sei pronto a vedermi morire?
–
Sussulti, sgranando gli occhi,
vorresti gridare, ma sei costretto a modulare la tua voce in modo tale che lui,
e solo lui, ti senta.
- Non sarò mai pronto a vederti morire. – pronunci tutto d’un fiato, per poi stringerti contro di lui.
È stupido da parte tua,
terribilmente stupido e infantile. Stai facendo i capricci come un fottuto
moccioso e te ne rendi conto, la tua immaturità nel non voler accettare un fato
pressoché già scritto è quasi rivoltante, ma nonostante tutto non riesci a mandar
giù questa cazzo di amarissima pillola.
Senti un vago sospirare sopra di
te, senza capire troppo bene cosa stia dicendo l’altro mentre fai sprofondare
il viso nel suo petto forte, stupidamente come se stessi cercando di costatare
che il suo cuore stia ancora battendo.
Che Irvin sia vivo davanti a te è
poco ma sicuro, altrimenti non lo sentiresti allontanarti gentilmente da sé,
riscuotendoti appena. E fa bene, sì, a riscuoterti: non sei un bambino in balìa
delle emozioni, sei il soldato più forte di tutta l’umanità, per quanto ancora
insisti a rimanere nella tua sciocca ostinazione da cui è anche ora che tu ti
decida ad uscire.
Lo guardi di sottecchi, e lui guarda te. Non sembra essere più tanto compassionevole
quanto prima, anzi, scorgi nella sua espressione una certa severità che sei
anche piuttosto sicuro di meritarti.
Ti liberi bruscamente dalla lieve
stretta che le sue dita ancora ti impongono sulle
braccia, voltandogli le spalle e dirigendoti verso un mobiletto dall’altra
parte della stanza.
- E tu, sei pronto a vedermi
morire? – non hai paura di usare quel tono strafottente con lui,
nonostante tu abbia perfettamente percepito una certa nota di rabbia da parte
sua. La replica dell’uomo è più veloce di quanto ti aspettassi, al punto che
quasi sussulti sorpreso mentre tiri fuori una vecchia
bottiglia ed un singolo bicchiere.
- Sì, ovvio. – come immaginavi, Irvin è arrabbiato per il tuo comportamento. Sussurri tra i denti quasi stretti un “Naturalmente…” come a fargli
eco, stappando la bottiglia con un colpo secco e versandone il contenuto
rossastro nell’altro contenitore.
- Immagino che sia il motivo per
cui sei il comandante, no? Accettare indistintamente la morte di tutti. -
prosegui, portandoti finalmente il bicchiere alle labbra e versandoti in bocca
almeno la metà del liquore da esso contenuto. Espiri forte dal naso,
disabituato, quasi, al bruciare selvaggio dell’alcol nella tua gola: difficilmente
Irvin tollera abitudini quale il bere, soprattutto in sua presenza, ma la lieve
inebriazione che speri di raggiungere è tutto ciò di
cui hai bisogno adesso. L’unico motivo di tutto ciò è alle tue spalle, ed è
proprio a questi che lanci un’occhiata fugace, non scomponendoti nemmeno quando
a passi lenti prende ad avvicinarsi a te.
- Proprio così. – ti
risponde, ma anche stavolta, anche adesso che il suo sorriso è sparito del
tutto, riesci a riconoscere che la sua è una palese menzogna.
Nessun essere umano di sorta può
essere indifferente davanti alla morte, e tu più di tutti sai quanto la vita
stroncata di ogni soldato defunto in battaglia gravi
sulle spalle di quell’uomo. Sai benissimo quanto tenga alla vita di ognuno e
alla tua, e quanto si a improbabile
che passi sopra alla tua eventuale morte con tutta la facilità che vuole
dimostrare.
Fanculo… vorresti essere capace
anche tu di mentire in quel modo, ma proprio non sei mai stato capace di
rimanere così impassibile pur sapendo di star pronunciando una marea di
stronzate.
- Allora, facciamo così. –
proclami, stringendo forte le dita sul vetro del bicchiere. Ti volti verso di
lui, la sua espressione irritata sembra aver lasciato spazio, di nuovo, allo
stupore – Facciamo che io mi sforzo di accettare la tua morte, Irvin, ma
tu ti sforzi di non morire. –
Non sai cosa ti imbarazzi
di più, se il silenzio interminabile che segue o la mezza risata che subito
dopo riempie la stanza, la quale ti ricorda anche perché nonostante le
tentazioni non ti avvicini mai all’alcol. Non lo reggi, non l’hai mai retto e
ti fa parlare come un idiota (anche se, in realtà, probabilmente quest’ultima pecca è solamente data dalla suggestione, perché è
impossibile che già quel mezzo bicchiere a stomaco vuoto stia dando i suoi
effetti).
- Ha poco senso. – risponde
– Ma ok, si può fare. –
- Fottiti,
che abbia senso o no, prendere o lasciare. – gli mugugni contro,
voltandoti di nuovo per finire di ingurgitare il poco liquido che rimane, ma
non fai in tempo. Non appena il bicchiere ti viene
strappato dalle mani tiri indietro la testa, proprio nel momento in cui Irvin ti
lancia una breve occhiata prima di bere ciò che era destinato alle tue labbra, non alle sue.
- Mi sembrava giusto suggellare il
patto con una bevuta. – ti sorride, e la voglia di mandare a fanculo lui
e la sua bella faccia ti passa immediatamente. Beh, se non altro stavolta puoi
dire di aver avuto la meglio sulla sua grandiosa
capacita di vomitare cazzate, no? Non hai neppure dovuto mentire: se Irvin fa
del suo meglio per non crepare, non hai nessun motivo di preoccuparti della sua
morte.
Basterebbe un ragazzino di dieci
anni a smontare questo ragionamento, te ne rendi perfettamente conto, e dai per
scontato che anche quell’altro l’abbia capito appieno, ma a quanto pare, per
oggi, non ha intenzione di rigirare più del necessario il dito nella piaga
(anche se non puoi fare a meno di vedere quel furto di alcol come una ripicca
da parte sua… che razza di stronzo, poteva versarsi un bicchiere per conto
suo).
Piuttosto, decide di prendersela
comoda, di rimetterti il contenitore di vetro ormai vuoto tra le mani e di
carezzarti gentilmente le guance, deciso a costringerti chissà quando a
mantenere quella posizione così assurdamente scomoda. Sospiri, rassegnato: in
fondo, va bene anche così. Non lo ammetterai mai davanti a qualcuno, meno che
tutti davanti a lui, ma ti piace sentire il calore delle sue dita sulla tua
pelle, il suo respiro infrangersi da una breve distanza sul tuo viso. E ti
piace sentire anche le sue labbra sulla tua fronte, proprio come poco fa ti aspettavi che accadesse, ritrovandoti addirittura a
chiudere gli occhi pur di goderti appieno quel singolo momento di calma.
- … ti amo, ricordatelo. –
ti sussurra, ma nonostante tutti gli anni passati insieme e le volte che queste
parole ti sono state ripetute, ancora non sai come reagire. Raddrizzi di nuovo
il capo, dandogli le spalle, cercando in qualche modo di ribattere a dovere a
quella frase, ma tutto ciò che ti esce dalle labbra è solamente un vago ‘okay’.
Lo senti ridacchiare alle tue spalle, ormai è abituato alle tue risposte
ermetiche, e ti dà una leggera pacca sulle spalle prima di allontanarsi da te.
- Torniamo a lavoro, adesso. Ci
siamo concessi una pausa anche più lunga del previsto. –
- Ti ricordo che sei stato tu a
venir qui a rompermi le palle. –
- Dai, in fondo la mia era una domanda lecita! –
- Irvin. – c’è un certo tono
di severa autorità, nella tua voce, forse anche più forte del necessario. Ti
giri verso di lui, lo guardi dritto in viso, lasci correre lo sguardo lungo
tutta la sua figura. Senti di aver bisogno di farlo, di memorizzare
attentamente la sua persona nei più piccoli e anche insignificanti particolari,
di imprimerti nel cervello la sua immagine in modo permanente.
Tutti arrivano al termine della
propria esistenza, prima o poi. E ogni volta che voi
due vi avventurate oltre le mura, lo spettro della
morte vi respira incessantemente sul collo, ansioso di recidere la vita via dal
vostro corpo e di lasciare quest’ultimo a marcire e sparire per sempre.
Per quanto scioccamente speri che
una maggior attenzione in battaglia possa aiutare a ritardare questo processo
inevitabile, sai che presto o tardi succederà. Dignitosa o indignitosa che sia,
la realtà in cui la vita di Irvin Smith non è contemplata è inesorabile e
certa; sai che arriverà il giorno in cui non ci sarà più al tuo fianco, e sai
anche che farà male, a prescindere dalla causa di questa mancanza.
È solo questo il motivo per cui
ogni occasione è buona per ravvivare il ricordo che hai di lui, conscio che un
giorno potrai affidarti solo a quello e a nient’altro; deglutisci appena, i
denti che affondano nelle pareti interne della tua bocca, un singolo respiro
irregolare che potrebbe tradire ciò che pensi e che subito maledici tra te e
te, nonostante grazie al cielo il comandante non sembra essersene reso conto.
- … sì? – decide piuttosto
di tentare ad incalzarti, avanzando di nuovo un passo
verso di te. Sei costretto a rimangiarti ciò che hai appena pensato, realizzando che con estrema probabilità Irvin ha capito
appieno cosa ti passa per la testa. Non vuole forzarti a parlarne, o avrebbe
già iniziato a far domande, ma vuole chiaramente darti la possibilità di farlo,
lasciandoti capire che se solo tu esternassi il tuo disagio non esiterebbe a
rimanere ancora lì.
Ma, a conti fatti, non hai bisogno
del sostegno di qualcuno che non sia tu per avere a che fare con i tuoi pensieri; non è un caso se sei il
soldato più forte dell’umanità.
- Niente, torna a lavorare, razza di scansafatiche. Non stai dando il buon
esempio come comandante. –
Sbatte un paio di volte le
palpebre sugli occhi sgranati, anche se c’è poco da stupirsi – davvero,
dopotutto, pensava che avresti implorato la sua consolazione? Pure lui deve
aver pensato la stessa cosa, visto lo sbuffo divertito a cui
si abbandona.
- Va bene, va
bene… vado, vado. -
Sapete entrambi quanto tu abbia
paura di vederlo morire prima di te, ma tutti e due
sapete anche che nonostante i capricci che fai, nonostante il dolore che
inevitabilmente proverai, avrai la forza di accettare tutto ciò e andare
avanti; e che fino ad allora, se lo vorrai, lui sarà lì pronto ad offrirti il
suo aiuto e il suo amore.
… anche a prescindere dal tuo
comportamento così tanto acido, per
fortuna.
Bello perché questa
one-shot ha 3500 parole precise e giuro che me ne
sono accorta solo quando l’ho editata per la terza volta.
Ave, voi chi siete arrivati qui in fondo! Sappiate che avete appena alzato di qualche
punto la mia autostima, quindi vi voglio bene.
Cosa dire? Come dicevo, è la prima volta
che provo a usare una narrazione in seconda persona in uno dei miei scritti, ed
è stato… divertente, credo? Semplicemente, mi sembrava che fosse uno stile
narrativo adatto a Levi, impersonale ma non troppo, e quindi tra una sosta e
l’altra durante lo studio ho pensato di lavorare a questa
one-shot.
… cheeee
ero troppo imbarazzata per postare, visto che mi
sembra qualcosa di pesante come una colata di cemento. Però nel frattempo diciamo che mi sono decisa (e ha contribuito molto ciò che è successo, anche se
non so come mai, nel capitolo 49, quello di cui le scan
sono uscite oggi – roba che non ho intenzione di raccontare perché non
voglio spoilerare niente a nessuno NON FATE SPOILER NELLE RECENSIONI
PER CARITÀ NON PER ME MA PER GLI ALTRI IGNARI AVVENTORI), e quindi eccomi qui, con dell’eruri non troppo esplicita, un po’ fluff e un po’ angst. Come piace a me.
Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno/favoriteranno/commenteranno,
sappiate che vi amo tutti e che cercherò di rispondere a tutte le recensioni,
se ci saranno – se non lo faccio, probabilmente sono stata divorata da un
titano. O forse mi sono addormentata convinta di avervi risposto e svegliata il giorno dopo ignara di non averlo fatto.
Bonus points per chi trova la
citazione molto subdola e molto approssimativa a The Reluctant
Heroes!
Alla prossima, bye
bye ~