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Autore: IamShe    06/09/2013    16 recensioni
Non è buffo? È mio marito e padre di mio figlio, ma non conosce quel qualcuno che è la causa scatenante delle mie azioni; quel qualcosa a cui la mia vita si relaziona per essere tale. «Shinichi Kudo» dico. Non lo conosce, sa soltanto che è il mio amico d’infanzia.
Sorrido, afflitta. Di che mi lamento? In fondo è davvero così.

Ran è sposata ed ha un figlio, ma il marito e padre del suo bambino non è Shinichi. Lui è mancato per dieci lunghi anni e continua a mancare. Eppure, anche quando credeva di aver finalmente voltato quella maledetta pagina, di aver dimenticato quel nome, si ritrova a dover fare i conti col suo passato. Un passato che è più vicino di quanto voglia ammettere.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pronte per un nuovo capitolo? In questo scopriremo chi è alla porta, avremo approfondimenti sul caso, avrete la risposta ad una delle domande più frequenti ed un nuovo e dolcissimo flashback, mentre nuove ondate di calore colpiranno i due malcapitati. 
Ci vediamo di sotto! :D



#4 Il caso
 
 
 
Lancio via Shinichi. Corro a prendere la mia camicetta, la indosso più velocemente riesca. Il reggiseno è a terra, e mentre decido cosa farne, i passi di Shirai sono vicinissimi; sono talmente nel panico che nemmeno guardo se lui si sta rivestendo. Afferro il reggiseno e lo lancio in un cassetto della stanza, uno di quelli che si usano poco. Shirai è di fronte a me, talmente vicino che mi vede chiuderlo.
«Ehi, ciao amore», mi saluta sorridente, si avvicina e mi da un bacio. Sono sconvolta: avrò il viso pallido e tirato, il respiro affannoso. Non riesco a rispondergli liberamente, non dopo aver toccato le labbra del mio amico d’infanzia. Mi sbagliavo ieri: non ci si abitua alle labbra della persona che si ama, almeno non mi abituerò mai alle sue. Shirai si gira e nota Shinichi. Grazie al cielo è vestito. Ma non ha la cravatta. Dannazione, dove l’ho buttata prima? Mentre mio marito tende la mano al mio amico d’infanzia, io ricerco gli indumenti che potrebbero incastrarci.
Cosa... ho... fatto?
«Sei già qui? Oggi ho fatto prima del solito.»
Il detective ricambia la stretta con titubanza, sorridendo. «Bene.»
«Allora? Cos’ha combinato la peste oggi?» chiede mio marito, riferendosi a Conan. Lui nulla – mi verrebbe da rispondergli – sapessi io...
«T-tutto bene. Sembra stare già meglio.» Gli dico con un sorriso falso ma abbastanza convincente.
Shirai annuisce, sollevato, e poi sbuffa, posando le chiavi dell’auto e di casa su uno scatolone.
«Kudo... ti consiglio di non fare mai figli, portano solo guai e preoccupazioni.»
Sebbene sia ancora molto intontita e frastornata, mi infastidisco a quell’affermazione: ma che diavolo dice?
È questo che pensa di nostro figlio? Certo, sono rimasta incinta involontariamente, ma ho sempre pensato che Shirai lo desiderasse con la stessa voglia che ho provato io un anno fa, quando lo scoprii.
«Anche se volessi» ride il detective, e mi lancia un’occhiata maliziosa. «Non ho la materia prima.»
Arrossisco, distogliendo lo sguardo e imbambolandomi a fissare una statuetta. Adesso mi lancia anche le frecciatine!
«Di donne che cercano di incastrarti con le gravidanze ce ne sono a bizzeffe. Poi, soprattutto per tipi come te, ricchi e conosciuti, la scelta si amplia...», Shirai gli fa un sorrisetto fastidioso. Li osservo di nuovo, o meglio, guardo mio marito: ma che dice? È impazzito?
«Starò attento» ridacchia Shinichi, ed io gli vorrei lanciare un vaso appresso.
«E non ti sposare mai», ingrana la marcia mio marito, e pare anche divertito. «I problemi quadruplicano. Guarda qui, una schifosa firma dovremmo mettere, e non ce lo permettono...» sbuffa poi, dirigendosi in salotto. Lo imitiamo, ed insieme ci sediamo sul divano.
«Firma?» chiede Shinichi, incuriosito. «Che firma?»
«Al comune. Conan è nato il giorno della cerimonia e non ci ha permesso di arrivare alla fine. La settimana prossima dovremmo andare, finalmente, per legalizzare ufficialmente il matrimonio.»
Il mio amico strabuzza le palpebre a dismisura. Non gliel’avevo ancora detto...
«Cioè... quindi voi... non siete sposati... a tutti gli effetti...» indica me e Shirai con sguardo perso.
«No, cioè... lo siamo, però... per legge ancora no.» Risponde mio marito, poi si rimbocca le maniche della camicia. «Comunque questi sono problemi nostri. Vogliamo parlare del caso?»
Ancora qualche attimo di titubanza, che Shinichi sembra vivere in un altro mondo. Poi si riprende, dice: «sono qui per questo» e allarga le braccia, sorridente.
Ma Shirai non continua subito: ha lo sguardo dritto sul tavolino basso. Si china, e perplesso, ne afferra una... cravatta?
«È tua questa?» domanda, mentre a me viene un micro infarto. Era lì?
Shinichi annuisce, sicuro. «Sì, scusami, l’ho tolta perché mi dava fastidio.»
Shirai sorride, sembra convinto. Se lo conoscesse sapesse che cravatte e papillon non gli creano alcun disturbo, dato che le ha sempre indossate fin dall’infanzia. Ma è meglio così.
«Allora... ti piacciono i misteri, Kudo?»
È una battuta? No, perché lo sembra. Shinichi mangia misteri più del pane e del riso, e non è una metafora.
«Abbastanza.» Risponde, cercando di trattenere al suo interno la straripante voglia di manifestare anche quanto sia bravo... a risolverli.
«Ok», Shirai prende dalla tasca alcuni biglietti tenuti insieme in una busta di cellophan. Glieli porge, mentre io cullo Conan tra le mie braccia. Il mio cuore sta tornando ad un battito normale.
Shinichi scruta per un po’ la busta, poi ne estrae fuori il contenuto: sono due biglietti rettangolari, della grandezza di un palmo di mano. Li legge velocemente.
«Ovviamente non sai chi li manda» dice poi, sorridendo a mio marito.
«Ovviamente, no.»
Mi sporgo anche io un po’ più verso il mio amico, riuscendone così a leggere il contenuto. Sono scritti tutti a computer, forse per sviare probabili riconoscimenti.
Uno recita: “Sono adesso al singolare senza persona per parlare, ma se intendi proprio me, be’ allora si giunge a 3+3+3. Non dimenticare di mozzarne una, quella serve solo per la rima. Però una cosa te la dico, ed è anche vera: al futuro faccio più paura della passata notte nera.”
Il secondo è quello che mi lesse Shirai ieri, sul letto.
«Sono rivolti a te?», il tono dell’investigatore è mutato notevolmente. Sembra quasi... preoccupato.
«Sono stati trovati all’entrata della mia azienda. Non so dirti. Potrebbero essere rivolti a me come a chiunque. Io li ho solo presi per farteli leggere.»
«Ah, ok» dice dopo un po’ Shinichi, lo sguardo fisso su quei foglietti. «C’è qualcuno che si diverte a fare gli indovinelli.»
«Riesci a capirne qualcosa?» chiedo dopo un po’ io, arrossendo nell’istante in cui lui si gira a guardarmi.
«Sì.» Asserisce lui. «Il primo è semplice, sembra una filastrocca per bambini.»
«L’hai già risolto?» domanda Shirai, seriamente sconvolto. Io non lo sono più di tanto: il mio amico d’infanzia è un vero genio, e non è di certo una novità.
«Sì, il primo ti riconduce ad una parola» risponde lui, dopo un po’. «...e la parola è: ucciderò.»
Per un attimo anche le lancette dell’orologio sembrano fermarsi.
«Ucciderò?» chiediamo all’unisono io e mio marito.
Shinichi annuisce, poi, con voce chiara e precisa, ci spiega per filo e per segno cosa voglia dire l’indovinello. «“Sono adesso al singolare”... già parte come presupposto che sia un verbo, anche se potrebbe essere pensato anche come un sostantivo. Ma l’ho escluso per un motivo: c’è specificato anche la persona, è la prima, perché è lui stesso a parlare in quel modo. Avrebbe potuto essere seconda o terza, magari anche senza soggetto, ma si è tradito. Il periodo: “...ma se intendi proprio me, be’ allora si giunge a 3+3+3. Non dimenticare di mozzarne una...” serve per identificare le lettere. 3+3+3=9-1=8. È un verbo di otto lettere alla prima persona singolare. E l’ultimo passo: “Però una cosa te la dico, ed è anche vera... al futuro faccio più paura della passata notte nera”, ci rivela anche il tempo, e lui stesso dice che è certo. Ora c’è solo da pensarci su. Qual è il verbo al futuro che fa più paura espresso in quel modo che al passato, composto da otto lettere? A me viene in mente solo uccidere... al futuro: ucciderò.»
Io e Shirai lo guardiamo allibiti. Il mio cuore tamburella gioioso: è un fenomeno e lo è sempre stato.
«Come fai?» chiede mio marito, dalle pupille divaricate.
«Oh, no, era semplice» risponde lui, sorridendo. «Più che altro è il secondo indovinello che non mi convince, è come se ci mancasse qualcosa. Già il fatto che parte con una congiunzione mi fa credere che ci sia qualcos’altro da scoprire prima.»
«Questi sono gli unici biglietti che abbiamo trovato.»
«Va be’, cercherò di concentrarmi su questi. Piuttosto, c’è qualcuno nella tua azienda che potrebbe essere il destinatario del messaggio?»
Shirai scrolla le spalle, scuotendo il capo. «Non ne ho idea. Se vuoi puoi venire a dare un’occhiata per far loro delle domande.»
Shinichi sembra pensarci un po’ su. «Certo, ok. Buona idea.»
«Comunque sono rimasto allibito! Sei un portento, complimenti.»
Shirai sembra avermi tolto le parole di bocca, perché il suo complimento arriva a frenare il mio, che già penzolava nell’aria. Il mio amico d’infanzia alza lo sguardo, regalandoci un altro sorriso. «È il mio lavoro.»
Io mi infiammo. «Sei molto più intelligente di quanto ricordavo. Sei geniale.»
Sia mio marito che lui mi guardano: io avvampo, rendendomi conto d’aver pronunciato quelle parole con fin troppo entusiasmo. Ma non sono riuscita a trattenermi. Sono troppo fiera di lui.
«Grazie» dice soltanto lui, facendomi l’occhiolino.
Shirai si alza dalla poltrona, ed in contemporanea lo vedo fare a Shinichi.
«Ti faccio sapere appena ho novità.»
«Certo, per... quanto riguarda il pagamento, preferisci che ti paghi prima o dopo?»
Shinichi si sorprende per qualche attimo, poi fa un risolino. «No, non mi devi nulla.»
Non vuole essere pagato? Shirai sembra avere la mia stessa reazione. «Cosa? No, dai, è il tuo lavoro. È giusto ti paghi.»
Lui scuote il capo, cominciando ad allontanarsi verso la porta. «Non preoccuparti. L’hai detto prima, no? Sono ricco...»
«Ma...», Shirai sta per dire qualcosa ma forse non sa bene come rispondergli. Shinichi se ne sta andando ed io non so bene come sentirmi. Mi alzo e lo accompagno insieme a mio marito, non riuscendo a staccargli gli di dosso. Quando stamattina è apparso dalla porta non avrei mai pensato che sarebbe successo tutto questo. L’ho baciato e c’ho fatto l’amore... gli ho praticamente fatto capire che non l’ho ancora dimenticato. Sa del nome di mio figlio, ed a conoscenza di quanto mi manchi avere il mio fratellino accanto.
«Grazie mille allora» dice Shirai, stringendogli di nuovo la mano. «Ma adesso ti devo due favori.»
Shinichi fa l’occhiolino, ricambiando la stretta. «Figurati.»
Si gira verso di me e mi dona un sorriso bellissimo. Non riesco a non ricambiarglielo.
«Ciao Ran», sento il cuore ricominciare a battermi all’impazzata.
«Ciao Shinichi.»
La porta si chiude, e lui già mi manca da morire.
 
Sono un paio di mesi che la mia vita va a gonfie vele: l’aver conosciuto Shirai, l’aver capito che non sono solo io l’unica a soffrire d’amore, e l’acquisita consapevolezza che, insieme, si può superare tutto, mi hanno nutrito di una forza che ignoravo. Ormai Shinichi è un ricordo passato. Non voglio dimenticarlo (non ci riuscirei comunque), ma piuttosto pensare a lui come qualcosa che mi ha cambiato la vita, ed in bene. Certo, mi ha praticamente abbandonata qui senza una reale spiegazione, ma in fondo non avrei mai dovuto pretendere nulla di più. Io e lui eravamo amici, intimi e affezionati... ma solo amici. Sono stata io a credere che tra noi potesse esserci altro, io ad insistere per portare avanti qualcosa che non è mai nato. Ho impiegato parecchio a capirlo, ma adesso ne sono certa: dovunque sia stato, Shinichi non è mai stato davvero mio. Conan aveva ragione: se avesse voluto davvero, mi sarebbe stato vicino, anche da lontano. Ma è ovvio che lui ha sempre avuto altro a cui pensare. Che siano i casi, che siano altre ragazze, che sia il successo. Scommetto che adesso è con qualche sensuale bionda dalle curve vertiginose che poco ha da offrirgli, se non le sue gambe. Chissà con chi è adesso, con chi sta parlando, chi sta baciando... Ho sempre sognato fosse lui a darmi il primo bacio, ma non è stato così. Che fosse lui la mia prima volta, ma non è stato così. Ho imparato ad accertarlo, ho imparato a credere nel mio ragazzo, a pensare che lui sarà meglio di quel detective stacanovista. Pensandoci, a Shirai non ho parlato di lui in particolare. Gli ho raccontato di aver sofferto per un ragazzo per molti anni, proprio come lui, ma nulla di più. Ma in fondo, è meglio così.
Entro in camera mia stando attenta a non fare troppo rumore: potrei svegliare Conan. Ormai, da quando mia madre è tornata a vivere qui, il mio fratellino è stato costretto a trasferirsi da me, e mio padre ad acquistare un letto a castello. Fin da subito mi disse che avrebbe voluto dormire sopra e, nonostante avesse a quel tempo solo otto anni, glielo concessi senza problemi.
Alzo lo sguardo sul suo letto e noto che è sveglio: ha in mano il cellulare, e sta scorrendo il dito sul display con fare apparentemente interessato. Non si è girato nemmeno a guardarmi, di solito lo fa; in realtà è un po’ strano da un paio di giorni, o meglio, da quando gli ho presentato Shirai. Ho paura che non gli piaccia, e sono assolutamente curiosa di conoscere il suo parere.
Mi metto a letto nel silenzio fastidioso della camera, ma dopo un paio di minuti lo chiamo.
«Che c’è?» sembra più un grugnito che una risposta.
Mi alzo leggermente e arrampicandomi con le mani, mi affaccio sul suo letto. Conan mi nota e si gira: è senza occhiali, e quell’espressione leggermente seccata mi manda in fibrillazione.
«Che ne pensi di Shirai?», più schietta non sarei potuta essere. «Non mi hai detto nulla dopo l’incontro di sabato.»
Lui torna a guardare il display del cellulare, prestandomi troppa poca attenzione.
«Perché non c’era nulla da dire.»
Inarco un sopracciglio, stranita. «Non ti piace?»
«Non deve piacere a me» replica, ma credo di aver avvertito una vena di fastidio nelle sue parole.
«Certo che sì» ribatto, un po’ delusa. «A me importa della tua opinione.»
Lui sbuffa, e si gira dall’altra parte, dandomi le spalle. Il fruscio dei lenzuoli e delle coperte si unisce alla sua voce: «Se te ne fosse importato me l’avresti detto prima.»
«Che vuoi dire?»
«Da quanto tempo state insieme? Cinque mesi. Cinque mesi e non mi hai detto nulla.»
«Sei arrabbiato per questo?», mi arrampico un altro po’ e mi siedo sul suo materasso, facendo oscillare le gambe all’aria. Lui non risponde, né fa alcun cenno.
«Scusami... è che volevo essere sicura di me e di lui prima di parlartene. Non ho fatto altro che riempirti di lamentele e lacrime per Shinichi, per una volta volevo provare a camminare da sola.»
Non risponde subito, ed io non posso nemmeno cercare di interpretare la sua espressione: è voltato verso il muro e non sembra avere intenzione di girarsi.
«Già», il suo tono di voce è evidentemente più basso. «Gli avevi promesso che l’avresti aspettato.»
Sento il cuore battermi forte in petto. Non me l’aspettavo, soprattutto da lui.
«Sei arrabbiato perché non ho aspettato Shinichi?», gli poggio una mano sulla spalla e tento di farlo girare.
«Figurati. A me non importa nulla» sbotta, ed io sbatto le palpebre per qualche secondo.
«Sai meglio di me che lui non c’è mai e che non ha nessuna intenzione di tornare. Me lo dicesti tu, ricordi? “Se ti vuole bene troverà il modo di starti vicino, sempre”.
Be’... mi pare chiaro come il Sole che non si è nemmeno sforzato di trovarlo!»
Conan non risponde, continua a fingersi interessato al cellulare.
«Per nove anni l’ho aspettato senza ripensarci. L’ho cercato ininterrottamente, invano. Tu pensi che abbia sbagliato a non sperarci ancora?» lacrimo quasi, e finalmente vedo mio fratello sospirare.
«No, è giusto che tu... abbia la tua vita.»
«E allora perché sei arrabbiato?»
Conan finalmente si gira e mi dona un sorriso. «Non sono arrabbiato, ma un po’ stressato per la scuola. Dopo la tua chiacchierata con la professoressa Takumi, lei non fa altro che cercare di beccarmi impreparato.»
Riprendo a respirare normalmente, rincuorata. «Non ci posso credere!»
«Non preoccuparti», ridacchia. «Non ci riuscirebbe mai.»
Gli scombino i capelli e scoppio a ridere anche io. Mi lascio cadere sul mio materasso, osservando per un po’ la rete di quello di sopra. Conan sembra immobile, ma ho la vaga sensazione che non stia ancora dormendo.
«Ehi» lo chiamo con voce flebile.
«Mmh?»
«Secondo te devo dire a Shinichi che...»
Lui m’interrompe, brusco. «Non ce n’è bisogno.»
«Ma...» provo a ribattere, ma la sua voce è più veloce.
«Buonanotte Ran-neechan.»
Sospiro, socchiudendo gli occhi. «Buonanotte, Conan-kun.»
 
Mercoledì, ultimo giorno d’ottobre. Fa freddo, e non riesco a capire in che modo debba vestire Conan: non vorrei soffocarlo con tute lunghe e coperte varie, ma spesso in casa vi sono degli spifferi di vento micidiali. A differenza di ieri, stamattina mi sono alzata prima dal letto. Alle otto ero già sveglia, ed ovviamente non ho visto Shirai, dato che lui va a lavoro verso le sette. La maternità mi sta impigrendo tantissimo: qualche mese fa ero davvero attiva, e in poche ore ero capace di smontare una villa, adesso non ho nemmeno la voglia di tirar fuori la roba dagli scatoloni. Però ho fatto dei progressi: uno grande, ma davvero grosso e pesante – probabilmente vi sono dentro gli aggeggi vari di Shirai – l’ho strisciato fino al punto in cui, ieri, ho tradito mio marito. Era asfissiante dover passare di lì e trattenermi dal non guardare, come se poi ci volessi trovare Shinichi, bello e magari nudo, un’altra volta per me. Mi chiedo quando lo rivedrò, ma mi impongo che dovrei smetterla di domandarmelo. In fondo, se non ci vediamo, è meglio per tutti.
Essendo una situazione difficile ed intricata, quasi impossibile da risolvere, sarebbe preferibile che tra me e lui sia finito tutto ieri. Ma l’idea di non doverlo rivedere mi massacra, perché ieri sono stata davvero bene con lui – e non solo sul pavimento – ma proprio nel parlarci, nel guardarci e nel relazionarci.
È adorabile quando scherza, quando mi prende in giro, quando a suo modo mi rassicura e quando si interessa come sto. Shirai non mi ha nemmeno chiesto perché sono così stressata in questo periodo da aver quasi avvelenato nostro figlio, e non so nemmeno se se ne sia accorto. Gli voglio indubbiamente bene, e mi da fastidio che non faccia altro che lavorare tutta la giornata ignorando quasi la sua famiglia. Nemmeno Shinichi è tanto stacanovista!
Il suono del campanello arriva ancora una volta a distrarmi dai miei pensieri. Credo che sia mia madre, in fondo qualche giorno fa mi disse che appena avesse risolto quella pratica di divorzio sarebbe venuta a farmi compagnia.
«Arrivo», corro verso l’entrata, avvertendo il campanello suonare una seconda volta.  Giro la chiave ed apro la porta, convinta di trovarci chiunque, tranne che lui.
«Shinichi...», devo avere le palpebre talmente divaricate da far impressione.
Lui mi sorride, ed io mi sciolgo. Sono un ghiacciolo sotto il suo Sole cocente.
«Buongiorno signorina», entra in casa senza complimenti, ed io non intendo farglieli. «Suppongo che il suo quasi marito non ci sia.»
«Che ci fai qui?» la mia voce è fin troppo brusca, ho paura ad affrontarlo.
«Sono venuto a trovarti. Ieri mi hai detto che avresti voluto l’avessi fatto più spesso» spiega con un sorriso largo, ma che definirei subdolo. Non credo che il motivo sia proprio quello, ed io incomincio a tremare.
Sbuffo, abbandonandomi alle mie tentazioni. «Certo», raggiungiamo la mia camera da letto, dove Conan sta dormendo nella culla con le manine chiuse in pugni verso l’alto.
«Verrai ogni mattina?» gli domando, ma il mio tono di voce è particolare: è un misto tra speranza, paura e insicurezza.
«Nah», ride lui, forse per cercare di rasserenarmi, appoggiandosi alla porta. «Il lunedì, il giovedì e il venerdì sono in agenzia, ricevo soltanto.»
Quindi domani non verrà a trovarmi... mi rabbuio per un attimo, poi riesco a riprendermi. Io non dovrei pensarlo.
«Già, ogni tanto devi pur lavorare...» lo prendo in giro, consapevole che gli dia fastidio.
«Io lavoro sempre, scema», appunto. «Infatti posso restare solo per pranzo, poi dovrò scappare.»
Controllato che Conan non sia sudato, usciamo dalla stanza e ci dirigiamo in salotto. Ci sediamo entrambi, e a differenza di ieri, siamo già troppo vicini. Qua finisce male, ed io non ho il coraggio di evitarlo...
«Dove vai?» gli chiedo, poggiandomi con la schiena.
«Dal cliente da cui sarei dovuto andare ieri» comincia, ed io sussulto un attimo. Se ci fosse andato, non avremmo fatto l’amore... e non so se esserne felice o triste. La palla con cui Conan giocava ieri è ancora qui; Shinichi la prende e comincia a farla saltellare tra le mani. «E poi vorrei fare una visita all’azienda di Tendo. Vedremo un po’ che ne uscirà fuori.»
«A proposito», lo richiamo a me, facendolo voltare. «Potrei sapere perché non vuoi farti pagare?»
Mi sorride, buttandomi la palla in faccia. «Secondo te perché?»
Sbuffo, dato che mi si sono scompigliati tutti i capelli. «Non lo so... perché sono la tua amica d’infanzia? Non è giusto comunque, stai lavorando.»
«Facciamo così», riprende la palla e ricomincia a giocarci. In questo momento mi sembra tanto il suo alter-ego bambino. «Mi pagherai tu in altri modi. D’accordo?»
Arrossisco nel giro di un nano secondo. «Eh?»
Alcune volte riesce ad essere talmente veloce che non ho nemmeno idea di come reagire: con un solo gesto del braccio mi trascina su di lui, facendomi appoggiare le ginocchia sui cuscini del salotto in pelle. Sono a cavalcioni sul suo corpo, e lui è sotto di me con un sorriso tanto bello quanto irritante. Credo abbia capito che non riesco a fare a meno di lui, e se ne stia approfittando.
«Non mi avevi detto che non sei ancora sposata» mi ricorda, mentre le sue mani accarezzano i miei fianchi. Dovrei spostarmi da questa posizione, è decisamente pericolosa ed equivoca. Ed invece, succube della sua attrazione, io penso a rispondergli. 
«Lo sono.» Rispondo, immobilizzata.
«Non legalmente.»
«È soltanto una firma.»
«È importante.»
«No, ormai.»
«Sì» dice, sicuro, e vedo il suo viso avvicinarsi. Comincio ad avere paura di come potrei reagire. Intreccia le sue dita alle mie, ma non dopo avermi sfiorato il polso. Sorride, e lo alza, mostrandomelo.
«E allora perché lo porti ancora?» mi chiede, ironico, sfiorando il braccialetto a forma di infinito col diamante infisso sopra. Arrossisco, distogliendo lo sguardo. Non mi da il tempo di replicare, che lo sento strisciare sul mio collo con la sua bocca. Deglutisco, tentando di racimolare tutte le forze sperdute della mia volontà per non tradire di nuovo Shirai.
«No, Shinichi» mi stacco con violenza, allontanandomi da lui e sbattendo all’altro lato del divano. «Non posso.»
«Non puoi o non vuoi?»
Mi alzo, preferisco allontanarmi da lui. Può aiutarmi a resistergli.
«Non posso e non voglio. Non è bello tradire il proprio partner, non mi sento granché bene a farlo.»
Raggiungo la cucina, ma il mio amico d’infanzia non sembra avere voglia di lasciarmi stare. Apro il frigorifero, ma non so nemmeno io cosa ci stia cercando dentro.
«C’è ancora qualcosa tra noi.» Soffia dolcemente, senza che io me l’aspettassi. «L’hai notato anche tu, ieri.»
Le sue parole mi mettono in difficoltà, mi imprigionano. Non voglio ascoltarle. «Non c’è nulla, Shinichi. Non c’è più nulla... te lo dissi anche un anno fa.»
In realtà, anche quello che gli dissi un anno fa era una bugia, uno smorzato tentativo di credere che un giorno potessi finalmente vivere senza di lui, ma non posso rivelarglielo.
«Lo so. So che non sei più innamorata di me, però...», si prende una minima pausa. «So anche cos’è stato ieri.»
«Un errore.» Replico velocemente, prima che la mia mente possa pensare a dire altro. «Ho sbagliato. Te l’ho detto ieri, te lo ripeto adesso.»
«Quindi per te è stato solo un errore?» mi rimprovera, ed io abbasso gli occhi. Lui sembra prenderlo come un . Quanto vorrei dirgli la verità e smettere di mentire a lui, a Shirai, a me stessa.
«Forse è meglio che me ne vada.» Shinichi si gira e comincia a camminare verso l’uscita, e un senso d’angoscia mi prende il corpo. Sale fino a spingermi a bloccarlo per il polso. A bloccarlo.
«No, non te ne andare» lo supplico quasi, con voce flebile. «È stato un errore, sì. Ma... lo rifarei.»
Lui si ferma a guardarmi, si avvicina a me, e lascia che le nostre labbra si sfiorino. Dei brividi corrono lungo la mia schiena, le gambe cominciano ad essere pesanti e la voglia di saltargli addosso mi conquista il cervello. Avverto le nostre bocche unirsi, e mentre Shinichi mi circonda la schiena con le braccia, io affondo le mani nei suoi capelli corvini. I nostri profili si scontrano e strusciano tra di loro, così come le lingue, che cominciano ad accarezzarsi e a bagnarsi. Avverto la sua saliva calda scivolare nella mia bocca e socchiudo gli occhi, lasciando che siano gli altri sensi a godere del suo bacio.
Inaspettatamente lo vedo sottrarsi, e per qualche attimo temo d’aver sbagliato qualcosa. Poi sento la sua lingua sul mio collo che scende con tormentosa lentezza e comincio a respirare velocemente, rilasciando dei sospiri spezzati dai miei stessi sussulti. Impaziente mi aggrappo a lui, saltandogli addosso. Shinichi indietreggia per un po’, sorpreso, tentando di stabilizzarsi, e comincia a guardarmi.
«Questo è perché non volevi, vero?» mi sorride, ma non mi permette di replicare. Con i denti mi afferra le labbra e mi strappa un morso, portandomi verso di lui.
«Sappi che ti odio.» Rilascio un gemito che sbatte sul suo ghigno. Si impossessa di nuovo delle mie labbra, e lascia scivolare la lingua nella mia bocca. Ricambio, e dopo pochi secondi mi ritrovo poggiata su qualcosa di morbido: apro gli occhi, e scorgo la spalliera del divano.
Sprofondo nell’azzurro delle sue iridi, per un attimo, temo di star facendo una stupidaggine.
«No. No. Io non dovrei.»
Lui mi sorride, sistemandosi sopra di me. Struscia la bocca verso il collo, e mentre un brivido mi percorre la schiena, i suoi denti cominciano a mordermi il lobo dell’orecchio.
«Shhhh» mi sussurra ed improvvisamente mi passa la voglia di lamentarmi. Faccio scorrere le mie mani sulla sua schiena, e all’altezza del bordo della maglia, comincio ad alzargliela. Gliela sfilo velocemente, lasciando che per qualche secondo rimanga intrappolato nel colletto. Se ne libera facilmente, e a petto nudo torna su di me: il suo corpo è uno spettacolo. Sembra scolpito da qualche grande artista del Cinquecento, a differenza che per lui non è marmo freddo, ma carne vera, ed anche calda. Quella visione è idilliaca e mi manda in tilt. Credo che nel mio corpo si siano risvegliati tutti i feromoni, perché l’attesa mi snerva, e non ho intenzione di pazientare ancora per averlo. Alzo il capo e lo attraggo a me, baciandolo, mentre le sue mani mi alzano la camicetta e mi accarezzano il sedere. Il suo tocco mi surriscalda: vorrei velocizzare le cose, ma un certo orgoglio mi frena e mi impone di aspettare. Fortunatamente sento gli slip scivolarmi sulle cosce e cadere sui piedi, da dove li scaccio via con forza. Non devo certo obbligarlo a continuare: la sua bocca si sposta dalle mie labbra alla mia pancia, sino ad arrivare alla mia intimità. Serro le palpebre come colta da una scossa e spontaneamente alzo il capo verso l’alto. La mia bocca non riesce a trattenere un gemito, e credo che a lui abbia fatto piacere sentirlo. Passa qualche attimo che lo risento di nuovo su di me, con le labbra a sfiorarmi il mento, e poi dentro di me. Il dolore iniziale mi porta a gemere, ma velocemente avverto il fastidio divenire calore e goduria. Inarco la testa all’indietro e lascio che le unghie struscino sulla pelle della sua schiena, graffiandola. Dapprima lento, il ritmo di Shinichi aumenta man mano che passano i secondi; lo guardo e vedo lui fare altrettanto, e quando i nostri occhi si incrociano, le nostre bocche si ricongiungono. Un braccio mi solleva la testa dal cuscino e mi porta a poggiarla su di esso, mentre l’altro va ad alzarmi le gambe e a portarle dietro le sue. Torno ad intrecciargli il collo con le braccia, al quale mi aggrappo, succube dei suoi movimenti. Il mio respiro aumenta, la circolazione del sangue si velocizza, il cuore prende a correre nel mio sterno. Shinichi libera qualche bottone della camicetta, facendo scivolare una mano sopra il mio seno rovente. I suoi movimenti dentro di me cominciano ad accelerare, e il mio fiato non fa altro che trasformarsi in nuovi gemiti, sempre più forti. Socchiudo gli occhi e gli mordo il collo, deliziandomi del suo profumo. Ogni secondo che passa è un’emozione in più, e provo l’inspiegabile sensazione di non essere mai stata più completa prima d’adesso. O meglio, prima che suonasse il campanello.
E quel suono così acuto e penetrante non solo va a rompere tutta la magia che c’aveva circondati, ma mi riempie anche di vero terrore. Scaglio Shinichi lontano da me, e brusca mi rialzo. Lo guardo con occhi allucinanti, e lui mi scruta per qualche istante con la stessa espressione. Poi decido di muovermi: ho bisogno di rivestirmi, ed anche lui.
«Dannazione! E se è Shirai?!» sbotto, alla ricerca del mio intimo. Dove diavolo l’ho buttato poco fa? Mai possibile non si trovi?
«Non credo che suoni se fosse lui...», Shinichi riprende la maglia dal pavimento e se la infila, facendosela scivolare addosso. Comunque ha ragione: Shirai ha le chiavi di casa, non avrebbe senso suonare.
«Sì... effettivamente», sconvolta vado ad aprire, dando un’ultima occhiata a lui: è finalmente completamente vestito. Passo davanti allo specchio del corridoio e gli occhi cadono sulla mia faccia: sembro una pazza. Cerco di darmi una sistemata ai capelli, e per quel posso tento di calmarmi; ma purtroppo ho un colorito abbastanza acceso, ed il mio fiato è ancora grave. Al secondo suono del campanello cerco di darmi una svelta: giro la chiave, e davanti casa mia, ci trovo mia madre.
«M-mamma!» esclamo, quasi sorpresa. In realtà avevo completamente dimenticato che dovesse venire. Lei entra in casa guardandomi con aria strana e sospetta.
«Ciao tesoro... ma che hai fatto? Sembri sconvolta.»
Ecco, lo sapevo che se ne sarebbe accorta. Tento di fingere: non posso permettermi che capisca qualcosa.
«Eh? Io... no, cosa dici! È che sento caldo...» ridacchio in modo stupido, ma simulo una smorfia nell’esatto momento in cui mia madre volta lo sguardo altrove. Insieme ci dirigiamo in salotto, dove Shinichi è seduto sul divano a guardare la televisione. Mia madre lo nota e per qualche istante non crede ai suoi occhi: allarga le palpebre e spalanca la bocca, atterrita.
«S-Shinichi-kun!» lo chiama, in realtà urla quasi il suo nome. Il detective la guarda e le rivolge un sorriso, alzandosi e raggiungendoci. Perché solo io sembro quella appena uscita da un manicomio di pazzi? Il mio amico appare talmente calmo e rilassato che quasi stento a credere cosa stessimo facendo un minuto fa.
«Per tutti i templi!», mia mamma comunque non sembra interessata a me quanto a lui. «Non ti vedo da una vita! Cavolo... quanto sei cresciuto! Sei un vero uomo!»
Già, mia madre non sa che Conan, il bimbo intelligente vissuto in casa nostra per dieci anni, in realtà era proprio lui. Ne sono soltanto io a conoscenza, e non credo che lo verrà mai a sapere qualcun altro.
Intanto lui ridacchia, grattandosi la testa. «Ne è passato di tempo. Come sta, Eri-san?»
«Io bene!» esclama mia madre, sembra entusiasta di rivederlo. «Anche tu sembra! Non credo ai miei occhi... ti avevo dato per disperso! Certo, sapevo che eri tornato in città grazie agli articoli sui giornali, ma... rivederti è un’altra cosa. Wow!»
Mi intrometto io, approfittando del silenzio del mio compagno: «Shinichi è venuto a salutarmi stamattina. Era da tempo che non ci vedevamo.»
Dannazione, non so proprio recitare. Meglio mi stia zitta.
«Certo, immagino» annuisce mia madre, sorridente. «E allora? Come stai? Dove sei stato? Non immagini mia figlia quante volte t’abbia cercato in tutti questi anni.»
Lo sa già, mamma. Non c’è bisogno di ricordarglielo. E grazie per mettermi in imbarazzo di fronte ad uno che credi che non veda da dieci anni.
«Bene, bene. Un po’ in giro per il mondo...» dice, e poi mi guarda, sorridendo. «Anche io l’ho... pensata
Io abbasso gli occhi, paonazza. Non può farmi vacillare con una frase.
«Già, da piccoli sembravate destinati a stare insieme. Ma adesso Ran è sposata con un ragazzo d’oro, l’hai conosciuto?»
«Ehm... sì» risponde lui, un po’ titubante.
«Credo che siano davvero perfetti. Ed hanno un bimbo, Conan! Ah, lo sai, quel ragazzo che viveva da noi è morto un annetto fa... non sai quanto mi sia dispiaciuto... mi ci ero affezionata tantissimo.»
In realtà è di fronte a te, mamma. Shinichi sembra in imbarazzo, e risponde con semplicità: «Mi dispiace.»
Per qualche secondo cale un silenzio fastidioso.
«Comunque io... devo andare, adesso» lo spezza lui, cercando di sorridere. «Ho delle questioni da risolvere e non posso restare.»
«Oh, mi dispiace...» si lamenta mia madre, ma vorrei farlo più io. Quando lo rivedrò adesso? Lo sento già lontano, e per stare bene ho bisogno di lui. «Ma vieni a trovarci uno di questi giorni. Ti aspetto.»
«Certo. Arrivederci.» Lui annuisce e comincia ad indietreggiare verso il corridoio d’entrata, ma si ferma, in attesa che lo segua.
«Ciao Shinichi-kun.»
«Mamma... lo accompagno all’uscita» le dico frettolosa, lanciandole un’occhiata, e raggiungendolo. Cammino accanto a lui con lentezza, quasi sperando che la porta si allontani sempre un po’ di più. Ho voglia di parlargli ancora, di baciarlo ancora, di farci ancora l’amore.
«Che tempismo, eh?» ridacchia, abbassando il capo al pavimento. Non gli rispondo perché non ho alcuna intenzione di ammettere di esser anch’io dispiaciuta per l’interruzione.
Shinichi apre la porta descrivendo un angolo acuto, lasciando che la luce del pianerottolo invada il mio corridoio.
«Ci vediamo allora», alza gli occhi su di me, permettendo che la mia figura si rifletta nelle sue iridi. La luce giallastra delle finestre lo illumina superbamente.
«Non venire a trovarmi troppo spesso», avrei dovuto essere seria, ma non riesco a trattenere un debole sorriso. Shinichi esce fuori, ma si ferma dinanzi a me, dopo la porta.
Il brutto è che sorride anche lui, ma la curva delle sue labbra descrive un ghigno malizioso e sicuro di sé.
«Solo quando vorrai.»
Inspiro con forza, e grattandomi il capo, lo guardo un’ultima volta.
«È questo il problema.»
Gli sbatto la porta in faccia e non gli lascio l’opportunità di replicare. Mi appoggio al pilastro e socchiudo le palpebre, rilasciando un sospiro.
Lo so, amo complicarmi la vita.
 

 
 
Eccomi! Ebbene? Vi è piaciuto il capitolo? Molti di voi avevano ipotizzato che non fosse Shirai, ed invece....... solo lui ha le chiavi XD
Be', in realtà mi serviva per introdurre il caso. Ditemi un po'.... non è intelligentissimo Shin-chan? *-* No, ma mica sono di parte ù.u
Ehm... però Shirai non lo è altrettanto. Insomma, ragazzo mio, trovi una cravatta che gironzola per la casa... e non ti preoccupi? Ma ti devo dire proprio tutto?
Credici, credici che non le sopporta. Come no! *devil* piuttosto.... chi voleva sapere se fossero sposati o meno? Adesso avete la conferma! XD
Passiamo avanti, ed immergiamoci nella dolcezza che più diabetica non si può! Ma Conan-kun, non è troooooppo bello e puccioso nel dire "avevi detto che l'avresti aspettato"? Amore bello! Vieni da mamma ç___ç Ran, per tutti i templi shintoisti, ma sei tonna o cosa!? Perché non capisci che mi fai soffrire il cucciolo!?
Basta, ho deciso... ti spodesto dal ruolo di protagonista femminile! Scherzo o forse no.
Andiamo avanti, che è meglio! Ran soffre di caldo ogni mattina ormai, e mentre Shinichi la viene a trovare, lei ricomincia con le paranoie. Diciamo che, però, Shinichi la convince con un solo "forse è meglio che me ne vada". XD 
E mentre i due si danno da fare, arriva... Eri! Chi meglio di lei può mettere in imbarazzo Ran?
L'ultima frase doveva essere "Lo so, TONIA ama complicarmi la vita" ma non mi piaceva come suonava xD
Torniamo seri u.u
Spero che il chap vi sia piaciuto, ringrazio tutti i recensori dello scorso, anche se un GRAZIE speciale va ad Assu.... e lei sa perché XD
Niente... vi lascio allo (esilarante) spoiler! ;)



Spoiler #5 Il bisogno di lui
“Buongiorno. Ha un appuntamento?” mi saluta, cordialmente. Per qualche attimo interminabile il mio cervello non connette: che ci fa questa ragazza qui? Perché mi saluta? Cosa vuole?
Poi comprendo. Sarà la sua segretaria. Aspetta. Ha una segretaria? E perché non me l’ha detto?
La giovane mi guarda un po’ titubante, stranita dal mio sguardo spaesato e palesemente diffidente.
“Buongiorno” ribatto, un po’ brusca. Avverto uno strano calore bruciarmi e risalire su per gli organi vitali. Mi avvicino con lentezza, ma il mio passo mi tradisce. Sono irrequieta, e l’ira sale nel guardare questa giovane, decisamente troppo carina, aspettare che io spieghi che ci faccia lì.
“Sei... la sua...” mi mordo la lingua, imponendomi una sorta di razionalità. “Sei la segretaria del detective?”
È ovvio che non s’aspettasse la mia domanda, che suona terribilmente ovvia. Mi guarda come a dire e-secondo-te-cosa-sto-facendo-qui? ma si guarda bene dal riferirmelo.

 
 
 
Ci vediamo l'11 settembre.
Kisses,
Tonia

 
 
   
 
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