Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! 5D's
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Autore: mdc1997    06/09/2013    2 recensioni
La Fortune Cup si è conclusa da circa un mese. Dopo la fine del duello con Yusei, Aki ha perso i sensi ed è stata subito portata in infermeria. Dopo la vittoria finale di Yusei, Aki si è risvegliata. Per tutto il tempo che lei è stata in ospedale, lui le è stato accanto e al termine di quel mese, non appena lei è stata dimessa, hanno deciso di uscire insieme. L’appuntamento va per il meglio (o quasi), quando all’improvviso un drago bianco compare...
Importante: Sarà incentrato su 5d's, ma verranno usati concetti relativi a Bleach; non compariranno personaggi del manga di Tite Kubo.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aki/Akiza, Yusei Fudo
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mdc1997: Ebbene, rieccoci qui...
Mary chan: ci sono anche ioooo XD
Mdc1997: ...con il PROLOGO!
Mary chan: EH? Prologo??? Non avevamo già fatto un primo capitolo? ._.
Mdc1997: Beh, insomma, guardalo, spiega cosa è successo all’inizio, è ambientato un pochino prima, a te sembra un capitolo due??
Mary chan: ...no XD
Mdc1997: ecco U.U
Mary chan: dunque, buona lettura del prologo a tutti XD
Mdc1997: e se avete consigli/pareri da darci, recensite, grazie  ;)


PROLOGO
 
Ombra, dolore e disperazione. Da anni al Satellite non c’era altro che questo. Un ammasso male assortito di grattacieli decaduti e catapecchie varie, con l’occasionale casa quasi decente che puntualmente si rivelava il covo di briganti e taglieggiatori. Gente senza speranza. Questo era quello che tutti sapevano e pensavano, quando il quartiere distaccato veniva tirato in ballo. Nessuno sapeva dire con certezza perché fosse lì, o come mai due isole così vicine non fossero collegate da un ponte. Comunque, nessuno se ne curava. Nessuno si curava mai degli abitanti del Satellite. Erano strumenti, che rendevano migliore la vita già opulenta degli abitanti di Neo Domino. Uno strumento si rimpiazza, quando non funziona più. Tutto, lì, funzionava secondo questa logica, dalle scorrerie degli agenti di Sicurezza che cercavano di imprigionare chiunque capitasse loro a tiro, per il solo crimine di far parte del Satellite, alla regola ferrea e inumana che dettava la confisca del deck e della Duel Runner a chiunque vi abitasse.
 
C’era, però, un piccolo gruppetto che continuava a sfuggir loro. Una fratellanza di cui solo i pochi eletti che ne facevano parte erano al corrente, che si riuniva nel posto più nascosto e maledetto dell’isola.  Avevano piani, grandi piani, ingranaggi che si erano già messi in moto da cinquemila anni. Un segreto antico, e una storia che stava per ripetersi. Un capo ambizioso, crudele... e molto arrabbiato.
 
“COSA VUOL DIRE che non è apparso?” Era furioso. Com’è possibile che il Drago Cremisi  non si sia fatto vedere? 2Abbiamo fatto tanto per riunire i predestinati! Abbiamo fatto tanto per farli cadere tutti dritti nella nostra rete!” Sottolineò ogni esclamazione con un pugno sul tavolo. “Li abbiamo fatti duellare! E QUEL MALEDETTO DRAGO NON APPARE!” Scrutò i presenti con i suoi occhi di tenebra, come per sfidarli a parlare. “Ho pensato a questo piano per anni! Ho riunito una squadra scelta, scelta dai demoni che dovranno governare il mondo! E TU, Devack? TU, Misty? TU, Kalin? Cosa avete fatto?” Tutti ammutolirono, aspettando che il loro comandante continuasse a sfogarsi. “VOI NON AVETE FATTO NIENTE!” Aveva messo tutta la sua forza in quell’urlo, che lo aveva lasciato, per così dire, col fiatone... poi parlò nuovamente, più piano. “Voi non avete fatto niente. Dimmi, Kalin, quand’è stata l’ultima volta che hai lasciato questo posto?” Silenzio. “Ecco perché le cose vanno a rotoli! Ecco perché il drago non è apparso! È TUTTA! COLPA! VOSTRA!”
La tensione nell’aria era palpabile, nessuno si azzardava a parlare; li aveva addestrati per bene, dopotutto. Tutti loro sapevano che l’ira del loro comandante era una spada molto affilata, e nel senso letterale del termine: più di una volta qualcuno c’era rimasto secco per una delle sue sfuriate, anche se nulla di comparabile all’apocalisse che avrebbero dovuto scatenare. Già... se il drago si fosse manifestato, almeno;  l’apparizione avrebbe confermato che i quattro ragazzi invitati alla Fortune Cup erano effettivamente i Predestinati, con il Segno del Drago e tutto il resto. Eppure i presupposti c’erano stati tutti. I segni di Yusei e di Aki si erano manifestati. Jack Atlas, visto il macello accaduto nel suo primo duello con Yusei, lo era sicuramente anche lui. E la ragazzina, Luna... anche lei era una Predestinata, il suo segno si era manifestato nel duello di consolazione con il Professore. Dunque qual è il problema? PERCHE’ quel drago non è apparso? C’era stato un malfunzionamento di qualche tipo? Forse qualcuno non aveva fatto tutto come doveva? Ma CHI? Gli venne in mente suo fratello Rex. Era l’unico indiziato possibile, dato che non poteva esserlo nessun altro. Non c’era nulla da fare, avrebbe dovuto fare una chiacchierata con lui.
 
Non riusciva a capire. Aveva trovato gli altri quattro predestinati, oltre a lui stesso. Li aveva riuniti in un punto. Li aveva fatti duellare l’uno contro l’altro, e in tutti i casi era stato un successo pieno: i segni si erano illuminati tutti quanti, confermando dunque l’autenticità della sua teoria. Eppure... eppure il drago non era apparso. Perché? Com’è possibile? Dove ho sbagliato? Come mai il Drago Cremisi si è dimostrato sordo alla chiamata dei predestinati? E soprattutto, cosa avrebbe pensato Roman ora? Si erano lasciati con una promessa; ora chissà cosa sarebbe successo, ora che lui l’aveva involontariamente infranta. Si trovò a stringere con le mani il telefono cellulare, in una presa nervosa, energica; quasi volesse minacciarlo di non squillare.
Invece quello squillò, e Rex Goodwin sentì che le cose, da allora in poi, sarebbero andate sempre peggio.
 
Desolazione. Un cratere enorme, simbolo di un errore. Buio intorno a loro, perché buio era ciò che avrebbero portato. Un vento leggero spirava, portando con sé nuvole di sabbia e polvere, polvere di ciò che una volta era stato l’orgoglio di un’era... e aveva finito per divenirne la disgrazia. Inversione Zero, così l’avevano chiamata; quel tragico incidente che aveva convertito tutte le speranze di Neo Domino in una sentenza di morte per la città.
Pochi sapevano, tuttavia, che non era stato affatto tale. Era stato preparato, progettato, programmato da due fratelli, due facce della stessa medaglia, due combattenti nell’esercito del destino. E benché il loro fine potesse essere stato nobile, a suo modo, il prezzo da pagare si era rivelato essere la fine dell’unità e l’inizio del regno dell’odio.
Un elicottero, nera figura contro il sole che ardeva impietoso, atterrò. Da questo un uomo, sulla cinquantina, capelli bianchi fluenti e un braccio meccanico, scese deciso, scuro in viso e funereo nel cuore, perché sapeva che, di lì a poco, avrebbe dovuto fare i conti col destino, i conti con la sua missione. Una missione che lui aveva fallito. Una missione che era stata affidata a lui, e che non era stata portata a compimento. Per colpa sua, chissà come sarebbe finito il mondo. La forza che avrebbe dovuto proteggerlo non si era fatta viva, e quella che avrebbe dovuto distruggerlo era rimasta da sola, senza scopo, senza senso. Cosa sarebbe successo?
“Ciao, Rex.”
Non sentì il bisogno di girarsi, sapeva bene chi era. L’altro soldato, quello che il destino aveva scelto come antagonista, quello che aveva capito cosa sarebbe successo prima ancora che ogni cosa venisse svelata. Non poté fare a meno di provare un pizzico di invidia per lui; così come i suoi cittadini lo guardavano, così lui guardava suo fratello Roman. Era sempre stato il punto di riferimento, il pilastro della famiglia, quello responsabile e serio. Lui, invece, cos’era? Un povero pezzo di carne e metallo consumato e indurito dall’esperienza, che aveva dato tutto ciò che aveva in cambio di un potere oscuro; grande, sì, ma maledetto.
Il peso dello sguardo del fratello lo costrinse a girarsi; non poteva più far finta di ignorarlo, ma questo non voleva dire che dovessero già cominciare a rimbeccarsi. C’era ancora una minima possibilità che questo potesse essere un invito amichevole, e decise di scommettere tutto su quell’unica speranza. Respirò profondamente.
“Ciao, fratello mio. Qual buon vento ti porta?”
“Vento di sventura. Lo sai meglio di me, Rex.”
Ahi. Proprio quello che non voleva sentire. Rassegnandosi ad una conversazione a senso unico, cercò di comportarsi come aveva sempre fatto; evitando, eludendo. Somigliava tanto alle discussioni che erano soliti avere da bambini, quando Rex combinava una marachella e il fratello lo sgridava; ma il minore sapeva che l’altro lo faceva per il suo bene. Aveva preso un po’ il posto del padre e della madre, visto che erano sempre fuori per affari, e non vedevano di buon grado il tornare a casa, fosse anche per un momento. Forse avevano paura di Roman, ripensò. Era sempre stato scontroso con tutti noi, ma solo io lo capivo davvero. O almeno ci provavo...
“Purtroppo hai ragione. Ma perché io? Perché hai richiesto la mia presenza? Ho affari a Neo Domino che-“
“NON MI IMPORTA NULLA dei tuoi cosiddetti “affari”! A me importa della Fortune Cup! Di quello che è successo il mese scorso! DEL MALEDETTO DRAGO che non è apparso!” Era furibondo. Rex non capiva, non voleva capire. Stava succedendo tutto come al solito, e sapeva che anche il fratello ci stava ripensando; glielo leggeva negli occhi, e sapeva che avrebbe cercato di sviare il discorso, ma non gliel’avrebbe permesso. Non questa volta. Aveva trovato un capro espiatorio, un modo per liberarsi da tutte le colpe e su cui scaricare tutti i suoi fallimenti; peccato però che non lo ammise mai, o non se ne rese conto. Era troppo arrabbiato per curarsene, comunque.
“Sono diciassette anni che prepariamo questo piano! HAI LA MINIMA IDEA di quanto significhi questo per me?” No, il mio fratellino non può capire. Glielo leggo negli occhi. E’ confuso, deluso; ma non ha compreso. Non può aver compreso il duello che si era creato nella mia mente e nella mia anima, il duello originario tra luce ed ombra che si replicherà ancora e ancora, in contesti differenti, con storie differenti, ancora e ancora nella grande ruota del tempo.
“Cioè... pensi sia colpa mia?”
Adesso Rex gli ricordava esattamente quello che era quando erano bambini. Lui era quello che con un’occhiata ti faceva cadere addosso tutte le colpe del mondo, quello che con una frase poteva farti capire quanto tu ti stessi sbagliando. Era quello che con una domanda sapeva disarmare tutte le accuse che gli potessero essere portate.
Peccato che Roman Goodwin non potesse essere disarmato.
“Spero di no, Rex. Spero davvero che tu sia innocente. Hai portato il Segno del Drago, come ti avevo chiesto?”
La sua voce aveva assunto una nota di tristezza, di dolore; il peso di ciò che si stava compiendo era terribile, terribile e gravido di angoscia, ma era un peso che aveva già cominciato a portare da troppo tempo, e un peso che, a questo punto, valeva la pena tenere in spalla fino alla fine che già s’appressava. Rex aveva ancora, ai suoi occhi, quell’aria di innocenza di quando erano bambini; ma era edulcorata, diluita, dispersa in una durezza che i suoi occhi non avevano mai avuto prima d’ora.
“Sì. Perché vuoi vederlo?”
Eccolo qui, caro, vecchio, ingenuo Rex. Pensò amaramente che forse il pendolo dell’inferno aveva continuato a sbattere i rintocchi fino a questo momento; e lui, loro, tutti loro non erano stati altro che pedine in questa eterna partita a scacchi destinata a non finire mai. Tanto valeva, allora, fare la sua mossa, per quanto dura da accettare.
“Mettilo.”
Rex sospirò. Era arrivato il momento. Avrebbe potuto contrastarlo, se avesse voluto; ma sapeva che ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Aveva sempre seguito suo fratello in tutti i suoi progetti, in tutte le sue idee; per lui Roman era l’idolo da raggiungere, l’obiettivo di una vita intera. Aveva sempre voluto diventare come lui, la sua ammirazione andava anche oltre il pur profondo legame che c’era tra loro come fratelli.  E avrebbe continuato a seguirlo. Fino in fondo.
“Come vuoi. Mi fido di te, Roman.”
In preda all’angoscia, Roman Goodwin traballò sotto il peso di quella frase. Non riusciva a pensare. Non riusciva a parlare. Si sentì terribilmente male, quando suo fratello tolse il braccio meccanico per inserirne uno di carne, uno che era appartenuto a lui, uno che simboleggiava il legame che li univa indissolubilmente. Quand’era stata l’ultima volta che aveva pianto? Quando aveva provato una tale sofferenza, un tale dolore? La morsa dell’oscurità lo attanagliava, il gelido alito della morte che gli soffiava nell’orecchio. Non sentiva più il suo cuore battere. Guardò in basso, quasi aspettandosi di non vedere più nulla. Non merito di avere un cuore. Lo sto ferendo, lo sto torturando,...
“Uccidimi.”
L’aveva detto. Non riusciva a crederci. Rex, il suo fratellino, quello che aveva sempre visto come debole, ingenuo e bisognoso di protezione, come un bambino insomma, gli aveva appena chiesto di ucciderlo. Come se sapesse. Come se lo capisse, e si sentì un verme; si odiò per aver potuto anche solo pensarlo. Era stato accecato dall’ira, dall’odio, e dalla paura che tutto fosse vero; dal timore che suo fratello potesse essere stato il responsabile del fallimento di uno dei suoi piani. Sentì che il cuore gli cadeva in basso, in basso fino a dargli mal di pancia. Era come se il suo battito cardiaco si fosse fermato, in preda a quella sensazione tanto opprimente. Il mondo si congelò dopo quell’unica parola, ammissione di un milione di altre non dette, e un milione di azioni incompiute. Una promessa lasciata disattesa, un pagamento nella terribile valuta della vita. Roman Goodwin tacque. Inconsciamente la mano gli scivolò sotto il suo mantello; sul pomolo della spada, stringendo la presa sull’arnese che, secondo il suo piano originale, avrebbe dovuto garantire la sua ascesa al potere assoluto. Eppure non riusciva a farlo. Non riusciva a guardare negli occhi suo fratello e a dirgli “Sì, ti voglio uccidere”. Non ce l’avrebbe mai fatta - ma poi, un pensiero vagante lo fulminò, lo voglio davvero? Andrei davvero così fiero di un potere che ho conquistato distruggendo il sangue del mio sangue, il mio fratellino? Quello che ho protetto per tutto questo tempo? Quello che mi ammira incondizionatamente? Ridacchiò amaramente, prima di parlare un’altra volta.
“Ucciderti? E perché mai, fratello mio?” Un suono molto simile al precedente uscì dalla sua bocca; questa volta, però, non era la vuota sghignazzata di chi ha appena perso tutto. Questa volta c’era il cuore, dietro quella sincera e piena risata, il cuore e un legame fraterno che aveva da tempo seppellito, dissotterrando al contempo l’ascia... o meglio, la spada di guerra.
Anche Rex sembrò aver sentito questo repentino cambio di atmosfera. Fino ad allora l’aria era stata pesante, oscura, riarsa e terribile nella sua asprezza. Aveva avuto paura, paura di quella situazione, di quell’aria; ma ad un certo punto l’aveva semplicemente accettata, così com’era. Si sarebbe fidato di suo fratello fino in fondo, anche se questo avesse comportato venire ucciso, perché sapeva che se Roman faceva qualcosa, aveva sicuramente un buon motivo per farla. Eppure era felice che non l’avesse fatto. Fu come se un grosso masso -il più grande concepibile, in realtà- fosse stato sollevato dalle sue spalle. lì dove era atterrato con lo squillo del telefono. Quando udì la risata genuina del fratello, non poté fare altro che unirvisi; dopotutto, era una delle rarissime occasioni che aveva di sentirla, e di poterla apprezzare. Suo fratello era sempre stato così cinico. “Sai, Roman... sono contento. Non solo per la mia vita - ma anche per la tua.”
“Anch’io.” Roman non poté dire altro, tanta era la commozione.
Anzi, in realtà una cosa da dire ce l’aveva.
“Il drago non è apparso; questo potrebbe anche giocare a nostro favore. Potremmo risvegliare il Re dell’Inferno qui e ora.”
“Ma il Segno del Condor... non c’è un predestinato oscuro che ce l’abbia! Come faremo?”
Roman ghignò furbescamente. Conosceva troppo bene suo fratello per farsi giocare in quel modo.
“Rex, Rex, Rex... non si era detto di non avere segreti?” La voce era melliflua, ma aveva ancora quel lato tagliente che lo caratterizzava fin da quando aveva imparato a parlare. “So da tempo che quel segno ce l’hai tu. Non fare il furbo con me, e ricorda che hai ancora due braccia di carne” disse scherzosamente.
Rex si sentì un po’ in colpa per non aver raccontato tutto al fratello, ma fu sollevato dal suo tono burlesco. Era tempo che non lo vedeva così su di morale. Probabilmente, tutta una vita.
 
 “Ehi, Misty?”
Kalin era annoiato. Molto annoiato. Il loro capo stava parlando con suo fratello, ridendo e ricordando i vecchi tempi, mentre c’era un mondo da conquistare. Non era concepibile. Ok, sì, è vero, non si vedono da diciassette anni, questo devo concederglielo. In ogni caso, era troppo. Erano due ore che stavano ridendo a crepapelle, ricordando la madre e il padre e lo zio e tutto il resto della storia della loro vita. E ora Misty non lo stava neanche a sentire, era troppo occupata a fulminare tutti con le sue solite occhiatacce. Che noia ragazzi! Avrebbe dato qualunque cosa per un po’ d’azione.
“Bene, ragazzi. E’ tempo.”
”Finalmente!” Eruppe Kalin, già stufo di un’attesa durata anni. Nessuno di loro, in realtà, ne poteva più; non avevano ancora fatto nulla da quando erano stati Scelti. Chi aveva pensato a piazzare spie ovunque? Roman. Chi aveva ideato il piano? Roman. Chi era l’unico ad avere tutte le tessere del puzzle? Roman. Wow, che velocità, volevo l’azione ed eccola qui, si disse Kalin. Speriamo in bene... il capo non mi piace quando ha quello sguardo. Aveva un brutto presentimento, ma lo ignorò.
“Ora io e Rex andremo a fare i preparativi. Voi fatevi trovare al Cancello.”
Il Cancello? Deve trattarsi di qualcosa di grosso. Qualcosa che cambierà completamente il mondo. Gli Immortali, però, sono tutti qui... Che cosa vuole risvegliare Roman?
 
“E’ rimasto tutto come allora...” I ricordi; meravigliose, ingannevoli creature. Era molto tempo che non tornavo qui; eppure, in nome dei ricordi, nulla è stato cambiato. Persino la sedia è nella stessa posizione in cui l’ho vista l’ultima volta. Fece scorrere la mano sulla tastiera di uno dei computer, quello che era stato suo; e sorrise nel trovarvi ancora quel tasto che gli si era bloccato tanti anni prima. Ricordò che doveva utilizzare una combinazione assurda di tasti per ottenere la lettera “B”; eppure, si disse, saprei ritrovarla ad occhi chiusi ancora oggi.
“Sì, fratello mio. Tutto come allora.”
Roman Goodwin, ghignando, sbatté il pugno sul massiccio tasto rosso; e, letteralmente, si scatenò l’inferno.
 
Nel preciso momento in cui il Cancello cominciò a pulsare di una luce innaturale, guardò giù. Il loro capo aveva premuto il grande pulsante rosso, quello che già una volta aveva liberato una quantità di energia negativa tale da dividere un’isola e farne sprofondare una parte nell’oscurità. E’ il momento. Questo sarà davvero qualcosa di mai visto prima. Spero solo che Roman sappia quello che faccia. Ho un po’ paura, anche se so che questo momento è stato il nostro obiettivo fin dall’inizio. Non devo avere timore, né incertezze. Kalin era assalito da pensieri contrastanti, dubbi dell’ultimo minuto, e tutte quelle cose che possono passare per la testa quando si sta per fare un grande passo; eppure era calmo, perché ormai aveva fatto troppo per potersi tirare indietro. Doveva solo accettarlo. Siamo in ballo, e allora balliamo.
Improvvisamente, la voce di Roman tuonò.
“Eccoci, amici miei. Il grande momento è giunto. Cinquemila anni sono passati, da quando ci siamo incontrati qui... in altri corpi, in altri tempi. La sostanza del discorso, però, non cambia. Noi siamo quelli che siamo stati Scelti dal destino! Siamo i combattenti delle tenebre e dell’oscurità! Siamo le forze delle ombre!” Fece una pausa. “Come saprete, sono stato molto turbato, recentemente, dalla mancata apparizione del nostro avversario; pensavo che tutto fosse perduto. Eppure, potrebbe trattarsi della svolta. Senza più un nemico con cui misurarsi, gli Immortali Terrestri tornano al loro riposo... e noi, noi possiamo dare vita ad una nuova era, un’era dove il mondo sarà congestionato e oppresso dalle forze del male. Il Re degli Inferi sbarcherà su questa terra, e noi verremo innalzati con lui, e avremo potere su ogni cosa!”
Tutti loro alzarono una mano, esponendo il proprio Segno Oscuro.
Una luce viola; il Cancello era aperto.
 
 
Chi era? Dov’era? Cos’era? Che belle, le grandi domande a cui nessuno, nel mondo di sopra, sarebbe mai riuscito a rispondere. Non ne avevano il privilegio. Erano sempre sul filo del rasoio, quegli inutili umani. Sempre sulla linea di passaggio tra la luce e l’ombra, senza cadere in nessuna delle due. Per questo non avrebbero mai potuto raggiungere la sicurezza di sé che aveva lui. Lui sapeva perfettamente ciò che era. Chi era? No, lui non era una persona. Non aveva una sola anima. Lui era il male, l’unione di millenni di dolore, di angoscia, di gelo e di morte. Gli uomini vedevano l’oscurità come un’astrazione; come un’entità che non potesse mai toccarli.
Quanto si sbagliavano. Il male era una bestia, un mostro indomabile; sei ali, otto zampe, pura, liquida tenebra davanti alla quale ogni luce impallidiva, svanendo. Era un ricettacolo di ogni possibile peccato o imperfezione; invidia, angoscia, malizia. Tutte queste qualità negative si riunivano in lui, e costituivano la sua forza. Non era una riflessione che faceva spesso; più che altro, ne era costituito, lo sapeva, e tanto bastava.
Una luce.
Un’altra cosa che conosceva era la leggenda del Drago. Come poteva essere altrimenti, visto che ne era stato parte integrante? Non perché avesse vissuto lo scontro; era rimasto nelle retrovie, ad aspettare che i suoi servitori, gli Immortali Terrestri, gli aprissero la strada contro quelli del Drago Cremisi, sua antitesi e nemesi designata. Tuttavia, ogni cosa, ogni strategia, ogni battaglia era stata inutile. Avevano perso, e per cinquemila anni era stato costretto alla segregazione totale, alla prigionia, alle catene opprimenti che lo schiacciavano. Ora quell’umiliazione stava per essere finalmente riscattata da quella luce. Una luce che avrebbe dato speranza di salvezza all’essere della disperazione per eccellenza. Sembra così ironico. Ma essere l’incubo di tutti significava non averne, ed essere forte. Essere ferro. Essere fuoco. Essere odio puro. Si mosse verso la luce, la luce del mondo di sopra, la luce che lui, molto presto, avrebbe estinto.
Il Condor.
Tutto secondo i piani. Avrebbe raggiunto il Condor, e quella sarebbe stata la porta per la sua salvezza... e la morte di chiunque altro. Avrebbe portato il suo regno di terrore nel mondo, scatenando l’armata degli Inferi alla conquista di tutto ciò che si estendeva sotto l’odiato sole. Eppure qualcosa non andava. Il Condor cominciò a mutare forma, a venire tagliato fuori, come se qualcosa di scuro e molto grosso lo eclissasse. L’uscita, la sua unica possibilità per realizzare tutti i suoi piani, si stava chiudendo.
Eppure... eppure quella cosa che la stava eclissando non era nera, anzi; non pareva affatto un prodotto degli inferi, tanto era bianca. Tuttavia non sembrava una luce gioiosa; pareva l’incarnazione del dolore e della depressione, da quanto era funerea. Più che un pallore luminoso, infatti, sembrava spento, vuoto, angosciante. Vedeva quella bestia come qualcosa di molto vicino a un suo simile, ma anche molto diversa...
In tutti i casi, stava sbarrando l’uscita al re degli inferi. Quest’ultimo sparò un colpo magmatico all’altro, infuocata espressione della sua forza, un raggio di distruzione che aveva sempre vinto ogni battaglia; tuttavia, era così piccolo al confronto della gargantuesca creatura che non riuscì a vedere dove fosse atterrato. Sembrava non l’avesse nemmeno danneggiato; anzi, ora pareva furioso. Lui attaccò, attaccò e attaccò ancora; ma era come se quello non lo sentisse. Il Re dell’Inferno ululò, un grido bestiale, inumano, oscuro che era l’affermazione di tutta la sua potenza, e per un momento apparve forte, forte e in grado di battere qualunque avversario.
Poi lo vide con chiarezza, e capì che non c’era più nulla da fare. Non poteva sconfiggere un drago come quello; un drago che portava con sé il potere più grande che lui avesse mai visto, già una volta pareggiato da un altro essere, che era a sua volta una di quelle schifose lucertole; ma questa era praticamente il suo opposto. Dove c’era il rosso della passione, ora c’era il bianco del vuoto. Là dove gli occhi brillavano, ora erano cupi, malinconici e pieni d’odio, e là dove c’era stato il cuore... ora, ora non c’era nulla. Non aveva mai visto nulla di simile; quel mostro sembrava non avere alcuna emozione, non comunicare alcun sentimento. Perfino lui, lui che si definiva la bestia per eccellenza, comunicava qualcosa. Incuteva soggezione, talvolta irretiva, talvolta conduceva sulla strada della depravazione; ma non era mai stato completamente vuoto. Quella cosa pareva un buco nero, mentre lui, come ipnotizzato dall’angoscia, continuava a fissarlo avidamente. Un buco dal quale poté per l’ultima volta rivedere il Condor, l’uscita, la libertà, quando la bestia creata dal dolore scese a divorarlo. Il nero puro stava sbiadendo, mano a mano che il bianco del nulla e della disperazione prendeva il sopravvento; e non poteva crederci. Lui era il Re! Lui era colui che non doveva cadere, pilastro del suo dominio! Lui era il baluardo che aveva fatto reggere il regno degli Inferi fin dalla notte dei tempi; e stava per morire? Non poteva accettarlo. Urlò ancora, un grido possente, distruttivo, una sfida allo spettrale pallore che lo circondava, prima di sparire. Poi, il bianco inghiottì il nero.
Vuoto.
 
In un singolo istante, tutti loro seppero cosa dovevano fare. Fu come se una potente e terribile voce lo sussurrasse loro nell’orecchio, un amico appena ritrovato del quale si sarebbero fidati ciecamente, fino ad andare incontro alla morte, se fosse stato necessario; eppure qualcosa sembrava suggerire che non sarebbe finita così, che tutti sarebbero stati salvi. Si aprì loro uno scenario di infinite possibilità, si sentivano quasi galleggiare, senza gravità, senza peso nella contentezza che li aveva appena pervasi. Quando i loro segni si erano illuminati, non li avevano neanche visti, tanto erano presi dalla magnifica sensazione che stavano vivendo. Erano vivi, vivi e liberi, e fu come se ogni fardello fosse finalmente sollevato da spalle che ne portavano troppi, da troppo tempo; ma non avevano voglia di sentire dolore. Si concentrarono sull’emozione che li stava appagando; e il loro pensiero fu uno.
Siamo liberi.
 
Una scintilla, un bagliore biancastro. Perché? Era un pessimo segno. Dovevano liberare il signore degli inferi, il re di un mondo senza luce; come mai allora se ne intravedeva una bianca al fondo del cancello?Qualcosa non stava andando come doveva; e tuttavia nessuno riusciva a muovere un passo, nessuno riusciva a staccare gli occhi; quella luce li aveva come ipnotizzati, catturati in quella spirale di angoscia, dolore e disperazione che la caratterizzava. Nel contemplarla, era come se il tempo si fosse fermato. In un lampo, arrivò, cancellando tutto quello che si trovava sul suo cammino; i sogni e le speranze, le gioie e i dolori; perfino il cratere fu spazzato via, divorato dalla possente creatura come la terra devastata dalla furia degli elementi. Un urlo di dolore, cinque vite spezzate. Due fratelli riappacificati, tre esistenze guidate dalla vendetta.
Due grandi occhi, privi di luce.


Ed ecco a voi...l'angolo della chat! :D
Mdc1997: E il capitolo du-ehm il prologo si è concluso! Recensite! RECENSITE HO DETTO UwU
Mary-chan: E ci risiamo... lo vuoi capire che sei troppo brusco? *si scusa con tutti* ^^" lo vedi che figure mi fai fare <.<
Mdc1997: E che ci posso fare io, così sono fatto U.U :P Allora *caccia un elenco lunghissimo... di quattro nomi* Si ringraziano per le recensioni... Valix97, Tony Stark, matematica97, Keily_Neko (messaggio per quest'ultima: la tua recensione era troppo lunga, rispondere era faticoso :P in ogni caso abbiamo seguito praticamente alla lettera i tuoi suggerimenti u.U)... e basta ^^"
Mary-chan: ... devo ammettere però che sto capitolo l'hai fatto quasi tutto tu... ç_ç vabbè, mi rifarò col prossimo UwU ma abbiamo una chicca per i nostri lettori, no? :D
Mdc1997: Siiii :3 Innanzitutto volevo dirvi che, per come l'avevamo pensato, questo capitolo sarebbe stato ancora più triste/dark/pesante... non ce la facevamo noi a scriverlo però, capiteci TwT
Mary-chan: E inoltre... la parte che preferisco! Diglielo, forza UwU
Mdc1997: Ok lol *è costretto a dirlo* Ecco a voi... com'è nata davvero la scena del re degli inferi! :D Enjoy U.U

[punto di vista del re]
Re: Che bello che bello l'uscita * ^ * mo vado a conquistare il mondo :3... aspetta, una luce? mah sarà quella... no, è a forma di drago. AIUTO IL DRAGO CREM-ehm no, è bianco... ._. ... Oh c****, pare forte T.T

*il drago lo mangia*

Drago: Burp! U.U
---
Mdc1997: Oook, questo è più o meno il prototipo dello scheletro su cui lavoriamo U.U abbiamo rivelato il nostro segreto :P
Mary-chan: Già UwU... ma perché finiamo sempre col pubblicare a tarda notte? x'D
Mdc1997: Non lo so lol, c'entrerà qualcosa col fatto che SCRIVIAMO solo a tarda notte? :'D
Mary-chan:  Mi sa tanto :'D... *guarda l'ora* uhm, come non detto, notte gente ^^" ;)

Mdc1997: P.S.: Prossima volta la buonanotte la do io U.U

 
  
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