Piccolissima dedica:
A Kelly Kee, naturalmente.
E, sopratutto, al vero
Jehan,
che continua ad aiutarmi.
(e che non può credere
che questo accaunt
sia ancora in piedi).
Con una bic profumata da attrice
bruciata
“
Scrisse Così.
{.La Guerra E’ Finita
– Baustelle.}
Si mosse velocemente, da una
parte all’altra, rigido come fosse stato di ghiaccio, saettando lo
sguardo da
un capo all’altro della sala, così maestosamente imbandita da sembrar
quasi uno
spettacolo di balletto.
Se ne stava fermo, immobile,
di fianco a quella grande pianta verdacea (rigorosamente vera) con la
mancina
abbandonata nella tasca dei pantaloni dello smoking e la destra a
reggere un bicchiere
colmo a metà di champagne.
I capelli neri erano stati
sistemati con cura, estrema cura, si potrebbe osar dire, ma forse
sarebbe
troppo azzardato.
Gli occhi , di un delizioso
ceruleo, erano stati ricoperti da uno strato di passiva noia che non
sembrava
volersene andare a nessuno inutile tentativo della incantevole
Baronessa, che,
con le sue due damigelle, non faceva altro che trovare scuse per
stargli
intorno, sotto il sorriso divertito di un’incantevole Bonnie, all’altro
capo
della sala, piacevolmente intrattenuta da una conversazione sul
Disboscamento
Globale e del Mercato Cinese in continuo avanzamento.
Ogni tanto gli lanciava uno
sguardo, giusto per assicurarsi che si stesse annoiando abbastanza per
i suoi
gusti.
Bhè, ci stava riuscendo. Alla
perfezione.
Un’altra stupida serata di
beneficenza. Daniel odiava
profondamente le serate di beneficenza.
Così pompose, piene di gente
ricca a cui non importava assolutamente niente della causa, ma
semplicemente di
farsi fotografare in quella situazione dai giornalisti giusti.
Spesso si chiedeva se, in
realtà, i soldi che gli toccava di sborsare ogni volta per un bambino
sfruttato
diverso (“Ma sono sempre i bambini
sfruttati?” “Daniel!” “Ho capito, ma cambiassero una volta ogni tanto!
A momenti
prendono più loro di me” “Insensibile”), non fossero ben impiegati
nell’organizzazione di quelle cerimonie al limite della sopportazione.
“Oh Daniel” la voce cristallina di una ragazza alta poco più di lui lo
raggiunse alle spalle, facendolo voltare quasi sopreso che qualcuno
potesse
ancora scambiarlo per un’essere umano, invece che come parte del
mobilio.
“Clèmence” si ritrovò a
rispondere quasi d’istinto verso la biondina, ben avvolta in un abito
color
avorio, con due sottili spalline e un’ampia scollatura sulla schiena.
Gli anni
non l’avevano cambiata di una virgola, sempre meravigliosamente
bellissima.
“Che piascere riverdorti”
l’uomo era perfettamente cosciente che quell’accento fosse, in realtà,
uno
stupido modo di sembrare più adorabile di quanto già non fosse, ma la
cosa le
risultava talmente bene che nessuno si sarebbe mai sognato di chiederle
di
smetterla.
“Immenso piacere, sì – sforzò
un goffo sorriso – Quanti anni sono passati dall’ultima volta…?” non
aveva
tenuto il conto.
“Diesci, quasi undisci”
giocherellò con il bordo del bicchiere di cristallo che teneva in mano,
portandolo, poi alle labbra rosee.
“Una vita – riflettè,
abbassando gli occhi sulle scarpe – E come stai?”
“Oh benissimo. Mi sono
sposata” accennò un timido sorriso e un cenno del capo in direzione di
un
affascinante uomo sulla quaratina che contemplava con aria assorta il
tavolo
del buffet.
Già. Proprio il genere di
uomo che Clemence avrebbe potuto prediligere. Bello e stupido.
“Quando? – domandò senza
intenzione – Oh, le mie congratulazioni” si affrettò ad aggiungere poi.
“Grasie – sembrava quasi in
imbarazzo da quella conversazione così lontana dai tempi in cui
pranzavano allo
stesso tavolo, o da quando tutto sembrava più facile. Probabilmente
c’era anche
lei al matrimonio di Emma “E tu? Cosa mi dsci?”
“Mi sono sposato anch’io –
ignorò l’espressione sorpresa sul suo viso ben delineato – Con Bonnie”
accennò
alla donna, al di là della sala.
Sgranò nuovamente i grandi
occhi azzurri, posandoli prima su di lei, poi su Daniel.
“Oh – pareva confusa,
balbettò qualcosa di incomprensibile, cambiando poi, bruscamente
discorso – Hai
saputo di Tom ed Emma?”
Tasto dolente.
“No – smorfia – Che hanno
fatto?” il tono gelido e improvvisamente tagliente.
“Un’incidente”
Il rumore sottile e delicato
di un bicchiere che cade, infrangendosi sul pavimento, la mano ancora
ferma a
mezzaria, gli occhi appena sgranati, la bocca dischiusa, le gote
pallide e lo
champagne, inbeveuto, che, lentamente, prende possesso del pavimento
che gli
sta intorno, muovendosi, allargandosi, ignorato da colui che lo teneva
stretto.
Una ragazza dai capelli rossi
e l’abito azzurro che si avvicina, parla, sembra preoccupata, si
rivolge alla
bionda, ma lui non sente.
Il tempo si è fermato a
quella parola.
Quattro sillabe. Possono
uccidere quattro sillabe? Quattro singole sillabe, leggere, come il
vento.
Una parola come un’altra, che
fino al giorno prima avresti usato in mille altri contesti.
“E… - la gola riarsa - …come
stanno?”
Silenzio intorno a lui.
Bonnie si volta lentamente, perplessa. Clemence non crede alle sue
orecchie.
Com’è possibile che non abbia saputo?
“Sono in coma, Daniel… ma
davvero non lo sapevi?”
+
“Daniel, ti prego rallenta”
voce ferma quella della donna al suo fianco, in quella stretta
automobile.
I vestiti stropicciati, i
figli in casa, e una notte troppo lunga.
“Daniel…” sembrava
spazientita, eppure troppo debole per potersi permettere una litigata.
“DANIEL”
Sfrecciava e basta, nella
campagna, attraverso le vie strette che conducevano a quasi duecento
chilometri
da lì.
Nel più perfetto nulla.
Nell’assoluto nulla.
Saint Patrick’s Hospital.
Sembra quasi una presa per il
culo.
E come li curano lì
i malati, eh? Coi folletti?
Eppure lei taceva. Se ne
stava al suo fianco e lo osservava. Lo osservava urlare, forse anche
piangere.
Lo guardava prendersela con
quel povero camionista, che sicuramente, avrebbe dato qualsiasi cosa
per non
essere lì, a quell’ora del mattino, ma c’era, ed era una colpa
sufficiente per
essere preso a clacson e male parole.
Il tempo sembrava
interminabile.
Scorreva lento, mentre la
domanda lo assillava senza sosta.
Perché? Perché non
gliel’hanno detto? Come ha fatto a
non saperlo?
“Sono in coma da quasi una
settimana. Incidente in autostrada. Stavano tornando da un viaggio.
Sai, Emma
ha scoperto di non poter avere figli e Tom voleva consolarla. Ma come
potevi
non sapere niente? Oh, bhè, comunque, stavano viaggiando a velocità
piuttosto
ragionevole, entro i limiti comunque. Certo l’orario non era dei
migliori.
Forse le quattro, intorno a quell’ora lì, comunque. C’era la nebbia ed
era
domenica, o meglio, lunedì mattina. Dio, sai come sono odiosi gli
automobilisti
di lunedì mattina? Intrattabili! Mettici poi una coda di quasi otto
chilometri,
una scorciatoia troppo stretta e un camionista che aveva bevuto troppo
in
Osteria. Trauma cranico, due costole rotte lei, quattro lui. Una gamba
fratturata, e lesioni interne. Qualcosa mi dice che non ti interessa
sapere di
Emma” la conversazione non era andata avanti.
Si era limitato ad afferrare il polso di Bonnie, prendere chiavi e
giacca dal
guardaroba.
Aveva chiamato
Su quei sedili in pelle
rilegata, con la pioggia battente, per vie secondarie.
“Tu lo ami, non è vero?”
La voce atona della donna lo
aveva sopreso, forse più del dovuto. Tanto che smise per un secondo di
guardare
la strada e di inveire, come se la voce gli si fosse improvvisamente
affievolita.
“Come?”
“Andiamo Daniel, non
prendermi per il culo…” non pareva arabbiata. Aveva quello sguardo da
‘tanto –
lo – so – se – dici – una – cazzata’ e non se la sentiva di smetire.
Non rispose. Guardò
semplicemente avanti, schiacciando l’accelleratore.
“Cosa pensi di fare arrivato
lì?” domandò ancora.
“Non lo so”
“Non ti sentirà”
“Lo so”
“Daniel è in coma”
“Lo so”
“Daniel…”
“LO SO”
“…guida piano” sussurrò solo,
lasciando divagare lo sguardo oltre le colline.
+
Il sole sorgeva lentamente,
innondando e pitturando qualsiasi cosa incontrasse, tingendola di un
morbido
chiarore di metà primavera.
Bonnie, al suo fianco, aveva
lasciato ricadere la testa di fianco, mollemente, e ora respirava
piano,
assopita.
Erano passati così tanti anni
che il dubbio singolare che Tom fosse cambiato, che non fosse più quel
ragazzino biondo dallo sguardo arrogante e presuntuoso lo assalì come
una forte
paura.
Lo aveva pensato, di tanto in
tanto, chiedendosi se, seriamente, le cose sarebbero andate come le
aveva
preannunciate.
Purtroppo sì.
Thomas e Emma Felton si erano
trasferiti con l’inizio di Ottobre, lasciandosi alle spalle la vita che
avevano
avuto fino a quel momento. Avevano ignorato gli amici che gli
chiedevano di
restare, e, ricordava con particolare chiarezza le parole di Rupert,
nel
descrivere la decisione del biondino nel voler partire immediatamente.
Aveva taciuto in quel
momento, guardandosi con un certo imbarazzo la punta delle scarpe, come
se
fossero la cosa più interessante del mondo.
E ora era lì, su una macchina
nera, che sfrecciava attraverso una campagna deserta, alle prime luci
dell’alba,
chiedendosi sinceramente cosa avrebbe fatto una volta arrivato lì.
Cosa avrebbe detto, come
avrebbe reagito.
Non lo sapeva. Non se lo
sapeva chiedere. Non voleva domandarselo.
Continuò a guardare davanti a
sé, cercando di pensare ad altro, sebbene la cosa gli risultasse
alquanto
difficile.
+
Giunsero al Saint Patrick’s
Hospital intorno alle dieci di mattina. Il parcheggio perfetto, i
vestiti
stroppicciati e le occhiaie ben in evidenza sulla carnagione chiara del
uomo. Bonnie,
al suo fianco, posava i piedi sull’asfalto, ancora insonnolita,
apparentemente
confusa sul perché si trovassero lì.
Daniel non si dilungò in
alcuna spiegazione, trascinando soltanto la moglie verso l’entrata,
tenendola
ben stretta, ignorando gli sguardi ammirati dei pazienti, rispondendo
con una
certà acidità alle richieste di autografo.
Sembrava che esistessero solo
loro. O solo lui.
Bonnie era davvero dubbiosa sul fatto che suo marito, in quel momento,
potesse
anche soltanto prenderla in considerazione, qualsiasi cosa avesse
detto.
Qualsiasi.
“Sono incita” non seppe mai perché disse
quelle parole.
Seppe solo che Daniel si
fermò.
Si fermò in mezzo a quella
sala, girandosi verso di lei con la bocca semi dischiusa e gli occhi
pieni di
qualcosa di molto simile al panico.
Non perché quella che era sua
moglie avrebbe, di lì a poco, partorito il terzo figlio, ma perché
qualcosa gli
diceva che quel figlio non avrebbe avuto né i capelli neri né gli occhi
azzurri.
Qualcosa gli diceva che
questa volta sarebbe stato diverso.
“Ah”
Disse soltanto, con freddezza distaccata.
“Ah?” ripeté lei, sbattendo
un paio di volte le palpebre.
“Cosa dovrei dirti, Bon?” il
nervosismo tradiva la voce più del dovuto. Gli occhi erano bassi.
Prima Tom. Poi lei.
Quanto avrebbe retto ancora?
“Potresti chiedermi se è tuo”
il gelo era sceso fra loro, e la mano che ancora le teneva sembrava
solo una
formalità di circostanza.
“So già la risposta”
boffonchiò, voltando la testa verso la porta, a pochi metri da loro,
dietro
alla quale, probabilmente, stava Tom, o comunque lo avvicinava a lui.
“Davvero?” la sorpresa aveva
preso il posto nel timbro vocale della ragazza.
Scrollò le spalle.
“Ne parliamo dopo” sbuffò,
riprendendo a camminare.
“Dio Daniel non ti sopporto”
lasciò la sua mano, restando ferma nel luogo in cui era poco prima.
“Cosa?” si voltò nuovamente,
verso di lei questa volta.
“Non te ne frega niente, è
questo il punto – esasperata alzò le braccia, per farle ricadere lungo
i
fianchi, incurante delle persone intorno a loro – C’è sempre lui prima di me. Sempre.
E’
sempre stato così e mi chiedo se sarà così per sempre”
Si avvicinò a sua moglie,
sibilante.
“Cosa devo dirti Bon? Cosa? Ti
prego resta con me ti amo? Sarebbero balle, lo sai perfettamente. Sai perché
siamo arrivati a questo
punto. Sai che non c’è amore fra di noi. Lo hai sempre saputo e io non
ti ho
costretta a stare con una persona che non ti ama e che tu non ami. Però
l’hai
fatto” vicino al suo viso, le parole erano troppo basse per poter
essere udite
da altri, eppure a lei parvero fin troppo forti.
“Perché io ti amo – urlò
con quanto fiato aveva in gola. Fu la sua
volta quella di voltarsi verso la parte opposta – Ti aspetto in
macchina”
aggiunse soltanto, camminando più velocemente che poteva, nascondendo
poche
lacrime che le fasciavano ora il viso.
Forse avrebbe dovuto
rincorrerla.
Forse avrebbe dovuto dirle
che anche lui l’amava.
Fatto sta che non lo fece. Si
limitò a sospirare, osservare la porta verdacea che si richiudeva e
darle le
spalle, camminando verso quella che lo avrebbe condotto da Tom.
Si proiettò per un secondo sul set, dieci anni prima.
Si chiese cosa sarebbe successo se Emma non ci fosse stata. Se le cose
fossero
andate in modo diverso.
Se Tom fosse rimasto fino
alla fine quella notte e se, per caso, non avesse rinnegato tutto. Si
domandò
cosa sarebbe accaduto se durante il matrimonio avesse mandato a puttane
tutto,
o se durante il funerale avesse riso di lui.
Tutte cose che non erano
successe.
Non evitò un sorriso nel
pensare a come tutto era nato da una semplice scopata.
Niente di più idiota.
Con rapidi passi si avvicinò
alla stanza indicata dal dottore, esitando, poi, a sorpassarne la
porta.
Sembrava bloccato da qualcosa
di nuovo, da qualcosa di diverso che non riusciva a capire.
Risultava tutto così assurdo
in quel momento, in quel contesto. Puzzava e indossava uno smoking
stropicciato. Eppure gli sembrava giusto. Non aveva portato nemmeno dei
fiori.
Poco male.
Lo vide poco lontano dalla
finestra.
Bello come lo ricordava con
la carnagione nivea, le gote pallide e i capelli sparsi sul cuscino.
La fronte imperlata di un
debole sudore e le braccia ai lati del corpo, in posa innaturale.
Gli occhi celati dalle
palpebre richiuse.
Emma non la guardò nemmeno.
Si avvicinò lentamente,
rendendosi conto, ad ogni passo, di quanto gli costasse muoversi verso
di lui.
Di quanto gli sembrasse
paradossale. Lui che l’aveva cacciato. Lui che gli aveva ordinato di
andarsene.
Qualche lettino più in là un
altro medico lo osservava.
Attese qualche secondo, prima
di avvicinarsi a lui, senza guardarlo.
“Il Signor Felton è in bilico”
spiegò senza che Daniel avesse domandato nulla.
“Bilico?” ripetè,
guardandolo.
“Sta lottando da quando è
arrivato. A volte sembra migliori, a volte peggiora di colpo” doveva
essersi
preso a cuore la questione e sembrava distrutto da quel paziente così
complesso.
“Guarirà?” la voce gli morì
in gola, mentre, ancora una volta lo guardava.
Che domanda sciocca, eppure,
gli sembrava sensata.
“Non possiamo dirlo” scrollò
le spalle l’uomo. Pareva provato da molte notti insonni.
Non disse altro. Si appoggiò
con entrambe le mani alla sbarra di ferro del lettino, sospingendosi
appena in
avanti.
“Può lasciarci soli?” chiese
gentilmente.
Annuì il dottore, uscendo
rapidamente dalla stanza.
Sedette su una sedia lì
vicino, stancamente, come se fosse molto più vecchio di quanto in
realtà non
sembrasse.
“Non sono mai stato bravo coi
discorsi – iniziò – Non sono mai stato bravo in niente. Tu eri quello
bravo. Quello
che tutti amavano perché era sempre buono e giusto. Io ero quello
arrogante, ti
ricordi? Dicevi che a volte era più adulto il fratello di Rupert, un
bambino di
nove anni. Ormai avrà l’età che avevamo noi allora – sorrise
debolmente,
abbassando lo sguardo – Ma parlare, parlare era la mia pecca più
grande. Ricordi
le rassegne stampa? Sembravo sempre un’idiota. La coppia perfetta, ci
definivano. Già. Tu eri l’angelo perfetto. Io piacevo per il mio
‘essere
ribelle’… da cosa nessuno l’hai mai capito. E poi è successo. Non è un
classico? Due amici che si innamorano? No. Di solito le cose sono
diverse, no?
C’è un lui e una lei. Io ero troppo idiota per essere l’uomo e troppo
stupido
per essere la donna – si sistemò un po’ meglio sulla sedia – Che hai
fatto? –
si ritrovò a domandare – Come è successo? Dov’eravate andati? – sospirò
appena –
Sei un’idiota – gli occhi bruciavano di lacrime annidate negli angoli,
pronte a
scaturire – Ho sempre pensato che prima o poi saresti tornato. Che non
avresti
preso sul serio quello che ti dicevo. Che…” non parlò più.
Rimase solo al suo fianco,
prendendogli delicatamente la mano nella sua, accarezzandola appena.
Come poteva rinunciarvi? Come
poteva anche solo credere che non lo avrebbe visto più?
+
Mi piacerebbe dire che dopo
quel discorso Tom si risvegliò magicamente.
Non successe. Rimase fermo,
come poco prima, non si mosse nemmeno di poco.
Tutto, effettivamente, rimase
uguale a prima, eccezzion fatta per Bonnie che, stanca di aspettare,
mise in
moto quella macchina, puntandola chissà dove, lasciando Daniel a piedi,
lontano
da lei.
Nessun addio straziante. Perché
avrebbero dovuto?
Dal canto suo il moro si
augurava soltanto che la rossa trovasse la felicità, prima o poi.
Non seppe mai se
effettivamente la ragazza la trovò oppure no.
+
L’orologio segnava le otto e
un quarto di sera, precise e Daniel era appena tornato dall’Ospedale.
Sedeva su quel letto
matrimoniale di quel Motel poco fuori, a cento metri dalla stanza di
Tom,
vicino alla stazione, con un bagno per piano e la colazione dalle sette
alle
nove.
Lo odiava abbastanza,
effettivamente, ma non ci faceva troppo caso.
La sua vita era stata
sconvolta nell’arco di due giorni e nemmeno se n’era accorto.
Pensare aveva pensato anche
troppo nel tragitto per arrivare in quel paesino sperduto e ora
aspettava,
privo di qualsiasi pensiero a cui aggrapparsi se ne stava sdraiato, con
le mani
dietro la nuca.
Aveva già chiamato il Dottore
che aveva in cura Tom dandogli il numero del Motel e quello della
stanza per
assicurarsi che se ci fossero state novità lo avrebbe saputo
immediatamente (“a
qualsiasi ora Dottore, non si faccia scrupoli, la prego” “eravate molto
amici?”
“no, non troppo” “è straordinario il vostro attaccamento” “abbiamo un
conto in
sospeso, diciamo”).
Chiamò tre volte sua madre e
cinque Stephanie, per assicurarsi che il telefono non fosse rotto
(“Daniel ha
più di trentanni, smettila di giocare con il telefono” aveva detto
spazientita
Troppo muto per i suoi gusti.
Decise, dopo circa due ore,
che torturarsi in quel modo non era sano, e optò per uno dei vecchi
rimedi
della nonna di quando ancora era sulla cresta dell’onda del successo,
imboccando la porta e lasciandosi avvolgere dalla notte, lasciando sul
letto il
cellulare e qualsiasi cosa avesse potuto rintracciarlo, deciso a non
pensare a
nulla per un po’, senza continuare a chiedesi per quale assurdo motivo
nessuno
lo chiamasse.
La notte era come
l’aveva immaginata.
Calda e dolce come il succo
del miele. Lo aveva accolto nelle sue braccia con tenerezza materna,
avvolgendo
i suoi pensieri in una specie di cotone, ovattandoli e lasciando vagare
la
mente nei ricordi di quando era troppo giovane perché il dolore avesse
già
fatto parte della sua vita.
Si muoveva lentamente, con la
testa reclinata in avanti e le mani nelle tasche chiedendosi perché.
Perché fosse successo a lui e quanto era grande la sua idiozia da uno a
dieci.
Undici, probabilmente.
Sbuffò, facendo dietro –
front e riavviandosi al Motel, sicuro di essere costretto ad una notte
senza
sogni, e piuttosto agitata.
Rinunciò persino a chiedere a
Calvin, il ragazzo nella pseudo – Hall del luogo se qualcuno avesse
chiamato.
Fu allora che, Daniel fu
certo, un infarto attraversò il suo corpo.
“Oh Signor Radcliffe è
tornato finalmente – lo accolse con voce allegra il ragazzo, al quale
rispose
con un debole cenno del capo – Ha chiamato il Dottor Harrison dal Saint
Patrick. Ha detto di richiamarlo con urgenza appena aveva un attimo”
Bloccato.
Se esisteva un Dio di certo
ora gli doveva tutto.
Un Dio che, in quel momento,
aveva le sembianze goffe di un ragazzotto sui venticinque anni, dietro
un
bancone, che sorrideva gaiamente, assolutamente inconsapevole di ciò
che aveva
appena detto.
“Ha lasciato un numero?”
balbettò avvicinandosi.
“Certamente – aggiunse in
tono vivace, chianandosi a cercarlo – Eccolo!” riemerse dopo pochi
secondi,
porgendo un foglietto di carta gialla all’attore.
“Gr…grazie” farfugliò,
afferrando il telefono a disposizione dei clienti, componendo
velocemente i
numeri bianchi consumati dal tempo e attendendo una risposta.
“Pronto?”
“Dottor Harrison? Sono Daniel
Radcliffe”
“Signor Radcliffe! Aspettavo
proprio una sua chiamata”
“Lo so. Mi dica. Novità?”
“Assolutamente sì! Non so
cosa lei abbia fatto, Daniel, ma poco dopo che se n’è andato il
paziente ha
iniziato ad animarsi, i valori sono cambiati rapidamente. Ricorda? Le
avevo
detto che non era stabile!”
“Sì, ricordo. Ma quindi? Non
si è svegliato?”
“Svegliato? Signor Radcliffe
abbiamo dovuto legarlo per tenerlo fermo al letto quando gli abbiamo
detto che
lei è venuto a trovarlo. In vita mia mai ho visto una ripresa del
genere!
Quando vuole venire noi la aspettiamo”
“Arrivo”
Non fu sicuro che il medico
avesse udito le sue parole, troppo deboli per poter esser,
effettivamente,
sentite.
Attaccò fuoriosamente la
cornetta, rivolgendo a Calvin il sorriso più bello che il ragazzotto
avesse mai
visto.
“Dì a chiunque mi chiami che
se ne può andare al diavolo”
E detto questo uscì.
+
“Daniel” la voce spenta del
biondo, seduto come poteva su quel letto, mentre tentava di chinarsi in
avanti
parve, al moro, la cosa più bella che avesse mai udito.
“Tom” boccheggiò
avvicinandosi così rapidamente all’amico che parve quasi volare.
“Bene – sorrise il Dottor
Harrison – Vi lascio. Credo che il nostro paziente ora sia in ottime
mani. Vieni
Linda” fece un cenno all’infermiera bionda che gli stava accanto,
sbalordita
dell’affluenza di star in quella stanza, ma non fiatò, seguendo l’uomo.
Attese che la porta si
richiudesse alle loro spalle, prima di muoversi ancora verso di lui.
“Sei venuto” proferì con un
bieco sorriso.
Non disse altro.
Le labbra di Daniel andarono
a coprire quelle di Tom così velocemente che quasi non si rese conto
dei
movimenti che il moro compiva nei suoi confronti.
La mano volava leggera alla nuca del ragazzo, l’altra alla vita.
Quanto tempo era passato dall’ultima
volta che era successo.
Dall’ultima volta che Daniel aveva baciato Tom.
Forse quell’unica sera, tanto e tanto tempo prima, quando le cose non
erano
ancora così complesse.
Quando ancora erano dei
ragazzini.
Quando Daniel voleva solo una
scopata e Tom, infondo al cuore, lo amava.
“Mi ami?” sussurrò il biondo,
non appena l’ossigeno fra di loro cominciò a scarseggiare.
“No?” pareva perplesso.
“No, Thomas Felton. Non ti
amo. Ti amo è per i film. Ti amo è per Emma, per Bonnie. Io non ti amo” aggiunse
con quel tono di
voce che lo riportava indietro nel tempo.
“Quindi non mi ami?”
sorrise divertito.
“Sì. Non ti amo”
“Originale”
Si chinò nuovamente, rapendo
un altro bacio a quelle labbra così meravigliosamente rosee.
“E tu?”
“Io cosa?”
“Mi ami?”
“No” “E allora come la mettiamo?” “Ah, non lo so” “Amici?” “Che idiozia, Potter. Come possiamo
essere amici se
non riesci a staccarti dalle mie labbra?” “Stupido biondino viziato e
spocchioso” “Io non ti amo e non voglio
sposarti” “Neppure io” “Perfetto” “Perfetto” “Ti piace West Road?” “Sì, certo, perché?” “Perché stavo pensando che
quando Bonnie se ne andrà con i bambini mi avanzerà dello spazio” “E’ una proposta?” “E’ una non proposta,
biondino egocentrico” “Ah, è tutto chiaro allora” ROMEO:
Allora non muoverti, intanto che io raccolgo il
frutto della mia preghiera. Ecco, le tue labbra hanno purgato le mie
del loro
peccato. (La bacia) + Come mi
piacerebbe dire che Emma non si
risvegliò mai e rimase per sempre nel mondo dei sogni. Una settimana, due giorni e
quattro ore dopo, dopo essersi assicurato che stesse bene e non
rischiasse di
infarto (“Ma non c’è nemmeno una piccolissima
percentuale di infarto?” “Daniel piantala”) Thomas Felton ed Emma
Watson
firmavano i documenti per il divorzio legale. + A
Mia Figlia Sophie,
Luce
della mia vita, ti scrivo sul treno che parte per
Da
quando tu, la mamma e Joseph siete partiti non so
descrivervi quanto la mia vita si sia svuotata, eppure, in qualche
modo,
tesoro, devi pensare che è giusto così. Perché
lo è. Io
ti amo, bambina mia, come la prima volta che ti ho
tenuta in braccio e sai che mai il mio amore potrebbe venire meno, in
nessuna
occasione, tuttavia, ti chiedo, tesoro mio, di aspettare. Di
pensare a tuo padre come a qualcosa che ti veglia
in ogni momento, in ogni istante, da lontano. Ormai
hai nove anni e inizi a farti grande e a capire.
Papà
e mamma sono felici. Non insieme, ma lo sono. Non
guardare male l’uomo che ogni giorno la abbraccia, sorridigli, perché,
sono
certo, non sta aspettando altro. Vivi,
bambina mia. Vivi e ama ogni giorno, come sai
fare tu, pensando, ogni tanto, che ti vorrò sempre bene, ovunque io
sarò e che,
finchè non tornerò, potrai rivolgerti a quell’uomo per qualsasi cosa. Non
soffro, come magari pensi. Sono felice, tesoro,
come non lo sono stato mai, o come non lo ero da tanto tempo e, non
appena
sarai un po’ più grande, avrai la possibilità reale di scegliere. Per
ora, principessina mia, resta vicina alla mamma
che ne ha tanto bisogno, come avrò bisogno io dei tuoi abbracci non
appena, a
Settembre, potremmo vederci di nuovo. Salutami
Joseph e fagli gli auguri. Fra poco è il suo
compleanno. Un
abbraccio. Ti
voglio bene. Papà. + + +
GIULIETTA: Allora è rimasto sulle mie labbra il peccato che esse
hanno
tolto alle vostre.
ROMEO: Il peccato dalle mie labbra? O colpa dolcemente
rimproverata!
Rendimi dunque il mio peccato.
Ma sarebbe una bugia.
Emma si risvegliò una settimana e due giorni dopo, con grande
dispiacere di
Daniel, il quale si prese una giornalata in testa per la brutta uscita
sulle
vecchine porta – sfiga e su quanto fossero accoglienti i cimiteri al
giorno d’oggi.
Sono certo che tua madre sarà meravigliosa e che ve la caverete
benissimo anche
senza di me, là, in Inghilterra.
Scegligli un bel regalo anche da parte mia.
Troppo amore lo avrebbe ucciso alla fine. Ne era certo.
Ma qualcosa gli diceva che quello era solo l'inizio.
+ + +
Non credevo, sinceramente, che sarei mai arrivato alla fine di questa storia.Sono cresciuto, cambiato con questa storia che, ormai, è un piccolo pezzetto di me.
Eppure eccola la fine che aspettavo. Che ho scritto una decina di volte e continuavo a chiedermi come avrei potuto mettere il fatto dell'incedene e non renderlo artefatto. Non renderlo finto. Mi sento soddisfatto, sarò sincero. E' una fine che mi piace com'è venuta fuori e quindi, ora, passo ai ringraziamenti. Nessun nome. Chi ha orecchie per intendere...
Grazie a chi legge.
Grazie a chi legge e commenta.
Grazie a chi legge e non commenta.
Grazie a chi legge in anticipo e poi commenta.
Grazie a chi conosce le canzoni citate.
Grazie a chi non conosce le canzoni citate e se le va ad ascoltare.
Grazie a chi non ha mai letto.
Grazie a chi cerca una storia e ne legge un'altra.
Grazie a chi ama lo yaoi.
Grazie a chi odia lo yaoi.
Grazie a chi ha letto solo l'introduzione di questa storia.
Grazie a chi ha aspettato questa storia.
Grazie a chi legge e ride.
Grazie a chi legge e piange.
Grazie a chi, semplicemente, si emoziona.
Grazie a chi, in qualche modo, mi sostiene.
Grazie a Daniel, Tom, Emma e Bonnie (sopratutto a Devon), senza i quali, questa storia non sarebbe stata possibile.
Ma sopratutto, Grazie a Mio Padre, che quando ho iniziato il primo capito c'era, e ora che ho finito l'ultimo non c'è più.
Grazie mille, papà.
Grazie a tutti.