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Autore: Edelvais    06/09/2013    2 recensioni
But I'll be there for you
As the world falls down.


▪ I: Proprio mentre il mio respiro andò ad abbattersi contro le esili fiamme delle candele, un pensiero mi squarciò il petto in due, lasciandomi con gli occhi sbarrati e il battito del cuore a mille.
Jareth. Nonostante una parte di me fosse orgogliosa di averlo sconfitto e di non avere più nulla a che fare con il Re di Goblin, l’altra scalpitava dalla voglia di rivedere il suo bel viso marmoreo, incorniciato da quella cascata di capelli biondi e stravaganti. Non l’avevo più visto da quell’avventura nel labirinto di quattro anni fa, ma avevo pensato a lui diverse volte.
Dentro di me, sapevo che eravamo destinati a rincontrarci, ma non sospettavo minimamente che potesse accadere così presto e in quel modo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Underground'
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Sogni di Cristallo
 
 


Capitolo VII - Quando la leggenda diviene realtà
 



Quando ripresi coscienza, mi accorsi di essere stesa sul divano di casa mia, circondata da una cinta muraria di cuscini. Mi sorpresi di non trovare Jareth accanto a me; sicuramente era stato lui a riportarmi a casa.
Improvvisamente una cascata di pensieri e ricordi mi travolse, costringendomi a massaggiarmi le tempie per alleviare il dolore. Cercai di fare mente locale, e subito l’immagine del bacio fra me e il mago emerse alla memoria, e per un momento quasi mi dimenticai di respirare.
Con l’indice mi sfiorai le labbra, e nel medesimo istante una voce familiare raggiunse il mio udito.
« Come stai? »
Era tremendamente strano e insolito sentirlo così in pena per me.
Voltai la testa di scatto e lo vidi appoggiato allo stipite della cucina.
Grosso errore: il capo ricominciò a pulsare terribilmente e una smorfia di dolore attraversò il mio viso. « Potrei stare meglio » brontolai.
Jareth sorrise appena, avvicinandosi veloce e silenzioso come un gatto.
In effetti, tutto in lui ricordava un felino: l’eleganza e l’agilità dei movimenti, lo sguardo fiero e al contempo impetuoso…
La sua voce mi riscosse dai miei pensieri deliranti. « Rimettiti giù » ordinò inflessibile.
Aggrottai le sopracciglia. « Sono solo svenuta » protestai.
Insomma, ultimamente ero un po’ deboluccia e se a questo vi si aggiungeva la pressione degli ultimi giorni, non c’era nulla di preoccupante nel mio svenimento.
« Sei svenuta e hai quella che voi umani chiamate febbra » dichiarò lui.
Sorrisi alla sua pronuncia sbagliata. « Al massimo potrei avere la febbre » ghignai, divertita e soddisfatta per essermi presa la rivincita su tutte quelle frecciatine da parte sua. « E comunque non credo proprio di averla ».
Jareth si sedette nel tavolino di fronte al divano, piantando il suo sguardo nel mio.
« Sì, invece. La tua fronte è bollente. Ci potresti cuocere una bella fetta di carne ».
Sbuffai, e un vago senso di nausea mi confermò la sua tesi.
Come diavolo avessi fatto a prenderla non lo sapevo proprio.
Il Re di Goblin avvicinò la sua mano − stranamente senza guanto − alla mia fronte, appoggiandola, e il contatto con la sua pelle mi fece sussultare. In quel momento ero certa che le mie gote somigliassero a due pomodori e sperai con tutto il cuore che Jareth lo attribuisse alla febbre.
Non impazzivo dalla voglia di rendermi ridicola davanti a lui per l’ennesima volta.
Rimase fermo per qualche secondo, sotto il mio sguardo indagatore.
« Sì, hai proprio la febbre » constatò. « Spero solo che tu non mi abbia contagiato ».
Sorrisi a quell’affermazione. « Non sono stata io a baciarti per prima ».
« D’accordo, questa volta hai ragione. Mi assumerò le mie responsabilità », scherzò lui.
Fece per alzarsi, ma qualcosa lo illuminò. « Ah, tua madre ha chiamato prima. Le ho detto che non eri ancora tornata da scuola e lei ha risposto che richiamerà in giornata. Era piuttosto preoccupata, penso che si senta in colpa per averti mollata qui da sola con… me ».
« Forse vuole avvisarmi che torneranno oggi ».
« Sarebbe meglio che rimangano dove sono. Se Zephit ci dovesse attaccare qui in casa, la tua famiglia potrebbe essere in pericolo ».
« Come posso convincerli? ».
Jareth scrollò le spalle. « Inventa qualcosa. Dì che preferisci che aiutino tua zia e che qui te la cavi benissimo da sola. In fondo tuo zio è stato coinvolto in un incidente, hanno bisogno di sostegno e di aiuto per l’organizzazione del matrimonio di tua cugina ».
Annuii, concordando sul fatto che forse trattenerli a Manhattan, lontano dal pericolo, fosse l’idea migliore.
Con un sospiro sprofondai di nuovo nei cuscini, chiudendo gli occhi.
« Vuoi che ti porti di sopra in camera tua? » domandò rompendo il silenzio.
Per un momento esitai sulla sua improvvisa premura; era davvero lui? Lo stesso essere che quattro anni fa aveva tentato di sottrarmi il fratello per trasformarlo in uno gnomo?
« No, grazie. Non voglio dormire », biascicai.
« Come vuoi, mia preziosa ».
Avvertii il rumore dei suoi passi avvicinarsi, fino a quando si fermò proprio sopra di me, con i gomiti appoggiati sulla testata del divano.
Cominciò ad intonare una canzone, mentre sentivo il suo sguardo accarezzarmi il viso.
 
One day though it might 
as well be someday
You and I will rise up all the way
All because of what you are
The Prettiest Star
                            
                            The Prettiest Star, David Bowie

 
In quel momento il telefono squillò, trascinandomi lontano da quei versi stupendi e da quella melodia eufonica. Storsi la bocca in un’espressione scocciata.
« Karen » sbuffai, cercando di alzarmi dal giaciglio.
Il Re fu subito accanto a me, sorreggendomi con premura.
« Ce la faccio » assicurai sciogliendomi dalla sua presa e dirigendomi goffamente verso il telefono.
Ancora non riuscivo a comprendere quel comportamento così… diverso.
Portai la cornetta all’orecchio. « Pronto? ».
« Sarah! Stai bene? » trillò Karen.
Allontanai istintivamente il telefono dall’orecchio di qualche centimetro: la sua voce acuta mi aveva perforato il timpano.
« Sì, è tutto a posto ». Più o meno. « Lo zio come sta? ».
« Sta già meglio, gli hanno ingessato la gamba e ora è a casa a riposarsi. Io e tuo padre stiamo aiutando tua cugina a organizzare il matrimonio. Sapessi che bel vestito ha trovato Marley! Nel frattempo Sophie si occupa di David. Mi dispiace tant- »
« Karen » la interruppi. « Non preoccupatevi. Sto bene e so badare a me stessa ».
« Lo so, cara, mi fido di te. Il tuo amico si trova bene? ».
Colsi immediatamente l’ambiguità della domanda. Sul serio credeva ancora che fosse il mio spasimante? Be’, non che non ne fossi sorpresa: quando Karen si mette qualcosa in testa diventa irremovibile. Proprio come me. E poi, visto che poche ore prima avevo risposto a un suo bacio con un impeto non trascurabile, in un certo senso la convinzione della mia matrigna si stava avverando.
« In realtà oggi ha trovato un appartamento appena fuori città. Ha anche trovato lavoro in biblioteca, visto che comincerà l’università solo l’anno prossimo » mentii per sfatare la sua idea.
« Oh, be’, salutalo da parte nostra. È stato un piacere ospitarlo ».
Sembrava lievemente delusa.
«Comunque torneremo entro domani, cara » proseguì.
« No! » esclamai di slancio, rendendomi conto un secondo dopo di aver quasi gridato.
Jareth intanto mi osservava incuriosito.
« C-cioè, voglio dire… dovete aiutare la zia, forse è meglio che rimaniate là ».
Non volevo esporre la mia famiglia a un rischio così alto per colpa mia.
Lei sembrò pensarci su. « Hai ragione, però tuo padre ha il lavoro e tu sei in casa da sola… ».
« Ho diciannove anni! Ti ho già detto che so badare a me stessa. E poi non penso che a papà guasteranno due o tre giorni in più di pausa ».
« Certo, cara. Allora se per te non è un problema… ».
« Assolutamente ».
« Sicura? »
« Al cento per cento ».
« Okay, allora resteremo qui fino al giorno del matrimonio. Robert mi ha appena dato la conferma ».
Esultai mentalmente. « Bene. Salutami gli altri ».
« Certo. A presto, cara ».
Chiusi la chiamata, e mi appoggiai al mobiletto che avevo davanti, respirando affaticata.
Come avevo previsto, Jareth scattò al mio fianco.
« Più facile di quanto immaginassi » mormorai con il fiato corto.
« Ora torna a riposare » ordinò.
Mi voltai a fronteggiarlo, spazientita dai suoi toni perentori. Insomma, stavo male, è vero, ma non poteva permettersi di comandarmi a bacchetta.
« Ho soltanto un po’ di febbre! » protestai.
« La tua pelle è bollente e sei molto debole. Devi riprenderti in tempo per l’Equinozio ».
« T’importa solo quello, vero? In realtà la mia salute t’interessa soltanto per vincere contro tuo padre. Ovviamente dopo averlo sconfitto potrei anche finire sotto un camion che a te non fregherebbe nulla » esplosi, acida.
Mi resi conto di aver detto veramente troppo solo quando lo vidi curvare le labbra in un’espressione di rabbia e nervosismo. Maledii immediatamente la mia boccaccia, indietreggiando di un passo.
Dovevo imparare a tacere prima che fosse troppo tardi.
« Sarah » cominciò con il suo sguardo glaciale puntato su di me. « Bada a te ».
Non replicai, ma trasalii quando avvertii le mie gambe tremare, in procinto di cedere.
Un po’ per lo spavento, un po’ per la febbre, la debolezza degli arti mi spinse a cercare un appiglio, ma trovai solo le braccia di Jareth.
« Mi dispiace » sussurrai aggrappandomi alle sue spalle.
« Non dire mai più una cosa del genere » mormorò con tono improvvisamente dolce, scostando un ciuffo di capelli neri dalla mia fronte. « Non sopporterei mai di vederti soffrire ».
Non risposi, concentrandomi sul significato di quelle parole.
Stavo sognando? Molto probabile.
Il dubbio mi assaliva in tal modo che fui tentata di darmi un energico pizzicotto sul braccio, ma quando alzai gli occhi fino a incontrare le sue iridi ebbi la certezza di star vivendo nella realtà.
Jareth era sempre stato un tipo enigmatico e misterioso, ma non immaginavo nemmeno il motivo di un cambio di comportamento così repentino. Sì, aveva appena confessato di essere innamorato di me, in ogni caso la rapidità del suo cambiamento non aveva senso.
« Forse è meglio che ti stendi. Non riesco a capire se stai tremando per il freddo oppure per la mia vicinanza… » ghignò beffardo.
Strano a dirsi, ma a una parte di me quel comportamento insolente era mancato. Ovviamente all’altra scatenava ancora un impeto d’irritazione sopra ogni limite.
Scossi la testa, ricambiando l’espressione sorniona. « Non ci contare ».
Sogghignando, senza preavviso mi sollevò la terra a mo’ di sposa. Inutile dire che rischiai quasi una sincope a causa di quel gesto inaspettato. Inoltre ero certa di essere arrossita fino alla punta dei capelli, e in quel momento avrei tanto voluto sotterrarmi.
« Oh, no » mi lamentai mentre mi scarrozzava per il salotto. « Mettimi giù! ».
Mi avvinghiai istintivamente al suo collo, appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre lo maledivo in ogni lingua possibile. Lo sentii ridere sommessamente.
« Non ti fidi di me? »
« Dovrei? » scherzai.
« Non saprei ».
Con tutta la delicatezza di cui disponeva, mi adagiò sul divano, senza staccare lo sguardo dal mio.
In quel preciso istante, imprecai mentalmente contro il mio scarso autocontrollo; sentivo di bramare più di qualsiasi altra cosa al mondo le sue labbra morbide e accoglienti.
Volevo di nuovo quel dannatissimo bacio…
« Non immaginavo di farti questo effetto » sussurrò lui, stiracchiando le labbra in un sorriso sghembo.
« Non immaginavo potessi essere… gentile » lo schernii.
« Io sono quel che tu desideri che sia per te » concluse stendendo sopra di me una coperta.
Aggrottai le sopracciglia, confusa. Perché diamine doveva essere così incomprensibile in ogni maledettissima cosa che faceva?
In mezzo a quei pensieri che mi martellavano in testa, scivolai nel dormiveglia, godendomi quegli attimi di piacevole incoscienza.
All’improvviso mi sentii scuotere da qualcuno, e una voce familiare mi chiamava, intimandomi di svegliarmi. Avrei volentieri ucciso quel qualcuno.
« Sarah! Sarah, apri gli occhi! » sibilò al mio orecchio.
Quel qualcuno era ovviamente Jareth.
« Cosa succede? » biascicai infastidita dalla luce del lampadario.
In quel momento mi resi conto che il divano stava traballando pericolosamente, e con esso tutti i mobili del salotto. Compresi che si trattava di un forte terremoto quando vidi il quadro appeso sopra il camino schiantarsi contro il pavimento. « Oh mio Dio ».
Il mago mi sollevò dal divano, aiutandomi ad alzarmi. « Dobbiamo scappare ».
Mi prese per mano e mi strattonò fino alla porta, e insieme ci ritrovammo in giardino, fuori dal pericolo. Con enorme sorpresa notai che le case vicino alla mia erano tutte scomparse; attorno a noi vi era soltanto una grandissima distesa di erba.
« Jareth » sussurrai traballante. « Dove siamo? »
« Non lo so. Ho la strana sensazione che sia opera di Zephit » commentò sarcastico continuando a stringere con vigore il mi braccio.
Era teso come una corda di violino, e molto probabilmente si aspettava un altro attacco da parte del padre.
« Re di Goblin » una voce profonda e dolce come il miele richiamò il mago. Sembrava provenire dall’alto, ma si disperdeva in tutte le direzioni quel tanto che bastava per confonderci.
Jareth sembrò rilassarsi per un momento.
« È lui? » domandai con voce flebile.
« Aramis » sussurrò incredulo, ignorando la mia domanda.
Inarcai un sopracciglio. « Cosa? »
La voce si concretizzò in una figura alta e slanciata davanti a noi, i cui lineamenti si delinearono lentamente, immersi in una nebbiolina.
Fece un passo in avanti, rivelandosi interamente a noi, e allargò le braccia, sorridendo giocondo.
Aveva i capelli corti e scuri, che incorniciavano un bellissimo viso che vantava due iridi dorate.
Mi ricordava tantissimo Jareth.
Quest’ultimo distese i muscoli quando riconobbe l’uomo, e sorrise a sua volta.
« Ben trovato, amico mio » esordì quello piantandomi gli occhi addosso. « E in buona compagnia, oserei dire ».
Avvampai, facendomi più piccola dietro Jareth. Chi diavolo era? E dove eravamo finiti? A giudicare dal tono amichevole con cui Jareth e quel Fae si parlavano, non doveva essere un nemico.
« Mi hai fatto prendere uno spavento, idiota » scherzò il Re di Goblin.
Aramis si avvicinò a noi e diede una vigorosa pacca sulla spalla a Jareth. « Era necessario ».
« Per un momento ho pensato fosse mio padre ad attaccarci ».
«Mi dispiace avervi spaventato. Ma eravate in serio pericolo nell’Aboveground, e così non ho resistito a portarvi qui. Siete la mia unica speranza ». S’interruppe, lo sguardo mesto e segnato dal dolore. Poi riprese a parlare, facendoci un cenno con la mano. « Venite con me, vi ospiterò nel mio castello ».
Aramis s’incamminò davanti a noi, lasciandoci indietro di qualche metro.
« Chi è quello? » domandai a Jareth, che camminava al mio fianco.
« Aramis è il fratello di Elberth, e questo è il suo regno ».
Il fratello di Elberth… Ora riuscivo a spiegarmi il motivo del dolore che gli si leggeva in volto.
« Dove ci sta portando? Come mai ci ha portati qui? Come ha fatto a farti entrare nell’Underground? »
Quel fiume di domande fece sorridere lievemente il mago. « Stiamo andando nel suo castello, e mi dispiace, ma per le altre domande dovrai aspettare le sue delucidazioni; nemmeno io saprei risponderti ».
In quel momento un forte senso di nausea mi ricordò di avere la febbre e mi bloccai sul posto, cercando di respirare aria sana a pieni polmoni. Il dolore alla testa si era affievolito, ma il mio corpo era ancora percorso da brividi di freddo.
Jareth si voltò immediatamente, posandomi una mano sul braccio. « Ti porto io » decretò.
« N-no, ce la faccio. Non è niente di grave » protestai.
Prima che il Re potesse ribattere, Aramis si materializzò davanti a noi, sorridendo.
« Non vi preoccupate, siamo arrivati » assicurò.
A un suo cenno della mano la nebbia che circondava il posto si diradò immediatamente, rivelando un castello di medie dimensioni, le cui mura erano soffocate dall’edera rampicante.
Davanti a noi vi era un profondo fossato colmo d’acqua stagnante, che rafforzò la nausea che mi assaliva, obbligandomi a portare una mano alla bocca.
Aramis fece un passo verso il bordo e continuò a camminarvi sopra, come se ci fosse stato un ponte invisibile sotto i suoi piedi. Rimasi talmente scioccata da suscitare l’ilarità dei due Fae.
« Niente è come sembra nell’Underground » sussurrò Jareth al mio orecchio.
Come Aramis, fece per attraversare il ponte invisibile, ma si fermò non appena si accorse che non lo stavo seguendo. Se pensava che fossi così pazza da fidarmi di due Sidhe, si sbagliava di grosso.
« Andiamo, Sarah » mi esortò Jareth, esasperato. « Non c’è nessun pericolo, per una volta ».
Mi tese la mano, e attese fin quando non ebbi ponderato tutti i possibili modi per torturarlo in caso fosse uno stupido scherzo. Poi mi decisi a salire sul ponte, avvertendo sotto i miei piedi una superficie ruvida ma invisibile al mio occhio.
Mi aggrappai subito alla mano di Jareth, e quando finalmente i miei piedi toccarono di nuovo la superficie visibile, sospirai di sollievo, fulminandolo con lo sguardo.
Aramis ci condusse nel grande cortile del castello, in cui erano disseminati ovunque i segni della rovina del suo regno.
Io e Jareth ci accomodammo in delle panchine di pietra, mentre Aramis si appoggiò a una statua sciupata dal tempo.
« Dunque » cominciò; si prospettava una lunga conversazione. « Il mio regno è stato allontanato e separato dai tre dell’Alleanza, visto il reato commesso da mio fratello, quindi le notizie che riguardano il tuo Labirinto sono giunte a me solo recentemente. Da quanto ho capito, questa ragazza umana è la tua Melwa, giusto? »
Jareth annuì.
« Quindi, in sintesi, il regno di tuo padre è stato condannato dagli altri due a causa tua, e Zephit è deciso a uccidere questa ragazza − Sarah, se non ho capito male − per evitare che i regni Isen e Halifax scatenino contro di lui gli stessi eserciti di demoni che hanno devastato mio fratello. Se riuscisse a mettere le mani su di lei, il suo regno sarebbe libero, e così anche gli altri due. Correggimi se sbaglio ».
« Non ti sbagli » assicurò Jareth.
« Bene. Dunque, non appena mi sono giunte queste voci, ho cercato in tutti i modi di scovarti, di capire dove diamine eri finito, ma non riuscivo a trovarti. Soltanto quando Sarah ti ha chiesto di contattare i suoi amici a Goblin sono riuscito a vederti nell’Aboveground, riuscendo ad intercettarti prima di tuo padre, e ho deciso di portarti qui. Da quanto ne so, mi è sembrato di capire che Zephit ti ha bandito dal Sottosuolo, lasciandoti libero accesso soltanto una volta all’anno: durante l’Equinozio. Ebbene, grazie alla presenza di quest’umana con te, sono riuscito a trasportarti qui ». Fece una pausa per riprendere fiato e puntò lo sguardo sulle mura del castello alle nostre spalle, poi riprese a parlare, in tono malinconico e nostalgico. « Amico mio, guarda il mio regno! Guarda i segni di distruzione che quella maledetta Alleanza ha disseminato nel mio regno, nel regno di mio fratello! Da quando Elberth è stato ucciso, la mia terra ha cominciato a non fruttare più; il cielo si è fatto sempre più greve e da allora questa nebbia lo infesta; il castello sta cadendo a pezzi, e il mio popolo è stato decimato da malattie terribili. Voi due siete l’unica speranza che mi rimane. Se riuscirete a sconfiggere Zephit e a spezzare l’Alleanza, il mio regno tornerà florido e ricco come prima, ed Elberth e Rosalie saranno finalmente vendicati ».
Parlava con voce profonda e assorta, e il suo sguardo era perso in tempi passati, quando ancora tutto era stabile e sicuro.
Mi sentii decisamente in colpa. A causa mia i regni dell’Alleanza avevano ricominciato a cambiare fattezze, e Jareth aveva infranto un patto secolare, rischiando la morte quanto me.
Ancora non afferravo del tutto la ragione per cui eravamo ricercati, ma riuscivo a seguire il discorso di Aramis. Sbadigliai, e appoggiai la testa contro la spalla di Jareth.
Prima che venissimo trasportati nel Sottosuolo era mattina, e non potevo credere di essere già così stanca. Febbre o non febbre − non sapevo nemmeno quanti gradi avessi − non era una cosa normale.
Chiusi gli occhi, e scivolai di nuovo nel dormiveglia, mentre una parte del mio cervello ascoltava i due Fae discutere.
« Sta male? », domandò Aramis, preoccupato.
Avvertii un braccio di Jareth scivolare sotto le mie ginocchia, mentre con l’altro mi cingeva la vita per poi tirarmi su.
« Temo che abbia la febbre, ma è molto più debole del normale ».
Sentii una mano sconosciuta − sicuramente di Aramis − posarsi sulla mia fronte bollente.
Il Fae sospirò. « Io invece temo che sia opera di quei demoni ».
Avevo la testa appoggiata al petto di Jareth, e sentii il suo cuore accelerare i battiti improvvisamente, mentre il suo tono di voce passò dalla preoccupazione al nervosismo.
« Pensi che abbiano… »
« Ne sono certo. L’hai lasciata sola in questi giorni almeno una volta? »
« No, io… Accidenti », imprecò. « Ieri mattina è andata a scuola, l’ho lasciata sola per sei ore ».
« È probabile che qualche scagnozzo di Zephit l’abbia avvelenata senza che lei se ne sia accorta. Il veleno che ha usato è abbastanza potente da ucciderla lentamente ».
« No! No, non può essere », esclamò per poi abbassare il tono di voce. Evidentemente pensava stessi dormendo del tutto, e non voleva svegliarmi. « Deve esserci un antidoto, qualsiasi cosa… »
« Non preoccuparti, Jareth. In tutti questi anni il mio malumore ha ridotto alla miseria questo regno, ma per salvare i miei pochi abitanti dalle malattie ho appreso l’arte delle erbe mediche. Nonostante le mie terre non siano più rigogliose come un tempo, molte di queste erbe curative crescono ancora presso i miei giardini ».
« Aramis, Sarah è stata avvelenata » replicò il mago in tono allarmato. La sua voce tremolante mi spezzò il cuore. Avrei tanto voluto dirgli che stavo bene, che non c’era bisogno di preoccuparsi e che sarei guarita presto, ma sentivo il veleno fare effetto, intorpidendomi ancor più gli arti e impedendomi di aprire la bocca per parlare.
« Quando i demoni hanno attaccato il regno di mio fratello sono accorso in aiuto dei suoi abitanti, che come Sarah erano stati avvelenati, e grazie alle mie erbe sono riusciti a guarire in molti ».
Jareth sospirò di sollievo. « Il veleno è molto più efficace nel Sottosuolo, dobbiamo sbrigarci ».
« Portala dentro e cerca di tenerla sveglia. Ora è in una fase di transizione tra la coscienza e l’incoscienza; devi tenerle la mente occupata, perché se si addormenta sarà per sempre ».
Le sue parole mi spaventarono a morte. Nonostante il mio cervello sembrasse andare a rilento, peggiorando di secondo in secondo, quell’ultima frase giunse subito alla mia mente, infrangendosi contro il mio cuore. Dovevo resistere, eppure quella forza oscura che mi trascinava sempre più in basso pareva farsi sempre più forte e più invitante.
Quello stato di immobilità mi stava infiggendo un dolore psicologico immane, e avrei volentieri messo fine a quella sofferenza se solo non ci fosse stato Jareth al mio fianco.
Mi adagiò su una superficie morbida e lo sentii sedersi di fianco a me, mentre con una mano mi accarezzava i capelli.
« Sarah » sussurrò. « Mi senti? Devi resistere. Resisti al buio, non devi cedere. Presto sarà tutto finito, te lo prometto. Resisti, fallo per me ».
Se fossi stata perfettamente cosciente e con il mio corpo libero dal veleno, probabilmente sarei scoppiata a piangere come una ragazzina. La sua voce allarmata, le sue implorazioni a resistere per lui… Tutto questo mi feriva in maniera brutale, facendomi sentire immensamente in colpa per aver rifiutato il suo amore quattro anni prima e per avergli rivoltato contro il padre. Ma sopra ogni cosa, mi sarei voluta svegliare per lanciarmi fra le sue braccia.
Lo sentii intrecciare le sue dita con le mie. « Non cedere ».
Cominciò a intonare una canzone, e udivo la sua voce più vicina che mai al mio cuore. Cercai di concentrarmi sui versi per allontanare il buio che mi aveva quasi vinta.
 
Making my love
like a shining star
Like a shining star
Baby that's what you are
Like a shining star

                     Shining star, David Bowie


 
Il cigolio di una porta che si apre interruppe la canzone, seguito da dei respiri affannati.
« Le ho prese », esordì Aramis. « Aprile la bocca ».
Jareth obbedì subito, facendomi socchiudere delicatamente la bocca. Sentii dei passi avvicinarsi al mio capezzale, e una sostanza viscida entrò in contatto con la mia lingua e con il mio palato. Mi chiesi come diamine avrei fatto a deglutire, ma scoprii che fu un movimento spontaneo quasi immediato. Non tutto è come sembra nell'Underground...
« È un rimedio efficace, ma dovrà riposare per alcune ore dopo che le erbe avranno assorbito il veleno. Per fortuna siamo arrivati appena in tempo, stava per essere catturata dall’ombra ».
Jareth mi stringeva ancora la mano, e ne fui lieta: era il mio unico appiglio alla realtà.
« Sta soffrendo, lo sento » sospirò il Re di Goblin.
« Non preoccuparti, presto sarà tutto finito. Il veleno paralizza la vittima per poi trascinarla verso il buio della morte, ma nell’Aboveground agisce molto più lentamente rispetto all’Underground, è per questo che prima è collassata così all’improvviso », spiegò l’altro Fae stendendo un pezzo di stoffa bagnata sopra la mia fronte. « Ma starà meglio, vedrai ».
« Quando riuscirà ad aprire almeno gli occhi? »
« Fra alcuni minuti. Ho mischiato l’erba curativa con una pozione magica, quindi agirà piuttosto in fretta ».
Sentii il respiro di Jareth farsi più lento e controllato, e lasciò distendere i muscoli, più tranquillo.
« Jareth », proseguì Aramis. « Devi aspettare che guarisca del tutto ».
« Certo, lo so. Non la lascerei mai affrontare mio padre in queste condizioni », promise il mago.
« Hai un piano? »
Sentii Jareth sbuffare. « No… Ma se è stata in grado di sconfiggere me, potrebbe vincere anche contro mio padre. Sinceramente non ho mai avuto un piano; se non fosse stato per te, non avrei nemmeno saputo come tornare nel Sottosuolo durante l’Equinozio » confessò.
« Sarò felice di aiutarvi fin dove posso, amico mio. E se c’è una cosa che so per certo, è che dovrete affrontare Zephit insieme. Siete legati, Jareth, e lo sai. Lei è la tua Melwa, e se dovesse perire la seguirai nella morte. Ma questo non succederà se sarete insieme. Tieni gli occhi aperti, Jareth; tuo padre sa queste cose meglio di me, e cercherà a tutti i costi di dividervi. È l’unico modo che ha per vincere ».
Intanto, dentro di me sembrava ci fossero due forze in contrasto che lottavano per avermi: una era il buio che continuava a gridare imperterrita il mio nome, mentre l’altra era una luce calda e accogliente. Pareva stessero giocando al tiro alla fune. Ovviamente la fune ero io.
Ad un tratto la luce si fece più vicina, avvolgendomi. Nel medesimo istante uno strano formicolio percorse le mie dita, che finalmente riuscii a muovere.
Esultai mentalmente, mentre la speranza mi pervadeva e l’ombra si faceva sempre più piccola.
Resisti, resisti, resisti. Ce la puoi fare, Sarah. Combatti!, continuavo a ripetermi, combattendo fino allo stremo delle forze.
Ce la stavo facendo. Le erbe mediche stavano funzionando.
Riuscii persino a stringere la mano di Jareth dopo qualche secondo, e avvertii la sorpresa mita a sollievo nel suo tono di voce. « Mi ha stretto la mano » sussurrò incredulo. « Le erbe stanno assorbendo il veleno! »
« È una ragazza forte. Non ho mai visto nessuno reagire così. Solitamente la maggior parte si arrendeva alla morte, ma lei… È come se qualcosa la stesse trattenendo qui ».
Certo, avrei risposto, è Jareth la mia ancora alla vita.
« Queste erbe sono molto efficaci ».
« Certo, ma raramente le persone riescono a resistere al buio prima che vengano curate ».
Jareth rise sommessamente; una risata colma di gioia e orgoglio.
« Avanti Sarah, apri gli occhi » m’incitò speranzoso.
La stessa speranza animò il mio spirito e in un ultimo spossante tentativo di allontanare definitivamente le tenebre, riuscii a vincere la morte e aprii debolmente gli occhi.
La prima sensazione era ovviamente la confusione; sembrava che il soffitto vorticasse sopra la mia testa. Poi avvertii una stanchezza immane piombarmi sulle spalle, e solo in quel momento mi resi conto di star respirando affannosamente, i polmoni avidi di ossigeno.
« Sarah » sussurrò Jareth. « Sono qui ».
Riuscii persino a spostare il capo in direzione del suo viso, che mi aspettava sorridente, più bello che mai. Sbattei debolmente le palpebre, mentre i miei occhi s’inumidirono.
Provai a parlare, ma dalla mia bocca uscii solo un rantolo confuso.
Jareth mi posò un dito sulle labbra. « Non ti sforzare, mia preziosa ».
Stiracchiai le labbra in un lieve sorriso.
« Sarah, ora sei libera dal veleno. Riposati, e vedrai che quando riaprirai gli occhi riuscirai a muoverti del tutto » s’intromise Aramis. « Jareth, puoi seguirmi un momento? »
Lessi l’esitazione nei suoi occhi spaiati. Dopo che ebbe lanciato uno sguardo incerto nella mia direzione, si decise a obbedire, seppur di malavoglia.
Uscirono entrambi dalla stanza e io mi decisi a chiudere gli occhi, scivolando subito in un sonno tranquillo. 
   
 
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