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Autore: Altariah    06/09/2013    2 recensioni
Kolyat riuscì solo a vedere le labbra di questo muoversi, ma il suono fu sostituito dall’insopportabile gracchio del campanello, che lo trascinò fuori da quella falsa realtà che lo aveva sollevato per un momento da tutti i suoi problemi.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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VI – The first day of my life

 

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This is the first day of my life
I swear I was born right in the doorway
I went out in the rain
suddenly everything changed

 
Kolyat uscì dall’hangar con un nodo alla gola. Stavolta teneva le spalle e la testa perfettamente ritte, cercando di dissimulare il suo turbamento. Non avrebbe potuto continuare così, e ogni minuto di più la consapevolezza cresceva.
Quel giorno però decise di evitare le navette pubbliche per tornare a casa, preferì di gran lunga camminare fino al suo quartiere degli agglomerati; non sarebbe riuscito a sopportare un viaggio che l’avrebbe costretto a stare immobile e subire le emozioni e i ricordi.
Avrebbe perso parecchio tempo andando a piedi, ma gli avrebbe permesso di tenere la mente occupata, nello scoprire piccole cose che dalle vetture non si possono notare e osservare da nuove angolazioni.
La sera stava lentamente arrivando, le luci artificiali si affievolivano dolcemente, lasciando il posto alle prime insegne luminose dei bar e dei ristoranti.
In quel momento sul suo factotum arrivò un messaggio, e lui lo aprì, fermandosi senza curarsi di ingombrare sul marciapiede. Lesse il testo velocemente, sentendosi in qualche modo sollevato.
“Kolyat, stasera faccio un salto nel tuo quartiere, devo parlarti di una cosa. Se non ti va la compagnia non importa, faccio giusto un salto e scappo se non ti va di vedermi.”
Era logico, per lei sarebbe stato l’unico modo di incontrarlo. Autoinvitarsi, lo aveva imparato, sarebbe stato l’unico modo di avvicinarlo, seppure bruscamente.
Kolyat sorrise. Oriana lo sarebbe andato a trovare, e lui ne fu felice. Per questo, con tutta la sua buona volontà si decise a risponderle. Fece un rapido calcolo del tempo che avrebbero impiegato entrambi ad arrivare a casa sua, e se lei fosse partita in breve, si sarebbero incontrati senza che nessuno dei due dovesse aspettare. Così riprese a camminare a passo svelto, sperando magari di incontrarla nell’ultimo pezzo di strada.
Yours is the first face that I saw
I think I was blind before I met you
I don’t know where I am
I don’t know where I’ve been
but I know where I want to go
 
Oriana balzò in piedi sentendo il campanello, strofinandosi un occhio con una mano. Guardò brevemente il factotum, rendendosi conto che se avrebbe davvero voluto andare da Kolyat quella sera, avrebbe dovuto scusarsi in cento lingue diverse. Notò con dispiacere che le aveva risposto addirittura, lui che sembrava odiare quel tipo di comunicazione anche più di quanto odiasse parlare ed esporsi.
“No…” Sospirò, con desolazione. “Non è possibile…”
Kolyat le era sembrato così stranamente gentile, quasi come se quando le aveva scritto fosse stato felice. Come se quella sera sarebbe stato felice di vederla. Ma forse si stava solo facendo illusioni e la sua coscienza tentava di rendere ancora più fastidioso il fatto di essersi addormentata, nel tentativo di far crescere ancora di più il suo senso di colpa, che cresceva in continuazione.
Si era addormenta in un attimo, cullata da una felpa oversize sul divano, accanto ai gatti e nemmeno il messaggio di lui l’aveva fatta svegliare. Ora era passata più di un’ora e lui doveva aver per forza capito che si era rimangiata tutto, o forse avrebbe pensato ad un contrattempo.
“Arrivo subito!” Gridò, per farsi sentire all’esterno, e si mise qualche secondo davanti allo specchio appeso al muro aggiustandosi i capelli e tentando con la punta delle dita ad eliminare velocemente un po’ di matita colata dagli occhi.
 
So I thought I’d let you know
that these things take forever
I especially am slow
but I realized that I need you
and I wondered if I could come home
 
Oriana aprì la porta, restando immobile nel vedere i lineamenti di Kolyat che apparivano di fronte a lei. Prima che lei avesse la possibilità di parlare, di cercare una scusa o di spiegarsi, lui l'aveva salutata con un cenno del capo, lasciandole quello che doveva essere un sorriso. Alla ragazza parve che lui avesse avuto l'intenzione di avvicinarla, come per cercare qualcosa, un sostegno. Ma quell'iniziativa non arrivò mai, e lei restò nella stessa posizione, con una mano sul pannello della porta e con l'altra che mollemente si disegnava lungo il suo fianco.
"Hey" Sussurrò lui, piano, sapendo di non riuscire a sostenere ancora lo sguardo di Oriana e facendo scivolare gli occhi alle sue spalle, dentro l'appartamento.
C'era qualcosa di estremamente strano in tutto ciò, ma per quanto una voce le intimasse esasperatamente di non farsi illusioni, lei ora riusciva a vedere solo tanta gioia e forse, finalmente, una destinazione.  Perchè lei lo aveva preso come uno dei suoi obiettivi? Non era certa della risposta che aveva provato da sola a darsi, ma le bastava e tentava di non indagare oltre.
"Kolyat..." Sospirò lei, sorridendo di rimando, chiedendosi se avesse pronunciato qualcosa che aveva un suono vagamente interrogativo. "Io... mi devo essere addormentata, e mi hai svegliata ora con il campanello... Scusami, scusami davvero!"
Guardò il drell annuire, osservandola stringersi le mani. Lei si lasciò andare ad una risata nervosa, facendosi finalmente da parte e invitandolo silenziosamente ad entrare.
Lui accettò, e lei capì proprio in quell'istante che lui, lì, non ci era mai andato prima. “Speravo fossi qui, ti ho aspettato un po’ ma non arrivavi.” Poteva esserti successo qualcosa, frase che evitò totalmente, e cercò di nasconderla tra le righe in modo forse troppo fitto. Il drell si guardò attorno, portandosi una mano al collo. Poi si voltò verso di lei con un espressione neutra, e guardandola inspirò forte. "Qui c'è il tuo odore moltiplicato per dieci."
Lei restò immobile, come congelata. Avrebbe dovuto ridere? Fargli delle domande? Chiedergli se avesse preso una botta sulla testa?
Si limitò quindi a portarsi una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio, accennando un sorriso e abbassando la testa. "Sì... solitamente tutte le case hanno un loro odore..."
"Non lo sapevo..."
"Siediti..." Balbettò lei, presa alla sprovvista di nuovo, "siediti pure se vuoi. Io vado a prendere qualcosa da bere, porto tutto quello che trovo così puoi scegliere quello che ti piace e possiamo... parlare, no?"
Oriana sparì dietro la parete, e senza smettere di farsi domande raccolse tutto ciò che le capitava a tiro. Aveva talmente tante bottiglie in giro per la casa di cui non aveva nemmeno mai letto l'etichetta che se ne stupì lei stessa.
Lei uscì dalla cucina tenendo tra le braccia tantissimi tipi di bevande, aspettandosi che Kolyat l'avrebbe guardata e probabilmente presa in giro. Sei la solita esagerata, immaginava già quelle parole, invece trovò il drell seduto sul bordo del divano, che teneva tra le mani proprio la gattina, quella che sarebbe stata sua, la quale lo fissava stranita.
Lei restò in piedi, osservando la scena per una manciata di secondi nei quali Kolyat e la cucciola si osservavano, curiosi l'una dell'altro in egual modo.
Oriana sorrise, un sorriso che le venne dal cuore, subito dopo aver visto lui voltare la testa e domandarle: "ma questo che diavolo è?"
Dopo, del gatto ne avrebbero parlato dopo... Ora la ragazza aveva solamente tanta curiosità da soddisfare.
Lentamente, ingombrata dalle numerose bottiglie, avanzò verso di lui e verso il tavolino, lasciandosi aiutare.
"Non... pensavo ti piacesse tanto bere" Osservò lui, lasciando il gatto sul pavimento e girando le bottiglie dal lato dell'etichetta. Era incredibile, provenivano da molte colonie ma anche diverse erano terrestri.
"No, no!" Sorrise lei, negando anche con il capo "È Miranda che mi manda questa roba, io ne farei anche a meno!" Afferrò il Vermouth, uno dei pochi contenitori che era già aperto, passando le dita sull'etichetta. "A lei piace tantissimo questo..."
Lo riappoggiò sul tavolo, girandosi a guardare Kolyat. "Sembra incredibile che mia sorella e tuo padre lavorassero insieme, vero?"
Sì, era un'incatenarsi di situazioni casuali, un disegno enorme che li vedeva ad incastrarsi ripetutamente che seguiva una logica sconosciuta. In qualche modo, Shepard aveva lasciato un'impronta, era stato un personaggio che creava continuamente reazioni a catena tra tutti coloro che avessero avuto occasione d'incontrarlo.
Mentre lei versava qualcosa da bere e l’imbarazzo mano a mano svaniva, le arrivò un messaggio sul factotum, ma lei decise di ignorarlo.
“Non guardi chi è?” Domandò Kolyat, indicando il suo braccio con il mento. “Potrebbe essere importante”
Lei osservò di sfuggita il factotum, senza soffermarsi troppo e segnò tutto come già letto. “Non mi va, ora… dev’essere Miranda che mi scrive…”
“Pensavo che i suoi messaggi ti facessero piacere”
“Infatti, è proprio così. Ma mi manca, e se leggessi ciò che ha da dirmi mi sentirei subito malinconica, e non è la serata giusta.” Oriana sentì una strana sensazione, qualcosa che le ricordava un po’ il senso di colpa. Non era verso Miranda, nemmeno lontanamente.
Lui capì che quell’argomento si stava chiudendo, e non fece nulla per impedirlo. Non gli avrebbe dato fastidio se avesse dedicato un po’ di tempo a sua sorella, era legittimo, ma lei non volle.
“Perché sei qui, Kolyat?” Oriana era finalmente riuscita a chiederglielo, senza giri di parole, semplicemente rischiando. Era curiosa, curiosa in modo esagerato, ma anche tanto felice.
Kolyat la guardò negli occhi, e lei vide chiaramente svanire la convinzione che aveva di dirle qualcosa. Di qualunque cosa si trattasse non doveva essere nulla di semplice, ma lo riuscì a capire solo allora. Prima le sembrava semplicemente andato a trovarla senza un motivo particolare, forse si è soltanto sentito solo, si diceva, o forse vuole davvero scusarsi. Invece in quel momento le parve di vedere tutto ribaltato, ogni cosa era stata catapultata in un contesto differente. Le sembrò che le  luci si facevano più cupe e l’ambiente cominciava ad apparire più intricato di quanto non fosse prima. Ed erano stati semplicemente gli occhi di lui a comunicarglielo, che prima si erano spalancati, insieme alla bocca, cercando le parole per iniziare, e subito dopo erano andati di lato, le labbra che si chiudevano velocemente, e tutto se stesso stava fuggendo da lei e dal suo sguardo.
“Io…” Kolyat si bagnò le labbra con la lingua, cercando sempre più disperatamente le parole che gli erano sfuggite senza lasciare nemmeno un residuo.
“Hey, tutto bene?” Lei lo avvicinò sul divano, allungando una mano per poggiargliela sulla spalla ma non ebbe il coraggio di terminare quel gesto, troppa era la paura di un rifiuto. Kolyat era l’unica persona con cui lei doveva controllarsi su ogni cosa che diceva o faceva, soltanto un passo falso e lui avrebbe potuto chiudersi di nuovo su se stesso, rientrare nel suo mondo fatto di ricordi e dolore, lasciando tutto ciò che sarebbe stato in grado di salvarlo al di fuori.
“Oggi mi hanno messo tra gli Enforcement” cominciò in un sussurro, evitando di guardarla. Ma dal suo silenzio successivo, Oriana aveva già capito che per lui il discorso era iniziato e terminato lì.
I pensieri di lei presero voce senza che avesse il tempo di riflettere, e si ritrovò a dire, come una constatazione segreta a se stessa: “è… pericoloso.”  Enforcement significava ronde, sedare crimini, perlustrazioni. E lei ebbe paura, una semplice emozione che non scava nel concetto reale del termine. È soltanto un parere dato al momento, un sentimento nato senza riflettere.
Le uscì come un lamento, a voce bassa e stavolta, per la seconda volta da quando si erano conosciuti, fu lui a cercarla. La sua mano si era mossa, come spinta da una forza invisibile ma profondamente giusta, e aveva cercato quella di lei.
Le spalle della ragazza s’irrigidirono, accettando il contatto, senza respingerlo ma lasciando immobile la mano. Si voltò verso di lui e anche se lui si era sottratto quasi subito ai suoi occhi lei se ne pentì: il suo volto era un enigma, increspato da emozioni che lei non riuscì a comprendere.
“Non è quello, Oriana.” Mormorò lui a denti stretti. “Non m’importa di dove mi mettano, non m’importa nulla.”
“E allora cosa?”
In quel momento, lui concepì l’affermazione di Oriana in un modo diverso, e s’innervosì improvvisamente. “Pensi che abbia paura? Ecco cosa pensi di me, che abbia paura” nel dirlo continuò ad evitare il contatto visivo che lei, invece, stava cercando di raggiungere a tutti i costi. Lui cercò di liberare la mano, ma lei, spinta dalla determinazione che l’aveva sempre caratterizzata, gli evitò di interrompere quel gesto. Strinse la mano nella sua, e nel farlo sentì sotto il palmo tutte le sue squame che le solleticavano la pelle, i muscoli tesi.
Lui finalmente la incontrò, la osservò con indignazione. E dopo quell’istante infinito in cui si fissarono, lui provò di nuovo a divincolarsi, ma con più foga. Tirò la propria mano verso di sé, ma lei resistette e finì per sbilanciarsi in avanti, verso di lui. “Oriana, lasciami!” Disse duramente, guardandola a testa china.
Kolyat osservò la ragazza portare anche l’altra mano a stringere la sua. La guardò alzare lo sguardo, e avvicinarla al petto, per poi pregarlo di parlarle.
“Ti prego…” Disse lei in un soffio, sentendo le forze svanire ma appoggiandosi ancora con fiducia alla speranza che l’aveva sempre spinta a tentare con lui. “…scusami… smettila di cacciarmi, come l’altra sera, come tante altre volte. Scusami…”
Lui rilassò i muscoli appena scorse una piccola lacrima che si era vestita di pura luce, sulla rima di uno dei suoi occhi azzurri; bagliore che lei fece in fretta a nascondere. “Scusa, scusa, scusa!” ripeté, alzando la voce e portando la mano di Kolyat accanto al suo viso. C’erano le scuse di chi sa di aver superato i confini anche se spinta dall’innocenza, c’era la rabbia, la stanchezza.
Se Miranda combatteva su un campo, contro dei nemici corazzati, impugnando un’arma con una forza fuori dal comune, Oriana poteva definirsi altrettanto temeraria. Quell’individuo a cui si era ormai affezionata così tanto era capace di sfinirla sul piano psicologico, di lasciarla delle serate intere a piangere dopo un rifiuto, un insulto velato. E tutto perché lei non riusciva mai a capire dove interrompersi, talmente sottile e variabile era la linea che delimitava lo spazio di Kolyat.
Il drell sentì il contatto della guancia contro il dorso della sua mano e sentì scivolare via tutto il resto. Si rese conto che quella ragazza si stava scusando, ma di cosa? Si stava scusando di un errore che lui aveva commesso. Faceva sue le colpe che invece erano di qualcun altro, ma perché?
“Oriana…” Sospirò, arrendendosi, percependo il suo tocco sulla mano farsi più gentile e dolce. Scusami tu. “È stata una brutta giornata.” Implicava troppo la scusa che lei invece utilizzava così tanto.
“Cosa ti è successo?” Ricominciò, osservandolo e aprendo la mano quanto bastava per fargli capire che se avesse voluto ritrarla, lei lo avrebbe lasciato. La ragazza trasse un sospiro di sollievo e si lasciò andare contro lo schienale del divano, portando la mano libera tra i capelli e socchiudendo gli occhi, in attesa che lui scegliesse le parole.
Lentamente sentì la sua mano vuotarsi, e insieme a lei sentì anche il cuore che faceva lo stesso, così voltò la testa dall’altro lato, sentendo di nuovo tutto lo sconforto della perdita.

I’m glad I didn’t die before I met you
but now I don’t care
I could go anywhere with you
and I’d probably be happy.
So if you wanna be with me
with these things there’s no telling
we’ll just have to wait and see

E fu proprio in quel momento che capitò, di nuovo. Si ripresentò di fronte a loro quell’attimo in cui erano già stati, un istante già vissuto. Qualcosa di lontano dal tempo, ma che avevano già percorso insieme, allora meno consapevoli ognuno dei propri demoni.
Terzo contatto, ora lei era semplicemente abbandonata, costretta a sentire l’uniforme del C-Sec contro la sua felpa grigia. Si era spinto verso di lei, le ginocchia appoggiate contro la seduta del divano.
“Oggi sono caduto in un ricordo davanti ai miei superiori.”
Oriana respirò il profumo di Kolyat, guardando un punto indefinito oltre la sua spalla. Si decise ad alzare le mani e portargliele dietro la schiena, ricambiando l’abbraccio e ascoltando una voce che per la prima volta sapeva solamente di vergogna e smarrimento.
“Ho ricordato te.”

 
 




 
  
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