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Autore: hiromi_chan    07/09/2013    9 recensioni
Un drago decaduto propone una sfida a Merlin e Morgana: il primo dei due che riuscirà a portargli il cuore umano di un Principe dei Draghi si vedrà esaudito un desiderio come ricompensa. In occasione del duello si aprono nuovamente le porte che collegano il regno della magia con la Terra. Merlin si lancia nella sfida per poter mettere piede nel mondo delle misteriose creature umane e dare una svolta alla sua vita, mentre Morgana ha in serbo dei piani più oscuri.
L'ignaro Arthur, erede al trono inglese, viene coinvolto nella gara come bersaglio diretto. Ma come possono gli stregoni, che per natura non conoscono l'amore, riuscire a catturare un cuore umano che palpita e prova emozioni? E se poi Morgana decide di fare le cose in modo letterale e di riportare a casa quel cuore su un piatto d'argento, cosa farà Merlin?
Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.
[Merthur]
ATTUALMENTE IN REVISIONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo tre: L'ombra da afferrare

 

 

 

Si poteva riuscire ad assaporare il senso di aspettativa che vagava nell'aria, quel pomeriggio caliginoso. Era come se un po' dell'atmosfera che Merlin aveva respirato nella valletta della Caverna dei Mille Giorni si fosse trasferita lì.

C'era già stato a visitare il Lago Avalon, ma mai il posto gli era sembrato così... estatico. Era un qualcosa di simile al trovarsi all'interno di una campana di vetro: non si sentiva alcun suono se non un gorgoglio misterioso che veniva dalle profondità delle acque.

Merlin sapeva che le bolle d'aria che ogni tanto si infrangevano sulla superficie del lago erano semplicemente respiri (la Signora del Lago aveva la sua dimora nel profondo di esso e pure lei, magia o no, doveva sentire il bisogno di respirare, di tanto in tanto).

Però, adesso che era venuto a conoscenza dell'apertura dei portali per il Mondo Riflesso, Merlin non poteva fare a meno di chiedersi se in mezzo a quei respiri non ce ne fosse anche qualcuno di essere umano. Qualche soffio arrivato direttamente dalla terra delle creature opposte, passando attraverso il portale del Lago Avalon.

Magari era proprio da qui che era penetrato il sospiro spezzato del Principe dei Draghi umano. Ed era da lì che Merlin sarebbe arrivato nel Mondo Riflesso. Non era sicuro che Morgana avrebbe usato lo stesso passaggio: forse non era ancora partita, oppure aveva trovato un'altra via, o più probabilmente l'aveva preceduto e in quel momento se ne stava già sguazzando in un universo pieno di... umanità e... e cose umane.

Oppure avrebbero seguito strade diverse: dopotutto, Morgana sarebbe potuta partire dalle Terre Desolate, e Merlin aveva scelto il lago perché gli era stato suggerito come il portale più vicino a lui dal suo Diamante.

Il ragazzo si rigirò tra le dita quella pietra tagliata dalla Caverna dei Mille Giorni, mentre un raggio di sole si fece insolentemente largo tra una nuvola per andare a colpire l'acqua, facendola brillare tutta.

Era stato Kilgharrah a dire ai due stregoni di portare via dalla grotta un Diamante ciascuno tra quelli che spuntavano dalle pareti. “Li chiamano Diamanti del Giorno” aveva detto il drago con solennità. “Sono oggetti intrisi di magia. Ve li offro come segno della mia buona fede. Vi saranno utili nel corso del vostro duello.”

Morgana era subito andata verso il grappolo di pietre più vicino per estrarne una con un incantesimo. Muovendosi con cautela, però, evitando mosse che avrebbero potuto far alterare Kilgharrah. Il suo sguardo indagatore comunque era rimasto puntato su Merlin quando lui si era rivolto al drago per chiedere a cosa servissero di preciso i Diamanti.

“Il Diamante del Giorno reagisce in modo diverso a seconda di chi se ne prende cura: assorbe l'essenza della magia che gli sta intorno, quindi potrà fornire abilità diverse rispondendo agli scopi e al carattere di chi lo tiene con sé” aveva spiegato Kilgharrah.

Poi, come era successo in precedenza, i suoi occhi spiazzanti avevano trafitto quelli di Merlin, giallo nell'azzurro, e per un momento il ragazzo era diventato un libro aperto tra le cui pagine il drago sapeva muoversi abilmente.

“Vedo che tu, giovane stregone, sei in cerca della tua strada” aveva continuato Kilgharrah, e con questa affermazione Merlin aveva avuto nuovamente la conferma che sapesse guardargli dentro. “Ebbene, quando ne avrai più bisogno, quando avrai smarrito il sentiero, il diamante ti mostrerà la via.”

In tale modo era accaduto. Nel momento in cui Merlin, lasciandosi alle spalle la sua casa, e sua madre e Will sull'uscio di quella, aveva esitato per un breve attimo senza saper bene cosa fare, le parole di Kilgharrah gli erano tornate alla mente. Allora aveva interrogato il Diamante, bisbigliando: “Dove trovo il Principe dei Draghi umano? Qual è il passaggio per il Mondo Riflesso più vicino a me?”

Osservando per la prima volta con attenzione tra le ramature dell'oggetto prezioso, aveva scorto un'immagine: quella dello splendente Lago Avalon, uno spettro che baluginava incerto direttamente dal cuore della pietra.

Per questo ora Merlin se ne stava lì, sulle sponde di quel lago, consapevole di non essere semplicemente sulla terraferma a un passo dalle acque: in realtà in quel momento si trovava in bilico tra la sua terra e la terra degli umani. Tra i vent'anni di una vita trascorsa in sordina, secondo dopo secondo fino a quell'esatto momento.

A un passo da un universo pieno zeppo di esistenze così rumorose che anche l'eco di una miserrima tra quelle aveva trovato la forza per raggiungerlo e richiamarlo a sé.

Il problema che aveva impedito a Merlin di tuffarsi nel lago nell'istante esatto in cui ci era arrivato davanti non era il fatto che lui non sapesse nuotare. E non era nemmeno il fatto che non sapesse se avrebbe poi visto il castello reale in fondo al cratere. O se avrebbe davvero potuto andarsi a incagliare su quella famosa spada che si diceva se ne stesse depositata lì a punta all'insù...

Insomma, non era il fatto che non sapesse cosa avrebbe potuto trovare che lo bloccava. Merlin non aveva paura, no. Forse non ne aveva mai avuta davvero – era anzi probabile che non avesse mai avuto, del resto, la più pallida idea di cosa significasse aver paura.

È che era così immensamente coinvolto in tutto quello. Così coinvolto che riusciva a mala pena a pensare cosa fare, a ricordarsi di respirare, a realizzare che, eccolo qua il punto di svolta, proprio qua. Qualunque cosa fosse successa, un presentimento abbagliante e fortissimo gli stava dicendo che la sua situazione sarebbe cambiata per sempre. Che lui non sarebbe mai più stato lo stesso, dopo. E che lo voleva. Talmente tanto da rimanere immobilizzato dalla portata della realizzazione.

Forse sarebbe rimasto così, spiazzato, ancora per un po', se all'improvviso la superficie del lago non si fosse increspata in una serie di cerchi concentrici. Uno di quelli diede alla luce una singola, fragile bolla d'aria, che si staccò lentissimamente dall'acqua, un neonato che viene al mondo e si separa con reticenza dalla madre. Galleggiò incerta per pochi centimetri e Merlin ne seguì il percorso. Senza fiato e del tutto ipnotizzato, sentiva quasi che fosse diretta a lui.

Così, irrazionalmente, tese la mano in avanti, il palmo aperto per tentare di proteggere quel soffio vitale da tutto il resto. La bollicina gli si avvicinò ma, come toccò la pelle di Merlin, si infranse penosamente nell'aria.

Fu tutto un esplodere di frammenti luminosi simili a filamenti di una stella caduta in procinto di morire. Una voce già familiare, liberata dalla sua cella per mezzo della piccola esplosione, risuonò come in un sogno:

Nessuno vorrebbe avere per davvero un cuore masticato come il mio.

“Io lo vorrei” si ritrovò a bisbigliare Merlin.

La realtà si fece più chiara, un paio di raggi solari scansarono altri nuvoloni opprimenti e le sopracciglia di Merlin si piegarono con determinazione e una punta appena di frenesia. “Lo voglio io il tuo cuore, e adesso me lo vengo a prendere, sta' a vedere!”

Una falcata verso il lago, un mezzo passo bastò per fargli bagnare le caviglie, un altro passo ancora e l'acqua gli arrivò a metà gamba, ancora un passo in più e...

Merlin sprofondava. Stava cadendo sempre più giù, come se un peso immenso sulle sue spalle lo trascinasse verso il basso a una velocità impressionante.

Affondava, acqua tra i capelli, nei vestiti e nel naso, bollicine tutte intorno, e le labbra di Merlin si piegavano sempre più all'insù.

Affondava, mentre la caldera vulcanica che aveva dato origine al lago si era tramutata in un tunnel, sommerso e oscuro.

Affondava, lo spazio intorno a lui si tramutava, si restringeva a poco a poco fino a che Merlin non si ritrovò inghiottito in un budello dalle pareti lucide come specchi.

Stava scivolando su quella superficie freddissimamente liscia, le mani in alto e le gambe tese, e se avesse potuto sarebbe esploso in una risata, o forse lo stava già facendo. Nelle orecchie gli scoppiavano tante bollicine d'aria, voci di creature riflesse che, oh, ormai non erano poi così lontane. Magari stava anche nuotando in mezzo ai sospiri del suo principe, ma adesso il suo respiro era diventato uno fra tanti altri estranei, che erano umani e dicevano cose da umani.

Si lamentavano del tempo o di qualcosa che non andava bene, ridevano a crepapelle fino a perdere il fiato, sputavano ingiurie come se non ci fosse un domani, “ti odio” con rabbia velenosa, “ti amo” con un ardore che, che, che Merlin non lo sapeva.

Ma ce li aveva nelle orecchie, ce li aveva dentro, e sarebbe bastato talmente poco per poterli raggiungere. Sarebbe bastato tendere la mano, così, per poterli afferrare. Allungarla verso quell'ombra lassù, proprio lì, proprio quella.

“Segui l'ombra” gli diceva una voce nella testa. “Sarà il riflesso della tua luce”.

E Merlin l'afferrò. E tirò. E riemerse.

Urtando con forza qualcosa, o forse qualcuno, o forse il... posteriore di qualcuno. Glielo fece pensare la figura che aveva davanti a lui: quella di uno con la schiena curiosamente piegata e le braccia che nuotavano nell'aria in cerca di equilibrio. Uno che adesso stava incespicando in avanti di parecchi passi, per poi fermarsi in un momento allibito.

Merlin, le orecchie tappate, la vista ancora un po' appannata, analizzò veloce la situazione meglio che poté: il paesaggio era diversissimo. Non c'era più il lago, non c'era la natura aperta, ma c'erano tanti suoni ammassati e stritolati tra loro, l'aria era affollata di tanti odori strani e la vista bloccata da tante forme per lui inusuali. Soprattutto, non si poteva percepire alcuna vibrazione magica in giro. Doveva appena essere approdato nel Mondo Riflesso usando come ancora l'ombra di una persona del posto.

Sì, sicuramente aveva scaricato tutto il suo peso sul didietro dello sfortunato sconosciuto e (qua, nonostante lo stordimento, fu difficile non ridere), coi palmi delle mani che prima aveva teso alla ricerca di un appiglio, Merlin doveva avergli colpito la nuca.

Doveva proprio essere andata così, dato che la prima cosa che riuscì a mettere per bene a fuoco fu un cappello per terra, di certo caduto dalla testa del proprietario a causa di una manata di Merlin. Tutto questo lo stregone lo realizzò in una frazione di secondo. “Oh” fu l'unico commento che gli uscì, la testa che un po' gli girava per colpa delle novità improvvise e della loro assurdità.

Intanto la persona che aveva travolto si era girata, molto, molto lentamente. Aveva i capelli chiari tutti arruffati, un paio di enormi occhiali arancioni storti sul naso che Merlin giudicò subito orribili, e la bocca spalancata in un ovale sconcertato.

Ah, era anche probabile che prima della collisione avesse avuto un bicchiere ripieno di una qualche bevanda, a giudicare dalle dita ancora strette attorno a un oggetto invisibile e alla... macchia marrone sulla maglia.

“Ooh” disse Merlin, mettendo le mani avanti, “mi dispiace, scusami tanto!”

Ma la scena era piuttosto comica dal suo punto di vista, quindi la voce gli scappò più divertita che rammaricata.

Allora le labbra del ragazzo (era solo un ragazzo come lui, a una prima occhiata veloce) si chiusero con uno scatto sonoro, piegandosi in una linea stizzita. Respirò forte gonfiando il petto, si raddrizzò, e la mano, notò Merlin, si chiuse a pugno con una violenza tale che, se avesse ancora avuto il contenitore con la bibita, di quello ne sarebbe rimasto ben poco. “Questo. È. Troppo” articolò, ogni parola uscita fuori stropicciata e martoriata.

Merlin si armò del sorriso più rammaricato e incoraggiante che avesse nel suo repertorio. Prima che potesse dire qualunque altra cosa, però, l'altro avanzò verso di lui, sovrastandolo con la sua voce.

“Adesso basta, adesso... adesso, ah!” rise seccamente, una singola risata che sembrò più un colpo di tosse. “Mi sono proprio stufato, questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso, Leon... LEON!” urlò in tono piuttosto isterico e polemico.

Merlin si guardò intorno nella direzione in cui aveva sbraitato il ragazzo. Quella si rivelò una mossa sbagliata poiché nel movimento sentì il proprio cervello esibirsi in un salto mortale carpiato, e tutto prese a girare.

Le forme estranee che aveva intorno, i due o tre alberi sparuti, gli edifici enormi, davvero enormi, le facce di passanti curiosi, il tizio urlante che gli stava davanti – tutto girò come in una giostra impazzita.

Merlin si portò le dita tra i capelli. Era talmente impegnato a fare i conti con le conseguenze dello sbalzo nel mondo terrestre che fu un miracolo se si accorse della presenza di un altro uomo accorso accanto a loro – Leon?

Probabilmente sì, dato che il ragazzo con gli occhiali tremendi aveva iniziato a dirigergli addosso le sue lamentele, chiamandolo vigorosamente con quel nome.

Merlin, nella confusione, trovò che avesse un modo assai buffo e strano di chiamare per nome qualcun altro. Nella pronuncia delle lettere ci metteva un'inflessione particolare, così alterata, così ridicola.

E tutto continuava a vorticare e niente e nessuno pareva intenzionato a restare fermo e a volergli semplificare le cose.

“Oggi non sopporterò di più, capito?” stava continuando Occhiali Terribili, il tono sbalzato dall'umore, “io ho la pazienza di un santo e sopporto tutto, ma questo è oltraggioso, e non mi importa proprio un bel niente se la gente mi guarda, LEON! Stavolta esplodo sul serio. E TU!” sibilò, fronteggiando alla fine Merlin. “Ti ha dato di volta il cervello? Eh?”

Lo stregone cercò di tornare abbastanza lucido per poter mettere insieme una frase di senso compiuto e risolvere il malinteso prima che degenerasse ulteriormente.

“Mi dispiace, io non...” tentennò, ma di nuovo l'altro ragazzo lo bloccò.

“Guarda che stordito. Che sei, drogato o cosa? Ci mancava pure un maniaco, tanto finora ne ho viste poche!”

… Lo stava insultando? Merlin strizzò gli occhi. Non aveva proprio voglia di mettersi a litigare, la situazione era già abbastanza strana così com'era, ma adesso doveva pure subirsi la sfuriata di uno sconosciuto? Lui stava tentando di scusarsi! Nel Mondo Riflesso la gente era così irascibile da prendersela con il primo che capitava senza lasciarlo finire di parlare?

“Signore...” tentò di intervenire quel Leon, poggiando una grossa mano sulla spalla di Merlin per spostarlo fisicamente di qualche passo indietro.

Dèi del cielo, era proprio alto. Lo svettava dalle spalle in su, e la sua presa era salda e decisa.

Lo stregone, che non amava affatto venire mosso come una pedina, tentò di scansare educatamente la mano di Leon dalla sua spalla tirandola via con due dita.

Il risultato fu un'occhiataccia glaciale di quello, che fece crollare ogni altra sua idea di fuga. Allora sentì un respiro seccato scappare dalla propria bocca con esasperazione, come se si fosse rifiutato di restarsene nascosto dentro ai polmoni. “Sentite, scusate, possiamo parlarne con calm-”

“Si faccia da parte, lei. E voi, signore, allontanatevi. Non sappiamo chi sia questo ragazzo, potrebbe essere pericoloso.”

“Pericoloso!” esclamarono in coro i due più giovani, il biondo in tono sarcastico e sfacciato, Merlin scioccato.

Bel modo di iniziare un nuovo capitolo della sua vita, con un energumeno che lo teneva piantato a terra e un tipo collerico che, a ogni passo indietro di Merlin, tornava avanti per tirargli le sue accuse dritte sul naso.

La cosa veramente irritante era che sparasse a raffica tutte le sue sentenze continuando a fissare Merlin da distanza ravvicinatissima anche quando si rivolgeva a Leon. “Lasciami fare, LEON!” sbraitò infatti in faccia a Merlin. “Stavolta non potrai impedirmi di arrabbiarmi. Piuttosto un'altra cosa dovresti impedire, che avvengano proprio aggressioni del genere!”

Aggressioni? Quella che stava subendo Merlin, quella sì che era un'aggressione.

Non bastava inarcare un po' la schiena all'indietro per sottrarsi all'invasione dello spazio personale. Come il biondo tornava alla carica, l'irritazione si faceva più pressante e meno facile da reprimere.

“Signore... non l'ho visto arrivare da nessuna parte” si scusò piattamente Leon. “È come se il ragazzo fosse sbucato... dal nulla.”

Una risata scocciata; Occhiali Terribili gettò la testa all'indietro. “Sbucato dal nulla, ma per favore! In fede alla tua onnipresente professionalità, Leon, o dovrei dire quasi onnipresente, per stavolta lascio correre. Ma tu... con te non ho neppure iniziato” disse, premendo l'indice sulla fronte di Merlin. A questo punto la voce gli si abbassò di colpo, palesemente sfacciata e pure minacciosa. Anche se non stava urlando, non perdeva nemmeno un briciolo di veleno, semmai l'acquistava. “Mi avete proprio stufato, voialtri giornalisti invasati. Ma. Si. Può. Sapere. Che. Diamine. Volete?”

A ogni parola tamburellava l'indice sulla fronte di un Merlin che, bloccato dal peso di Leon, non poteva far altro che limitarsi a sospiri sonori.

“Ah... Ehi, adesso piantala di fare così, non mi toccare” non poté che soffiare lo stregone, il ridicolo della cosa che gli piegava la bocca in un sorriso tirato.

Tuttavia la sua richiesta venne completamente ignorata dall'altro ragazzo, impegnato nel suo monologo con una certa vena di soddisfazione compiaciuta.

“Che diamine pensate di ottenere facendomi questi stupidi assalti a sorpresa, uh? Come se non faceste uscire un articolo su di me due giorni sì e uno no. Come se ci fosse altro da tirare fuori. Ma si trova sempre qualcosa da inventare, vero?”

“Adesso mi sto proprio stufando... toglietemi le mani di dosso, per favore.”

Nessuno dei due sconosciuti lo fece. Di conseguenza, nella mente di Merlin prese forma un'idea concreta: non avrebbe dovuto farlo, lo sapeva.

Era appena arrivato, poteva essere pericoloso esporsi a quel modo e, per la miseria, erano solo due uomini – stupidi uomini, dove stava tutto il loro fascino misterioso, adesso?

Eppure una piccola, minuscola magia non ci sarebbe stata male, in quell'occasione. Un incantesimo rapido per buttarli entrambi a gambe all'aria, ma senza fargli male, e poi filarsela da lì e iniziare per bene la sua avventura.

Sarebbe stato tanto sbagliato? Se Merlin fosse stato attento a far bene, non si sarebbe nemmeno fatto scoprire. Occhiali Terribili e Leon non sarebbero riusciti neanche a realizzare cosa fosse successo.

“Aaaah, adesso ho capito. Non sei un giornalista... sei un fan, mh?”

Certo il tono saccente del ragazzo biondo non l'aiutava per niente a rifuggire il pensiero di dargli una lezione. Nemmeno la sua figura tronfia, se era per quello, con le mani ora appoggiate sui fianchi e un ghigno antipatico che scopriva una fila di denti bianchi.

“Ma sì, hai la faccia da uno di quei miei fan accaniti sul serio” disse il biondo, odiosamente estasiato dalla scoperta. “Be', sai che ti dico?”

Merlin lo stette a guardare mentre con un gesto rapido lui si sfilava, finalmente, gli occhiali messi storti sul naso, rivelando un paio di occhi potentemente accigliati e molto... azzurri. “Ecco, ti regalo questi Rayban, falli vedere a tutti i tuoi amichetti o dormici la notte o vendili su internet, facci quello che ti pare. Poi non andare a lamentarti su Twitter dicendo che Arthur Pendragon non è un tipo generoso” disse, e gli sbatté gli occhiali in mano.

Merlin lo trafisse con uno sguardo gelido da sotto le ciglia. Non aveva capito metà delle accuse che gli erano state rivolte, neanche la situazione gli era proprio chiara e, a voler essere sinceri, ancora si sentiva un po' disorientato. Ma tra tutto quel caos qualcosa non gli era sfuggita: il tono minatorio dell'altro. La sua aria superiore.

Come se si credesse chissà chi. Come se si ritenesse in grado di poter dire e fare quello che voleva soltanto perché lui era lui, e gli altri non erano lui.

Che Kilgharrah avesse potuto carbonizzarlo, se quella non era la cosa che Merlin odiava di più al mondo.

Scaraventarlo via o meno adesso dipendeva solo dalle prossime mosse del ragazzo stesso. E probabilmente se lo sarebbe meritato.

Fu il turno di Merlin di schiacciare con decisione gli occhiali in mano al proprietario. “Qui c'è un bel fraintendimento” disse per dargli un'ultima possibilità, la magia che gli sfrigolava in tutto il corpo premendo per venire fuori.

“Che c'è, quelli non ti bastano?” domandò l'altro con finta educazione. “Ah, vuoi qualcos'altro di mio, tipo il capello che mi hai fatto cadere? Vedo già i titoli sul giornale, L'erede al trono fa la carità a un giovane appena uscito da... ho detto lasciami fare, Leon! … Da una fiera medievale, a giudicare da come sei vestito” E rise, buttando ostentatamente la testa all'indietro. “Oppure Fan denuncia il Principe di Galles per comportamento molesto, magari?”

Parlò con una certa classe nella strafottenza, come se per lui tutto quello fosse una cosa ordinaria. Tuttavia, fu lo sguardo intriso di una spolverata di pietà che fece realizzare sul serio a Merlin di essere mortalmente irritato.

E di colpo un campanello gli risuonò in testa: si era mai sentito così prossimo all'orlo di un'esplosione? Gli era mai successo prima?

Era questo l'effetto che facevano le creature opposte?

Se era davvero così, allora non gli piacevano. Non gli piacevano affatto, gli esseri umani. Possibile che le creature che avevano popolato le storie che amava da bambino, e che ancora adesso lo affascinavano, fossero così ottuse e... diverse da come se l'era immaginate?

No. Si doveva continuare sulla strada del compromesso. Se non altro, Merlin lo doveva a se stesso e a tutti gli anni passati in fantasticherie.

“Stammi a sentire, per l'ultima volta” biascicò quindi al biondo, “ti sto chiedendo scusa per esserti venuto addosso, di nuovo. Non so bene cosa tu abbia capito, ma toglimi quel dito dalla fronte e nessuno si farà male.”

Ciò che disse scatenò due reazioni: da una parte, la presa di Leon sulla spalla di Merlin si fece ferrea.

Dall'altra, quello che era, a questo punto chiaramente, il protetto di Leon, inspirò forte, la testa piegata di lato con curiosità e gli occhi grandi come due biglie di vetro. “Cioè, adesso mi staresti minacciando?” disse.

Ma improvvisamente non suonava arrabbiato. Piuttosto, sembrava solo... divertito. Desideroso di mettere alla prova Merlin, per vedere se davvero avesse avuto il fegato di rispondergli.

E se quella era la sfida, be', chi era lui per tirarsi indietro?

“Non è una minaccia” gli disse Merlin, un sorriso provocatorio spuntato per conto suo. “Non sono mica nella posizione di poter minacciare qualcuno, adesso.

“Oh” fece l'altro ragazzo, allargando il ghigno obliquo, “perché, se Leon non ti stesse trattenendo, saresti in grado di farmi qualcosa?”

“Vedere per credere.”

“Perché dovrei voler vedere?”

“Non so, ma forse sei troppo codardo per rischiare e non sapresti sbrigartela da solo senza il tuo amico.”

Merlin se ne accorse: alla parola “codardo”, l'espressione dell'altro cambiò radicalmente. Il sorriso sicuro si stirò in una linea dritta, il viso divenne una maschera difficile da decifrare.

Impossibile. Che ci fosse... rimasto male?

Quell'individuo borioso e arrogante non doveva davvero essere abituato a sentirsi parlare in quel modo. La cosa divertì Merlin in una maniera che nemmeno lui si sarebbe aspettato.

“Adesso lascia andare quella specie di Dumbo, Leon” comandò l'altro, la voce seriosa.

“Signore...”

“Lascialo, è un ordine.”

Leon sospirò rassegnato, rilasciando la presa. Merlin lo guardò per un attimo: adesso che ci faceva caso, piuttosto che di essere sottomesso all'ordine di un suo superiore, aveva tutta l'aria di un uomo stanco di avere a che fare con le sciocchezze del suo fratellino.

Lo stregone non fece in tempo a riderne che il biondo tornò a spostargli la testa facendo forza con l'indice sulla sua fronte. L'irritazione si impennò più di prima, Merlin agitò le mani in aria come per scacciare una mosca.

“Ehi! Quindi, che cosa mi faresti adesso?”

Doveva essere veloce; un incantesimo facile, non troppo potente. Sarebbe bastato guardare per terra o dall'altra parte per non far vedere gli occhi che si coloravano d'oro... “Anche dopo che avrò finito, non avrai la minima idea di cosa ti abbia fatto.”

Il biondo indietreggiò di qualche passo, allargando le braccia con fare provocatorio. Aveva le pupille dilatate e mai, mai prima d'ora Merlin aveva giudicato una faccia più meritevole di un paio di schiaffi ben assestati.

“Che cosa mi farai? Cosaaa? Avanti, dai, fammi vedere. Avaaaaaanti!”

E proprio quando Merlin aveva iniziato a portare a mezz'aria la mano per lanciare l'incantesimo, a un briciolo dal far brillare gli occhi di oro, e l'altro ragazzo si era abbassato, protraendosi per caricarlo come un ariete, qualcuno gridò: “Fermi! Fermi tutti, fermi!”

Merlin si voltò a guardare, il suo rivale scattò in avanti ma Leon fece sfumare i suoi piani afferrando prontamente lo stregone per la sciarpa e trascinandolo di lato.

Un qualcosa di simile a uno squittio strozzato scappò dalla gola di Merlin mentre il gruppo veniva raggiunto da un uomo trafelato: era di età piuttosto avanzata e, più che correndo, era arrivato trotterellando, carico di buste che sbatacchiavano qua e là.

La sua voce suonò ferma e decisa quando si rivolse loro. “Smettetela, per carità, dev'esserci un equivoco! Lascialo, Leon, quello è mio nipote!”

Calò il silenzio.

Merlin, una mano ad allentare la sciarpa sul collo, sentì di essersi perso qualcosa. Era possibile che quel signore si stesse riferendo a lui? Non l'aveva mai visto prima.

“Gaius!” esclamò ex Occhiali Terribili, oltraggiato (probabilmente perché qualcuno si era permesso di dare un ordine a lui).

E per tutti i draghi, se non aveva un modo irritante davvero di pronunciare un nome. Non era certo il caso di prestare attenzione a dettagli del genere, tuttavia era di una distrazione enorme quel suo mettere enfasi nelle prime lettere della parola per poi mangiarsi il resto, trascinandolo via.

“Gaius!” disse ancora, e Merlin rabbrividì di fastidio. “Che stai dicendo? Questo coso qui sarebbe tuo nipote? Sicuro che non ti stai confondendo... non avrai mica preso un colpo di sole?”

Che avesse preso un colpo di sole o meno, l'intervento di quel Gaius era stato provvidenziale. Per l'ennesima volta nel giro di una decina di minuti, Merlin si sentiva annaspare nel caos degli eventi. Non sapendo cos'altro fare oltre sperare che il tutto si evolvesse in suo favore, fece una smorfia a ex Occhiali.

Intanto Gaius era andato a circondargli a tradimento la spalla con un braccio. “Sì, questo è proprio mio nipote venuto da lontano fin qui apposta per rivedermi” disse l'uomo.

“Non avevi mai menzionato alcun nipote” fece il biondo, incrociando le braccia al petto. La diffidenza del suo sguardo trafisse Merlin. Forse non se la sarebbe bevuta.

“Oh, è perché è il figlio di un lontano nipote di un nipote” rimbeccò prontamente Gaius, scuotendo Merlin. “E non lo vedo da così tanto. Mi sembra passata una vita. Non è vero, caro?”

Lo stregone lo guardò, l'esasperazione che ormai si era colorita di divertimento. “Sei così diverso dall'ultima volta che ti ho visto, zio, che mi sembra addirittura di non averti mai incontrato in vita mia!”

L'uomo gli pizzicò la pelle sotto ai vestiti e Merlin sobbalzò, accompagnando la sua risata isterica con la propria.

“Una famiglia ben strana” mormorò Leon, aggiustandosi la giacca scura. “Ma almeno sappiamo che è stato un falso allarme e che non si trattava di un vero assalto.”

Anche il biondo annuì, con un velo di riluttanza altezzosa.

Dunque la faccenda si chiudeva così? Quei due dovevano fidarsi ciecamente della parola di Gaius.

(Erano anche questo, le creature opposte? Si fidavano piuttosto facilmente... quanta ingenuità mischiata alla passione. Istinto puro.)

“Sì, sì, è stato un falso allarme” intervenne di nuovo Gaius, muovendo le mani in aria come se nulla fosse. “Adesso, se non vi dispiace, vi consiglierei di rientrare, Altezza. Stavate dando un certo spettacolo, è un miracolo che nessuno vi abbai riconosciuto. Suggerirei di approfittare di questo colpo fortunato per dirigersi in fretta verso l'auto.”

“Oh, sì, Gaius, proprio una gran fortuna incontrare così tuo nipote... tuo nipote... ?”

“Merlin” fu veloce a rispondere lo stregone.

“Merlin, esattamente!” esclamò il più anziano.

Merlin, allora” soffiò con sufficienza il biondo. “Se si tratta davvero di un malinteso, suppongo...”

Nella pausa che si prese per schiarirsi la voce, Merlin si fece tutto orecchie, scattando diritto.

“Suppongo di dovergli... mh” bofonchiò l'altro, grattandosi il collo.

Merlin si leccò le labbra, pre-assaporando il gusto di una sana umiliazione. Ah, un pensiero soddisfacente sul serio, quello della rivalsa.

“Non gli dovete proprio nulla, Altezza” intervenne però Gaius, sfasciando il glorioso momento. “Perdonatelo, credo che mio nipote non vi abbia riconosciuto. Se avesse saputo subito chi eravate... ma capite, è sempre vissuto...”

“Nella giungla?” concluse ex Occhiali Tremendi, un sorriso sarcastico d'incoraggiamento.

“In campagna! Un po' tagliato fuori dal mondo, potete immaginare. Ma davvero, sarebbe proprio il caso di rientrare, adesso. Mi pare di aver visto una comitiva di ragazze farvi delle foto con i cellulari.”

Fino a quel momento Merlin si era limitato a far scorrere lo sguardo da un uomo all'altro, ma se aveva capito bene e il gruppetto si stava per separare, lui a quel punto non poteva trattenersi. “Ehi, aspetta, che cos'era che supponevi di dovermi? Stavi per farmi le tue scuse, non è così?” disse.

Il biondo allargò le braccia e si morse il labbro. L'espressione dignitosa non tradiva nemmeno un filo dell'irritazione di cui però, Merlin ne era sicuro, era pieno fino all'orlo.

“Certo, io... ti faccio le mie scuse” concluse quello in fretta.

“Perché dovresti pro- oh.”

Che strano. Lo stregone si era aspettato un altro attacco di collera o, come minimo, un ennesimo botta e risposta stizzito. Invece aveva ottenuto le sue scuse, anche fin troppo facilmente. Adesso non sapeva se fosse lecito rimanere stupito dalla punta di senno che aveva intravisto in quella zucca vuota.

“Che c'è?” berciò il biondo. “Sono in grado di ammettere quando ho torto – non che stavolta abbia esclusivamente torto io, sia chiaro, ma riconosco di aver... un po' esagerato. Ero di cattivo umore per conto mio, è stata una pessima giornata.”

Oh.

Merlin sbatté le palpebre, colto in contropiede. Un nuovo intervento, questa volta di Leon, lo salvò dal breve momento di vuoto cerebrale che l'aveva investito.

“Rientri insieme a noi con tuo nipote, Gaius?”

“No, non ti preoccupare. Io e... Merlin vi raggiungiamo dopo. Abbiamo così tante cose da dirci, ci ritagliamo un po' di tempo solo per noi.”

Merlin annuì più volte con vigore, incespicando in qualche parola di circostanza.

Riassumendo, fino a quel momento aveva avuto: un approdo movimentato nel Mondo Riflesso, una rissa sventata per un pelo, un signore che lo stava aiutando chissà per quale motivo e un... asino che adesso lo guardava, no, lo fissava, con un'espressione molto dura e allo stesso tempo molto neutrale – impossibile determinare il preciso stato d'animo che l'aveva scatenata.

“Vorrei ospitare mio nipote da me per un po' di tempo” fece poi Gaius, destando Merlin dai suoi pensieri. “Che ne dite, Altezza, mi date il permesso?”

Un lampo passò per tutto il viso del ragazzo a cui si era rivolto; benché Merlin non sapesse proprio dare un senso a quell'illuminazione momentanea, il semplice fatto che la sua presenza da Gaius facesse scattare una reazione nell'altro gli diede da pensare.

Quelle scuse affrettate non l'avevano convinto per niente; e se avesse avuto voglia di vendicarsi su di lui, o qualcosa del genere? Adesso avrebbe saputo dove trovare Merlin.

Chissà se stava diventando irrazionale e paranoico, o se faceva bene a non aspettarsi niente di buono da tutto ciò.

“Ah, Merlin viene a stare da te” commentò intanto con vago interesse il biondo. “Certo, certo, perché no.”

Dopo qualche altra parola di saluto fredda e imbarazzata, lo stregone si staccò dagli altri, con Gaius che lo teneva per il gomito facendogli strada.

Una vocina, spuntata da una sorgente misteriosa nel profondo della sua testa, gli suggerì di voltarsi indietro giusto per vedere se sua Altezza Testa di Legno gli stesse perforando la schiena con un'occhiataccia. L'ostinazione però vinse la curiosità, e Merlin non ascoltò la vocina.

“C'è mancato un pelo, ragazzo” sentì invece dire Gaius. “Se non fossi intervenuto io, sarebbe successo il finimondo. Ma dico, sei impazzito?”

Lo stregone allora si bloccò, liberandosi gentilmente dalla presa del più anziano.

“La ringrazio per avermi dato una mano... zio” ammiccò. “Ma per quale motivo si è preso il disturbo di farlo?”

“Secondo te sarei dovuto stare a guardare mentre scaraventavi per aria con la magia il Principe di Galles?”

Merlin sussultò. Allora Gaius sapeva! Bastò quella consapevolezza per sollevare un piccolo peso dalla gola del ragazzo. In mezzo a tutte le stranezze, c'era qualcuno su cui forse avrebbe potuto contare. “Anche lei è uno streg-”

L'altro gli tappò la bocca con una grande mano nodosa. “Abbassa la voce! Santo cielo, quanto sei avventato. Regola numero uno per vivere tranquillamente nel Mondo Riflesso – d'ora in avanti scolpiscitela nella testa e non dimenticarla mai: non si va a sbandierare in giro la propria magia. Non si fa” bisbigliò, rivolgendosi a Merlin come a un bambino molto piccolo.

“Non si fa” ripetè laconico Merlin. “E perché no?” chiese, per il gusto di farlo.

A quel punto lo sguardo del vecchio venne iniettato di un'oscurità che mandò un brivido giù per la schiena dello stregone. Non si aspettava un cambio così radicale d'umore; cosa aveva chiesto di tanto sbagliato?

“I roghi medievali non ti dicono nulla, vero, ragazzo? Gli uomini a volte hanno un modo piuttosto curioso di reagire a ciò che è diverso da loro. Ma come potresti sapere...” sospirò, rasserenando un poco l'inquietudine. Poi riacchiappò Merlin per il polso. “Dovrò insegnarti parecchie cose e già so che mi farai penare, mio caro.”

“Aspetti, perché dovrebbe insegnarmi lei? E perché sa tutte queste cose? E...”

“Perché, perché, quanti perché!” rise l'uomo. “Un punto alla volta. Innanzitutto, so cosa stavi per chiedermi e no, non sono uno stregone. Non lo sono più, adesso.”

Ciò fu sufficiente perché Merlin capisse subito: Gaius sapeva della magia, ma non era più uno stregone e viveva tra gli umani. Quindi c'era una sola possibilità: era uno stregone che aveva perduto i suo poteri in cambio di un cuore umano.

“Già, ragazzo” disse Gaius, rassicurante e condiscendente. “Scommetto che l'hai realizzato da solo. Te lo vedo negli occhi. Sei sveglio, anche se piuttosto spericolato. A questo proposito” si illuminò, “mi viene in mente subito un altro consiglio da darti, la regola numero due: potrai anche possedere grandi capacità, ma se non hai la pazienza per guardarti bene intorno, ti sfuggiranno sempre le cose più importanti.”

Merlin non disse altro, aspettandosi la conclusione del discorso. Quando constatò che quella non arrivava, guardò Gaius piegando la testa di lato con un sorriso allusivo.

L'uomo si aprì in una risata pulita e allargò le braccia nello spazio intorno a lui. “Ti sto dicendo di dare un'occhiata in giro: adesso sei nel Mondo Riflesso, ragazzo mio!”

Fu solo allora che Merlin riuscì, per la prima volta da che era arrivato, a guardarsi sul serio intorno. La sua bocca si aprì in una “o” di sorpresa: gli era tutto così estraneo.

Riconosceva le forme e sapeva dire qual era una casa, quale una pianta, quale un muro. Eppure quelle stesse case, piante, muri, avevano addosso un odore che li rendeva assolutamente dissimili da qualunque altro elemento esistesse nel suo Regno.

Sapevano di umanità: di giorni da bambini che erano passati e che non sarebbero più tornati, di battaglie che erano state perdute e qualche volta vinte.

Sul terreno in cui poggiavano le suole dei suoi stivali ci avevano camminato generazioni di esseri umani. Merlin alzò i piedi per ammirare le piastrelle precise e tutte uguali sulle quali era lastricata la strada; concentrandosi, poteva percepire passi perduti e fusi sotto i suoi.

Le immagini che erano dipinte sui mattoni delle mura che andavano giù diritte per la via, chi le aveva disegnate? Teschi, arcobaleni, scritte e fogli strani appesi, a qualche mano dovevano essere appartenuti. Ma ora erano lì, a portata di ogni passante; come le insegne che si susseguivano l'una dopo l'altra ogni certo intervallo – rossa, blu, gialla, rossa, blu...

“Senti il brulicare della vita umana, non è così?” disse compiaciuto Gaius. “E adesso siamo solo a East End! Aspetta di vedere il cuore di Londra.”

Merlin gli lanciò il suo miglior sorriso a trentadue denti, l'ansia della scoperta di nuovo accesa che gli ballava lungo tutti gli arti.

“In questo momento ci troviamo in una specie di periferia” spiegò Gaius. “Dovevo fare degli acquisti per lavoro e qui c'è un rivenditore fantastico che mi tiene da parte un sacco di fertilizzante speciale. Le rose della serra ultimamente hanno un aspetto così sciupato” E sventolò le buste che teneva tra le mani.

“Ma lei chi è davvero?” chiese Merlin ridendo.

“Il giardiniere della famiglia reale! E quello con cui stavi per azzuffarti è l'erede al trono inglese. Il figlio del re.”

“Un principe erede al trono” constatò piattamente lo stregone.

Ma poi una rotella scattò dentro la sua testa, azionando il meccanismo che attendeva solo l'ultimo segnale per mettersi definitivamente in moto. E di contro, tutto si fermò, e l'importanza di ogni cosa sbiadì di fronte a quell'accenno di scoperta. Come aveva fatto a non pensarci?

“Aspetta! Come ha detto di chiamarsi, questo principe?” disse Merlin a Gaius con un'urgenza che nemmeno sapeva da dove gli provenisse.

“Arthur.”

“No, il cognome!”

“Pendragon...”

Pendragon? Principe Pendragon... dragon...

“Un Principe... dei Draghi” soffiò Merlin. Fu come se quel pensiero gli fosse scappato per conto suo dalle sue labbra – era già successo, quel giorno. Il desiderio di rimangiarsi l'ultima affermazione lo colpì con la potenza di una valanga. “No... no” si ritrovò a balbettare, irrazionalmente.

E non sapeva perché, davvero non lo sapeva. Ma non poteva essere vero. Merlin non voleva.

“Oppure invece sì?” disse Gaius, un velo di tenebra nel tono improvvisamente roco. “Questo devi dirmelo tu, Merlin. Ti basterà chiederti se è davvero sua la voce che hai sentito nel Regno della Magia.”

“È a conoscenza anche del Duello del Drago, Gaius?” disse lo stregone, confuso.

“Certo che sì” rispose quello, sbrigativo. “Saperlo è il minimo, considerando che sono il mentore ufficiale che ti è stato assegnato.”

 

 

   
 
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