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Autore: gossipgirl_dairies    07/09/2013    1 recensioni
Melanie ha cambiato la sua vita. Il cambiamento di stile di vita è trasversale: l'università, una nuova città, una nuova persona da conoscere..ma di sicuro non mancheranno colpi di scena e vecchie conoscenze che tornano dal passato..
Dal testo: " Se fossi mia tutto questo non sarebbe successo. Se fossi mia adesso non piangeresti."
"Ma se fossi tua verrei meno alla mia promessa."
"A volte vale la pena di rompere le promesse."

Spero davvero vi piaccia e se mi lascerete una recensione mi farete davvero davvero contenta! A presto, hope you enjoy! :)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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 CAPITOLO IV –  Di promesse, bugie e di amicizie nuove e vecchie
 
Tornai a casa. Cercai Nathaniel. In quel momento era l’unica persona con cui volevo parlare, era l’unica persona che volevo abbracciare, perché lui solo avrebbe potuto capirmi.
Non lo trovai. Le lacrime iniziarono a scivolare lente sulle mie guance.
“Melanie?” mi voltai. Jenny, la mia coinquilina, di fronte a me aveva una faccia strana. Odiavo il suo essere carina in qualsiasi momento, senza alcuno sforzo. I suoi capelli biondi, legati in una coda alta un po’ troppo storta, le incorniciavano il viso e la facevano sembrare ancora più magra di quello che era.
“Melanie? Tutto bene?”
“Sì.” ma le lacrime mi tradirono. “No, no, Jenny non sto bene.”
“Vuoi raccontarmi?” si avvicinò a me e mi accarezzò i capelli. Fondamentalmente era una ragazza buona, l’avevo sempre saputo, ma aveva la tendenza a lasciarsi andare e ad accontentarsi di qualsiasi essere respirante di sesso maschile che incontrava in discoteca.
“Jenny scusa. Ti racconterò tutto, ma devo prima parlare con Nat. Riguarda anche lui.”
“Certo…non so quanto adesso sia in grado di ascoltarti ma se vuoi provare lo trovi di là.”
“Ho già guardato in camera sua e non c’è.” Stavo per andare a ricontrollare quando mi resi conto che non avevo veramente realizzato tutto quello che Jenny mi aveva detto. Mi fermai. “Aspetta, cosa intendi con ‘non so quanto sia in grado di ascoltarti’?”
Gli occhi socchiusi e le labbra strette mi rispose semplicemente “Non devi guardare in camera sua. Prova nella mia.”
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Al diavolo la ragazza ‘fondamentalmente buona’.
Jenny non meritava neanche per un secondo questa nomenclatura.
Ma la cosa peggiore era che lei non era nemmeno il lato negativo.
Nathaniel lo aveva fatto di nuovo. Aveva rotto la nostra promessa. Se prima mi veniva da piangere, ora l’unica cosa che provavo era vomito.
“Cosa diavolo…” la mia frase si bloccò così. Non avevo più il coraggio, o la forza, nel mio corpo, per continuare. Il mondo mi stava crollando, di nuovo, addosso, e io, inerte stavo lì ad aspettare di stare un po’ peggio.
“Melanie, aspetta! Io.. io non volevo.”
“No.” La mia risposta era secca e decisa. Non volevo stare ad ascoltarlo. Tutto, perfino la sua voce, mi sembravano false.
“Melanie, dai…”
“No.”
“Dai, cazzo, Mel!” fece uno scatto felino e mi prese per un braccio, proprio quando io stavo per andarmene.
“No. No. No Mel niente.” Sentivo la temperatura del mio corpo aumentare per la rabbia, sentivo le mie guance diventare rosse, sentivo le mie gambe iniziare a vacillare. “Cavolo, ti avevo chiesto una cosa. Una. Non era tanto. Era una semplice cosa. Me lo avevi promesso, cazzo. Mi avevi detto che non lo avresti fatto, che non sarebbe mai più successo.” Era tanto tempo che non mi arrabbiavo così tanto. “Mi hai mentito, mi hai tradito, io mi fidavo e tu te ne sei fottuto.”
Tacqui, più per prendere fiato che per altro, ma Nathaniel colse la palla al balzo per dire la sua. “Mi dispiace Mel, va bene? Non volevo, ero ubriaco e non capivo. E poi Holly e tutto quanto. So di aver sbagliato, ma non mi dire così…” lasciò la frase in sospeso.
“Non mi dire così? Nathaniel, accidenti, è il minimo!” risposi fuori di me. “Ti avevo chiesto di evitare di scoparti –di nuovo- le mie amiche e tu non lo hai fatto. Per cui questo, sinceramente, mi sembra il minimo.”
Me ne andai, lasciando i miei due coinquilini, sbalorditi, a scambiarsi sguardi di incredulità.
 
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Dopo essermi fatta una passeggiata, aver mangiato un cono gigante di gelato, ed essermi bevuta più di un paio di aperitivi (non per forza in quest’ordine), decisi che era giunto il tempo di smettere di errare per la città e quindi mi sedetti su una panchina. Iniziai, mio malgrado, a rimuginare. La mia testa era diventata un vortice annebbiato di ricordi lontani misti ad altri decisamente più vicini. Nathaniel mi aveva davvero fatto male. Non me lo aspettavo e questa era la cosa peggiore. Non ero preparata ad essere delusa di nuovo. La mia mente tornò indietro.
“Niente. Mai niente ci potrà far litigare. Saremo amici per sempre, noi due.”
Non erano le elementari. Era la quinta liceo.
“Melanie, ho bisogno di te. Ho bisogno di parlarti, di sfogarmi.”
E io, persa nelle lacrime amare che scorrevano sul mio viso, lo stetti ad ascoltare. Per tutta la notte. Quel ricordo era straordinariamente vivo nel mio cervello. Fu quella la volta in cui decisi di partire per studiare giornalismo.
“Lei mi ha mentito, mi ha tradito, io mi fidavo. Io la amavo e Holly se ne è fottuta.”
Era la prima volta che vedevo Nat piangere. Era la prima volta che capii che rimanere in quella città sarebbe stata la scelta sbagliata. Mi ricordo la mia faccia a quelle parole, mi ricordo che non avevo capito assolutamente niente della vita e delle persone di cui mi ero circondata.
Io gli risposi. “Andrà tutto bene, te lo prometto.”
Nat ed io ci abbracciammo. Una delle poche volte che lo facemmo. Di colpo sciolsi l’abbraccio. “Nat anch’io devo raccontarti…”
Lui, un po’ preoccupato, mi rispose “Alex?”
Annuì.

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Nat. Nathaniel. Nat.
Dovrei parlargli, dirgli che non sono arrabbiata, che l’affetto che provo per lui non scemerà mai. Vorrei che lo sapesse. In fondo ha sbagliato. Tutti sbagliano. Sbagliare è umano. Sbagliare è comune. Sbagliare è così da lui. Una voce però interruppe i miei pensieri.
“Ehi bellezza, cosa ci fai qui da sola?”
Mi girai. Un ragazzo piuttosto alticcio, più di quanto lo ero io, si era fermato accanto alla panchina su cui ero seduta.
“Niente. Sto aspettando delle persone.” risposi secca. Non era la verità, ma ero sempre stata una persona diffidente, o forse solo prudente, e tendevo ad inventare le cose per far allontanare le persone.
“Vabbè ti faccio compagnia io.”
“No grazie. Sul serio, è inutile, fra trenta secondi arrivano i miei amici.”
“Ah niente amiche? Solo amici?” mi chiese un po’ deluso.
“Sì, solo amici. Sai li ho conosciuti tutti al corso di taekwondo” improvvisai, anche se un po’ mi veniva da ridere da quanto grosse le stavo sparando.
“Mm va bene.”
Ma, con mia sorpresa, non se ne andò. Si sedette sulla panchina vicino a me. E io rimasi lì, fregata. Nessun amico che faceva taekwondo sarebbe arrivato. Il tizio, dalla faccia sudaticcio e l’alito alcolico, prese lo zainetto che teneva in spalla e ne tirò fuori due lattine mezze ammaccate di birra.
“Vuoi una?” mi disse porgendomi una delle due lattine malconce.
“No, grazie, non mi va.” Gli risposi mentre stavo pensando ad un modo per andarmene via.
Eddai, è solo una birra, io ne ho bevute molte stasera eppure sto benissimo.”
“Dovresti rinunciarci anche tu, infatti.”
Il silenzio calò tra di noi mentre la mia mente era in allarme rosso nel tentativo di cercare una scusa verosimile per andarmene. La mia mente era ancora allappata un po’ dalla rabbia, un po’ dai troppi ricordi, un po’ dai troppi aperitivi che avevo bevuto e questo non mi aiutava a trovare una soluzione al mio problema.
“Melanie?” sentii una mano appoggiarsi alla mia spalla. “Melanie?”
Mi girai e riconobbi il volto familiare di Liam che sorrideva. “Lui è..” riprese, ma io non lo lasciai finire la frase.
“Liam! Finalmente sei arrivato. Ottimo, ora possiamo anche andare.” Gli dissi alzandomi di colpo dalla panchina e afferrandolo da sotto il braccio. Lui mi guardò inebetito. Ovviamente non capiva assolutamente di cosa io stessi parlando. Poi mi girai verso il tizio con sguardo di vittoria. Finalmente una volta che il cielo mi assisteva.
 
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“Allora spiegami bene questa storia del taekwondo… Io da quanti anni lo farei?” mi chiese Liam in tono scherzoso dopo aver dato una lunga sorsata al suo cocktail. Dopo essercene andati avevamo deciso di andare a bere – e sotto suggerimento suo anche mangiare- qualcosa in un locale non molto lontano.
Lo guardai mentre si passava la mano tra i capelli per pettinarseli e sorrisi. Ero contenta di averlo incontrato. Forse passare la serata con lui mi avrebbe fatto smettere di pensare a tutto il resto.
“Io direi…” feci una pausa e lo scrutai con aria pensosa, “direi almeno tre anni.” E questo provocò la sua ilarità. La sua risata era semplice e genuina ma i suoi occhi si incurvavano in una maniera un po’ particolare, quasi misteriosa. E questo mi inquietava. Ma allo stesso mi affascinava. E non poco. La sua voce interruppe i miei pensieri. “Dici spesso cavolate? Racconti spesso bugie?”
“Coscientemente no. Solo quando sono proprio necessarie.”
“E sentiamo, quand’è che sarebbero necessarie?”
Ci dovetti pensare su. Le bugie erano necessarie quando la verità avrebbe devastato il tuo migliore amico, quando avrebbe spezzato il cuore della tua compagna di banco, quando avrebbe deluso una persona che non doveva essere delusa o quando la verità era semplicemente troppo difficile da spiegare. Proprio come era difficile spiegare questo a Liam.
“Mai.” mentii alla fine, facendo una smorfia che avrebbe dovuto avvicinarsi a un sorriso.
“A me ne hai dette?”
“No.” sorrisi. “Perché tu sì?”
“No.”
“Menomale.”
“Però potrei aver omesso alcune cose.”
Lo guardai non capendo a cosa si potesse riferire. Lui bevve ancora un sorso e poi mi guardò fisso.
“Mio padre è un giornalista. Mio zio è un giornalista. Mio nonno è un giornalista. Mio bisnonno invece riportava i bollettini di guerra nelle edizioni straordinarie dei quotidiani.” fece una pausa “E questa è la ragione per cui non amo particolarmente la categoria. Bè questo e il fatto che l’anno scorso, dove vivevo, sotto consiglio della mia famiglia, ho frequentato la facoltà di giornalismo e non è andata granché bene.”
Mi veniva da ridere. Avrebbe dovuto dirmelo prima. Avrei evitato tutti i miei sproloqui su quanto fosse una bella professione.
Lo guardai ridendo. “Davvero?”
“Sì.” mi prese una mano e la strinse. “Scusa.”
“Non devi scusarti. Non è importante.” Risi al pensiero del poveretto che ascolta le mie infinite tiritere su Christiane Amanpour. “Tutto qui?”
Ci pensò per qualche secondo e poi disse “No.”
“Che c’è? Ti sei dimenticato che tua madre dirige una testata giornalistica?”
“No.” rispose serio. Non sembrava aver voglia di scherzare.
“E allora?”
“Ho omesso di dirti che..” mi guardò, si passò la mano nervosamente tra i capelli per la decima volta nella serata e alla fine continuò “Ho omesso di dirti che da quando ti ho visto la prima volta, ho voglia di baciarti.”
 
 
Aloha :)
Ecco qua un nuovo capitolo, questa volta un po’ più lungo. Tutto sommato sono abbastanza soddisfatta, anche se mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate voi. Ringrazio, come al solito tutti quelli che hanno speso un po’ del loro tempo per leggere questa ‘storia’, soprattutto voi che avete recensito/messo nelle preferite/seguite/ricordate. Ringrazio poi, una persona in particolare (non credo ci sia bisogno di fare nomi) che mi ha aiutato e spronato nella stesura di questo e altri capitoli. Questa persona ha sopportato, col caldo torrido, tutti i miei problemi e il mio blocco del ‘pseudoscrittore’ ahahaha,dandomi consigli preziosi e facendomi sentire voluta. Sei un amico fantastico e tu lo sai. 
 
 
Spero di sentirvi presto, un bacio, a presto.
Paola :)
   
 
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