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Autore: Hana89    07/09/2013    1 recensioni
La gente veniva sbalzata da tutte le parti con una furia inarrestabile. Mucchi di persone che si accalcavano gli uni agli altri in un fuggi fuggi generale. Urla di disperazione riempivano l'aria. Grida che invocavano nomi; nomi di genitori, parenti, amici, fidanzati.
La paura stava iniziando a diffondersi in tutto il suo corpo. Dentro la sua testa i pensieri confusi iniziavano a vagare come fantasmi. Terribili pensieri; Mentre correndo faceva avanti e indietro tra la folla. In quel momento non aveva più certezze. Il mondo aveva iniziato a sgretolarsi, mentre lei, con il naso all'insù verso quel cielo blu e quell' astronave che pulsava di mille luci, voleva solo di svegliarsi.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Questa storia è nata dopo un sogno. Molto spesso mi capita di sognare di luoghi e di persone che non ho mai visto in vita mia -e, sinceramente, non so neanche se esistono. Una notte sognai questa enorme astronave; la folla tutta attorno; la confusione che si udiva e le emozioni viscerali; mi lasciò delle sensazioni così reali, che quando mi svegliai ricordavo ogni cosa. Così -affascinata ed euforica- iniziai a mescolare la mia fantasia al sogno; ed è così che questo racconto è nato.

Scommetto che non v‘importa una mazza, vero? *sorride*

Vi auguro buona lettura! E, qualora decideste di continuare a leggere, vi aspetto alla prossima!]

 

 

 



Mirai distese Aoi sul divano, e gli adagiò uno straccio umido sul volto; poi si allontanò lasciandola da sola.

Aoi riposò per un tempo imprecisato. In quel luogo si perdeva la cognizione del tempo: senza finestre e senza orologi, era impossibile distinguere il giorno dalla notte.

Quando riprese conoscenza, afferrò con una mano lo straccio e se lo tolse dal viso. Si sollevò e si sedette sul divano con lo sguardo ancora assonnato; si stropicciò gli occhi; tirò indietro la testa; fissò quell’apatico grigio di cui era dipinto il soffitto; fece un sospiro e, tra se e se, pensò: “Sono ancora qui!“; poi riabbassò la testa, e grattò i suoi ribelli capelli castani che le arrivavano al collo -il contrario dei capelli di Mirai, che invece erano lisci e lunghi fino a metà schiena.

Aoi sentiva la gola asciutta. S’infilò gli scarponi neri e si alzò dal divano. Non sapeva dove prendere dell’acqua; così si diresse verso il bagno, dove era sicura ci fosse un lavandino. Non accorgendosi del rumore dell’acqua, aprì la porta senza neanche bussare. Dopo averla aperta, sbarrò per un attimo gli occhi e poi la richiuse di colpo. Tornò indietro e si risedette sul divano.

L’acqua si chiuse. Mirai uscì dal bagno con un asciugamano a coprirle il corpo mentre i capelli ancora bagnati gocciolavano a terra.

«Non si usa bussare a casa tua?» -le domandò mentre si strizzava i capelli.

«Vivo da sola.»

«Deve essere stupendo vivere da soli!» -disse con un velo di invidia.

«Non direi. Quando si è da soli… non si ha nessuno pronto ad aiutarti. Se non ci fossi stata tu…»

«Frena! Non devi ringraziarmi!» -disse interrompendo Aoi.

«Ecco… io veramente non volevo ringraziarti. Ti ricordo che mi tieni segregata in un… in un… Ma dove siamo di preciso?»

«Siamo nel 4G68!»

«E…Eh?!» -Aoi non capii affatto la risposta che Mirai diede alla sua domanda.

«Quando ero piccola, chiamavo questo luogo “Kharames“, che nella mia lingua vuol dire “casa”.»

«Quindi… è casa tua?»

«Un tempo! Ormai non c‘è più un posto che io consideri casa…» -rabbia, tristezza e delusione apparvero sul viso di Mirai mentre pronunciava quelle parole.

«Oh… Va bene.» -senza porre altre domande, Aoi pensò che fosse più opportuno che il discorso si chiudesse li.

Mirai andò verso una stanza che aveva inciso la lettera “M”sulla porta ferrosa. Quella stanza fungeva da dispensa, ma non vi erano molte scorte: migliaia di bottigline d’acqua stipate ordinatamente su uno scaffale e decine di lattine -non identificate- ancora avvolte nel cellofane messe una sopra l‘altra sul pavimento. Mirai prese una bottiglina d’acqua; tornò indietro e la porse ad Aoi: «Tieni!»

«Che significa?» -chiese basita Aoi.

«Avevi sete, no?»

«Sì… ma…» -Aoi non riusciva a trovare le parole. Come faceva, Mirai, a sapere che lei aveva sete? Prese timidamente la bottiglina, ed iniziò a sorseggiare, lentamente, per timore che l’acqua fosse avvelenata.

 

Mirai prese una sedia e si accomodò non molto distante dal tavolo; adagiò il gomito e con il palmo si sorresse la fronte mentre le dita scivolavano fra i setosi capelli.

«Come ti senti?» -le chiese.

«Non lo so. Sono svenuta?»

«Sei svenuta!»

«Mi sento intontita… ma non so quanto centri con lo svenimento.» -disse con un chiaro riferimento a tutto quello che stava succedendo.

«Vuoi fare una doccia per schiarirti le idee?» -le chiese mentre si “pettinava” i capelli con le dita.

«Non so. Non… non ho dei vestiti puliti da mettere.»

«Ti presterò io qualcosa.»

«Tu presti sempre i vestiti agli estranei?»

«E tu guardi sempre gli estranei nudi?»

«È stato un incidente!» -esclamò fortemente Aoi, quasi strozzandosi con l‘acqua.

«Li vuoi o no questi vestiti?»

«T-Te li renderò!» -Aoi acconsentì con voce esitante.

Mirai si allontanò per pochi minuti.

Quando ritornò, diede ad Aoi un pantalone verde scuro con delle tasche enormi e una maglietta nera a maniche lunghe; in più c’era anche un asciugamano.

«Ti ringrazio.» -Aoi la ringraziò prima di prendere dalla sue mani i vestiti e l’asciugamano che erano messi uno sopra l‘altro.

Dopo che Aoi entrò in bagno, Mirai esitò qualche attimo d’innanzi alla porta chiusa; la fissò intensamente, prima di voltarsi e dirigersi con passo svelto verso la prima stanza alla sua sinistra.

Tutto tacque. Il rumoreggiare soprastante non penetrava le spesse mura. Isolate dal mondo in superficie e da quel tumulto. Inavvicinabili da quella lontana seppur vicina confusione.

D’un tratto, l’ascensore si azionò. Salì rumorosamente. Le porte si aprirono per accogliere delle voci che si avvicinavano sempre di più.

Quando l’ascensore si fermò, dall’interno uscirono un uomo di mezza età e un giovane ragazzo.

L’uomo aveva i capelli castani raccolti in una coda che gli arrivava alle spalle. Indossava un elegante giacca marrone -dove dal taschino sbucava un fazzoletto bianco- e un pullover di color fango. E dei mocassini ai piedi che completavano quell‘abbigliamento da insegnante. Il ragazzo era molto meno sobrio con quel look punk: indossava degli stivali grigi allacciati con non curanza; un pantalone di stoffa con squarci sulle ginocchia e con le pieghe tagliuzzate; un giubbotto nero, sotto il quale s’intravedeva un’enorme stella gialla stampata su una maglietta -anch‘essa scura; e infine, i capelli rasati ai lati con una cresta platinata.

«Caos! Caos! Caos!» -ripete più volte il ragazzo accentuando il suo sigmatismo.

Mirai udì le voci e uscì talmente di fretta dalla sua stanza che quando aprì la porta si stava ancora tirando giù la maglietta: «Professor Elios, Marko!» -si rivolse ansimando all’uomo e al ragazzo.

«Siamo tornati!» -disse Marko, mentre iniziava a sbottonarsi il giubbotto con quegli orribili bottoni gialli- «La fuori diventerà un macello.» -aggiunse seccato per poi sciattamente sedersi sul divano.

«Se si è arrivati a questo punto… la colpa è anche nostra.» -rispose il Professor Elios, mentre ordinatamente adagiava su una sedia il giaccone che Marko aveva buttato poco prima sul tavolo.

«Ho qualcosa da dirvi.» -disse Mirai, prima di iniziare a raccontare senza interruzioni il suo incontro con Aoi.

«TU COSA?» -gli inveì contro Marko dopo essere balzato dal divano come un grillo.

«Ahi, Ahi...» - disse il Professor Elios senza distogliere lo sguardo dai fogli che aveva sparsi sul tavolo.

«Come ti è saltato in mente? Portare quella qui!» -continuava Marko mentre senza sosta andava avanti e indietro per la stanza spettinandosi i capelli.

«Voi non capite!» -esclamò Mirai allargando un braccio.

«Tu non dovevi portarla qui!» -esclamò duramente Marko.

«Dovevo portarla qui. Lei mi ha guardata…»

«Quando?!» -a quelle parole il Professor Elios stacco gli occhi dai fogli e la guardò. Poi aggiunse: «Mentre i tuoi occhi erano blue?»

«Sì.» -rispose Mirai con aria mortificata.

In quel momento, nella stanza, Marko smise di fare avanti e indietro. Il Professore si tolse i suoi tondi occhiali da intellettuale e li poggiò sul tavolo, per poi portarsi una mano alla fronte.

«Com‘è potuto succedere?» -domandò il Professore a Mirai.

«Non lo so.» -rispose, dopo essersi poggiata con le spalle al muro.

«Bisogna eliminarla. Immediatamente!» -Marko espose freddamente la sua opinione.

«Marko, se proprio vogliamo tenere in considerazione questa tua opzione, basterà farla uscire da qui.» -constatò il Professore- «Marko, lasciaci soli, adesso.» -chiese in modo gentile.

«Che cosa!? Dannazione! Fate sempre così! il mio parere dovrà pur contare qualcosa!?» -disse urlando.

«ALLORA?» -chiese ad alta voce.

A quella domanda, né Mirai, né il Professore risposero. Dopo qualche secondo di silenzio, sfrontatamente, Marko aggiunse: «Come volete!»

Afferrò prepotentemente la giacca dalla sedia, ed entrò nella prima stanza a sinistra. Marko fece sbattere in modo violento la porta, quasi ad esprimere, attraverso quel gesto, il suo disappunto.

«Sai perché siamo sopravvissuti, Mirai?» -domandò il Professore.

«Perché non abbiamo mai permesso a nessuno di avere contatti con noi.»

«Esatto, Mirai. Questa è la regola.»

«Non l‘ho salvata per ucciderla.»

«Questo l‘avevo intuito. E allora. Cosa intendi fare?»

«…» -Mirai non rispose, si limitò solo ad abbassare lo sguardo.

Il Professore sospiro e disse con un accennato sorriso: «Beh, è inutile abbattersi ora. Conserviamo le facce tristi per quando dovremmo dirlo a lei

All’improvviso la porta del bagno si aprì. Aoi aveva un’aria buffa con quei pantaloni che le andavano larghi. Si avvicinò lentamente, quasi come se in mano avesse un candelotto di nitroglicerina.

«Oh, immagino che tu sia l’amichetta di cui Mirai ci ha parlato.» -disse il Professore mentre andava in contro ad Aoi.

«Io mi chiamo Elios. Professor Elios. Molto lieto di conoscerti. E tu?» -disse appoggiandogli una mano sulla spalla.

«A-Aoi.» -temendo che volesse farle del male, gli rispose terrorizzata.

«Aoi… viene tradotto come “blue”. È proprio un bel nome. Non trovi, Mirai?» -aggiunse il Professore sorridendo. Mirai distolse lo sguardo senza rispondere.

Si udì un rumore simile ad un ronzio. Il Professore guardo verso la sua cintura, dove aveva appuntato il cercapersone.

«Scusatemi, devo rispondere.» -strizzò per un attimo gli occhi e poi aggiunse-: «Spero avremo una seconda occasione per approfondire le presentazioni.»

Il Professore raccolse in un unico blocco gli scritti che stava sfogliando poco prima. Si diresse verso la seconda stanza sul lato sinistro del corridoio, lasciando da sole le due ragazze.

Il silenzio piombò tra di loro. Mirai si sedette, mentre Aoi stette in piedi. Neanche si guardarono.

«Tu sai cosa succede, non è vero?» -domandò Aoi.

«Penso… sia meglio che tu ritorni a casa.» -rispose guardandola dritta negli occhi.

Aoi fece uno scatto in avanti verso di lei. Si avvicinò al tavolo; le afferrò il polso e la obbligo con la forza ad alzarsi in piedi.

«Mi prendi in giro?! Pensi che non abbia sentito che se esco da qui sono morta?» - le disse con rabbia senza lasciarle il polso.

«Lasciami!» -Mirai iniziò a dimenarsi infastidita per liberarsi da quella presa.

«Rispondi!» -Aoi continuò a trattenerla.

A quel punto Mirai la respinse con tale energia che Aoi sbatté violentemente contro la parete. Poi si avvicinò al volto della ragazza e la guardò fissa negli occhi, senza dire neanche una parola, si limitò solo a guardarla. Aoi non distolse lo sguardo, anche se era spaventata. Entrambe si fissarono.

Poi Mirai disse:

«Mai più! Non toccarmi mai più!»

Mirai fece due passi indietro, e s‘incamminò verso la seconda stanza a destra. Aoi rimase con le spalle contro al muro, guardando la schiena di Mirai mentre si allontanava. Dopodiché, poggiò le braccia lungo i fianchi e si lasciò scivolare sino a sedersi sul pavimento. Rannicchiò le gambe sino a portarle al petto e le strinse con le braccia. Poggiò la testa sulle ginocchia, e, con un nodo alla gola, disse a se stessa: «Non capisco…»

Aoi rimase in quella posizione finché, inghiottita dal silenzio, non si assopì.

つづく

 

 

 

  
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