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Autore: dreamlikeview    07/09/2013    15 recensioni
Harry e Louis.
Amici fin da bambini, due anime, due metà che si completano.
Due riflessi che si specchiano l'uno dentro l'altro.
Se uno fosse lo specchio dell'altro, come farebbe a sopravvivere uno se l'altro venisse a mancare?
[Larry as romance.]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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Desclaimer: I personaggi non mi appartengono. Niente di ciò che è scritto è mirato ad offenderli o a rappresentare in maniera veritiera il loro carattere. Niente di tutto ciò è scritto con fini di lucro.

Credits: Luu. Per il magnifico banner (che non vuole centrarsi, damn). As always.
Avviso: Scritta su due livelli temporali. Passato, per i flashback, presente, per descrivere il comportamento e i pensieri del protagonista. 

Avviso: L'autrice consiglia di ascoltare a ripetizione questa canzone

Conteggio parole: 30.463 

 
 
















What have we found?
The same old fears.
Wish you were here.
 
Louis si osserva allo specchio, e non ha idea di come sia diventato.
Gli occhi sono gonfi, troppo gonfi per essere naturali, sono rossi come quelli di un demone, troppo rossi per essere quelli di una persona che sta bene. Le occhiaie sono scure sui suoi occhi, profonde, marcate.
Il suo corpo è magro, come un ramoscello durante l’autunno, quando, troppo debole, cade dagli alberi infrangendosi al suolo, rompendosi. Sì, perché Louis è rotto.
I suoi occhi un tempo azzurri, vivaci, limpidi come l’oceano e il cielo quando all’orizzonte si incontrano, pieni di vita, pieni di amore, ora sono vuoti, spenti, scuri come le profondità di un abisso senza luce. Non può essere felice, non ci riesce, tutta la sua vita cade a pezzi, ogni sua certezza è ormai crollata, tutto quello che è stato, si è dissolto in un battibaleno. Si sente come uno specchio rotto, come quello del bagno di casa sua, nel quale ha tirato un pugno poco prima, dopo essersi visto. I suoi capelli lucenti sono anch’essi spenti, sporchi, cadenti sulla sua testa che non vuole sistemare. Nessuno ci prova ormai a tirarlo fuori da quella depressione in cui è caduto. E il suo viso, il suo viso una volta delicato è invaso da una barbetta ispida, pungente, fastidiosa.
Nessuno vorrebbe mai aiutarlo, perché perdere tempo, dopo tutto?
Tuttavia, non ha il coraggio di rompere anche lo specchio che ha in camera da letto. Quello alto quanto una persona di media altezza, quello che lo mostra tutto, nella sua interezza.
Si osserva, Louis, mentre un’altra lacrima scappa al suo controllo, percorrendo tutta la sua guancia, infrangendosi sul pavimento, dopo aver tracciato anche il mento leggermente pronunciato del ragazzo, e un’altra lacrima si ferma sul labbro inferiore, sottile.
Ricorda quello specchio, ricorda il motivo per cui è lì.
Lo hanno sistemato lì insieme, Louis lo ricorda perfettamente, quella è stata una bella giornata, la ricorda come se fosse avvenuta il giorno prima, e non può fare a meno di sorridere amaramente a quel ricordo che gli torna in mente.
Non vuole pensarci, scaccia i ricordi dalla mente, scaccia ogni sensazione, per richiudersi nella sua sofferenza, nella sua depressione. Sì, perché Louis è depresso. Si riconosce nella descrizione di quel disturbo psicologico: si sente triste ogni giorno, non c’è giorno in cui non sia triste, in cui non pianga tutte le lacrime del suo corpo, non c’è giorno in cui non si veda brutto come una bestia orripilante, quasi come un mostro, con tanto di tentacoli e aspetto tremendo; il suo peso diminuisce ora dopo ora, come il suo appetito, non mangia da oltre una settimana, e se lo fa, deve correre in bagno, per rigettare tutto quello che ha mangiato, non ha più interesse per nulla, tutto gli sembra vuoto, come se lui fosse un punto fisso nello spazio e nel tempo, sente come se tutti possano mettere a tacere quel senso di inutilità che provano, mentre lui non ci riesce, vuole solo morire, e mettere fine a tutto, ma non ne ha il coraggio.
Tutto appare vuoto, vacuo, senza senso ai suoi occhi, così vuoto da sembrare di essere immersi in una bolla, di sentire il morso del senso di colpa per tutto ciò che accade, quasi sente che siano colpa della sua esistenza il buco dell’ozono o l’effetto serra. Si sente perso, si sente solo, senza un motivo per vivere.
Che senso ha vivere?
Forse dovrebbe far vivere ancora un po’ di speranza, dentro di lui, come può?
La sua vita è stata risucchiata indietro, qualcuno gliel’ha rubata, portata via, in un solo colpo la sua vita gli è stata strappata, lui è rimasto solo, e non vuole, odia sentirsi così.
Si sente debole, solo, spaesato, come se la sua stessa esistenza non avesse senso, come se tutto ciò che lo circonda sia in movimento, mentre lui resta fermo al centro, nella sua sofferenza cosmica.
E’ triste, sa di esserlo, e il motivo lo conosce benissimo.
Non può fare a meno di pensare a come sia cambiata la sua vita in circa sei mesi, è cambiato tutto dalla sera alla mattina. Una sera felice come non mai, la mattina dopo solo depresso, triste, senza vita.
Il suo corpo è vivo: cammina, respira, si rimpicciolisce, cambia, vive.
La sua mente, il suo cuore sono morti: distrutti, sgretolati, senza vita, privi di qualsiasi emozione, se non dolore.
Tutto ciò che è Louis urla: dolore.
Dolore, solo tanto, tantissimo dolore.
Sa che è colpa sua se soffre. E’ lui l’errore, è lui che si è cercato una tale sofferenza, è tutta colpa sua, deve farsene una colpa e prendersi le sue responsabilità di ciò che è successo.
Deve punirsi, e lo fa ogni giorno. Le sue braccia, i suoi fianchi, le sue gambe portano i segni di quella punizione.
Perché è solo colpa sua, e non può semplicemente perdonarsi, nessuno lo perdonerà mai. Lui sta bene, mentre lui no. Non sta bene, non starà mai più bene. E lui deve fare qualcosa, sa che deve fare qualcosa.
O forse si illude di poter fare qualcosa?
Dolore, dolore, meriti dolore, è colpa tua, tutta colpa tua, Louis, colpa tua.
Un’altra lacrima gli riga il viso, lo specchio riflette tutto.
Quello specchio maledetto davanti a lui, gli ricorda troppe cose che lui vorrebbe eliminare. Non vuole ricordare, non vuole, non può si sentirebbe peggio, sarebbe tutto centuplicato.
E invece no, la sua mente masochista gli riporta alla mente ricordi che vorrebbe eliminare, cose che non vorrebbe mai ricordare, ed è così ingiusto sentirsi così impotenti, così stupidi, così senza senso.
Si appoggia una mano sul ventre troppo piatto, guarda la sua immagine nello specchio e immagina, poi ricorda.
Non può fare altro. Immaginazione e ricordi sono le uniche cose rimastegli.
Non può far altro che pensare a ciò che ha perso a causa sua.
Tutto ciò che era, probabilmente non tornerà mai, perché è morto, seppellito dentro di lui da qualche parte, morto quando è rimasto solo. Non è giusto che questa sorte sia capitata a lui, non è giusto che sia sempre lui a dover soffrire. Perché deve continuare a soffrire? Non può essere felice come tutte le altre persone?
Lo meriti, lo meriti, lo meriti.
Altre lacrime gli rigano il viso, e in mente gli torna l’unico volto che è in grado di mandare via tutti i suoi demoni. Ricorda dello specchio, dell’uscita, dell’invito, di lui.
Ricorda tutto, con un sorriso amaro sulle labbra e tante lacrime a rigargli il viso.
Il ricordo e l’immaginazione misti alla sua sofferenza, sono la sua punizione peggiore.
Così si rifugia nel ricordi, nonostante non voglia ricordare, dove nessuno può fargli del male.

 
*

Era la vigilia di Natale, Louis ed Harry erano fuori per le compere natalizie dell’ultimo secondo.
Harry, più alto di Louis di dieci centimetri, bellissimo, occhi verdi come lo smeraldo, capelli riccissimi e scuri, muscoli ben sviluppati e la dolcezza disarmante, aveva affascinato Louis fin dall’adolescenza, i due erano fidanzati ufficialmente da due anni, sebbene si conoscessero fin dall’infanzia. Ne avevano passate di tutti i colori, ma alla fine si erano trovati. Era il compleanno di Louis, ed Harry voleva farglielo passare nel miglior modo possibile, in realtà, in mente aveva altri piani, ma il suo ragazzo aveva tanto insistito per andare a fare un giro al centro commerciale, che lui non ce l’aveva fatta, non aveva resistito alla sua faccina dolce, ai suoi atteggiamenti quasi bambineschi, in oltre, il castano doveva comprare i famosi regali dell’ultimo minuto. Certo, non poteva di certo sapere, fino al giorno prima, che sua madre e le sue sorelle sarebbero andate da lui e da Harry per le feste di Natale. La donna l’aveva avvisato solo il giorno prima, e lui aveva programmato di tornare ad Holmes Chapel, la città d’origine sua e di Harry, solo dopo il Capodanno, e quindi aveva tutto il tempo del mondo per trovare dei regali perfetti per la sua famiglia.
Camminava stretto ad Harry, mentre il riccio gli cingeva un fianco con il braccio e lo teneva stretto forte, per proteggerlo dal freddo, e Louis si beava di quel contatto, ed insieme sotto la neve e il freddo pungente di dicembre avanzavano verso il centro commerciale che distava qualche metro da casa loro. Mancava poco che Harry lo coprisse con il suo cappotto, decisamente molto capiente, vista la stazza del riccio, che nonostante avesse tre anni in meno di Louis, era fisicamente più grande di lui.
Giunsero nel negozio ambito, e Louis esterrefatto prese a guardarsi intorno, come un bambino di fronte ad un gioco nuovo. Adorava i negozi di giocattoli, gli sembrava di tornare indietro di ventun anni, e sentirsi ancora un bambino piccolo. Si fermava ad ogni scaffale, osservava i giocattoli, chiedendo conferma ad Harry ogni volta, perché lui voleva essere sicuro di scegliere i regali giusti per le sue sorelle. Il riccio gli teneva dolcemente la mano, le dita intrecciate alle sue, e gli sorrideva ogni volta che il castano chiedeva consigli.
“Guarda Haz, questa bambola ti assomiglia!” – rise il ragazzo prendendo una scatola in cui una bambola plastificata portava una capigliatura decisamente molto simile a quella di Harry. Il riccio osservò la bambola e posò un bacio sulla guancia sinistra del fidanzato.
“Ma io non sono più bello di quella bambolina?” – ridacchiò con la guancia schiacciata contro quella del ragazzo, il sorriso impresso sul viso. Il castano si girò verso di lui con un’espressione divertita sul viso e contemporaneamente intenerita sul viso.
“Certo, amore, tu sei stupendo…” – sussurrò rammaricato, credendo di aver offeso il riccio – “è-è che i-io ti-ti vedo ovunque, s-sei in ogni cosa… s-se vedo il verde, m-mi vengono in mente i tuoi occhi… se vedo dei ricci penso ai tuoi…” – imbarazzato più che mai, abbassò lo sguardo, il pavimento in quel momento era molto più interessante, si era reso ridicolo nuovamente davanti a lui, e dannazione, non era giusto che stesse sempre così, sentendosi un idiota, perché troppo timido, la maggior parte delle volte.
Harry lo intese, e gli alzò il viso mettendogli due dita sotto al mento, Louis incrociò i suoi occhi, e arrossì vistosamente, quando il riccio si piegò su di lui, appoggiando le sue labbra piene contro quelle sottili di Louis, che si lasciò andare, allungando le braccia dietro al collo del più alto, lasciando che quello lo prendesse in braccio, mentre si scambiavano quel dolce bacio, casto e pieno d’amore. Finirono presto in quel negozio, alla fine Louis aveva optato per due peluche: un delfino e un panda per le gemelle; una bambola parlante e un pupazzo più grande per le più grandi. Soddisfatti, uscirono dal negozio e si concessero il lusso di girare ancora un po’ per i negozi, fino a che Louis non mise male un piede in un tombino, e quasi non cadde con la faccia a terra nella neve, quasi perché la prontezza di riflessi di Harry era ottima, e lo afferrò per i fianchi, prendendolo in braccio, per stringerlo possessivamente preoccupato che egli cadesse e si facesse seriamente male.
“Sai qual è la cosa buffa, Lou?” – chiese il riccio, gli occhi chiusi, i respiri intrecciati. Il castano scosse la testa, senza osar spezzare quel momento romantico e imbarazzante per il primo istante, poi la sua boccaccia non riuscì a fermarsi in tempo e…
“Il fatto che io sia più grande e sia più basso di dieci centimetri?” – e che io sia così maledettamente maldestro, incapace di fare le cose da solo, mentre tu sei… perfetto? – aggiunse mentalmente, con un sorriso amaro sulle labbra, che Harry non vide.
Harry ridacchiò scuotendo la testa, ma non si mosse, lui sapeva che Louis, in imbarazzo, iniziava a dire assurdità e a parlare a vanvera. Lo resse a sé con un braccio solo, il castano era leggerissimo a detta di Harry, e allungò una mano sulla sua guancia, accarezzandogliela delicatamente con la paura di romperlo in ogni gesto. Louis era fragile, era piccolo, era da difendere, Harry lo ripeteva sempre quando restavano insieme.
“E allora…cosa?” – chiese titubante il più grande, la sua grande insicurezza insinuata nelle vene.
“Ho il tuo stesso problema, ti vedo ovunque, in tutte le persone. Guardo il cielo, e penso a te, vedo le coppiette e immagino noi due…” – lo fece scendere dalle sue braccia lo fece girare verso una vetrina di un negozio, dove i lori riflessi comparivano, apparendo una cosa sola, qualcosa che più perfetto non poteva essere, e lo abbracciò delicatamente da dietro, abbassando la testa sulla sua spalla – “vedi? Siamo perfetti, insieme.”
Louis sorrise arrossendo imbarazzatissimo e intrecciò le sue dita con quelle di Harry sulla sua pancia, stringendo tra le sue piccole mani, quelle più grandi del riccio. Appoggiò la testa sulla sua spalla, facendo congiungere la sua schiena con il petto del più alto, e sorrise alzando lo sguardo verso di lui.
“Mi lascerai mai andare, Haz?”
“Mai.”
Louis sorrise, e si girò verso di lui, restando tra le sue braccia, si alzò sulle punte, allungando le braccia dietro al collo del più alto, intrecciandole, sorridendo dolcemente, le labbra appoggiate su quelle di Harry, anch’esse distese in un rilassato sorriso con tanto di fossette. E mentre il riccio avvolgeva gli esili fianchi del castano con le sue possenti braccia, e ricambiava il bacio a stampo del compagno, il più grande affondò un dito nella fossetta destra del riccio, sorridendo come un bambino a cui venivano regalate le caramelle.
Aveva solo bisogno di lui, di nient’altro. Era tutto ciò di cui aveva bisogno, e gli andava bene così.
Un paio di passanti si fermarono a guardarli, e alcuni si allontanarono schifati, mentre altri restavano e applaudivano, o si commuovevano o fischiavano. Louis arrossì di botto, sciolse quella posizione romantica, e afferrò una mano di Harry, che a sua volta afferrò le buste, e insieme nella neve che ancora leggera cadeva su di loro, scapparono nella direzione di casa loro, quella che avevano affittato insieme ai loro migliori amici, diversi anni prima, e lì si rifiugiarono da occhi indiscreti.
Dopo aver sistemato i nuovi acquisti sotto l’albero di Natale, si strinsero forte. I loro amici non c’erano, partiti per tornare dalle loro famiglie nel periodo natalizio, avevano casa tutta per loro fino al giorno dopo, giorno in cui sarebbero arrivati i parenti di Louis, che regalarono loro uno specchio, lo stesso specchio che avevano sistemato accanto al letto, dove insieme si specchiavano ogni volta, anche se lo specchio preferito di Louis era Harry stesso, perché riusciva a mostrare a tutti il lato migliore del castano, e non quello peggiore, come tutti gli altri specchi.
Harry era decisamente il suo specchio.

 
*
 
Vorrebbe colpirlo. Vorrebbe distruggerlo, ma non può, non vuole.
Le lacrime gli solcano ancora il viso, mentre è lì di fronte a quello specchio.
E’ triste, sa di essere triste, la sua tristezza lo sta logorando dentro, lo sta distruggendo, ma lui non è più in grado di provare un qualsiasi sentimento positivo da quando è successo.
Si sente così dannatamente in colpa, e non può fare a meno di piangere, silenziosamente amare lacrime, davanti a quello specchio. Sono passati sei mesi, ma non se n’è fatto una ragione.
La tristezza è dentro di lui, lo inghiotte, lo stringe a sé in una morsa, e non lo fa sentire bene, anzi lo fa sentire in colpa, sempre più in colpa. Tutto è colpa sua, se non fosse esistito, tutto il mondo sarebbe migliore.
Non trattiene le lacrime, sono veloci sulle sue guance, sono sempre più prepotenti.
Solcano i suoi zigomi, come se fossero mandate al rallentatore, ma le sente, sempre più forti sul suo viso, e quello specchio è vuoto. Vorrebbe chiudere gli occhi e non vedersi in quelle condizioni. Allora lo fa, chiude gli occhi, e lascia che la tristezza lo invada tutto. Lascia che essa prenda parte di lui, che lo uccida da dentro, ma no, non potrebbe, perché Louis è morto da tempo.
Vorrebbe solo la sua voce, l’unica cosa in grado di fermare le sue lacrime.
Vorrebbe solo che lui fosse lì.
Vorrebbe solo… lui.
Semplicemente lui.
Esprime il desiderio sperando che la stella che mesi prima hanno visto insieme a San Lorenzo lo aiuti, e lo riporti nella sua vita, lui è così bello ed è triste sapere che lui non sarà più con lui.
I suoi occhi verdi sono incantevoli, Louis ci si perde dentro ogni volta che può, perché chi non vorrebbe guardare gli occhi di Harry Styles?
Oh, che nome sublime, vero?
Perfetto. Lo ama, lo ama da morire.
Ma Louis ama anche i loro cognomi uniti: Stylinson.
Gli danno un senso di casa e protezione.
Ma gli Stylinson non esistono più, sono morti, seppelliti, anche se in qualche modo vivono nei ricordi di Louis, gli stessi ricordi che lo stanno uccidendo. Gli stessi ricordi che gli danno una parvenza di sollievo, ma dai quali vorrebbe allontanare da sé, perché poi la tristezza lo invaderebbe di nuovo.
Struggente tristezza che lo pervade, lo distrugge dall’interno.
Parte dal cuore, e poi irradia in tutto il corpo, fino al cervello, poi i polmoni. Piange talmente forte da non riuscire più a respirare, lo stomaco gli fa male, e allora corre nel bagno, chiude gli occhi e vomita il nulla, ma vomita, si libera di tutta la negatività che aleggia dentro di lui. Perché no, no, senza Harry Styles lui non è nessuno. Non è altro che un uomo vuoto, che cerca disperatamente l’amore di qualcuno che mai potrà darglielo.
Vomita.
Continua a vomitare fino a che non sente le forze mancargli, e con le ultime rimastegli si trascina in camera sua.
Poi si lascia andare sul letto, nella sua metà. Lì dove si sente al sicuro, si sente amato.
E allora dorme.
Spera che la tristezza vada via con il sonno, spera che i sogni siano belli, e non orribili come gli incubi che lo perseguitano da tempo. Prega ancora quella stella di dargli un po’ di speranza, di aiutarlo.
Ma no, nessuno lo ascolta. Si sente esplodere. Vorrebbe solo sparire, essere inghiottito dalla terra, e da lì mai più riemergere. Non ha la forza nemmeno di accendere la tv, per sintonizzarsi su MTV ed ascoltare un po’ di musica, perché le lacrime ritornano violente sui suoi occhi, e piange, piange fino a che i suoi occhi stanchi non si chiudono, fino a che non sente ogni suo muscolo rilassarsi, fino a che tutto non sembra svanire, effimero.
Il suo cervello ha apparentemente smesso di produrre pensieri tristi e distruttivi, in compenso alcune immagini gli tornano in mente; ora vede lui ed Harry correre felici su un prato incontaminato, poi si vede al buio, sotto un manto di tristezza, nero, che non può essere mandato via. Ora, invece, vede lui ed Harry l’uno di fronte all’altro, intenti a specchiarsi l’uno dentro l’altro, perché in fondo sono uno lo specchio dell’altro.
Tutto ciò che è Harry è Louis e viceversa.
Harry è la parte migliore di Louis.
Louis è la parte migliore di Harry.
Si completano, e il castano nel letto, gli occhi chiusi e le lacrime a rigargli il viso, sorride.
Sorride perché può rivederlo quando vuole nella sua testa, e rivivere tutti i momenti belli e brutti passati insieme, fin dal principio. Si gira nel letto, stringe il cuscino ancora profumato di lui, e ne inspira il profumo, è come sentirlo vicino in quel modo. Vorrebbe stringerlo così come fa con il cuscino, allora focalizza la scena in mente: abbraccio.
La tristezza lo avvolge di nuovo, e le lacrime riprendono più veloci di prima, non ci riesce a sfuggirle, lei lo troverà sempre e lo farà soffrire. E’ il suo compito, è arduo da ammettere, ma quando la tristezza prende il sopravvento, nessuno è abbastanza forte da sconfiggerla, è come un Dissennatore, in grado di risucchiare via tutti i sentimenti positivi, fino a che non ti rimane solamente la disperazione.
E Louis c’è quasi.
E’ sul punto di essere disperato, più che triste.
Non lo riavrà indietro, niente e nessuno potrà mai riportarglielo e lui soffre, è triste, è depresso.
Non può fermare questi episodi distruttivi, deve accettare le cose come stanno: i bei tempi non torneranno più.
Si crogiola nel dolore, e un nuovo loro ricordo lo invade, lasciandogli un attimo di speranza in quel sonno tormentato.

 
*
 
Louis aveva appena cinque anni quando aveva conosciuto Harry.
Inizialmente lo aveva odiato a morte, Harry non sapeva pronunciare il nome di Louis, e diceva sempre “Lewis” ma nei suoi cinque anni, il bambino non poteva capire che Harry avesse solo due anni e non pronunciava bene nessun nome, nemmeno il proprio. Era davvero troppo piccolo per capire che il ricciolino fosse più piccolo di lui.
Louis Tomlinson, bimbo dai capelli color cioccolato, occhi azzurrissimi e sicuramente poco dotato d’altezza, odiava Harry Styles, bimbo più piccolo di lui, dai capelli ricci e scuri, gli occhi di uno strano verde e decisamente alto per la sua, perché insomma, non poteva non saper pronunciare il suo nome, era ovvio che lo odiasse.
Harry era il figlio della migliore amica della madre di Louis. Le due donne spesso si incontravano al parco della cittadina di Holmes Chapel, e lasciavano i figli liberi di giocare sugli scivoli, o sulle altalene.
Jay, una sera, scoprì l’astio che suo figlio provava per il più piccolo, ma invece che esserne dispiaciuta, ne fu quasi divertita.
“Non è giusto, mamma!” – brontolò il bambino – “io sono grande, lui non può chiamarmi Lewis! Io mi chiamo Louis!”
“E’ piccolo Lou.”
“Non mi interessa, io so dirlo, deve dirlo bene anche lui!”
“Harry è più piccolo di te, non ha ancora imparato bene le parole.”
“Non mi interessa, io lo odio!”
E l’aveva fatto, lo aveva odiato fino ai cinque anni di Harry, fin quando lui non ne aveva compiuti otto.
Erano nella stessa scuola, Louis in terza elementare ed Harry in prima, c’era un bambino che nessuno sopportava, perché odioso con tutti, lo era persino più di Harry, perché dava fastidio a tutti quelli più piccoli. A Louis inizialmente aveva fatto piacere perché qualcuno finalmente la faceva pagare a quel piccolo moccioso che credeva che tutto gli fosse dovuto, fino al giorno in cui, durante la ricreazione, l’aveva visto piangere in un angolo, dietro ad un cestino della spazzatura. Gli si era avvicinato e si era seduto accanto, quel giorno aveva convenuto con se stesso che nessuno avrebbe dovuto dar fastidio ad Harry Styles, se non lui stesso.
“Perché piangi, Harry?” – gli chiese, girandosi finalmente verso di lui sorridendogli genuinamente. Il più piccolo, visto l’amico più grande, gli si era buttato tra le braccia, e si era stretto a lui, piangendo a singhiozzi. Sapeva che lui a Louis non fosse simpatico, ma sapeva anche che fosse figlio dell’amica di sua mamma, quindi poteva fidarsi di lui.
Louis si intenerì. Era il più grande, era compito suo proteggerlo, e stringerlo tra le braccia, facendolo sentire al sicuro. Fu la prima cosa che gli venne in mente quella mattina, doveva proteggerlo, non importava altro. Gli accarezzò la schiena, gli scompigliò i capelli, e lo cullò dolcemente, aspettando che si calmasse.
Louis decise che nessuno, nemmeno lui stesso, avrebbe dovuto dar fastidio ad Harry Styles, nemmeno per scherzo.
Quando finalmente Harry si fu calmato, Louis gli sorrise, si alzò e gli porse la mano, quando il minore gli afferrò la mano, un brivido percorse la spina dorsale del più grande, ma non lo percepì, non era ancora il momento.
“Lou, sei mio amico, vero?”
“Certo!” – esclamò il maggiore – “ma solo se mi dici chi ti ha fatto piangere, e perché.”
“Matthew… mi ha tirato i capelli, e mi ha dato una spinta…” – mormorò il minore, terrorizzato – “ e poi ha detto…” – trattenne il fiato, guardando Louis negli occhi – “ha detto che devo fargli i compiti, se no mi picchia…”
“Davvero?” – ridacchiò il più grande – “sta’ a vedere, pulce. Nessuno ti picchierà.” – sorrise – “parola mia!”
Afferrò la manina del più piccolo, inconscio ancora che la sua schiena fosse percorsa da mille brividi, del resto ad otto anni era presto parlare di sentimenti, e lo trascinò fino al giardino della scuola, dove Matthew era seduto sull’erba, il sorrisetto da stronzo sul viso e i suoi compari in giro. Aveva solo dieci anni, ma era odioso, era più grande anche di Louis, il quale, però, era un temerario. Con grandi falcate, tenendo Harry dietro di sé, si avvicinò al bambino più grande e lo guardò male.
“Louis?” – chiese quello. Non era un caso che quei due si conoscessero: Matthew, il bambino più pericoloso e scontroso della scuola; Louis, il bambino più simpatico ed esuberante. Qualche volta erano andati anche d’accordo, per organizzare qualche scherzo, ma non in quel momento. In quel momento, la priorità di Louis era Harry.
“Ciao Matt, volevo dirti di lasciare in pace Harry.” – indicò il più piccolo, tremante dietro di sé.
“Il moccioso riccio? E perché?”
“Perché altrimenti te la vedrai con me.” – rispose a tono il bambino, guardandolo in modo truce.
“E come farai?” – si alzò fronteggiandolo, era troppo alto per Louis, che si era sempre portato basso – “son più grande, muscoloso ed alto. Come farai?” – in realtà non era muscoloso, era solo alto ed enorme. Era solo molto più grosso e sfruttava questo per far paura a tutti i più piccoli, tutti tranne Louis.
In quel momento, Louis voleva solo difendere Harry e l’avrebbe fatto a qualunque costo.
Harry era letteralmente attaccato alla sua maglietta, e non osava lasciarlo, perché, in effetti, quel bambino era davvero enorme rispetto a loro, ma Louis sembrava così sicuro di sé.
“Lo dirò alla maestra, e lei lo dirà alla tua mamma.”
Il più grande impallidì.
Tutto, ma non farlo sapere alla madre, l’avrebbe punito, l’avrebbe messo in punizione e poi l’avrebbe mandato in collegio. Pensò prima di picchiare quel moccioso dai troppi capelli, e stava per tirargli un pugno dritto sul naso, ne aveva troppa voglia,  caricò anche il pugno, stava per colpirlo, Louis per un attimo ebbe paura, ma Matt non sapeva se quella fosse la decisione migliore o no. L’avrebbe detto alla maestra, poi alla madre… e lui sarebbe andato in collegio.
Abbassò il pugno, e il sorriso strafottente di Louis ricomparve.
“Hai vinto. Non darò più fastidio al tuo amichetto.”
“E a tutti gli altri bambini della scuola.” – osò proporre, ormai aveva il coltello dalla parte del manico, ormai aveva vinto lui, ormai il bulletto della scuola era stato sconfitto. Tutti si erano fermati intorno, e li guardavano fronteggiarsi. C’era chi teneva per Louis, chi per Matt, ma quando Matt abbassò i pugni, un urlo di giubilo si levò da tutti i bambini.
Chi osannava Louis, chi gli diceva che fosse un eroe, chi lo ringraziava…
Gli erano riconoscenti per quello che aveva fatto, nessuno aveva mai fronteggiato quel bambino e ne era uscito vincitore, Louis ce l’aveva fatta. Uno dei successi più grandi della sua vita, la prima e unica volta in cui era stato lui a difendere il riccio e non il contrario.
E poi c’era il piccolo Harry, che gli stringeva la mano sorridendo, lo guardava negli occhi con quei suoi smeraldi luminosi, limpidi come uno specchio.
“Sei il mio eroe, Boo.”

 
*
 
È tormentato.
Louis è tormentato da tutti i ricordi dolorosi che gli opprimono il cervello.
Vorrebbe urlare, ma non lo fa, ha paura di essere sentito.
Vorrebbe tornare indietro nel tempo, ma non può, non ha una macchina del tempo.
Non sa che fare, è fermo con i suoi tormenti. E’ afflitto dagli eventi, lo stanno massacrando.
Si sente solo, senza forze, senza voglia.
Il tormento lo uccide dentro, corrode ogni angolo del suo corpo, lo trapassa come un coltello, lasciando dentro di lui un senso di vuoto orrendo. Si sente sventrato, come se ci sia una forza esterna che lo tormenta, lo distrugge, lo uccide lentamente all’interno. Ha sempre letto nei libri, nelle poesie del tormento interiore, ma non l’aveva mai provato, prima di quel momento, e ora capisce perché i poeti si siano sentiti così tormentati in vita.
La tristezza e la depressione prendono il sopravvento, ti distruggono, ti fanno sentire inutile ed in colpa. Tutto ciò che accade è colpa tua. E Louis si sente esattamente così.
E’ tormentato.
Il pensiero di non rivederlo più, il sentirsi combattuto tra la noia e il dolore. E si sente esattamente come Schopenhauer definirebbe la vita umana, oscillante incessantemente tra la noia e il dolore.
Non ha più speranza, ormai.
Tutto è successo così in fretta, inaspettatamente.
Ha paura, ma non sa con chi parlarne.
Piange, singhiozza, ma non urla. E’ sempre immerso in un silenzio opprimente.
Non parla con nessuno da quando è successo, non può far nulla, non può cambiare nulla, si immerge nella sua bolla di dolore, silenzio, tristezza e depressione e non fa niente. Gli unici rumori che si sentono in quella casa sono i singhiozzi ripetuti di Louis, i suoi conati di vomito e i suoi respiri affannati.
Non vive più, da quando tutto è successo non vive più.
È immerso nella sua angoscia, e non ne esce.
Si tormenta, si dà la colpa, sì perché è tutta colpa sua, se non fosse così stupido, così debole, così insignificante, lui sarebbe ancora lì con lui, lo abbraccerebbe e lo tirerebbe fuori da quel baratro in cui sta inesorabilmente cadendo.
Agli occhi di Louis tutto appare vuoto.
Niente ha un vero senso, e proprio non riesce più a trovare un motivo per sopravvivere.
Si sta lentamente lasciando andare, si sta uccidendo da solo, ma non può fermare questo meccanismo da lui messo in moto, non può. Non c’è un modo per risalire, c’è solo un modo per andare più a fondo, sempre più giù sfiorando baratri della depressione mai toccati. Non sa se lui sia l’unico umano con questo problema, ma fondamentalmente, Louis non è mai stato un tipo forte. Lo era solo da bambino, per poi rivelarsi più fragile e debole di quanto non lo fosse. E’ solo merito di Harry se è ancora in piedi, per modo dire. Se respira ancora, se il suo corpo è ancora in grado di sopravvivere e lasciarsi morire, è merito di Harry. Harry lo ha rialzato in uno dei suoi momenti peggiori, Harry lo ha salvato, lo ha fatto vivere davvero, e ora il suo tormento maggiore è il fatto di essere la causa dell’assenza di Harry nella sua vita. Sa, sa che è tutta colpa sua. E non riesce a fare altro che autodistruggersi, piangere, e disperarsi come mai in vita sua. Non si sentiva così inerme davanti agli avvenimenti da tanto.
Con un sorriso stentato ed amaro, ricorda quanto accaduto anni prima, quando ancora da ragazzino voleva conquistare Harry, con scarsi risultati inizialmente.
Ricorda la gelosia di Harry.
Ricorda la sua gelosia.
Ricorda tutto.
La loro amicizia è stato il dono più grande che qualsiasi entità superiore gli abbia mai fatto, insieme al suo amore.
Oh sì, l’amore di Harry è la cosa migliore della vita di Louis.
Ha faticato tanto per ottenerlo, e alla fine l’ha ottenuto, e ne è stato felice, fino ad un certo punto, fino a quando la stessa entità che gliel’ha dato, gliel’ha portato via.
Non riesce più a sopportare quell’oppressione, quel tormento, vorrebbe solo che tutto fosse effimero, lontano dalla sua mente, eppure non riesce a non pensarci. I ricordi nella sua mente sono vividi, sempre di più, sempre più angoscianti. Vorrebbe solo dimenticare, estraniarli dalla sua bolla di dolore, ed essa riempirla solo di sentimenti positivi, magari vivere lì dentro non sarà male, magari sarà meglio.
Sa solo che rivuole Harry, con tutto se stesso.
Rivuole che i momenti felici tornino, rivuole anche quelli tristi, rivuole le gelosie, rivuole le angosce, rivuole i litigi, rivuole tutto quello che li ha segnati, rivuole quei momenti, ma sa che mai torneranno indietro, sa che resterà senza di lui, e questa prospettiva lo spaventa, lo terrorizza. Rivuole i suoi baci, le sue carezze, le sua mani su di lui, i suoi capelli ricci, i suoi occhi, rivuole perdersi in lui, nei suoi occhi, o rifare l’amore con lui, sentirlo suo, uno dei momenti in cui Louis è più vulnerabile che mai, lo rivuole dentro di lui, rivuole sentirsi debole davanti a lui, vuole sentire le gambe che cedono perché è innamorato, non perché sta male, non perché è così debole da non potersi reggere in piedi, non perché si sta lasciando morire. Eppure, nonostante lo voglia con tutto se stesso, non può ritornare quello di prima, perché Harry non è con lui.
E, oh, pagherebbe oro pur di rivederlo almeno una volta.
Vorrebbe davvero rivederlo, vorrebbe davvero sentirsi di nuovo vivo, e non così maledettamente morto dentro, perché a nessuno piacerebbe svegliarsi una mattina e non trovare mai più l’amore della sua vita.
Gli sembra di aver vissuto in una bolla di felicità, fino a che Harry era con lui, poi tutto si è dissolto, tutto si è volatilizzato in un battito di ciglia, più veloce del battito delle ali di un colibrì, leggero come una piuma è volato via, lasciando però una voragine, un dolore, un senso di tormento, angoscia e tristezza su Louis pesanti come macigni, come pezzi di cemento armato sulla sua testa, e non ne può più vuole urlare, ma non riesce. Riesce solo a ricordare tutto, vividamente nella sua testa, come se la stesse vivendo in quel momento.

 
*
 
Louis non sapeva cosa fare.
Insomma, vedeva il suo migliore amico, Harry, flirtare con tutte le ragazze della scuola, lo vedeva metterlo sempre più da parte, lo vedeva sempre più distante. Quando gli inviava i messaggi rispondeva dopo due ore, se andava bene, ogni volta che lo invitava fuori trovava una scusa per evitarlo, e Louis stava impazzendo.
Forse, da ubriaco, non avrebbe dovuto tentare di baciarlo – e quello l’aveva saputo qualche giorno prima da una delle ragazze di Harry, Sam era il nome – o forse non avrebbe dovuto essere assillante. Non avrebbe dovuto chiamarlo sempre, non avrebbe dovuto essere petulante, non avrebbe dovuto, e invece l’aveva fatto.
Tentò di nuovo, un sabato sera, gli inviò un messaggio, scrivendogli che gli avrebbe fatto piacere uscire insieme, andare a bere una birra insieme e chiacchierare, ma non ricevette risposta, come ogni volta che gli scriveva.
Le cose erano cambiate, rispetto alle elementari, non erano più due bambini piccoli ed Harry certamente non aveva bisogno dell’aiuto di Louis, bensì era il contrario. Louis era mingherlino, poco muscoloso e basso rispetto ad Harry, e il riccio adorava proteggerlo, o almeno era così prima delle idiozie di Louis. Se davvero il distacco di Harry nei suoi confronti era colpa sua, allora era davvero un idiota. Aveva amici, certamente, ma erano amici superficiali, persone con cui scambiava una parola, magari trascorreva piacevolmente una serata tra amici, però era Harry l’amico vero. Quello con cui era cresciuto, con cui aveva vissuto i momenti migliori dell’infanzia: Luna Park, vacanze insieme, giochi al parco, lotte con la neve e simili, con lui cresceva, tra piccoli litigi, abbracci e nottate a giocare alla playstation, era lui quello di cui Louis si era innamorato perdutamente, anche se Harry non lo sapeva.
Louis era gay, l’aveva scoperto all’inizio delle superiori, quando negli spogliatoi maschili, dopo le ore di ginnastica ogni volta che gli altri si cambiavano provava piacere nel vederli nudi. Inizialmente era terrorizzato, non sapeva cosa gli stesse succedendo, ma poi l’aveva accettato, e aveva anche capito il batticuore che provava ogni volta in presenza di Harry.
Non aveva fatto ancora coming out, nonostante fosse all’ultimo anno, perché sapeva che nella sua scuola vigesse l’ignoranza e proprio non aveva voglia di essere una vittima.
Ad Harry ancora non aveva confessato nulla, non per vergogna, ma per imbarazzo. Ammettere ad Harry di essere gay, sarebbe equivalso a confessargli di amarlo con ogni particella del suo corpo, e Louis sapeva che Harry fosse dannatamente etero, tutte le sue amichette suggerivano quello, per questo, in quel momento, preferiva essere suo amico, e frequentarlo da tale, anche se… non erano più così uniti come una volta. Harry era diventato subito popolare, come avrebbe potuto non esserlo?
I suoi occhi, i suoi capelli, il suo fisico facevano di lui un ragazzo popolare istantaneamente, e il riccio si era dato alla pazza gioia, non controllando i propri ormoni. Louis sapeva che Harry non fosse un ragazzo “facile”, Harry era un bravo ragazzo, lo conosceva come le sue tasche, non avrebbe mai fatto del male a qualcuno volontariamente, non ne era capace, lui era un cupcake, come amava definirlo Louis, ma sapeva anche che per un ragazzo della sua età fosse difficile controllare gli ormoni, l’aveva sperimentato in prima persona, qualche anno prima, anche se lui si era accontentato di molte partite in solitario.
Quando, però, Harry passò davanti casa di Louis, a braccetto con una ragazza, il castano decise di passare al contrattacco: se Harry non mostrava più interesse, perché doveva mostrarne lui? Non era lo stupido che lo avrebbe aspettato (cosa affatto non vera, perché Louis l’avrebbe aspettato in eterno) e quindi chiamò una ragazza che poche settimane prima aveva dimostrato un notevole interesse per lui: Eleanor Calder, diciassettenne, alta e slanciata, occhi e capelli scuri, molto carina, disponibile, sicuramente una ragazza che non cercava storie serie, in quanto aveva lasciato facilmente il suo numero a Louis, ma non il genere del castano, o meglio, la tipa ideale per far ingelosire, se ci teneva ancora a lui, Harry.
Quando il lunedì, Louis sfilò nei corridoi dell’High School, mano nella mano con la sua “nuova fiamma”, tutti rimasero senza parole, Harry per primo, che vicino ad un armadietto, mentre baciava vogliosamente una ragazza, perse totalmente interesse in quella, e lanciò uno sguardo truce alla ragazza e poi a Louis.
Bingo! – pensò Louis.
Afferrò la ragazza per i fianchi e le diede un bacio a stampo, più finto di un bacio di scena, e lanciò un’occhiata verso Harry, che osservava la scena con il fuoco negli occhi. Riafferrò la mano di Eleanor, e soddisfatto levò le tende, lasciando tutti sbigottiti.
 
Campo di pallavolo.
Ora.
Manda via la cozza e vieni.
Dobbiamo parlare.
H.”
 
Louis lesse quel messaggio con il sorriso sulle labbra, e si girò verso la ragazza più smagliante che mai.
“Grazie per l’aiuto, El, ci vediamo in giro!”
“Cosa?”
“Beh, dai, non stiamo davvero insieme” – vide la delusione negli occhi della ragazza – “non ci conosciamo nemmeno, e ci siamo baciati mezza volta, non è una relazione.”
Un ceffone colpì la guancia destra di Louis, e per la forza del colpo si ritrovò a girare il viso a destra, mentre la ragazza lo guardava piena d’astio. Non le importava nulla di quel tipo, aveva solo un bel culo, ma non avrebbe mai dovuto trattarla in quel modo.
Ma a  Louis non importava più di tanto, aveva solo diciassette anni, e un amore non corrisposto da mandare avanti, e finalmente Harry aveva dimostrato di essere geloso. Senza pensare a nulla era corso in palestra, dove il riccio l’aveva accolto con un sorriso sghembo sulle labbra.
Dopo una lunga discussione, a Louis scappò qualcosa riguardo la sua sessualità. Ed Harry non reagì, o meglio, non negativamente. Si aprì in un largo sorriso e abbracciò l’amico, confessandogli di essere scostante con lui solo perché voleva provare a capire se il problema fosse lui – non ricordava nulla del bacio, però non disse nulla a Louis, adorava vederlo in difficoltà - ma che non voleva affatto trascurarlo o altro, e in quel momento, petto contro petto, Louis affondò il viso nell’incavo del collo di Harry respirandone il profumo.
Oh sì, sei tu il problema, ma ti voglio con me, anche come amico, va tutto bene così.
Per Harry non era un problema che Louis fosse omosessuale, e per Louis era un grosso problema che Harry fosse etero, ma quando alzò lo sguardo dalla sua spalla, fece incrociare i loro sguardi, riuscì a vedere se stesso negli occhi di Harry, come in uno specchio.  Forse erano solo questo, l’uno il riflesso dell’altro, amici o innamorati che fossero.
 
*
 
Un ammasso di pensieri, parole, gesti ed immagini è la sua testa.
Vige il caos, il disordine.
Tutto appare confuso, quasi ombrato, perché Louis non riesce a trovare un ordine alle cose nella sua testa, l’entropia è troppa, non la contiene. E’ tutto così confuso che gli sembra solamente di vagare nel buio, alla ricerca di una luce.
Le sue emozioni sono contrastanti: un attimo prima si sente quasi bene, l’attimo dopo si ritrova a singhiozzare disperato. Non sa bene nemmeno lui come si sente, forse non avrebbe dovuto passare tanto tempo solo in casa, sono quasi sei mesi che è lì dentro, e non è uscito nemmeno una volta. Tutto sembra così strano, e lui non è abituato a sentirsi così… inutile. Quando c’era Harry, lui lo rendeva vivo, lo faceva stare bene, dicendogli di essere la ragione del suo sorriso, del suo amore. E ora, Louis non idealizza bene ciò che è successo, ma sa che è colpa sua.
Si guarda intorno, spaesato.
Non ricorda nemmeno più che quella è la sua camera, e vuole urlare.
Urlare per lasciare uscire tutta la confusione, urlare per mandare via quelle sensazioni opprimenti, vuole solo dimenticare tutto, ma è così confuso che non sa nemmeno lui cosa e perché deve dimenticare.
Insomma, perché si sente così?
Nega a se stesso che sia accaduto, non vuole, non può accettarlo. Allora negare sembra la cosa migliore da fare per sfuggire al dolore lacerante. Si chiude in se stesso, come ha già fatto da tempo e chiude gli occhi. In mente solo il suo sorriso, la sua voce, la mano grande, ma delicata su di lui, i loro corpi in contatto…
Improvvisamente inizia a credere che tutti i sentimenti negativi siano spariti, che lui viva in una bolla di felicità indistruttibile, ma è solo un’illusione, un modo sbagliato per affrontare le cose brutte.
L’illusione è peggio della confusione.
L’illusione è una buona amica, ma una perfetta nemica, un’arma a doppio taglio: da un lato, allevia le sofferenze, dall’altro le centuplica con il ritorno alla realtà. E’ distruggente, specialmente per chi come Louis ha subito un grande trauma. Non sa bene cosa gli sia accaduto, la sua confusione non lo fa ragionare normalmente.
La confusione aumenta, il disordine è maggiore. Sente di soffocare, sente di non sopravvivere, la bolla si restringe sempre più, lo comprime insieme a tutto quel disordine, non sa che fare per uscirne.
Non può rifugiarsi nei ricordi, non ci riesce, perché ricordare ciò che è stato appare doloroso, tanto quanto illudersi che una cosa non sia mai accaduta. E’ tutto così assurdo, così tremendo. Come può una persona sopravvivere ad un dolore così forte? Come riesce ad andare avanti? Come fa a non soffrire più? Come si fa?
Che qualcuno mi dia una risposta, non so che fare!
Si siede sul letto, e raccoglie le gambe al petto, guarda fuori dalla finestra, piove.
Sorride appena, la pioggia gli piace. E’ piacevole la sensazione quando ti sfiora la pelle, fin da piccolo adora tirare appena fuori la lingua e assaggiare la pioggia, gli è sempre piaciuta come cosa, perché sua madre gli diceva sempre di non assaggiarla. “La pioggia è sporca, Louis, chi la beve si sporca dentro.”
A Louis non importa sporcarsi, lo è abbastanza dentro e fuori da troppo tempo.
Si alza stancamente dal letto, si trascina lentamente verso la portafinestra del balcone, e appoggia una mano sul vetro. Un sorriso gli sfugge. Apre la finestra, incurante del vento e delle gocce d’acqua, e mette prima un, po’ l’altro, entrambi i piedi fuori al balcone, ed avanza fino alla ringhiera, dove la pioggia lo bagna.
Chiude gli occhi e rivolge il viso al cielo. Dopo sei mesi, si sente finalmente bene, si sente vivo.
Le sue narici si inebriano dell’odore del terreno bagnato, il suo corpo si bagna totalmente e sembra che tutte le preoccupazioni scivolino su di lui, veloci. La pioggia le spazza via, ma purtroppo solo per pochi attimi.
Il vento sferza, colpisce Louis che non se ne cura, si lascia abbracciare dal vento, lascia che gli entri nelle membra che lo ami, e gli sembra di sentire la sua voce lontana, come tanto tempo prima.
La sua voce, dio, quanto gli è mancata. La sente nel vento, e quasi non vorrebbe rientrare, per bearsi del suono del vento che è la sua voce. Forse è impazzito, non lo sa, ma sa che quella pioggia lo aiuta a star meglio, e va bene così.
La pioggia, tuttavia, gli riporta alla mente bellissimi ricordi legati a lui, e non sa se sia una buona idea ricordare. E’ tutto così confuso, di nuovo. Deve restare fuori? Deve rientrare?
Che deve fare?
Può stare meglio?
Deve ricordare?
Non so più chi sono, come posso stare meglio?
Lui era qualcuno prima, quando Harry era con lui, ora che non c’è, non può far altro che piangere, illudersi e piangere ancora, fino a che il suo corpo non sarà vuoto, asciutto, senza vita.
Non vuole più sopravvivere, non ha una ragione per farlo.
Forse i ricordi. Quelli sono motivi validi per continuare a vivere?
Un episodio della sua vita lo ha confuso parecchio, lo ricorda bene e una risata amara, senza allegria, roca esce dalle sue labbra sottili. Oh, lo ricorda bene, e ricorda che Harry sia stato un vero bastardo, lui lo ama ancora, lo ama da sempre, e lo amerà per sempre. Del resto lui è il suo specchio.
Non può pensare. Non deve. La pioggia non ha più il suo effetto curativo, e Louis va di nuovo in crisi. Si piega su se stesso: velocemente i ricordi tristi o allegri, belli o brutti, entrano nella sua testa, lo inghiottono in una morsa letale, che non lo aiuta a pensare, che non lo fa star bene con niente e nessuno, e sotto la pioggia, mentre un tuono squarcia il cielo, mentre le nuvole si scontrano, le correnti fredde e calde si incontrano dando vita al temporale, Louis fa l’unica cosa che è in grado di fare in quel momento: urla, ricordando.
 
*
 
Erano due anni che si erano trasferiti a Londra, da Holmes Chapel, ed erano andati a vivere insieme a dei ragazzi conosciuti al liceo, di poco più piccoli di Louis, e non di molto più grandi di Harry, Niall, Zayn e Liam. Louis ed Harry si erano trovati subito bene con loro, e alla fine avevano affittato tutti e cinque un appartamento in un quartiere non molto distante dal centro di Londra, mettendo insieme un po’ di somme di denaro risparmiate da ognuno di loro, insieme ai prestiti dei genitori – che sarebbero stati rimborsati prima o poi. Tutti, alla fine avevano trovato un’occupazione.
Louis lavorava come babysitter, nell’appartamento accanto al loro, dove c’era una donna che aveva bisogno di qualcuno che si occupasse del bambino di pochi mesi, e Louis si era offerto subito volontario, avendo un debole innato per i bambini.
Harry invece aveva trovato lavoro in un’officina, aveva sempre adorato i motori.
Liam Payne, alto quasi quanto Harry, capelli castani, occhi scuri e fisico mozzafiato, studiava per diventare ingegnere.
Niall Horan, irlandese, né troppo alto, né troppo basso, mingherlino, occhi azzurri profondi come il mare, si esibiva nei pub, e non gli era stato difficile trovare un’occupazione anche a Londra.
Infine, Zayn Malik, bassino, capelli ed occhi nerissimi, di origini pakistane, era un apprendista tatuatore.
Tutti alla fine avevano qualcosa con cui si guadagnavano da vivere, a parte Liam che viveva a spese dei genitori e delle borse di studio ricevute e conservate durante tutti i suoi anni scolastici.
Louis ed Harry continuavano ad essere migliori amici, ma dentro Harry qualcosa cambiava, e Louis non aveva assolutamente idea di cosa fosse. Sebbene il castano tentasse di dimenticare quello che provava per Harry, non ci riusciva mai, aveva avuto una specie di relazione con un ragazzo, ma era andata male. Il tipo, dopo aver ricevuto un due di picche sul fare sesso, l’aveva letteralmente abbandonato sul ciglio della strada, sotto la pioggia ed Harry era andato a riprenderlo, poi l’aveva consolato tutta la notte, stringendolo. Sospettava che Louis provasse qualcosa per lui, ma non voleva metterlo a disagio.
Ma in quel periodo, Louis lo vedeva strano, diverso. Sembrava quasi un’altra persona.
Sospettò che si trattasse di sofferenza d’amore, e ne ebbe la conferma quando lo vide nel loro salotto con un tipo altissimo, i capelli neri, gli occhi di un colore indefinito, Nick Grimshaw, avevano detto si chiamasse, lavorava con Harry. Perché non gliel’aveva mai presentato?
E poi Harry non era schifosamente etero?
Perché si stavano baciando sotto il suo naso?
Perché in casa loro?
Perché Harry non stava baciando lui e baciava Nick?
Non seppe cosa, ma un attacco di ira lo prese in pieno, corse verso di loro e li staccò. Le lacrime rigavano il suo viso, e non poteva fermare il risentimento che era nato in lui. Amava Harry da anni, e lui… era con un altro.
Era solo geloso, forse?
Probabile, era lo stesso fastidio che sentiva quando lo vedeva con qualsiasi essere vivente sulla faccia del pianeta, era come una morsa alla bocca dello stomaco, che si stringeva sempre di più quando lo vedeva con qualcuno che non fosse se stesso.
“Sei uno stronzo, Styles!” – urlò tirandogli uno schiaffo, non mirato a fargli male, ma solo a riscuoterlo. – “sono anni, anni che ti amo, che ti voglio!” – i singhiozzi sempre più forti si espandevano per la stanza – “e-e tu? T-te ne vai con uno… che non sono io. Sei uno stronzo!” – piangeva, sempre più forte e non riusciva a fermarsi, stava davvero troppo male – “non è giusto, perché non mi ami?” – un singhiozzo, un ultimo, poi aveva girato le spalle, ed era corso in camera sua, dove si era chiuso dentro.
Aveva dichiarato tutto.
Aveva rovinato la loro amicizia, ma perché continuare ad essere amici se lui stava malissimo senza di lui?
Si strinse nelle spalle, e pianse stretto al suo cuscino, non immaginando quando Harry avesse aspettato quella sfuriata. Quando sentì i pugni veloci e insistenti sulla sua porta, aveva urlato a chiunque fosse lì fuori di andare via.
“Se non apri, butto giù la porta!” – la voce di Harry, minacciosa, autoritaria provocò un brivido in Louis, che lo spinse ad alzarsi velocemente e a raggiungere la porta; la aprì lentamente, ma  velocemente il riccio lo spinse dentro, facendolo urtare contro il muro, e lo baciò. Lo baciò prima lentamente, castamente, poi la velocità del bacio aumentò, divenne ardente, come il magma incandescente che sotto la crosta ribolliva alimentando le camere magmatiche dei vulcani. Quel bacio, come il magma, alimentava i cuori dei due ragazzi, che battevano all’unisono, che alimentavano con i loro battiti l’amore che scorreva tra i due giovani.
Louis si sentiva totalmente confuso, possibile che quella sfuriata non avesse rovinato nulla, bensì avesse migliorato le cose?
Possibile che si sentisse confuso, ma contemporaneamente in paradiso?
Ma sapeva anche che quello fosse l’inferno, era possibile?
Non sapeva che fare, contraddittoriamente sapeva che doveva continuare a baciarlo, era la cosa giusta. Allungò le braccia dietro al collo di Harry, per poi infilarle nei suoi capelli. Il bacio venne approfondito maggiormente, e Louis si ritrovò in braccio ad Harry, mentre il riccio gli baciava il collo, lasciandogli un succhiotto su di esso. Riuscì a malapena a riprendere fiato, e a premere le piccole mani contro il petto del minore, guardandolo supplichevole. Non voleva che si riducesse a quello, voleva… parlare con lui.
Il riccio lo intuì, e lo lasciò rimettere i piedi per terra, guardandolo con il sorriso divertito sulle labbra. I respiri erano accelerati, mischiati tra loro, i nasi vicinissimi, le mani di Louis ancora contro il petto di Harry, e i suoi occhi ancora chiusi, era scosso per quel bacio e ciò che  stava venendo fuori.
“Dobbiamo parlare…” – sussurrò con il respiro corto, aprendo lentamente gli occhi e guardando il giovane davanti a sé.
“Abbiamo tutta la notte.” – rispose prontamente l’altro, guardandolo negli occhi, prima di sollevarlo delicatamente e portarlo verso il letto. Louis sembrava sul serio un ragazzo da proteggere sempre e comunque, nonostante fosse più grande di Harry.
Trascorsero tutta la nottata a parlare e a baciarsi sul letto. Le loro gambe intrecciate, le mani strette, i nasi lasciati a sfiorarsi e l’amore a fluire tra loro. Harry coccolava Louis, lo abbracciava, e Louis lo lasciava fare, amava quelle attenzioni, specialmente se seguite da delicati baci a stampo. Il riccio confessò che era solo una messinscena con Nick, per farlo ingelosire, e il castano confessò di esserci cascato con tutte le scarpe. Sono un vero idiota.
La nottata migliore di sempre per i due ragazzi, che dopo anni e anni di profonda amicizia, scoprivano l’amore, di essere lo specchio dell’altro, perché a distanza di anni, Harry aveva fatto la stessa cosa di Louis: tentare di farlo ingelosire.
“E comunque, ti amo anch’io” – sussurrò Harry all’orecchio di un Louis appoggiato sul suo petto, già perso nel mondo dei sogni.
 
*
 
Si  sente teso. Si sente quasi spezzato.
Sa di esser al punto di rottura, è come se lui fosse un elastico, viene tirato da mani immaginarie, sente le due estremità del suo cuore tirate, lui si sente come un elastico prima che venga rotto.
La tensione può essere tagliata con un colpetto. Sta per spezzarsi, lo sente, non reggerà a lungo.
Trema, piange, e non sa più che fare. E’ tutto così confuso che si sente male al solo pensiero di muovere un muscolo. E’ come se dovesse superare un esame, ma in questo caso, l’esame è accettare ciò che è successo.
Ma non ci riesce, non può riuscirci.
E’ in tensione, lo sente da come il suo stomaco si contorce, i nervi sono concentrati su una cosa, ma non può superarlo da solo. Vorrebbe che i suoi nervi la smettano di fare così.
Non può passare da una cosa all’altra, non può stare male, essere teso, depresso, triste e confuso insieme, come si fa a sopravvivere? Come fa senza di lui?
Il suo corpo è tutto teso, perché non sa come fare a salvarsi, la sua ancora, la sua zavorra non c’è.
Sa di non poter uscire da quel buco nero in cui è entrato, nemmeno se l’elastico teso che è ora, si spezzasse.
O forse vuole spezzarsi definitivamente, smettere di soffrire, gli piacerebbe smettere di soffrire, chiudere gli occhi e sentirsi di nuovo leggero, ma davvero non può.
Il suo destino è quello: soffrire.
Perché la colpa è tutta sua. Sempre sua.
Ed Harry ha sbagliato a volerlo con sé, ha sbagliato nello scegliere lui, non avrebbe mai dovuto sceglierlo, doveva continuare ad odiarlo, come quando erano piccoli, tutto sarebbe stato più facile, ed ora Harry sarebbe con Louis.
Dopo aver urlato, il senso di essere tirato da due parti differenti, e di sentirsi sul punto di sentirsi spezzato è aumentato. E’ combattuto tra lo star male per il senso di colpa dilaniante in lui, e il voler smettere in tutti i modi di soffrire, di stare male, e mettere fine alle sue sofferenze. Sa di dover continuare a soffrire per punizione, per essere la causa della perdita di una creatura tanto bella e perfetta, ma vuole con tutto se stesso smettere di stare male.
Altre lacrime lo invadono, e si sente sempre peggio.
Piange, urla, vomita.
Tutto quello che fa non va mai bene, è sempre la cosa sbagliata, e lui sa, sa con tutto il suo cuore che il suo posto sarebbe altrove, non lì, non in quella casa che sa di lui, di loro, che sa dei bei momenti passati insieme, che sa d’amore, di vita, di speranza.
Odia se stesso, si odia con tutto il suo cuore, si odia quasi tanto quando ama Harry.
Vorrebbe solo smettere di star male, smettere di soffrire ed essere di nuovo felice, di nuovo pieno di positività, ma non può, come potrebbe essere così egoista? Non può. Come potrebbe essere felice ora che lui non lo è?
Come potrebbe?
Sa che deve smettere di stare così. Harry non vorrebbe vederlo in quello stato, ma contemporaneamente non può farlo perché sarebbe come mancare alle sue responsabilità, è colpa sua, è giusto che debba pagare e soffrire.
E’ colpa sua, solo colpa sua. E’ l’unico colpevole.
Si sente tirato da così tante parti che rischia di impazzire, sta per spezzarsi lo sa, l’elastico non dura mai a lungo, lo sa che dopo un certo limite si spezza, facendo del male a chi c’è intorno, e lui già ne ha fatto troppo prima di spezzarsi, cosa può esserci di peggio?
Nega, continua a negare tutto.
Non è accaduto,  lui non ha fatto niente, e tra un paio d’ore, Harry rientrerà dalla porta. Sente la tensione sul suo corpo, come se da quel momento dipendesse tutta la sua esistenza.
Ed ecco che inizia ad illudersi, e mentire a se stesso, tutto per trovare sollievo dalla colpa che gli affligge cuore e cervello.
I minuti scorrono inesorabili. Louis è ancora sveglio. E’ una giornata tremenda, la pioggia cade a capofitto sulle finestre, e quando le otto passano di volata, lui sa che è solo questione di minuti prima che quella porta si apra. Ne è così convinto che si alza dal letto, e stancamente va nel soggiorno che da nell’ingresso, siede sul divano di fronte alla porta, ad aspettare. E lì resta.
Aspetta.
Aspetta che la porta si apra.
Aspetta la sua voce.
Aspetta, aspetta inutilmente. La sua attesa è inutile dal momento che colui che dovrebbe entrare non torna mai. Perché non torna?
E’ rimasto bloccato nel traffico?
Magari lo chiamo.
Magari sta guidando e gli faccio fare un incidente.
Dio, Harry, perdonami, torna da me.
Perché mi odi?
Non ho fatto niente, non è colpa mia, torna…
Torna, amore mio, torna…
Sente qualcosa nascere dai suoi occhi.
Li sente pizzicare, e quelle che ora sgorgano sono lacrime: lacrime amare, lacrime di stanchezza, lacrime di confusione e tensione, lacrime nervose; e quello ora è un pianto scomposto, nervoso, silenzioso.
Non si rassegna, lui tornerà quanto meno per riprendere le sue cose.
Se l’ha lasciato, prima o poi andrà a prendersi i suoi vestiti. E allora prima che arrivi, stancamente si dirige in camera, apre il suo armadio e afferra una sua maglietta.
Sorride, ora.
La indossa e il profumo di Harry inebria le sue narici, se ne nutre come se da esso dipendesse la sua vita, ne è dipendente, non può farne a meno. Stringe quella maglietta, ed è in quel momento che un altro ricordo investe la sua mente.
La molla cede.
Louis si spezza.
 
*
 
Era teso quella sera.
Si trovava in camera sua, erano passati sei mesi da quel bacio. Sei mesi di felicità, di amore, di paura, e anche di tristezza, ma tutto veniva meno, perché Louis si sentiva finalmente completo.
Harry era su di lui. Gli baciava il collo, il petto, le labbra, la pancia, le gambe, il viso, per poi ricominciare tutto da capo.
Era eccitato, schifosamente eccitato.
Aspettava quel momento da anni, e ora averlo sopra di lui era così… strano.
Tremava, e non sapeva nemmeno lui per cos’era.
Harry gli aveva appena tolto la maglietta e aveva iniziato a lasciargli dei succhiotti sul collo, e lui gemeva… di dolore?
Non era per nulla sicuro, l’aveva capito.
Aveva paura.
Di cosa? Non lo sapeva, aveva semplicemente paura.
Era eccitato, certo, ma la tensione e la paura erano più forti di lui. Non aveva il coraggio di fermare Harry, era così troppo perfetto, così voglioso… così eccitato. Sentiva l’erezione di Harry premere sulla sua coscia. E non era nemmeno perché fosse vergine, aveva perso la verginità anni prima, al liceo, ma c’era qualcosa che non lo convinceva, c’era qualcosa che lo bloccava…
Ci ragionò sopra.
Era il suo corpo.
Erano le sue imperfezioni fisiche a bloccarlo.
Era quella ridicola pancia gonfia, le sue cosce troppo grandi… tutto, il suo fisico non era perfetto, non lo era mai stato, non per uno come Harry. Lui meritava di meglio, non di certo uno imperfetto come Louis, era chiaro che l’avesse baciato solo perché gli faceva pena, e… questo lo distruggeva, era la cosa peggiore che potesse capitargli.
Con una forza che nessuno gli avrebbe mai dato, allontanò il possente corpo di Harry dal suo, e un singhiozzo sfuggì dalle sue labbra. Alla fine non aveva retto, non ce l’aveva fatta, era scoppiato e non avrebbe mai dovuto farlo davanti ad Harry, doveva farlo da solo, a casa, magari con il suo piumone invernale rosso sulle spalle, una cioccolata calda tra le mani, e una serie TV in streaming. Magari avrebbe messo proprio l’episodio in cui una coppia si mollava o finiva tragicamente, così da dar sfogo alle sue lacrime diversamente e non davanti ad Harry, non lì, non con lui, invece non aveva retto, era scoppiato.
Stava piangendo davanti ad Harry tutte le lacrime che aveva per un motivo stupidissimo, ma amava Harry e aver capito che per lui non era altro che sesso, una scopata e basta, uno da consolare e nulla più, lo uccideva dentro non poco.
“Louis, ehi che hai?” – chiese preoccupato Harry.
“Niente, Haz, niente…” – singhiozzò – “non voglio… io… so perché lo fai, e-e non v-voglio, i-io…”
“Calmati, calmati.” – lo abbracciò forte, credendo che fosse perché lui fosse vergine e non avesse altri problemi – “io posso aspettare che tu ti senta sicuro, davvero. Non vado di fretta, posso aspettare.”
“P-Puoi aspettare?” – chiese incredulo – “c-cosa?”
Harry si accigliò guardandolo, che cosa aveva trascurato? Cosa gli nascondeva?
“Sì, ti aspetto. E’ questo che si fa in una coppia, no?”
“M-ma io credevo, che ecco, insomma, ti facessi… pena?”  - il ricco spalancò gli occhi, ancora più incredulo di prima. Perché aveva quei dubbi? – “i-io lo so, non sono il massimo come ragazzo, sono g-grasso, b-basso, ho un carattere.. o-orrendo, ma Haz… io ti-ti a-amo, davvero, tanto…”
Harry sorrise. La sua insicurezza era una delle cose che più amava.
“Louis, ti amo anche io.”
“Lo so, va- cosa?” – si accigliò guardandolo. L’aveva detto con una tale naturalezza, senza ironia, senza cattiveria, così… sincero. Non era possibile, era… vero? Era tutto vero? Lo amava? Lo amava davvero? Quanto lui amava Harry? Harry lo amava quanto Louis lo amava? Era un sogno, un meraviglioso sogno che diveniva realtà.
Non ragionò più.
La tensione era sparita, la paura anche, e tutti i dubbi sul suo corpo, tutto era svanito. Era bastato un “ti amo” di Harry, che significava che lo sceglieva, che lo amava, nonostante il suo aspetto e il suo brutto carattere, significava che non l’avrebbe mai lasciato andare, che sarebbe rimasto con lui anche dopo aver fatto l’amore.
Strano quanto un “ti amo” potesse cambiare la situazione, eppure era successo. Louis saltò letteralmente al collo di Harry, lo baciò con desiderio, con amore, con tutto quello che provava dentro. Un bacio appassionato che fece palpitare i loro cuori. Si persero l’uno dentro l’altro, quando Harry tolse i restanti vestiti a Louis, il giovane non si sentì a disagio, davanti a lui e il suo amore, quando entrò in lui con dolcezza, senza fretta, lentamente con la paura di romperlo, Louis si sentì completo a trecentosessanta gradi.
Si sentiva in Harry, tanto quanto lo fosse Harry stesso dentro di lui.
Era una sensazione che non poteva descrivere, era solo una cosa che provava dentro. Non aveva mai provato qualcosa di così forte, era tutto perfetto. Loro, la stanza piena dei loro gemiti, ansimi e urletti, i loro corpi fusi insieme, specchiati l’uno dentro l’altro come se fossero nati per fare questo, per viversi, per amarsi.
Semplicemente loro due, il loro amore.
Nient’altro. Loro, due facce della stessa medaglia, lo stesso riflesso.
Un amore che veniva consumato e vissuto dentro quelle lenzuola candide, quel posto perfetto che erano le braccia del ragazzo amato.
Quello specchio fisso indissolubile che, dopo quel momento, Harry aveva rappresentato per Louis.
Non un qualsiasi fidanzato, ma il suo stesso riflesso, Harry Styles era la parte migliore di Louis Tomlinson.
 
*
 
Dopo la depressione, la tristezza, la confusione e la tensione, Louis si è spezzato, ora è disperato.
E’ in preda alla disperazione, non ha più speranze in nulla.
E’ abbattuto, inconsolabile.
Non sa più cosa fare.
Preme un cuscino sul suo viso, e reprime un urlo contro di esso.
Urla, urla disperatamente, sperando di sfogarsi; urla per liberarsi, urla per mandare via il senso di inutilità che lo pervade, urla. Urla ed è disperato. Non sa cosa fare, trema come una foglia, forse è l’acqua che ha preso fuori al balcone. Vorrebbe alzarsi per andare a farsi una doccia calda, e mandare via quel gelo che gli ghiaccia tutte le ossa.
Un nuovo conato di vomito sopraggiunge, non vuole più vomitare, ormai dentro di lui c’è solo aria, e allora stringe il cuscino sul viso, cercando di smettere di respirare, ma non riesce. Non riesce a causa del conato, che prepotentemente preme per poter uscire da lui, e allora lancia via il cuscino, e si sporge dal letto: vomita.
Il respiro è accelerato, i suoi polmoni richiedono più aria possibile, a causa della mancanza d’aria di pochi istanti prima. Non riesce a trattenersi, vuole andarsene, magari dov’è lui.
Chissà cosa direbbe Harry, vedendolo così.
Chissà cosa penserebbe di lui, ora che è più fragile che mai, più rotto che mai.
Ti odierebbe. Guardati, sei orrendo. Sei sottopeso, i tuoi occhi sono rossi, gonfi e cerchiati dalle occhiaie.
Il tuo corpo non potrebbe far più ribrezzo di così.
Hai toccato il fondo. Lo hai toccato davvero.
Non potresti essere caduto più in basso di così, sei inguardabile.
E te lo meriti, è tutta colpa tua.
La disperazione si fa largo in lui, non riesce quasi più a respirare, sente di dover morire da un momento all’altro, sa che il suo organismo non reggerà a lungo, del resto sono giorni e giorni che non tocca del cibo, e che vomita come se non ci fosse un domani, ma sa che deve continuare a punirsi. Si scopre il ventre ormai tutt’ossa e si osserva. E’ davvero orrendo, quella stupida voce nella sua testa ha ragione. Non sa perché si stia osservando, sa solo che le lacrime continuano a scorrere sul suo viso, e che quella voce nella sua mente abbia iniziato ad avere la meglio su di lui. Dopo qualche ora durante le quali non si fa sentire, eccola di nuovo prepotente nella sua testa a ricordargli quanto sia orrendo, e inguardabile in quelle condizioni.
Ma come ha fatto Harry a sceglierti?
Come ha fatto a fare l’amore con te?
Come ha fatto a baciarti?
Perché ha scelto te?
I tuoi difetti sono i peggiori. I tuoi occhi non hanno niente di particolare, sei basso, eri grasso, i tuoi capelli sono… terrificanti e non oso immaginare come sia il tuo corpo quando fate l’amore. Non ti fai schifo?
Perché gli hai rovinato la vita così?
“Basta, basta, basta…” – sussurra a se stesso prendendosi la testa tra le mani. Dondola sul letto, le lacrime a rigargli il viso, veloci ed incessanti,  la testa gira, tutto diventa confuso.
Si guarda il polso e vede i tagli, vuole mandarli via, ma non sa come. Vuole togliere le cicatrici, vuole farsi male. Per questo, con le unghie mangiucchiate, inizia a grattare via la pelle ricresciuta dal braccio.
Urla disperate invadono la stanza, gli sembra che stiamo colando sulla sua testa litri e litri di olio bollente.
Sente il suo corpo venir meno, e si accascia sul letto, grattandosi ancora, scorticando la pelle ricresciuta.
Si odia con tutto se stesso, solo Harry riusciva a farlo star bene.
E Harry…
Il ricordo vivido di quello che è accaduto ad Harry, ritorna nella sua mente.
Solo lui è in grado di mandare via i fantasmi, di mandare via le paure e le insicurezze di Louis. E’ unico, l’unica eccezione al baratro di tristezza di Louis, l’unica luce era lui.
Il buio è sempre maggiore, Louis ignora come mandarlo via, ma vorrebbe.
Dovrebbe farlo per Harry, ma non risale. Resta sospeso nel limbo di disperazione che si è creato, ormai è spezzato, anche se tenta di negare a se stesso che tutto sia successo.
Perché no, Harry è ancora lì.
Perché Harry non lo ha lasciato.
Perché non è colpa sua se tutto è finito.
Amore, entra dalla porta, ti prego, aiutami come sempre.
Perdonami, Harry, perdonami.
Io ti amo, ti amo tanto…
Sei la metà migliore di me, ti prego…
Sono fottutamente incompleto senza di te…
Ti supplico, torna da me.
Piange disperato, urla ancora e poi non resiste vuole farsi male, è tutta colpa sua, ma le forze sono poche, con le dita riesce a togliere l’esile strato di pelle creatosi sui tagli e allora lo vede: il sangue.
Qualche piccola goccia basta affinché per qualche minuto il dolore cessi, e lui stia bene di nuovo.
Per poco, quel sollievo è così effimero che non basta.
Stringe i pugni, conficcando le unghie nei palmi delle mani. Non esce sangue, ma è un po’ di dolore sufficiente a non farlo star peggio di quanto stia.
E’ troppo disperato, quel sentimento l’ha invaso, ha preso il possesso, e lui vorrebbe solo che il riccio sia lì, che lo stringa e lo protegga, solo lui lo faceva sentire fottutamente perfetto.

 
*
 
Non sapeva perché si trovasse lì. O meglio, lo sapeva, ma non voleva accettarlo, non poteva essersi offerto volontario per duettare con Harry Styles, era assurdo. Dietro il sipario del teatro della scuola, ed era accanto ad Harry.
Indossava uno smoking grigio strettissimo, il respiro gli mancava, e si sentiva oppresso, forse erano i capelli troppo alzati e non lisci come era solito portarli lui. E non sapeva come si fosse trovato lì.
Lui era letteralmente fuori posto. Come poteva trovarsi in quel luogo?
Non cantava bene, non era fisicamente presentabile, si sentiva grasso, e non osava pensare come apparisse agli altri, era inguardabile per se stesso, figurarsi per gli altri. Voleva scappare, annullare tutte quelle paure, e andare al sicuro altrove, magari tra le braccia di Harry. Utopia. Accanto a lui c’era Harry, e inutile a dirsi, era impeccabile: fasciato perfettamente dal suo completo nero, la camicia bianca che dava quel poco di stacco, il nodo della cravatta perfettamente annodato, e il fazzoletto da taschino era rosso, abbinato a quello di Louis. Il nodo della cravatta del castano era leggermente imperfetto, ed Harry si avvicinò a lui, afferrandogli la cravatta, e avvicinandolo leggermente per sistemargli il nodo. Era vicinissimo, poteva baciarlo, voleva farlo, quanto avrebbe voluto baciarlo.
Erano vicinissimi, li divideva un solo soffio…
Baciami, ti prego… sono qui, baciami, baciami…
Oh baciami, Harry, le mie labbra sono fatte per le tue, sono compatibili, ti prego, fallo, ora.
Sono tuo, avvicinami ancora un po’, ti bacio io…
Un bacio a stampo, uno solo, piccolo, minuscolo, ti prego…
Baciami, baciami, baciami… cogli l’attimo, ora o mai più baciami. Baciami ora, stupido!
“Ecco fatto, era leggermente storto.” – sorrise lasciandogli un buffetto sulla guancia, mentre Louis emetteva un verso contraddittorio, e celava la delusione del mancato bacio, attraverso un sorriso gentile, solito suo.
“Sei teso?” – chiese Harry vedendo Louis più teso di una corda di una chitarra.
“Giusto un po’.” – rispose insicuro il ragazzo, guadagnandosi un abbraccio dal riccio.
Poi, Harry gli diede una pacca sulla spalla staccandosi da lui e sorridendogli genuinamente, gli disse di guardarlo ogni volta che si sentiva insicuro, e quando il sipario si alzò, e la musica partì, Louis non staccò una sola volta gli occhi da Harry. Il riccio gli sorrideva dolcemente tutte le volte che incrociava il suo sguardo, e il castano si sentì ad un palmo da terra, pieno di sicurezza, come mai in vita sua, e quando fu il momento iniziò a cantare senza esitazione, senza paura.
Made a wrong turn
Once or Twice
Dug my way out
Blood and fire” – prese il primo respiro guardando nella direzione di Harry, era terrorizzato, la sicurezza era pochissima in quel momento, ma un nuovo sorriso di Harry cambiò nuovamente le carte in tavola.
Bad decisions
That’s alright
Welcome to my silly life” – il sorriso di Louis era radioso, mentre guardava Harry che cantava perdendosi nella canzone, che un po’ rispecchiava Louis per lui. Perché era un po’ così, impacciato, che faceva sempre le scelte sbagliate, ma davvero amorevole.
Mistreated
This place
Misunderstood
Miss knowing it’s all good
It didn’t slow me down” – Louis fece un passo verso Harry, muovendosi lentamente, mentre cantava, temeva di poter distruggere quel momento in qualche modo, del resto lui era il re delle brutte figure, ma credeva che non avesse fatto sfigurare Harry, almeno per una volta.
Mistaken
Always second guessing
Underestimated
Looking I’m still around” – deglutì, ci stava riuscendo davvero, stava cantando davanti ad una platea immensa e non poteva immaginare qualcosa di meglio, soprattutto perché Harry era con lui, accanto a lui, il migliore amico, il ragazzo che amava, era con lui. Non poteva fare brutta figura, non quella sera.
Pretty pretty please
Don’t you ever ever feel
Like you’re less then
Fuckin’ perfect
Pretty pretty please
If you ever ever feel
Like you’re nothing
You’re fuckin’ perfect to me” – il cuore di Louis perse un battito, le loro voci unite erano pazzesche. Harry stava cantando con lui, cosa avrebbe potuto mai chiedere di meglio nella sua vita? Assolutamente nulla, era tutto così perfetto da sembrare surreale.
You’re so mean
When you talk
About yourself
You were wrong” – i loro occhi erano incrociati, non riuscivano a staccarsi ed Harry cantava guardandolo negli occhi. La prima parte della seconda strofa toccava a lui, e Louis si beò della sua voce incredibile, amava quella voce, amava tutto di Harry Styles, inutile nasconderlo.
Change the voices
In your head
Make them like you
Instead” – Harry sfiorò con le dita della mano, senza motivo apparente, la mano di Louis, facendogli perdere almeno dieci anni di vita con quel tocco gentile che possedeva. Louis quasi dimenticò la strofa successiva, ed Harry emise uno sbuffo che apparve come una risatina sommessa.
So complicated
Look how we are making
Filled with so much hatred
Such a tired game” – Louis sorrise guardando Harry negli occhi mentre cantava quel pezzo. Perché lui era davvero complicato, e sapeva che probabilmente Harry l’avesse capito da una vita.
“It’s enough I don’t know
How I could think of
Chase down all my demons
I’ve seen you do the same”  - Harry cantò nuovamente, guardando Louis facendo trasparire qualcosa che nessuno, nemmeno Louis stesso capì.
Pretty pretty please
Don’t you ever ever feel
Like you’re less then
Fuckin’ perfect
Pretty pretty please
If you ever ever feel
Like you’re nothing
You’re fuckin’ perfect to me” – di nuovo, sguardo dentro sguardo, voci legate, voci unite. Loro due insieme, le loro voci: acuta contro roca, un suono perfetto che risuonava nelle orecchie delle persone quella notte. Sincronia incredibile.
The whole world’s scared
So I swallow the fear
The only thing I should be
Drinking is an ice cold beer” – Harry era gasatissimo, nemmeno Louis riusciva a riconoscerlo, nemmeno durante le prove era riuscito a far così quella parte, gli veniva sempre difficile, e invece… era perfetto. Per Louis, Harry Styles era la fottuta perfezione.
So cool in line
And we try try try
But we try too hard
It’s a waste of my time” – continuò sempre più gasato, facendo emozionare Louis come non mai, sembrava che quelle parole le stesse dedicando a lui,  non le stesse solo cantando, ma Louis non afferrò il messaggio. Non era recettivo, non in quel momento almeno.
Done looking for the critics,
‘Cos they’re everywhere
They don’t like my jeans
They don’t get my hair” – stavolta Harry si avvicinò a Louis, così tanto che il castano temette che potesse prendergli la mano davanti a tutti e farlo svenire. Forse l’aveva capito che Harry cantasse quelle parole solo ed esclusivamente per lui.
Strange ourselves and we do it all the time
Why do we do that?
Why do I do that?” – cantò ancora guardandolo negli occhi, e a quella frase, Louis non si trattenne.
Why do I do that?” – sussurrò come seconda voce, facendo sorridere Harry, che intese che il messaggio fosse arrivato forte e chiaro. 
Oh pretty pretty pretty” – Louis fissò intensamente Harry, ormai erano vicinissimi, erano diventati una cosa, entrambi persi l’uno nello sguardo dell’altro, i brividi dietro la schiena, i cuori palpitanti…
Pretty pretty please
Don’t you ever ever feel
Like you’re less then
Fuckin’ perfect
Pretty pretty please
If you ever ever feel
Like you’re nothing
You’re fuckin’ perfect to me” – cantarono l’ultimo ritornello persi guardandosi dritto negli occhi.
I microfoni tesi in avanti, i gomiti si sfioravano, gli sguardi incrociati, loro due persi l’uno dentro l’altro. La canzone che ancora suonava nelle loro orecchie. Tutto era maledettamente perfetto.
Non avrebbero mai immaginato tale complicità.
Sincronia. Ecco, era quello che li univa, erano fottutamente sincronizzati. I respiri erano intrecciati, li divideva mezzo centimetro, e avrebbero potuto baciarsi, ma la melodia non era finita. I respiri accelerati, erano una sola cosa. Louis chiuse gli occhi per un attimo, e quando li riaprì fu investito dal verde. Verde intenso, i suoi occhi, il suo verde, lui.
Harry Styles, in quel momento ad occhi chiusi, era a portata di bacio. Poteva farlo, ma non era così intraprendente, e poi non voleva che la sua dichiarazione avvenisse con un tale cliché, lui voleva fare le cose per bene.
C’era qualcosa a fermarlo, qualcosa che Louis non riusciva a spiegarsi, era una sola cosa con il pensiero fisso di Harry nella mente, era un’occasione da non buttare: “cogli l’attimo” – diceva Orazio, doveva solo farlo. Avvicinò i visi, ancora, e ancora, sempre di più, ma in quel momento Harry aprì gli occhi e :“You’re fuckin’ perfect to me” – cantò ancora, concludendo la canzone, facendo mancare un battito a Louis, specchiato nei suoi occhi, anche Harry si rese conto che Louis fosse uno specchio per lui, ma prima che potesse nascere un qualsiasi bacio, il pubblicò schizzò in piedi, bloccandoli quando ormai un centimetro li divideva. I due si riscossero, e si sorrisero soddisfatti. Louis aveva gli occhi lucidi ed era arrossito, mentre Harry un sorriso tutto denti e fossette che andava da una guancia all’altra, e stringeva la mano di Louis. L’alzò in aria insieme alla sua, ed entrambi fecero un inchino, prima di ringraziare attraverso il microfono. La magia si era spezzata, e loro due non ebbero il coraggio di guardarsi negli occhi.
“Sei stato bravissimo, Louis”
“Oh, grazie.” – un ultimo sorriso, e poi Harry voltò le spalle andando via.
Grazie per avermi fatto sentire speciale. Grazie per avermi fatto sentire perfetto. Grazie per aver cantato con me. Grazie per non essere andato via, grazie per non aver riso di me. Grazie per avermi dedicato la canzone. Grazie per la bella serata. Grazie per l’abbraccio. Grazie per avermi fatto specchiare in te. Grazie per il quasi bacio, grazie. Grazie di tutto, Harry Styles. Grazie a te, ho scoperto l’amore. Grazie.
Ti amo, Harry Styles. – pensò Louis prima di recarsi nello spogliatoio e cambiarsi. Avrebbe raggiunto le tribune e avrebbe assistito alla fine dello spettacolo, con il sorriso sulle labbra. Si era specchiato in lui, e aveva scoperto che con lui poteva essere perfetto.
 
*
 
And I've lost who I am
And I can't understand
Why my heart is so broken.
 
Non ci è riuscito.
Non è riuscito a mantenere la promessa fatta in passato, quella di non cadere più nel baratro della depressione, della disperazione, della negatività, quella di non sottovalutarsi, di non credere di essere lui la causa di tutti i mali, e invece ci è caduto, quindi a tutto ciò si aggiunge la delusione.
Quella che prova lui verso se stesso.
Quella che prova Harry verso di lui.
Si odia ancora di più in quel modo, si sente ridicolo, stupido. E’ una vera delusione, per tutti.
Persino sua madre lo considera tale, ne è sicuro, chi sarebbe fiero di lui?
Si sta lentamente autodistruggendo, ma non se ne accorge, non è consapevole di questo, vuole solo punirsi per aver portato disperazione ovunque, non solo a se stesso, vuole punirsi per essere stato deludente.
Ha il dovere di farlo, deve farlo, altrimenti non riuscirà mai a star bene davvero.
Non puoi stare bene, dimenticati lo stare bene.
Soffrirai. Devi soffrire, punisciti. Devi farlo, non sei nessuno. Sei solo una delusione. Delusione e basta.
Delusione che non sei altro, punisciti.
No, si rifiuta di credere che la voce cattiva nella sua testa abbia assunto la tonalità di quella di Harry, non è possibile, non può essere possibile. Ha sperato davvero che Harry non lo odiasse, ma ora nella sua mente suona quella voce. Quella che lui ama, ora lo odia. E non è giusto, il suo subconscio è davvero bastardo… sicuro che sia subconscio?
Quella voce un po’ roca, calda, dolce, che Louis ha ascoltato per tutta la vita, fino ai suoi attuali venticinque anni,  così bella voce, perché deve dire cose tanto orrende? Non è vero. Cerca di auto-convincersi, con scarsi risultati.
Sei soddisfatto? Hai portato distruzione ovunque. Tutto è rovinato a causa tua.
Per colpa tua tante persone soffrono, tante persone non sorridono più, ed è tutta colpa tua, della tua fifa, della tua debolezza. Sei debole, troppo debole. Non sai difenderti, e gli altri devono pagare per te.
Falla finita, tutta la popolazione mondiale starebbe se tu non esistessi, sarebbero tutti più felici.
No, no. Il suo Harry non gli direbbe mai delle cose tanto brutte.
Ti odio.
Con tutto il cuore.
No. Rifiuta di credere a quelle parole, fanno più male di qualsiasi altra cosa, sono cattive, e Harry non le direbbe mai.
Lui lo consolerebbe, lo abbraccerebbe, gli sussurrerebbe di stare tranquillo, che tutto si sistemerà, che non è colpa sua. E lo vuole così tanto da non ragionare più.
Scoppia di nuovo a piangere – quando si è davvero fermato? – e si stringe le braccia attorno al ventre, cercando un po’ di protezione, quella che nessuno gli darà mai più.
Vorrebbe le sue braccia ad avvolgerlo, a stringerlo; la sua voce a sussurrargli parole dolci, parole di conforto, quelle che gli ha sempre rivolto in momenti del genere; il suo calore per eliminare il freddo circostante; le sue mani ad accarezzarlo; i suoi tocchi gentili… vorrebbe troppe cose che non potrà mai riavere, mai.
Per colpa sua.
E’ solo sua la colpa. Se non fosse stato davvero così debole, ora non starebbe così male, avrebbe Harry con sé.
Non lo accetta, si dà la colpa, ma non accetta che ciò sia successo davvero, Harry entrerà prima o poi, ne è sicuro. Non è andato via davvero, no, lui tornerà come sempre.
Tornerò sempre da te, lo prometto.
La sua voce risuona nelle sue orecchie, ma non riesce a calmarsi, è troppo agitato, troppo triste, disperato. Ha bisogno di conforto, ma nessuno può darglielo, non c’è nessuno che lo aiuti. E piange, piange tutte le lacrime che ha dentro di sé.
Si dispera, urla, trema e improvvisamente, per calmarsi, inizia a dondolare il suo corpo sul letto, prende un piumone e lo butta sulle proprie spalle. Sparisce in esso, è troppo piccolo, quella massa enorme lo sommerge e inizia a sudare, il suo battito cardiaco aumenta in maniera esponenziale e non sa più cosa fare, si stringe forte in quello, ma l’affanno sopraggiunge e l’aria non riesce ad arrivare ai suoi polmoni. Che diavolo mi succede? Sto soffocando in un piumone? – pensa immediatamente, senza riuscire a capire cosa gli prenda. Va in panico. Non si spiega nulla. Sente quasi come se stesse per svenire, ma non avviene, ha paura. Piange a singhiozzi liberandosi del piumone e cade dal letto. Si rannicchia su se stesso tremando come una foglia. Il freddo è sopraggiunto di nuovo e lo sente nelle ossa, si tocca le ginocchia, tirandole al petto, e su di esse sente le mani gelate, e trema ancora di più, davvero non sa cosa gli stia prendendo, e piange, gli scappa anche qualche urlo. E’ terrorizzato, non sa cosa può succedergli, teme che da un momento all’altro arrivi qualcuno a fargli davvero molto male, più di quanto lui stesso se n’è fatto.
Lo merita, ovviamente, merita tutto il male, per il male che ha portato agli altri, ma si sente troppo male per realizzarlo davvero, ha paura di morire, in quel momento. Non sente più proprio il suo corpo, i tremori sono aumentati e vorrebbe solo Harry a stringerlo e far passare tutto quel dolore, quella paura, tutte quelle cose negative. Non ha mai avuto niente del genere e teme cosa possa essere.
Harry, Harry, Harry… torna, anche se mi odi, torna, ho tanta paura…
Vorrebbe davvero la sua presenza.
Vorrebbe essere tranquillizzato, perché ha davvero troppa paura che gli accada qualcosa di imprevisto che lui non vuole, che non è pronto a vivere, e quindi che Harry lo protegga come al solito.
Lo vuole accanto a lui a proteggerlo, a stringerlo forte, perché senza di lui non riesce davvero a superare quella crisi, tuttavia il ricordo di ciò che è successo sei mesi prima, ritorna violento nella sua testa, e tutto diventa buio.
 
*
 
Louis si stringeva ai fianchi di Harry, mentre questo guidava il motorino attraverso le strade londinesi. Faceva maledettamente caldo, quella mattina, e il ragazzo si stringeva forte alla vita dell’altro, lasciando che il vento si muovesse veloce nei suoi capelli, permettendo al relax di invaderlo, e al calore del corpo dell’altro di espandersi attraverso il suo.
Perché il calore del corpo di Harry era decisamente migliore di quello esterno, di quello del Sole.
Il riccio fermò la moto fuori ad un edificio bancario, e scese per primo, rivolgendo un sorriso spontaneo al liscio, che lo guardò senza capire. Dovevano andare a fare la spesa e poi andare dalla madre di Harry, no?
Cosa era cambiato?
Il riccio tolse il casco, abbassò lievemente il capo, e scosse velocemente i ricci, scompigliandoli per sistemarli. Louis trattenne il fiato nel vederlo compiere quel gesto quotidiano, quello era uno dei sui punti deboli: ogni volta che Harry muoveva quella massa di capelli scuri e riccissimi, il cuore di Louis si fermava per un attimo. La sua mente viaggiò per altre strade, le sue guance si tinsero di rosso intenso quando le sue gemme di cielo incontrarono gli smeraldi splendenti e felici del suo fidanzato.
“Haz, Haz!” – lo chiamò, riprendendosi dalla trance. Harry era già in procinto di entrare nella banca.
“Sì, Lou?” – sorrise girandosi verso di lui, illuminandolo con un sorriso carico di allegria.
“Mmh. Non dovevamo andare a fare la spesa?”
“No, amore. L’ho fatta io ieri, era una scusa per portarti con me in banca per farti firmare una cosa importante.”
“Fi-Firmare? Firmare… cosa?”
“Beh… è una sorpresa, vieni con me!” – esclamò Harry, afferrandogli la mano, intrecciando le dita in una presa sicura. Louis non capiva, a pro di cosa portarlo in banca? Cosa doveva fare?
Era in pena, non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva cosa sarebbe successo una volta, oltrepassate le porte a vetri della banca.
Con quelle domande e quei dubbi in mente, decise di fidarsi del fidanzato, e seguirlo nell’edificio, dove entrarono mettendosi in fila ad uno degli sportelli. Harry sorrideva. Era felice, Louis poteva vederlo benissimo, e non ne capiva il motivo.
“Harry, amore, mi spieghi?” – chiese in un sussurro al suo orecchio.
Harry buttò fuori l’aria, sbuffando divertito.
“Mmh. Devi firmare per il mutuo della casa. Insomma, nostra.. insomma, Lou sto comprando una casa tutta nostra, così lasceremo gli altri ragazzi in pace.” – confessò Harry.
Louis spalancò gli occhi. Harry stava comprando una casa? Una casa per loro due, solo loro due? Voleva dire impegnarsi davvero, voleva dire relazione seria, voleva dire un sacco di cose che Louis non avrebbe mai lontanamente immaginato, nonostante amasse tantissimo Harry, nonostante stessero insieme da quasi quattro anni. Stava per saltargli al collo, per abbracciarlo forte come sempre dopo un momento emozionante come quello, quando le porte della banca si spalancarono e degli uomini incappucciati fecero la loro entrata urlando che quella fosse una rapina e che dovessero restare fermi.
Louis si immobilizzò per la paura, accanto ad Harry, che velocemente gli strinse forte la mano, intrecciando le sue dita con quelle del castano, per trasmettergli sicurezza e fermare la paura che si estendeva in lui.
“Haz..” – sussurrò Louis, avvicinandosi di più a lui.
“Mettiti dietro di me, tranquillo, non ti succederà nulla, piccolo” – bisbigliò, mentre i tre uomini andavano dalle impiegate con dei sacchi per farli riempire. Louis tremava, mentre si spostava lentamente dietro la schiena di Harry, che portò entrambe le mani dietro di sé, stringendo Louis contro la sua schiena.
“Ho paura, Harry, ho paura..” – allacciò le braccia attorno ai fianchi del riccio, che immediatamente mise le mani su quelle del fidanzato cercando invano di tranquillizzarlo.
“Shh, shh, amore, non preoccuparti, andrà tutto bene, tutto bene.” – sussurrò il riccio, cercando ancora di calmare Louis, che non riusciva a sentirsi al sicuro nemmeno con Harry. Sapeva che il castano fosse particolarmente incline alla paura, e si terrorizzava davvero per poco, figurarsi durante una rapina in banca.
“Ehi, voi due!” – tuonò uno dei rapinatori. Louis strinse gli occhi e le braccia attorno ai fianchi di Harry, per la paura mentre il riccio alzò lo sguardo verso il tipo che gli puntava contro una pistola, rivolgendogli uno sguardo di sfida.
Uno dei tre si avvicinò a loro e strattonò violentemente via Louis dal corpo di Harry.
“Harry!” – urlò, riprendendo a tremare più forte di prima –“lasciatemi, lasciatemi!” – prese a divincolarsi sempre più forte.
“Ehi, prendete me, lasciate stare lui!” – tuonò Harry, avvicinandosi a quelli. –“lasciatelo immediatamente.”
“E perché dovremmo? E’ così carino.” – disse uno, allusivo, Louis deglutì, tremando ancora. Scosse la testa stringendo gli occhi, mentre Harry impotente guardava davanti a sé, cercando un modo per liberare il suo ragazzo. Guardò, guardò ovunque e riguardò, poi si accorse del campanello dell’allarme poco lontano da loro. Non poteva premerlo, avrebbe rischiato che facessero del male a Louis.
“Harry, ti prego, Harry” – sussurrava Louis, implorando il suo ragazzo di fare qualcosa, qualsiasi cosa, aveva paura, tantissima paura per lui, per Harry e per tutte le persone nella banca. Non la smetteva un attimo di tremare, e la presa di quell’uomo intorno al suo collo era salda. Il riccio si guardava intorno, spaesato, e Louis implorava aiuto con lo sguardo.
Mentre due degli uomini erano impegnati a riempire i sacchi con i soldi, il terzo teneva Louis, Harry decise di agire: prese la ricorsa e ignorando la pistola del ladro puntata, corse verso di loro, atterrando il rapitore e afferrando Louis per un braccio tirandolo dietro di sé.
Non ebbe i riflessi pronti, però.
Uno sparo ferì l’aria, e lui si ritrovò accasciato a terra. Il dolore era allucinante, e un urlo si estese per tutto l’ufficio bancario: era Louis, che si accucciò contro il corpo di Harry e tentò di premere con le proprie mani il sangue che sgorgava dal petto del riccio.
“Harry… Harry…” – sussurrò mentre le lacrime scendevano veloci dai suoi occhi. Qualcuno urlava di chiamare un ambulanza, i criminali afferrarono i sacchi e fuggirono via, mentre Harry era lì, in una pozza si sangue, il respiro debole, come il battito. – “dovevi lasciarmi con loro, no-non dovevi farti colpire…”
“L-Louis, d-dovevo pro-tegger-ti...” – stringeva gli occhi e il respiro si spezzava ad ogni parola – “s-tai be-ne?”
“Sto bene, stupido, sto bene…” – lo guardò supplichevole, mentre il riccio cercava ossigeno o qualsiasi cosa gli permettesse di respirare meglio – “l’ambulanza sta arrivando, ti salveranno… non lasciarmi…”
“N-No… n-on ti la-scio…” – chiuse appena gli occhi, ma respirava ancora.
Louis lo stringeva quando l’ambulanza arrivò, temeva il peggio, il battito era quasi assente, e il petto si alzava troppo lentamente, ma quelli arrivarono in pochissimi minuti, e fecero scostare Louis dal suo corpo quasi inerme, non riusciva a respirare, Harry era stato colpito a causa sua, gli avevano sparato per colpa sua. Non era giusto, doveva esserci lui lì per terra.
“E’ ancora vivo, muoviamoci e portiamolo in ospedale!” – urlò uno di loro.
Allora Louis riprese a respirare.

 
*
 
Apre gli occhi quando ormai è già giorno.
Sorride, il sogno, o flashback, gli ha fatto capire che c’è ancora speranza, che Harry è in ospedale, e tornerà presto. Che stupido è stato a credere che Harry  lo avesse abbandonato sul serio. Decide di prepararsi, di darsi una sistemata, prima di andare a trovarlo, in fondo, è quello il suo dovere. Ha sprecato tempo a stare male, ed Harry… sta bene. E’ solo uno stupido, avrebbe potuto fare una telefonata.
In fondo, Harry l’ha promesso.
Tornerò sempre da te, Louis, sempre. Te lo prometto.
La mente umana è contorta, è complicata, molto complicata, specialmente quando è così fragile, come quella di Louis, basta una piccola convinzione per far sì che tutto sia più reale. Ed è quello che ha fatto Louis, ha reso reale un suo pensiero. Prende la felpa migliore di Harry, quella con la H stampata all’altezza del cuore, perché è esattamente lì che lui ha Harry, nel suo cuore. La chiude, sistema i capelli, si sciacqua il viso, si rade via quella barbetta insipida che è cresciuta, e poi va allo specchio, quello di quel famoso Natale e si specchia.
In quel momento si estranea dal mondo circostante.
Chiude gli occhi, il cervello si stacca dal pensiero normale. Niente è più normale in quella casa, dopo quell’assenza. Ed è mentre è in camera sua davanti allo specchio che sistema il colletto della camicia che accade.
Vede la figura di Harry davanti a sé, nello specchio.
“Harry…” – sussurra con un filo di voce. Non crede ai suoi occhi, la sua figura è lì, davanti a lui, in quello specchio. Non può credere ai suoi occhi, è… meraviglioso.
Gli occhi verdi splendono, il sorriso è abbagliante, le fossette sono lì, presenti sul suo volto, e i ricci perfetti come al solito, lui è bellissimo, come lo è sempre stato. Ma Harry è bellissimo sempre e comunque.
Il suo cuore batte fortissimo, lo rivede finalmente. Dopo tutto quel tempo.
Allora la stella remota ha realizzato il suo desiderio, gli ha riportato Harry, e lui… ha mantenuto la promessa, è tornato, è con lui lì.
A volte, il dolore porta a fare sciocchezze, a vedere cose inesistenti, e nel caso di Louis, il dolore ha portato visioni. E’ così distrutto che lo vede nello specchio, come se esso fosse il famoso Specchio delle Brame, presente nel primo libro di Harry Potter, lo specchio che illude, quello che ci fa vedere come sarebbe la nostra vita da felici, quando siamo infelici.
Louis non può credere ai suoi occhi.
E’ tutto così meraviglioso, che stenta a crederci.
Vuole toccarlo, oh sì, ne ha il bisogno fisiologico, deve toccare quella pelle chiara, bianca come il latte, perché è troppo tempo che non la sfiora, che non la tocca. Vuole con tutto se stesso toccarla, lasciar scivolare i polpastrelli lungo le sue dita, intrecciare le mani. Oh quanto gli piacerebbe.
Allora lo fa, percorre tutta la distanza che lo separa dallo specchio, e lo guarda da vicino.
Harry alza una mano per salutarlo, e la agita piano.
Louis è così felice…
Harry non è arrabbiato con lui, Harry lo saluta.
Harry è tornato, Harry è di nuovo con lui.
Sorride ancora, non si accorge che quel riflesso non è altro che lui. E’ totalmente accecato dal dolore, che vede Harry nello specchio, lì dove dovrebbe vedere la sua immagine. Il suo pensiero si è avverto. Ora lo specchio mostra il suo riflesso  migliore, l’altra metà, quella migliore, cela il lato oscuro e porta alla luce la parte migliore.
Si avvicina allo specchio, eliminando totalmente la distanza tra loro.
“Harry, oh mio dio, sei tu…” – sussurra, e il riflesso annuisce. Non si accorge che è lui ad annuire. – “sei tornato da me, da me. Haz, hai mantenuto la promessa, io non ci credo, è meraviglioso…” – le lacrime bagnano di nuovo il suo viso. L’illusione è un’arma a doppio taglio, fa male, ma non te ne accorgi subito. – “oh amore, amore mio… quanto sono stato male, quanto avevo bisogno di te…” – sussurra. Ha paura che urlando tutto finisca, che alzando la voce tutto si esaurisca, che Harry non lo voglia più, e che svanisca così com’è arrivato. Preferisce fare tutto in silenzio, a bassa voce. Non sa che non andrà mai via, perché è solo un riflesso generato dalla disperazione e dalla tristezza.
Allunga pian piano una mano verso il vetro, e vede che il riflesso di Harry compie lo stesso movimento.
Mi vuole, Harry mi vuole ancora. Grazie, amore mio, grazie. Non farò mai più errori, lo prometto. – pensa felice.
Le mani si congiungono attraverso il vetro. Louis chiude per un attimo gli occhi e lo sente. Sente la mano di Harry sotto la sua, sente tutto, ma non può toccarlo come vorrebbe, c’è quel maledetto vetro a separarli.
“Voglio venire da te, Haz…” – sussurra – “non andare via, resta qui…”
Riapre gli occhi, e Harry è ancora lì di fronte a lui.
Deve capire come passare attraverso lo specchio, perché deve raggiungerlo, è questione di vita o di morte, da solo non ce la fa più, sta impazzendo, ha bisogno di qualcuno, perché così non può continuare.
“Posso passare attraverso lo specchio?” – il riflesso non risponde, non si muove, resta immobile, la mano ancora contro il vetro dello specchio. Una dentro e l’altra fuori. Un muro di vetro a separarli, il velo della pazzia.
Cosa può fare l’illusione, vero?
L’estraniazione dal reale non è mai lo soluzione più giusta, alla fine riserva sempre qualche brutta sorpresa.
Louis si siede davanti allo specchio, e vede il riflesso fare lo stesso.
Vuole passare, ma come può fare? Una soluzione varrebbe l’altra. Ormai è estraniato dal reale, nulla sarebbe impossibile nella sua dimensione. Neanche tornare indietro nel tempo e riprendere il corpo di Harry, o riuscire a passare davvero dall’altro lato dello specchio.
Rasenta il baratro della pazzia, ora.

 
*
 
Era un giorno davvero felice, quello.
Louis era emozionato, Harry lo aveva invitato al matrimonio di sua madre, e non era una novità che loro due stessero insieme, tutti potevano saperlo, vederlo, sentirlo. La madre di Harry si risposava dopo diversi anni di solitudine a causa del divorzio, avvenuto quando Harry era poco più che un bambino piccolo. Louis vedeva il riccio felice, veramente felice, lo era per sua madre, che finalmente trovava la felicità, e si ritrovò a pensare che magari un giorno anche lui avrebbe potuto essere così felice, magari Harry avrebbe chiesto a lui di sposarlo un giorno, e sarebbero stati felici, insieme.
Il matrimonio era andato benissimo.
La cerimonia era semplicissima, Harry era il testimone, e Louis lo osservava soddisfatto dal suo posto, una lacrima d’emozione a rigargli la guancia. Le mani gli tremavano, e non sapeva perché fosse così. Insomma, un po’ lo sapeva, ma non era il suo matrimonio, era quello della madre del suo fidanzato, ma l’allegria di Harry era così travolgente da coinvolgere tutti, Louis compreso.
Dopo la cerimonia e il consueto lancio del bouquet – che era stato afferrato per sbaglio da Louis, e l’aveva porto ad una bambina che aveva già il labbro tremulo perché non l’aveva afferrato – Harry rivolse un sorriso al suo ragazzo, e dopo aver ricevuto gli auguri si recò da lui, intrecciando le dita alle sue dolcemente. Louis si strinse al fianco di Harry, sorridendo per la dolcezza del gesto del ragazzo, e lasciandogli un bacio delicato sulla guancia, insieme a tutta la famiglia della sposa, i due ragazzi si recarono al ricevimento. Anche la sala del ricevimento era molto semplice, organizzata in tre diverse sale: la prima per il rinfresco, la seconda per la cena e la terza per l’apertura della torta e la fine della serata. Erano arrivati da poco, Louis, intimidito, non osava muoversi dal suo posto, al sicuro lontano dalla confusione. Non sopportava mangiare davanti alle persone, e nemmeno mettersi in fila per prendere le cose, non era da lui, era troppo timido per esporsi così tanto, ed optò per restare seduto, ad osservare le persone, soprattutto una: Harry, che aveva fatto accomodare la madre, ed era lui ad andare avanti e indietro con qualche piatto per lei, che essendo la sposa non aveva modo di allontanarsi a causa delle persone che le facevano continuamente gli auguri. Louis era così timido da non riuscire nemmeno ad avvicinarsi a loro, poi immaginava che si sarebbe sentito in imbarazzo con loro, si sarebbe sentito uno di troppo, non essendo davvero parte della famiglia, nonostante lui ed Harry fossero fidanzati in casa da un po’ di tempo, e soprattutto perché sua madre ed Anne fossero molto amiche, ma dopo diversi anni che avevano perso i contatti. Louis convenne che fosse meglio non avvicinarsi per non sentire domande imbarazzanti, e poi… dannazione, Harry era davvero perfetto. Come poteva non esserlo?
Passarono circa quindici minuti, poi sentì una mano sulla sua spalla, e quando voltò lo sguardo, incrociò quello di Harry, e un sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra.
“Ciao bel ragazzo, sei libero?” – chiese ridacchiando il riccio.
“Aspettavo il mio ragazzo, a dire la verità.” – fissò gli occhi nei suoi, sorridendo felice.
“Oh… un tipo fortunato…” – fece pensieroso Harry, guardandolo dolcemente - “posso offrirti qualcosa? Mia madre ha lasciato un sacco di cose. Ora è a fare le foto, ci vorrà un po’.” – ridacchiò – “sempre se il tuo ragazzo non è geloso!”
“Oh no, abbiamo una… relazione aperta.”
Harry scoppiò a ridere e posò le labbra su quelle di Louis, prima di incitarlo a mangiare qualcosa insieme a lui, e nonostante il castano si rifiutasse costantemente, il riccio riuscì ad imboccarlo diverse volte.
Il resto del ricevimento trascorse allegramente.
Louis, superato l’ostacolo della timidezza, era riuscito ad avvicinarsi alla madre di Harry, e superato anche lo scoglio del sentirsi di troppo, aveva iniziato a sciogliersi con tutti, e a parlare tranquillamente. Si spostarono nell’altra sala, e Harry teneva sempre Louis per mano, non vergognandosi nemmeno un attimo di lui, come il castano avrebbe potuto pensare qualche volta.
Anne lo invitò addirittura a sedersi accanto a loro durante la cena.
Tra risate, chiacchiere, forse qualche bicchiere di troppo e allegria la serata passò velocemente, e il taglio della torta arrivò. Erano circa le undici di sera, ma Louis non riusciva a sentire la stanchezza sul suo corpo.
Quando i due sposi tagliarono la torta, Harry salì su un piccolo palchetto e i musicisti suonarono la canzone da lui suggerita: “Isn’t she lovely”, la cantò guardando la madre, e di tanto in tanto, cambiava “she” con “he” e fissava un Louis arrossito e sorridente. I due sposi iniziarono a ballare all’interno della sala, sulle note cantate da Harry, e Louis non poteva esserne più felice.
Non appena Harry scese dal palco, abbracciò la madre, e poi baciò delicatamente Louis, sotto gli occhi felici dei parenti, che contenti per lui applaudivano.
“Sarete voi due i prossimi!” – esultò la madre del ragazzo. Harry sorrise mostrando le fossette, e Louis arrossì come suo solito. Era tutto dannatamente perfetto, poteva essere più felice di così?
Una bambina piccola, probabilmente una cugina, si avvicinò al riccio e gli chiese se potesse danzare con lei, quando i musicisti ripresero con melodie lente e dolci. Il riccio annuì prendendola in braccio e si diresse al centro della sala iniziando a farla volteggiare, facendola ridere tantissimo, e Louis non riuscì a non immaginare Harry con una bambina loro tra le braccia: un papà perfetto.
Dopo nonne, zie e cugine che gli chiesero un lento, Harry si avvicinò a Louis porgendogli la mano.
“Il tuo ragazzo si ingelosisce se balli un lento con me?” – chiese con la voce bassa, roca e dolce, ma leggermente divertita.
“Direi di no…”
Louis gli afferrò la mano e lo seguì.
Harry portò una sua mano all’altezza del cuore, intrecciando le loro dita, e Louis appoggiò la testa sulla sua spalla, lasciando che il riccio lo stringesse forte, e lentamente iniziarono a muoversi su quelle note dolci.
Louis era felice. Il suo cuore batteva all’impazzata, e sotto la mano, poteva sentire anche il battito accelerato del suo ragazzo, che sussurrava parole dolci al suo orecchio, sconnesse tra loro. Si guardavano negli occhi, e in essi potevano specchiarsi.
Harry era lo specchio di Louis, dopotutto.  
Erano da soli nella sala, erano abbracciati, danzavano da soli, musicisti esclusi.
Louis si alzò sulle punte, e portò un braccio dietro al collo di Harry, appoggiando delicatamente le labbra sulle sue, per un bacio casto, a bocca chiusa, romantico come pochi. Solo qualche occhio curioso li guardava, un po’ invidioso del sottile legame che li univa.
 
*
 
Improvvisamente si trova in uno stato indefinito di ansia.
Vuole far uscire Harry dallo specchio, o vuole raggiungerlo all’interno di esso, ma vuole trovarsi esattamente tra le sue braccia, ne ha la maledetta necessità. Vuole Harry, lo rivuole accanto a sé.
Magari è stato solo un brutto litigio, magari lo perdonerà.
Se lo raggiunge, Harry lo perdonerà, ne è sicuro. Ma non sa come fare, non sa come attraversare il vetro, se fosse nei libri di Harry Potter, e quello fosse davvero lo Specchio delle Brame… potrebbe desiderare di volerlo, come Potter ha preso la pietra filosofale dallo specchio, lui potrebbe prendere Harry, no?
Si avvicina allo specchio, e appoggia una mano sopra esso. Sorride vedendo la mano di Harry a contatto con la sua di nuovo. La sua mano è così piccola rispetto a quella del riccio…
Inizia a respirare di nuovo affannosamente, e a tremare.
No, non davanti ad Harry, ti prego, non davanti a lui…
“Harry…” – sussurra rannicchiandosi su se stesso – “scusa, non vorrei che mi vedessi in questo stato, vorrei essere perfetto per te, come sempre…”
Vede il riflesso di Harry piegarsi come lui, vede le sue braccia allungarsi verso di lui, e chiude gli occhi. Immagina di trovarsi tra le sue braccia, immagina il suo profumo – che in realtà proviene dalla felpa indossata – lascia che il calore di Harry lo invada, e cerca di calmarsi, ma trema fortissimo. Gli viene da piangere, ha paura, ha voglia di urlare, teme che qualcuno entri in casa e gli faccia del male, ha paura che Harry svanisca così com’è arrivato, ha paura che qualcosa vada storto, perché niente deve andare storto. I battiti del suo cuore aumentano, le pupille si dilatano, sente il cuore pompare fortissimo il sangue, ha paura che succeda qualcosa al suo corpo.
Porta una mano alla bocca, sente lo stomaco sotto sopra, come la nausea… ed ecco un conato di vomito, che viene respinto indietro. Trema ancora, ecco, lo sa, il suo corpo sta per esplodere e lui non può fare niente per fermarlo.
Non sa cosa siano quelle sensazioni, ma ha paura.
E’ terrorizzato.
Non sa che accadrà, non sa che succederà.
Vuole andare da Harry, e non sa come fare. Magari se prende la rincorsa e corre verso il vetro, riuscirà ad oltrepassarlo, magari come un fantasma.
In fondo, lui è come un fantasma. Si sente un automa, comandato da una mente superiore, un po’ come delle persone senza sentimenti, quelle che perdono totalmente la propria personalità, diventando simili a robot. Il problema è che lui non riesce a sbarazzarsi delle emozioni, se esistesse uno strumento in grado di togliergli le emozioni, e farlo smettere di soffrire, starebbe meglio, invece no, non esiste, e lui è ancora se stesso, ed è a terra, tremante, impaurito, con il fiato corto e il battito cardiaco accelerato.
Spera che la morte sopraggiunga presto, perché non può vivere così.
Poi apre gli occhi, e si ritrova di fronte Harry, il riflesso.
“Aiutami Harry, aiutami…” – sussurra. Allunga una mano verso lo specchio, ne sfiora la superficie e il riflesso di Harry gli sfiora la mano. E’ felice, ora.
Lo vede sorridere e si domanda come mai lui non ci riesca.
Se Harry sta bene, ed è vivo, perché lo è, è lì di fronte a lui, allora perché sta così male dentro?
Oh, forse ha capito.
Hanno litigato, qualche giorno fa.
E’ come se la sua mente fosse tornata indietro nel tempo, a quando ancora stavano insieme, a quando Harry era con lui. Allora con la voce bassa, spezzata dalle lacrime, e dal respiro corto, il cuore ancora pompante che batte nella sua cassa toracica, si rivolge al riflesso di Harry.
Ormai è distrutto, non ha più niente per cui lottare, non ha più niente, se non ha lui.
Magari così facendo, chiedendogli scusa, lui oltrepasserà quello specchio, ritornerà da lui e lo riabbraccerà.
Magari riuscirà a farsi perdonare. Lui lo ama dannatamente tanto.
Guarda quel riflesso, e fa un mezzo sorriso.
“Haz… Haz…” – lo chiama – “perdonami, ti prego, non volevo… io… lo sai che sono geloso, non volevo arrabbiarmi.” – piange, ora piange disperatamente – “sono uno stupido, ma sono insicuro tanto insicuro.” – trema come una foglia – “ti prego, perdonami… ti prego…” – singhiozza senza ritegno – “io ti amo, ti amo così dannatamente tanto che fa male, malissimo quando non sei con me. Ti supplico, torna…” – stringe la felpa tra le mani, annusando dal colletto il suo odore – “ti prego, ho bisogno di te, senza non posso stare bene, oh Harry, ti prego, ti prego… sei tutto ciò che ho, tutto…” – confessa, la voce rotta dalle lacrime – “ti supplico, resta qui con me, torna…” – stringe le gambe al petto, rannicchiandosi su se stesso sul pavimento tenendo lo sguardo fisso su Harry – “non posso essere felice, se tu non ci sei… “ – piange ancora, piange sempre – “sei tutto… tutto per me. Io…” – la voce si spezza, si rompe, dimentica ciò che vuole dire, e non parla per diversi minuti – “…ti amo, oltrepassa lo specchio, fallo per me.” – il riflesso non si muove, ma Louis non lo vede, ha gli occhi chiusi ora – “ti amo, torna... perdonami.” – sussurra, prima che il buio lo avvolga di nuovo. Ha freddo, ma si stringe nella felpa di Harry, trema ancora, ma non importa, ha gli occhi più gonfi che mai, il suo viso è contratto in una smorfia di dolore, e il suo corpo è scosso da violenti tremiti che lo fanno sbattere ripetutamente contro il freddo pavimento. Non sa bene, cosa accade in quel momento, sa solo che a un certo punto, tutto ciò che ha intorno, smette di girare, i tremiti quasi cessano, le lacrime si fermano.
Vede tutto buio, l’ansia, la paura e la tristezza ormai lo hanno divorato.
Il riflesso di Harry è vicino a lui, in qualche modo.
E Louis dorme agitato, ricordando il motivo per si sta scusando.

 
*
 
Quello era un giorno speciale. Louis lo sapeva. Era un anno che stava con Harry, era un anno intero, erano trecentosessantacinque giorni che erano una coppia, era stato l’anno più bello e pazzesco della sua vita, perché c’era stato il riccio al suo fianco.
Aveva organizzato tutto nei minimi particolari.
Sarebbe tornato prima a casa, poi sarebbe andato a fare la spesa, successivamente si sarebbe recato a casa, e avrebbe preparato le lasagne, poi le avrebbe infornate, e contemporaneamente cotto delle fette di carne in una padella e insieme ad esse avrebbe fritto delle patate. Poi avrebbe spento il forno, lasciando però la temperatura alta, e sarebbe uscito un attimo, andato dal fioraio, comprato le migliori e le più belle coroncine di fiori, qualche petalo di rose, e un bigliettino, successivamente una volta tornato avrebbe apparecchiato la tavola, cospargendola di petali di rose colorati, e candele profumate, avrebbe poi abbassato le persiane in cucina e, non appena avrebbe sentito la porta aprirsi avrebbe acceso le candele posizionate sulla tavola, e avrebbe tolto tutto il preparato dal forno, l’avrebbe servito a tavola, e dopo aver cenato, avrebbe rivelato la chicca della serata: un dolce preparato da lui, il giorno prima.
Il problema maggiore dell’organizzare così dettagliatamente una giornata, era l’imprevisto. Ciò che Louis non avrebbe mai pensato, nemmeno nei suoi più lontani sogni, o meglio l’aveva immaginato, ma non che accadesse proprio il giorno del loro anniversario, il giorno in cui Louis voleva dare il meglio di sé davanti al suo ragazzo, per provare a sembrare almeno all’altezza del giovane Styles che era sempre più sorprendente, nonostante Louis lo conoscesse fin dalla tenera età, Harry era un tipo imprevedibile, pronto sempre a sorprendere chi gli stava accanto. Quella sera, l’aveva sorpreso negativamente.
Louis aveva preparato la cena, aveva apparecchiato, e aspettava solo che Harry entrasse dalla porta. Indossava il suo completo migliore: felpa di Harry, pantaloni della tuta comodi, piedi scalzi. Avrebbe voluto uno smoking, ma poi sarebbe sembrato troppo, in fondo, Harry tornava dal lavoro, ed era… giusto che lui si adeguasse all’altro. Sperava in un bel regalo da parte di Harry, in fondo, il riccio non si smentiva mai. I suoi regali erano sempre i migliori.
La gamba destra tamburellava contro il pavimento, e le dita picchiettavano sul tavolo, in preda all’ansia.
Erano le otto passate di Harry nessuna traccia. Lo sguardo era puntato fisso sull’orologio.
Alle otto e trenta minuti, il cellulare di Louis squillò. Il ragazzo lo afferrò, rispondendo senza nemmeno controllare chi fosse.
“Sì, pronto, chi è?” – fece sbrigativo.
“Amore, sono io. Senti, è il compleanno di Nick, vado a bere qualcosa con lui, non aspettarmi sveglio, magari ordina una pizza visto che non cucino io, ci vediamo, notte!” – urlò Harry, senza dare il tempo a Louis di rispondere.
Aveva dimenticato il loro anniversario per Nick Grimshaw.
Non trascorreva l’anniversario con lui per colpa di Nick Grimshaw.
Una cosa era chiara nella mente di Louis: odiava Nick Grimshaw.
Il mondo gli era crollato sulle spalle, ma non si perse d’animo. Si alzò lentamente dal suo posto, andò al forno e tirò tutto fuori, posizionandolo sul tavolo, poi accese le candele, sedendosi e attese.
Attese per ore infinite. Attese che Harry tornasse.
Erano le quattro del mattino quando la porta con lentezza si aprì. Le candele si erano consumate da cinque ore, ormai, e Louis era calmo, apparentemente.
Il riccio entrò in cucina, probabilmente per bere un bicchiere d’acqua e accese la luce. Non era ubriaco, era abbastanza sobrio, Louis poteva intuirlo dalla camminata. Restò paralizzato quando, entrato in cucina, vide Louis seduto, gli occhi segnati da occhiaie profonde, anche gonfi, segno che avesse pianto, ma soprattutto lo stupì la cura con cui era preparata quella tavola, le candele consumate, la cena ormai fredda e… il cuore di Louis spezzato, poteva sentirne l’eco espandersi per quella stanza troppo fredda.
“Louis, ma cosa…?”
“Buon anniversario, Harry.”
Deluso come non mai, si alzò. Era per quello che aveva aspettato. Non gli aveva fatto gli auguri perché voleva farlo di persona, ma se l’avesse fatto per messaggio, tutta la fatica sarebbe servita a qualcosa e invece no. Non era servita a nulla.
“Louis, aspetta!” – urlò seguendolo, e fermandolo per un braccio. Il castano subito si liberò dalla sua presa quasi assente e lo guardò in modo truce.
“Ti ho aspettato, sono le quattro. Ho sonno, vado a dormire.” – lapidario, freddo come il ghiaccio.
“Potevi dirmi che avevi preparato tutto quello.”
“Dovevo ricordarti io che ieri fosse il nostro anniversario?” – sbottò – “dovevo fare il patetico e dire ‘oh Harry, ti prego, torna a casa, passiamo il nostro giorno insieme’?” – urlò – “è questo che dovevo fare?” – chiese urlando – “beh, scusami, credevo che queste cose si facessero in due e non in uno!” – ancora urla su urla – “la prossima volta, fattelo pure Grimshaw, visto che ci sei!” – urlò, sperando di ferire Harry tanto quanto fosse ferito lui – “tanto chi se ne frega del povero, sfigato, piccolo Louis a casa che si fa un culo quadrato in cucina per uno stronzo come te, Harry Styles!”
La mano di Harry partì, veloce, fulminea. Colpì la guancia di Louis, lasciandogli un segno rosso sul viso. Il castano portò una mano sul viso, gli occhi pieni di lacrime.
“Dio, Louis, io…”
“Non dire niente. Non voglio sapere nulla.” – salì velocemente gli ultimi scalini lasciandolo lì da solo e pensieroso. Arrivò in camera, prese un cuscino e si diresse al divano senza una parola.
Non poteva nemmeno più sfogarsi ora.
Ed era colpa sua. Solo sua, non era abbastanza per Harry, Harry meritava di meglio, magari proprio Nick Grimshaw. In mano aveva ancora il bigliettino che voleva consegnare al fidanzato, ma non ne ebbe il coraggio, non dopo quello schiaffo.
Lo specchio che rappresentavano aveva una crepa. Tra le lacrime, Louis si addormentò con il foglietto stretto al petto.
“Ciao amore mio, buon primo anniversario.
Grazie per quest’anno meraviglioso insieme, vorrei viverne altri mille come questo.
Sei la mia metà, la mia persona, il mio migliore amico, il mio ragazzo, il mio tutto.
Il mio specchio.
Sei speciale, Harry Styles, e io ti amo.
Ti amo tanto, davvero tanto.
Per favore, non lasciarmi mai andare via da te, non lo sopporterei, morirei, senza di te.
Con tutto il mio cuore,
Per sempre tuo, LT.”

 
*
 
Quando Louis si riprende, si specchia di nuovo, e stavolta vede se stesso, al posto di Harry.
Teme già che sia andavo via, ed ha il tempo di osservarsi.
Ha quasi paura di come è diventato: magrissimo, occhi gonfi, rossi e scuri, i capelli spettinati ricadono sul suo viso, è gonfio, tremendamente gonfio. Gli occhi ridotti a due fessure, gli zigomi fanno male, le labbra rosse e gonfie, e tutto il viso sembra immerso in una bolla.
Ha paura, non sa esattamente di cosa, ma ha davvero tanta paura.
C’è qualcosa in quella stanza che lo spaventa, c’è qualcosa che non sa cosa sia, forse è proprio lui stesso, che gli fa provare quella sensazione tremenda di paura.
E’ spaventato dal suo aspetto, allora chiude gli occhi, attendendo che la sua metà migliore ricompaia, e lo faccia apparire migliore, come da sempre Harry fa con lui.
E’ irrequieto, ha paura, trema e soffre, non capendo il motivo.
Harry è lì, lo sa. Deve solo ricomparire.
Oh, è impazzito, decisamente impazzito.
Come può Harry trovarsi in quella stanza?
Secondo i suoi ricordi è in ospedale, vero?
Perché Harry è in ospedale.
No, sono qui con te, amore. Mi vedi?
Sente la sua voce nella testa, allora riapre gli occhi, e lo vede. Vede però il suo riflesso, quello brutto, orrendo, accanto a quello perfetto di Harry.
“Sì, ti vedo, Haz…”
Toccami la mano, vieni qui… avvicinati allo specchio.
“Staremo di nuovo insieme?” – chiede in un sussurro avvicinandosi allo specchio, allungando una mano verso di esso per posarla sul vetro freddo.
Sì, amore, staremo insieme. Tutto il tempo che vuoi. – risponde, facendo spuntare un sorriso sulle labbra di Louis.
“Per sempre?” – chiede sorridendo, ancora e ancora e ancora, come sempre quando è con lui.
Per sempre. - La voce di Harry nella sua testa è così reale, così vera, che Louis ne è quasi spaventato, ma non riesce a non sorridere. Harry è lì, con lui. Nessuno può portarglielo via, non più, non ora.
Appoggia la mano sul vetro, e finalmente sorride. Non è un sorriso vero, purtroppo, è una smorfia di dolore, di risentimento verso se stesso, è una smorfia che racchiude la pazzia a cui è stato portato dal dolore. Non è propriamente pazzia, è più una sorta di disturbo post traumatico.
Ovviamente, il trauma è stato la sparatoria avvenuta davanti a lui, che non ha ancora superato.
Lo sa che con l’aiuto di Harry, può farcela.
Harry deve solo uscire dall’ospedale.
“Haz, ho così tanta paura senza di te…”
Lo so, amore, ma staremo insieme.
“E se non ti faranno tornare da me?”
Sarai tu a venire da me.
“Posso, davvero?”
Tutte le volte che vuoi.
“Adesso…”
Non è ancora il momento. – cosa significa? Perché non è il momento? Non ha sofferto abbastanza? Perché tutto è così crudele con lui? Non sa cosa fare, e allora piange. Non sa perché stia piangendo, ma lo fa. Piange senza motivo. La sua mente ha appena formulato il pensiero che per vedere il suo Harry debba aspettare altro tempo, e non regge. Non può più reggere. Cosa deve più sopportare la sua mente? Il trauma, l’abbandono… è rimasto senza di lui, non regge più.
Ha paura. Paura di non rivederlo mai più, paura che quello sia solo un sogno, paura che Harry non sia più con lui, paura che i ricordi lo assalgano tutti insieme, paura del giudizio altrui, paura che tutto vada via, scompaia.
Inutile a dirlo, vuole raggiungere Harry dentro allo specchio, lo vuole con tutto il cuore, ma da lì non riesce a muoversi, è come se la sua mente sia bloccata lì. La mano contro lo specchio, il cuore tra le mani, e il riflesso di Harry accanto al suo. Può sentirlo, oh sì, lo sente.
Lo abbraccia da dietro, lo stringe forte, lo culla e… - “I’m in love with you, and all your little things” – canta per lui, esiste cosa più bella di quel ragazzo? Esiste più perfezione di lui?
Lo sente oscillare contro il suo corpo, come la notte dell’ultimo anno di scuola – fatto insieme perché Louis si era fatto bocciare di proposito per diplomarsi insieme a lui - come quando si sono baciati la prima volta, come… come hanno ballato durante il matrimonio della madre di Harry, come tutti i loro momenti felici.
Ora che ci pensa, deve fare le valige. Appena Harry tornerà, dovranno trasferirsi nella nuova casa.
Lui è fermamente convinto di ciò, eppure non riesce ad allontanarsi.
“Vivremo insieme, vero, Haz?”
Sì…
“Nella casa nuova?”
Certo piccolo.
Finalmente tutto sembra tornare al proprio posto, finalmente Louis sembra essere nuovamente felice, perché, come potrebbe non esserlo con Harry così vicino a lui? Così vicino, ma anche così lontano? Harry è lo specchio di Louis.
 
*
 
Finalmente era arrivato.
Il ballo del liceo, quello a cui tutti ambivano di partecipare per tutto il percorso di studi seguito. Quella serata speciale, da passare con la persona amata, quel momento in cui tutte le paure svanivano, lasciando spazio all’audacia e alla sicurezza.
Quella in cui Louis avrebbe voluto essere stretto ad Harry, e non lasciarlo andare mai più.
Perché era lui colui che avrebbe voluto invitare al ballo, non quella stupida di Eleanor, non erano una coppia fissa, e nemmeno si frequentavano, ma lui era solo, a lei un ragazzo aveva dato buca, si erano incontrati fuori, ed avevano deciso reciprocamente di non presentarsi soli. Ovviamente Louis non avrebbe mai ballato con lei, se non poteva avere Harry, non avrebbe avuto nessun altro.
La serata trascorreva nella noia totale: un paio di drink analcolici, due chiacchiere con Liam – quando Zayn lo lasciava riposare – un paio di brindisi con Niall, una birra, e… niente Harry. Harry era impegnato a strusciarsi contro due ragazze, prima, un’altra poi, e a spezzare – di conseguenza – il cuore di Louis, che lo fissava senza farsi notare troppo.
Solo Liam sapeva della cotta stratosferica che lui aveva per Harry, solo Liam sapeva quanto amore era in grado di cedere, ma che nessuno volesse mai ricevere. Gli sarebbe bastata una volta, una sola in cui qualcuno preferisse lui a qualsiasi altro essere vivente, e invece no, tutti erano migliori di lui, e lui ne era consapevole, maledettamente consapevole.
Era triste essere al ballo, ma non ballare con nessuno, ma osservare.
Louis non guardava, lui osservava.
Una ragazzina ubriaca che cercava di ballare con il campione di football.
Un ragazzo decisamente troppo sopra le righe che cercava di passare inosservato.
Un altro giovane intendo a correggere i cocktail analcolici.
Il ribelle di turno che disturbava la quiete.
Il secchione che cercava di mostrarsi almeno per una volta, per l’ultima volta.
C’era Liam, che in quel momento, durante il lento, aveva la testa appoggiata alla spalla di Zayn e lasciava che l’altro lo guidasse sulle note romantiche, poi c’era Niall che invitava una ragazza qualsiasi ad unirsi a lui per quel ballo, Eleanor che aveva trovato un cavaliere migliore per la serata, una sua compagna di classe che avvolgeva le braccia attorno al collo di un giovane ben piazzato…
E poi c’era lui.
L’ultima scelta. Colui che nessuno avrebbe mai invitato a ballare, colui che se ne stava in un angolo, attendendo che l’amore della sua vita, prima o poi lo notasse, colui che soffriva in silenzio, che preferiva soffrire piuttosto che rovinare tutto.
Spostò lo sguardo per la sala, e poi lo vide.
Piegato in un angolo, probabilmente intento a vomitare.
Il suo sesto senso gli suggerì di raggiungerlo e aiutarlo, era Harry, in fondo, non poteva lasciarlo solo, era il suo amore, dopotutto.
Con un paio di falcate veloci, lo raggiunse e si assicurò di ciò che stava accadendo.
Harry, la solita testa calda, aveva bevuto troppo, e ora stava male.
“L-Lo sapevo che saresti venuto, L-Lou…” – sussurrò affaticato, appoggiando le sue mani grandi contro quelle piccole ed esili di Louis, intrecciando le dita – “dopotutto, tu ci sei sempre quando ho bisogno…”
Il fiato era corto, Harry si era messo in posizione eretta, e la sua schiena era appoggiata contro il petto del castano, e il suo cuore batteva realmente troppo forte. Poi si rigirò tra le sue braccia, e si ritrovarono faccia a faccia.
“D-Di co-sa hai b-bisogno, Haz…?” – chiese Louis, ancora con il fiato corto.
Harry lo guardò sorridendo furbamente. Lui sapeva cosa voleva, lo aveva intuito, sapeva che Louis sapesse tutto, ma voleva stuzzicarlo ancora un po’. Louis era estasiato. Non aveva mai avuto Harry così vicino, era ad un palmo da lui, erano vicinissimi, un soffio li divideva, e Harry non si decideva a parlare, lasciava Louis con l’ansia addosso, l’ansia di qualcosa che doveva arrivare.
“Mi concederesti, l’onore di questo ballo, solo io e te…?” – sussurrò ad un palmo dal suo viso. Louis avvampò, e affondò il viso contro la spalla di Harry, cercando di nascondere il rossore. Del resto, il giorno dopo Harry avrebbe dimenticato tutto, e lui avrebbe conservato quel ricordo per sempre. Carpe Diem. Doveva farlo, era compito suo. Doveva cogliere l’attimo, doveva farlo per se stesso, per avere almeno un ricordo felice, uno solo di quegli anni trascorsi al liceo.
“Sì, sì, sì…” – sussurrò contro la spalla di Harry, e il riccio sorrise. Appoggiò le mani contro i fianchi di Louis, e spinse l’altro ad allacciare le braccia intorno al suo collo. I visi erano vicinissimi, i respiri si fondevano e i loro cuori battevano all’impazzata.
Era così forte quello che circolava tra loro da apparire surreale, qualcosa che nella realtà non sarebbe mai esistita.
Louis era estasiato. Avere Harry tra le proprie braccia, o trovarsi tra le sue braccia, che dir si voglia, era la sensazione più bella, afrodisiaca, eccitante, emozionante, dolce, bellissima, entusiasmante, che non aveva eguali. Superava tutto.
Era meglio di quella volta che aveva incontrato uno dei suoi attori preferiti.
Era meglio di quella volta in cui era andato a New York con la scuola.
Era meglio di quando si era esibito – sempre con Harry, anche se quella volta era stata emozionante ugualmente – allo spettacolo di fine anno.
Era meglio di tutte le belle emozioni provate nella sua vita. Era qualcosa che avrebbe conservato per sempre, perché non gli capitava tutti i giorni di trovarsi così a stretto contatto con il ragazzo che lui amava. Era troppo bello per essere vero, era tutto ciò che avrebbe sempre voluto provare, ma gli bastava per una sera, non chiedeva tanto una sera, ed era stato accontentato. Non avrebbe mai più chiesto niente nella sua vita, niente. Tutto era perfetto.
Poi l’inevitabile accadde.
Harry si fermò esattamente al centro della pista, nessuno li vedeva, ormai era tardi e loro avevano ballato nascosti da occhi indiscreti per tutta la serata. Il riccio era ancora ubriaco, quindi non se ne rese conto, ma si abbassò fino al livello di Louis, e lo baciò delicatamente sulle labbra. Era solo un bacio a stampo, ma per Louis era tutto.
Assaggiò le labbra di Harry, ne gustò ogni singola piegatura, ogni singolo rigonfiamento, le accarezzò con le sue, beandosi del contatto breve che ebbe con esse. Quando lentamente Harry si staccò da lui, Louis restò per interminabili minuti con gli occhi chiusi, e quando li riaprì fu investito dal verde. Il verde intenso degli occhi di Harry, un verde mischiato all’azzurro dove i suoi occhi e quelli dell’amato si incontravano. Quelli dove poteva specchiarsi e vedersi sempre impeccabile.
Gli occhi dell’amore, lo specchio della sua anima.

 
*
 
Improvvisamente realizza una cosa.
Lui non è con Harry, lui è solo.
Lui è rimasto solo dopo quel giorno. Ha mandato via tutti, lo ricorda, ha cacciato Liam, Zayn e Niall dalla casa che hanno preso insieme anni prima, ha voluto rimanere da solo, perché quella casa gli ricorda Harry. E nessuno può vivere nella casa che gli ricorda Harry, sarebbe come profanare il suo ricordo.
Ha mandato via sua madre, lo ricorda, quando da lui si è recata per aiutarlo. Ha respinto persino le sue sorelle, era il suo inconscio a suggerirgli di andare lontano da tutti, di isolarsi.
Il riflesso di Harry nello specchio lo aiuta a ragionare. Se non vi fosse, lui sarebbe totalmente solo.
Si stacca da esso, cammina avanti e indietro per la stanza, e si appoggia contro la porta, lasciandosi scivolare contro di essa sedendosi a terra, rannicchiandosi su se stesso.
Ha cacciato Liam, colui che l’aveva supportato in tutti i momenti; ha cacciato Zayn, il miglior compagno di fumate clandestine nei corridoi dell’High School; ha cacciato Niall, il suo compagno di bevute e confidente; ha cacciato sua madre, colei che l’ha messo al mondo tanti anni prima.
E Harry?
Ha cacciato anche lui via?
No, non l’avrebbe mai fatto, lui ama Harry, lo ama più della sua stessa vita. Harry è tutto, non l’ha cacciato davvero, vero? Oh dio, non se lo perdonerebbe mai, non può averlo cacciato davvero. E’ irreale. No, non l’ha fatto.
Non Harry, non il suo compagno per la vita, il suo tutto.
Il ragazzo che ama, dannazione, se lo ama. Quello per cui darebbe la vita, colui che ora…
Lo specchio!
Corre verso lo specchio, lo osserva.
“Harry, Harry!” – urla, sperando di rivederlo apparire, ed eccolo lì, appena si piazza davanti allo specchio, Harry arriva. Sì, è decisamente lo Specchio delle Brame, quello. – “non ti ho mandato via io, vero? Non ti ho mandato via…” – è sull’orlo delle lacrime, ha paura, vuole fuggire, perché dannazione, perché Harry è nello specchio e non materialmente con lui?
Calmati Louis, non è colpa tua, non mi hai mandato via tu.
E allora? Perché non sei qui con me? Perché?”
Nega, nega a se stesso la risposta che sente.
Non vuole, non la vuole ascoltare, non è vero. Non è assolutamente vero.
Non  è successo, non è davvero successo.
Urla, è disperato.
Si piega su se stesso, è addolorato.
Piange, non riesce a fare altro.
Trema, ha paura. Una paura incessante dentro di lui, che lo distrugge dall’interno.
Tutto combacia, tutto è chiaro ora. Ecco perché è solo, ecco perché si sente in colpa. La risposta arriva da quelle parole pronunciate dalla voce di Harry nella sua testa. E no, non le accetta. Non è vero.
Non è accaduto.
Ha paura, ha una maledettissima paura che tutto sia vero, forse si spiegherebbero la pazzia, il vomito, la depressione, la tristezza, la delusione, il voler Harry.
E’ solo. Sa di esserlo, lo è rimasto per volontà sua, ma ora ha così maledettamente bisogno di qualcuno che vorrebbe rimediare a tutti i suoi errori commessi. Non vuole soffrire, non vuole stare da solo, vuole solo qualcuno che lo consoli, ma non c’è nessuno. E’ solo, senza Harry è solo. Non può vivere bene senza di lui, senza e sue braccia, senza le sue carezze, senza i suoi tocchi, senza di lui. Non ci riesce, non sarebbe vita, senza la sua presenza, e soffre, soffre come non ha mai sofferto. Nega a se stesso cos’è successo, lo nega con tutte le sue forze. Vuole solo lui accanto. Anche se avesse tante persone intorno, senza di lui sarebbe solo, ma ha paura di restare totalmente solo, perché ammettiamolo, a chi piacerebbe stare soli? A nessuno, tanto meno a lui.
Lui per stare bene ha bisogno di Harry. E nega ciò che la voce ha detto, continua a negarlo mentalmente.
“No, no, no…” – nega a voce. Nega con il corpo, scuote la testa.
Non vuole, non vuole accettarlo, è una soluzione troppo cattiva, è troppo crudele. La vita non può avergli davvero portato via tutto, non può davvero avergli portato via Harry, il suo Harry, il suo amore, il suo tutto.
Lo rivuole, quindi decide che per essere felice deve attraversare il vetro, lo specchio. Magari rompendolo aprirà un varco, vuole farlo, perché non ha più senso vivere senza di Harry. Non può farlo, è… tutto vuoto, tutto orrendo, tutto brutto.  Rivuole essere felice. Vuole ritornare a sorridere davvero.
Si guarda, e non si piace, non si è mai piaciuto, ma Harry gli dava sicurezza.
Si osserva, e vede solo un ragazzo distrutto e provato da tutto.
Le parole dolorose risuonano nella sua mente, e lui cade sempre più nell’abisso tremendo della disperazione, della depressione, della tristezza. Tutto è orrendo, ora. La verità lo colpisce come uno schiaffo violento sul viso, e tutto non ha più senso, tutto è tremendo.
Ha paura, urla ancora. Nega, nega fino all’inverosimile. Fino a che quelle parole non diventano vere, fino a che non si ripetono così tanto in mente da apparire veritiere, ma no, non possono esserlo, Harry deve stare con lui, l’ha promesso. Harry deve solo attraversare il vetro e tornare da lui, e abbracciarlo.
Deve attraversalo, e lo prega di farlo, ma quello scuote la testa, rassegnato. Louis deve accettarlo, non può negare che è successo, purtroppo. E’ successo e nessuno può farci nulla, lui non può cambiare nulla, non si torna indietro nel tempo.
Sono morto.

 
*
 
Dopo la sparatoria, Harry era stato ricoverato d’urgenza.
Louis aveva paura di perderlo. Insomma, Harry lo aveva protetto, era colpa sua. Se si fosse limitato a tremare, e a farsi portare via dai rapinatori, Harry starebbe bene, Harry non sarebbe in quella sala operatoria.
I minuti trascorrevano inesorabilmente lenti, Louis sentiva le lancette dell'orologio ticchettare incessantemente. Gli avevano chiesto di contattare la famiglia di Harry, e la madre, Anne, arrivata da pochi minuti, era seduta accanto a lui. Entrambi aspettavano notizie di Harry, possibilmente positive, perché non potevano immaginare la vita senza un figlio, Anne, e senza un fidanzato, Louis.
“C-come è successo?” – chiese la donna, cercando di non guardare il ragazzo accanto a lei. Non lo accusava, ovviamente, ma guardarlo le avrebbe portato alla mente il figlio, e in quel momento non voleva pensare al peggio.
“I-io… eravamo in banca…” – la voce di Louis tremò, non riusciva a parlare tant’era l’agitazione – “e-e poi… sono entrati, erano armati e-e… Harry mi ha fatto nascondere dietro di lui” – le mani tremavano, la voce incrinata – “m-mi hanno strattonato lontano da Harry, i-io…” – un singhiozzo scappò dalla sua bocca – “poi Harry… Harry ha cercato di aiutarmi, e-e… “ – si fermò, non riuscì a continuare. Quel ricordo faceva male.
Harry che si accasciava a terra, Harry che perdeva i sensi.
Le poche parole dette tra gli spasmi.
Harry che sveniva.
“T-ti prego, n-non riesco a dirlo…”
Anne lo guardò. Capì con un solo sguardo quanto male potesse stare Louis: si sentiva in colpa.
Sapeva che il ragazzo si sentisse in colpa perché Harry era stato ferito per salvarlo, e allora lo abbracciò. Lo avvolse nelle sue braccia, e lo strinse forte, lo fece appoggiare contro la sua spalla, e gli accarezzò la schiena delicatamente. Voleva confortarlo, perché sapeva cosa volesse dire perdere una persona amata, e lei stessa stava perdendo il figlio, ma in quel momento voleva aiutare suo genero a stare meglio, perché se lei riusciva a mantenere viva la speranza in lei, mentre il ragazzo era molto fragile e provato. Alla tristezza del fidanzato in quelle condizioni, si aggiungeva il trauma di averlo visto colpito dal colpo di pistola, averlo visto cadere.
Louis si strinse alla donna, piangendo a singhiozzi. Non era mai stato così male, e rivoleva Harry, lo rivoleva dannatamente.
“Non volevo… io non volevo, è tutta colpa mia…” – singhiozzò.
“No, Louis, tranquillo, non è colpa tua.”
I singhiozzi di Louis erano forti, non voleva trovarsi lì, voleva stare ancora con Harry, sulla sua vespa, ancora su quella sella, dietro di lui, stringersi a lui. Ma no, non poteva perché Harry era in uno stupido ospedale, con degli stupidi dottori e non era con lui. Gli avevano sparato, era in sala operatoria, era… no, non era morto. Avevano urlato che fosse vivo, lo era. Era vivo. Lui lo sapeva.
Passarono ore interminabili, prima che un medico uscisse dalla sala, pulendosi le mani.
Sangue di Harry? Oh mio dio…
“Siete parenti di Harry Styles?” – chiese l’uomo, guardando Louis ed Anne che erano corsi verso di lui, e lo imploravano con lo sguardo di dire qualcosa su Harry – “è grave. Non voglio mentirvi. Abbiamo estratto il proietti, e il ragazzo ha superato una crisi, ma non siamo sicuri che superi la notte, il proiettile ha sfiorato il cuore.”
Louis sentì le gambe venire meno. Lo sapeva, era arrivato il momento, ma lui non era pronto, la sua mente non era pronta ad affrontare questo. Poteva affrontare tutto, ma non la morte di Harry, tuttavia annuì, insieme ad Anne, tutti e due non proferirono parola. Louis non sapeva cosa fare. Insomma, erano in una situazione difficile, dovevano decidere chi dovesse entrare con Harry. Louis non voleva che la madre rinunciasse a vedere suo figlio, e non voleva lui non vederlo mai più.
“Facciamo così. Vado prima io, poi vai tu. E ci alterniamo.” – esordì la donna. Non avrebbe lasciato che suo figlio andasse via, senza aver tentato prima qualcosa. Il ragazzo annuì, senza contestare. Sì, avrebbe lasciato che la donna facesse ciò che credeva meglio per la situazione. La sorella di Harry non era in città, ed era meglio così, avrebbe sofferto di meno, rispetto a come sarebbe stata stando lì, immersa nel dolore insieme a lui ed Anne.
Aveva paura. Come poteva non averne? Il suo ragazzo… stava per morire. Si sentiva solo.
Quando fu il suo turno, comunque entrò e inorridì a vederlo in quello stato: pieno di tubi, il petto fasciato, la coperta sulle gambe, gli occhi chiusi e le mani distese accanto ai fianchi. Si avvicinò e si sedette accanto a lui. Gli sfiorò la mano, e scoppiò in lacrime.
“Harry, Harry, mi senti?” – chiese disperato – “ti prego, non lasciarmi, ti prego…”
L’elettrocardiogramma aumentò la velocità del battito e Louis si immobilizzò. Cosa significava?
Chiamò gli infermieri, i dottori, tutti coloro che potessero aiutarlo, e restò accanto ad Harry.
“Resta con me, ti prego, Harry, resta con me, qui con  me, ti prego, ti prego…” – il bip del cuore di Harry iniziò a rallentare, sempre di più, sempre di più., e più diminutiva il rumore, più la linea diminuiva la sua altezza, diventando man mano più piatta.
I dottori lo spostarono, tentarono di tutto, dal massaggio cardiaco, al defibrillatore, fecero iniezioni, ma il ‘bip’, piatto, senza vita giunse alle orecchie di Louis, che dilatò le pupille alla massima apertura, scosse violentemente la testa, spostò i medici da Harry, dal suo Harry e urlò. Urlò come mai in vita sua. Urlò disperato, mentre quel bip diventava sempre più piatto e fastidioso.
“Harry, resta, resta!” – urlò – “resta con me, resta con me…”
I dottori non riuscirono proprio a toglierlo da lì, per portarlo via, il castano si ribellò, e tornò al capezzale del fidanzato, immerso nella disperazione. Lo aveva perso per sempre.
“Ora del decesso, 02.30.”
Louis singhiozzava, stringeva il corpo di Harry, piangeva, urlava… era disperato, non riusciva più a far nulla, se non quelle azioni di tristezza, non sarebbe più riuscito a vivere, non l’avrebbe mai più fatto davvero.
Era morto con lui, quel giorno. Magari il suo corpo era vivo, ma la sua anima era morta.
Si addormentò tra le lacrime, sul corpo senza vita di Harry, e si risvegliò nel suo letto a casa sua, in uno stato psicologico non identificato. Era diventato un automa.
E Louis aveva perso se stesso.
Si era perso quella notte, quando aveva perso Harry.
Louis non era più una persona.
Era solo un corpo che vagava alla ricerca della sua anima, perché lui aveva perso la sua, l’aveva persa per sempre.
Lo specchio si era rotto, e nulla più sarebbe stato uguale, lui non sarebbe mai più stato se stesso.

 
*
 
Such pain as this
Shouldn't have to be experienced
I'm still reeling from the loss,
Still a little bit delirious.
 
“NO!” – urla Louis.
“NO!” – urla di nuovo, disperato.
La mano appoggiata contro il vetro.
“NO!” – rabbia, rabbia repressa che si estende in lui.
Harry non è morto, sono gli altri che vogliono solo convincerlo di questo, vogliono fargli il lavaggio del cervello, lo sa, vogliono fargli dimenticare chi è, e ci stanno riuscendo, perché ogni secondo che passa è più vicino alla pazzia, al non ricordare più chi sia.
“NO!” – urla ancora, rivolto allo specchio, vorrebbe colpirlo, ma perderebbe l’unica possibilità di rivedere Harry, eppure lui lo sente, Harry è lì con lui, non lo ha davvero lasciato.
Perché i suoi ricordi vanno contro di lui?
Non può tornare indietro e dimenticare ciò che ha appena vissuto nella mente? Non vuole ricordare quel giorno, è un ricordo non suo, non lo sente suo. Lui ha solo ricordi belli, quelli con Harry, quelli meravigliosi quelli in cui sono felici, quelli in cui litigano, ma ogni coppia litiga, no? Poi si chiarisce, si fa l’amore e tutto passa. Come è successo a lui ed Harry dopo uno dei primi litigi, quello dell’anniversario. Louis ricorda come Harry si sia fatto perdonare il giorno dopo, portandolo a cena fuori, perché tutti i suoi ricordi non sono così?
E’ arrabbiato.
Lo sente dentro di sé, sente la rabbia scorrergli nelle vene, fino ad esplodere nella sua testa, tutto è in tensione, si sente come una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere.
Tic, 3…
Si sente così oppresso, così chiuso, senza senso, così solo… così arrabbiato. Rivuole il suo Harry, chiede troppo? Non chiede tanto, in fondo, non può tornare a casa e mettere fine all’angoscia?
Tic, 2…
Ha paura, una maledetta paura che lo riduce in brandelli, che non lo fa ragionare, che lo sta portando lontano dai confini della realtà. Ha così tanta paura che è arrabbiato, ma il motivo è ignoto.
Tic, 1…
Il cuore inizia a battere forte nel petto, il sangue ribollisce nelle sue vene, e sente come se tutto quello fosse sbagliato, perché lui dovrebbe essere con una persona, al suo fianco e non lì in quella casa da solo.
Tic, 0.
BOOM.
La bomba esplode.
Louis esplode.
La sua rabbia esplode.
Inizia ad urlare disperato. Prova rabbia verso se stesso, perché non avrebbe dovuto permettere ad Harry di morire, prova rabbia verso Harry, che non avrebbe mai dovuto lasciarlo solo, prova rabbia verso sua madre, che se n’è andata all’improvviso, è semplicemente sparita lasciandolo solo – sotto sua richiesta - prova rabbia verso le sue sorelle, che non gli hanno mai fatto una telefonata – secondo lui – prova rabbia verso la madre di Harry, che si è offerta di stargli accanto dopo la morte di Harry, ma non è rimasta, è andata via da Londra perché non sopportava quella città dove il figlio aveva vissuto, prova rabbia verso Liam, perché è andato via, prova rabbia verso Niall, che ha seguito Liam, prova rabbia verso Zayn perché è sempre stato il cagnolino di Liam, prova rabbia verso Gemma, la sorella di Harry, perché non è mai venuta a trovarli, perché non è mai andata da Harry nemmeno in ospedale e non si è presentata al funerale, troppo dolore per una sola persona.
Ma soprattutto, prova rabbia verso se stesso.
E’ tutta colpa sua.
“NO!” – urla di nuovo, e continua a ripetere quella parola, la ripete all’infinito, come se quella potesse eliminare il senso di colpa, perché sì, è tutta colpa sua. Se non fosse stato per lui, Harry sarebbe vivo, sarebbe accanto a lui,  lo abbraccerebbe, lo stringerebbe, e lo proteggerebbe. Invece si trova da solo, senza Harry, senza nessuno al suo fianco, immerso nel dolore, nella disperazione, nella rabbia. Non accetta ancora che Harry sia morto, no per lui è solo un brutto sogno, e attende che Harry vada lì da lui e lo svegli. Nel frattempo urla, piange, si dispera. Porta le mani nei capelli e inizia a tirarli forte, quasi per strapparli da essa, vuole che tutto si esaurisca in quel preciso momento, vuole morire. Non per raggiungere Harry, ma per togliere un fardello così grande dal mondo.
In fondo, è solo colpa sua se le cose brutte accadono, e sono accadute. Come la sparatoria, è colpa sua. Perché se non avesse parlato, se non avesse tremato, Harry non lo avrebbe mai difeso, non gli avrebbero mai sparato, e lui starebbe bene, a casa. Magari sotto le coperte con lui, a proteggerlo dal freddo che sente dentro.
Cade a terra, trema e piange. Non sa come fermare quel dolore incessante nel petto, ma sa come potersi sentire meglio. Se solo avesse la forza di alzarsi dal pavimento, si dirigerebbe nel bagno, e annullerebbe le sue sofferenze con una piccola lama. Invece non ci riesce, resta a terra.
Pieno di rabbia, di dolore e di paura.
E’ scosso da forti tremiti, che non riesce a placare in nessun modo, nemmeno guardando lo specchio.
“Abbracciami, ti prego, abbracciami, ho bisogno di te, Harry…” – sussurra rivolto allo specchio.
Chiudi gli occhi, rilassati. Io sono qui, sono vicino a te.
E Louis ubbidisce. Chiude gli occhi e si culla piano da solo, immaginando che sia proprio Harry a cullarlo in quel modo così dolce ed affettuoso. Ecco, ora sta meglio. Le braccia di Harry lo avvolgono – secondo lui – e non potrebbe chiedere di meglio, finalmente tutto sembra tornare a posto, tutto sembra chiudere un cerchio tremendo. Harry è lì accanto a lui, ha promesso che sarebbe stato sempre lì, accanto a lui, ed Harry è un ragazzo che mantiene le promesse.  Si lascia andare, ma continua a piangere ed urlare, fino a che le sue urla non diventano un sussurro e lui si rilassa completamente, abbandonando il dolore per un po’, chiudendo la mente e zittendo i ricordi, addormentandosi.
Arriverà il momento in cui si addormenterà e non si risveglierà mai più?
 
*
 
“Sei pronto, amore?” – sussurrò Harry, avvolgendo un braccio attorno ai fianchi del fidanzato, che appoggiò la testa sulla sua spalla, tremando appena. Era pronto? Non lo sapeva.
Avevano riunito le loro famiglie quella sera per parlare con loro.
Era quasi un anno che i due stavano insieme, ma non avevano ancora ‘fatto coming out’ con le loro famiglie. Qualcuno sospettava qualcosa di loro due, ma nessuno mai aveva fatto domande, in fondo, i due erano sempre stati uniti fin da bambini.
Louis temeva il giudizio altrui, per questo non aveva mai detto a nessuno né di essere gay, né di stare con Harry, aveva paura che sua madre lo mandasse via, che suo padre non lo accettasse più come figlio, che la madre di Harry ripudiasse il figlio per colpa sua, che le sue sorelle non gli parlassero più… aveva paura semplicemente di tutto ciò che lo circondava, e per sua fortuna aveva Harry al suo fianco che lo supportava in ogni scelta, giusta o sbagliata, e aveva accettato il nascondersi per un po’.
“S-sì. Lo sono.” – affermò con la voce tremante. Harry non aveva ancora suonato il campanello, voleva accertarsi che Louis fosse pronto, che non si tirasse indietro. Certo, voleva rivelare a tutti di amare un ragazzo, ma non uno qualsiasi, il suo ragazzo, il suo Louis, ma voleva che fosse sicuro, non voleva che il castano si pentisse di quel coming out affrettato. Non voleva affrettare niente, voleva attendere la sicurezza del castano e non metterlo in difficoltà.
Lo voltò verso di sé con dolcezza, e appoggiò una mano contro la sua guancia, con delicatezza l’accarezzò guardando il ragazzo fisso negli occhi. Louis poteva perdersi in quelle iridi verdi, tanto quanto Harry poteva perdersi nelle sue azzurre.
“Sicuro, amore? Non voglio forzarti. Voglio che tu sia sicuro.”
“V-Voglio, s-sì, io…” – distolse lo sguardo dal suo, fissandosi i piedi, aveva paura, era evidente.
“Louis” – gli mise due dita sotto il mento e gli fece alzare la testa, proiettando i suoi occhi smeraldo in quelli dell’altro – “possiamo non dire nulla. Non voglio che tu te ne penta, okay?” – appoggiò la fronte contro la sua – “non aver paura, non diremo niente se non sei pronto, credimi.” – sussurrò con dolcezza, guardando il ragazzo negli occhi, e Louis credette sul serio di poter svenire da un momento all’altro.
“T-Tu resterai con me?”
“Sempre.”
“E se andasse male?”
“Sempre.”
Louis sorrise, e finalmente smise di tremare. La sicurezza che Harry gli infondeva non aveva eguali. Era come se con lui accanto potesse fare qualunque cosa, anche coming out con le famiglie. Con Harry era così, tutto più bello, tutto più felice, perché aveva la certezza di averlo sempre al suo fianco, e non se ne sarebbe mai andato, l’aveva appena detto.
“Facciamolo.” – sussurrò Louis, prima di chiudere gli occhi e baciare Harry con dolcezza e delicatezza. Il riccio sorrise contro le sue labbra, e lo strinse più forte a sé, sottolineando con quel gesto l’appartenenza indiscussa di quel ragazzo.
Poi, dopo il bacio, finalmente suonarono il campanello, e furono accolti dalla sorridente madre di Louis, che abbracciò subito il figlio, e poi abbracciò Harry, facendoli accomodare dopo pochi istanti.
Durante la cena, Harry era rilassato, completamente, mentre Louis era un po’ più agitato, ma con la mano stretta a quella di Harry sotto al tavolo, poteva anche rilassarsi, perché sicuro che con lui niente sarebbe mai andato male.
Harry intrecciò le dita con quelle di Louis, e il castano capì che quello fosse il momento. Dovevano parlare, ma il riccio più veloce, si alzò in piedi, stringendo ancora la mano di Louis.
“Beh, ecco. C’è una cosa che vorrei dirvi, anzi che vorremmo dirvi.” – lanciò uno sguardo dolce al giovane, che imbarazzato si alzava e lo affiancava, con un sorriso che trasmetteva che fosse tremendamente a disagio e imbarazzato.
“Dite pure” – incitò Jay, la madre di Louis, fissando i due ragazzi orgogliosa.
“Io e Louis stiamo insieme, ci amiamo.” – sorrise guardando fisso il ragazzo, che dopo la frase di Harry si rilassò e si strinse al suo fianco, lasciando che una mano di Harry andasse dietro la sua schiena e lo stringesse forte, mentre il riccio gli lasciava un bacio sulla tempia, per tranquillizzarlo.
“Come insieme?” – chiese il padre di Louis. Il ragazzo si immobilizzò, temeva quella reazione.
“Insieme, significa che siamo fidanzati, che ci amiamo.”
“Ma siete due ragazzi!” – ribatté il padre di Harry – “non è naturale!”
Harry spalancò gli occhi, e si immobilizzò. Lui non aveva previsto una reazione del genere. La madre lo guardava leggermente spaesata, e il padre lo guardava con astio, con disprezzo. Louis sentiva la presa venire meno sulle sue mani, e per una volta decise di intervenire lui, per Harry, perché lui gli era stato accanto tutto quel tempo. non voleva che Harry stesse male, non doveva, non lo meritava, e se suo padre non accettava la relazione, era solo uno stupido. Sentiva la rabbia ribollire dentro di sé, verso quell’uomo.
“E’ la cosa più naturale che io conosca.” – la voce sottile di Louis fece riscuotere tutti, e il silenzio si spezzò – “è la cosa più bella che potesse capitarmi.” – intensificò la presa sulla mano di Harry, trasmettendogli sicurezza – “e lei non è nessuno per dire che non è naturale. L’amore non si controlla, io ed Harry ci amiamo. Ci specchiamo l’uno nell’altro, siamo fatti per stare insieme.” – sorrise, non era mai stato più sicuro di qualcosa come l’amore per Harry nella sua vita – “e le posso assicurare che niente di tutto quello che noi facciamo è diverso da quello che lei fa con sua moglie.” – il riccio si strinse al suo fianco, ringraziandolo con lo sguardo – “siamo nati per amarci, sa? Lei non può nemmeno immaginare quanto sia bello stare con suo figlio.” – era così fiero del suo ragazzo che doveva farlo capire a tutti – “e… non sa quanto è forte quello che ci unisce.” – lo guardò negli occhi stavolta – “io sono così felice con lui, e spero che Harry sia felice quanto me.” – si voltò di nuovo verso l’uomo – “e lei dovrebbe essere fiero di suo figlio, per-…” – Harry non gli diede modo di finire la frase. Lo voltò verso di sé, e premette le sue labbra su quelle del castano, facendolo arrossire, e castamente, dolcemente lo baciò davanti a tutti. Restarono fronte contro fronte, mentre le loro madri applaudivano fiere dei loro ‘bambini’. Entrambi ne furono contenti, almeno qualcuno li accettava, a differenza dei due padri, che restarono fermi.
Harry li ignorò e si perse negli occhi di Louis.
“Grazie per le parole che hai detto.” – sussurrò – “ti amo” – affermò prima di baciarlo nuovamente, Louis allungò le braccia dietro al suo collo, e lo strinse a sé, rispondendo dolcemente al bacio.
 
*
 
Dorme.
Louis dome. E’ agitato, ma non gli importa.
Lui dorme, continua a dormire, ed è come se non sentisse tutto il dolore che lo circonda.
Dorme agitato, gli incubi popolano i suoi sogni, e vorrebbe solo smettere di sognare, e vivere lontano da tutto quel dolore, smettere persino di vivere, pur di non soffrire più così tanto.
Spera che il sonno lo tenga con sé, non lo faccia risvegliare mai più.
Magari Morfeo è così buono e giusto, da tenerlo tra le sue braccia e non farlo risvegliare più, perché la sua vita non avrebbe senso, non ora, non in quel momento, non senza Harry. Ogni senso positivo è perso.
Harry è il senso di tutto, e ora l’ha perso.
Vuole con tutto il suo cuore far smettere quei pensieri, quegli incubi, ma non ci riesce. Teme che lo soffochino, che non lo facciano più respirare. Ha paura, ne ha ancora tanta.
Più respira, più soffre, perché deve continuare a farlo? Magari soffocasse nel sonno, andrebbe tutto bene, sarebbe di nuovo con Harry.
Scaccia dalla mente il pensiero che lui è morto, lo scaccia di nuovo, ma non può a lungo, sa che starà di nuovo male, perché quel ricordo continuerà a tormentarlo, allora cerca di rifugiarsi nei suoi sogni più belli, cerca di immaginarsi insieme ad Harry. Le sue palpebre sono pesanti, chiuse tra di loro, ma lui non dorme. La sua mente non smette di elaborare pensieri su pensieri.  Harry, la sua vita, il suo passato, la sua famiglia, i suoi amici, Harry, la sua morte, la sparatoria, la sua colpa, la corsa in ospedale, Harry, il suo amore, la sua dolcezza, Harry, i suoi occhi, Harry, la sua voce, Harry, la sua altezza, Harry, i suoi muscoli…
Harry, Harry, Harry, Harry…
Non può vivere senza di lui, lo sa.
Lo sa fin da quando era piccolo, lo ha sempre saputo. Harry è tutto, un maledetto tutto per lui.
L’ha odiato da piccolo.
Gli ha voluto bene da adolescente.
Lo ama da adulto.
Ed è un susseguirsi di sentimenti contrastanti dentro di sé, perché ha così maledettamente bisogno di lui, perché è fottutamente innamorato e non può pensare nemmeno un attimo la sua vita senza quel riccio tutto fossette, altezza e zucchero.
Sente un’enorme frustrazione su di sé.
Perché non può averlo quando lo vuole così dannatamente tanto?
Perché deve soffrire, cosa ha fatto di male?
Perché Harry non è con lui?
E’ morto. E’ morto. E’ morto.
“No, no, no…” – sussurra nel sonno. Gli incubi lo tormentano ancora, la sua mente produce sempre più ricordi terrificanti: litigi, separazioni, tradimenti. Tutte cose che Louis non ricorda se siano frutto della sua immaginazione o realmente accadute. E’ tutto così confuso, e lui è così frustrato da tutto questo.
Non capisce, non riesce a capire cosa lo blocchi nel tunnel della tristezza.
Se tutto ciò che ha ricordato, o ha sognato è frutto della sua immaginazione, Harry è vivo.
Sorride rilassandosi nel sonno, e gli sembra che gli abbiano somministrato del sonnifero, perché improvvisamente tutti i muscoli si rilassano.
Harry è vivo, è la notizia più bella che abbia mai ricevuto dopo il suo ‘ti amo’. Come può aver davvero creduto che fosse morto? E’ assurdo.
Viene cullato dalla voce immaginaria di Harry nella sua testa, sente cantare parole che ha letto una volta sul taccuino del suo ragazzo, “Don’t let me, don’t let me, don’t let me go... ‘cause I’m tired of feeling alone, don’t let me, don’t let me go, ‘cause I’m tired of feeling alone...” – le sente nella sua testa e piange nel sonno, sa che Harry quella canzone l’ha scritta dopo un litigio, ma non l’ha mai cantata, perché… non sa il motivo, sa solo che non l’ha mai davvero cantata, ma l’ha scritta, per lui. Perché non vuole che Louis lo lasci andare, perché non vuole sentirsi solo. Ed è quella la volta in cui Louis ha bisogno di quella canzone, perché è stanco di essere solo, stanco di non averlo accanto.
Anche se si illude che lui prima o poi si trovi accanto a lui, sa che non accadrà mai, non di nuovo, resterà solo. E ha paura di questo, perché è stanco di soffrire. E allora canta mentalmente, sperando che Harry lo senta, prima o poi, e torni da lui. La voce di Harry non smette di cantare, e continua a sussurrare nella sua mente quelle parole dolci scritte per Louis. Il castano sorride nel sonno, mentre piange e improvvisamente si ritrova nel passato.
Finalmente un po’ di felicità…
Non vuole soffrire più, vuole solo avere Harry accanto, come quando erano bambini. Non si lasciavano mai.
Vuole abbracciarlo, e stringe inconsciamente il cuscino di Harry, ancora impregnato del suo odore, ma inondato dalle lacrime di Louis. Oh quanto vorrebbe che Harry sia lì accanto a lui, e lo sente.
Sente le sue braccia al posto del cuscino, sente il suo profumo, e sente la protezione che ha sempre avuto con lui.
L’illusione è un’arma a doppio taglio, tanto quanto il subconscio, ed entrambe insieme sono distruttive.
Louis vuole solo stare bene, vuole solo illudersi che vada tutto bene, e allora lo fa.
Immagina che Harry sia lì, e funziona.
Si rilassa finalmente, contro quello che crede essere il corpo del suo ragazzo, e finalmente i bei sogni tornano a popolare la sua mente.
Ma quest’illusione, per quanto durerà?
 
*
 
Louis aveva un po’ di paura.
Aveva solo dieci anni, e gli avevano detto che dovesse essere operato alle tonsille e alle adenoidi, perché gli si erano ingrossate al punto tale, che lui non riuscisse più a respirare. La cosa un po’ lo spaventava.
Doveva essere ricoverato in ospedale per due giorni, e sicuramente avrebbero fatto tanto male le punture. Aveva solo dieci anni, in fondo, e poi non voleva lasciare solo il suo migliore amico, Harry, che aveva solo sette anni.
Insomma, erano stati insieme per due anni durante le elementari, e avevano fatto tutto insieme, dalla ricreazione, all’uscita da scuola, compresa l’entrata, e i compiti a casa. Non potevano essere divisi per due giorni.
Harry era troppo piccolo, e non poteva andare a trovarlo, e lui aveva paura.
Non era paura semplice, più che altro era terrore.
Non gli piacevano gli ospedali, non gli erano mai piaciuti, e doveva affrontare due giorni in ospedale senza il suo migliore amico, e poi sarebbe stato addormentato, il dottore gliel’aveva detto, si sarebbe addormentato e non avrebbe sentito nulla, però lui aveva paura del male. Perché in fondo era solo un bambino ed era lecito a quell’età avere paura della puntura e dell’ospedale.
La sua mamma lo rassicurava sempre, gli diceva che andava tutto bene, che nessuno gli avrebbe mai fatto del male, e le punture non facevano poi così male. Ma lui rideva, senza allegria, perché le punture facevano male, lui lo sapeva.
Era nella cameretta di Harry, stava giocando insieme a lui con le macchinine, il giorno prima dell’operazione.
“Harry, io ho paura…” – sussurrò Louis, mentre la sua macchinina gli sfuggiva di mano, e finiva sotto il lettino di Harry.
“Dell’ospedale?” – chiese il più piccolo, e Louis annuì.
“Sì… e delle punture.” – confermò il più grande, guardando un punto davanti a sé.
Il piccolo Harry gli si avvicinò e lo abbracciò, avvolgendo le sue ancora piccole braccia intorno al collo del maggiore, stringendolo forte a sé.
“Non aver paura, Boo Bear, le punture sono cattive, è vero, ma poi il dolore passa!” – lo rassicurò sorridendo.
“Ma tu non sarai lì con me, e io non voglio stare lontano da te…”
“Nemmeno io, ma la mamma ha detto che non mi fanno entrare, sono piccolo…” – brontolò il minore, ma poi un sorriso comparve sul suo viso – “ma poi esci tra due giorni, verrò a casa tua e ti porterò un enorme gelato!” – fece il segno di ‘grande’ con le mani – “e lo mangeremo insieme!”
“E poi vedremo i cartoni?”
“Sì!” – esclamò – “ma anche i Power Rangers!”
“Io sono quello rosso!” – esclamò Louis, ormai la paura era stata messa in secondo piano.
“E io… quello blu!” – rise il più piccolo, alzando le braccia verso il cielo.
“E giocheremo con le macchinine?” – chiese Louis.
“Sì, e con i mostri!” – confermò Harry.
“E faremo merenda…” – iniziò il maggiore, sorridendo ormai senza paura.
“… con il gelato enorme!” – completò il più piccolo, lanciandosi sul più grande e facendogli il solletico sulla pancia, facendolo ridere come non mai in vita sua. Erano come uno specchio, loro due erano da sempre l’uno il riflesso dell’altro. Passarono tutto il pomeriggio a giocare, a farsi il solletico e a ridere insieme. Quando fu l’ora di andare a casa per Louis, salutò Harry con un caloroso abbraccio, un po’ spaventato da ciò che sarebbe accaduto il giorno dopo, e il riccio gli baciò la guancia paffutella, salutandolo, dicendogli di non preoccuparsi. Stavano per andare via, quando il più piccolo corse dalla madre di Louis e le consegnò una letterina piegata, con un sorriso dolcissimo dipinto sul viso.
Louis si interrogò su cosa fosse, ma non fece domande.
Il giorno dopo, quando si svegliò dall’anestesia, sua madre gli sorrise baciandogli una guancia. Tutto era andato bene, l’operazione era riuscita perfettamente, ma Louis sentiva un bruciore assurdo alla gola. Aveva tanto male, tanto farlo tossire di continuo e far aumentare il dolore. Jay lo guardò preoccupata, ma l’infermiere di turno, le disse di non preoccuparsi, che era tutto normale e che dopo qualche settimana sarebbe tutto svanito.
Poi la donna ricordò la lettera di Harry, e la estrasse dalla borsa.
“Louis, questa me l’ha data Harry per te.” – sorrise – “ha detto che quando ti svegliavi dovevi leggerla, perché lui non era qui, ma doveva esserci in qualche modo.”
Il sorriso che si formò sulle labbra di Louis fu impagabile.
Più luminoso di un suo sorriso dopo un bel voto a scuola.
Più radioso di un suo sorriso dopo un gioco nuovo.
Più allegro di qualsiasi altro sorriso. Quel sorriso era uno di quei sorrisi genuini, veri, pieni di allegria e spensieratezza che solo un bambino poteva avere.
Si lasciò aiutare dalla madre ad aprire la lettera, e le chiese di leggergliela, perché lui non vedeva tanto bene, a causa dei postumi dell’anestesia, gli sembrava di essere… su un altro pianeta. Jay con il sorriso sulle labbra, iniziò a leggere la letterina di Harry a Louis, che non la smetteva di sorridere, parola dopo parola. Il bene che si volevano quei due bambini, andava oltre ogni altra aspettativa.
Caro Louis,
o no, scusa, volevo dire Power Ranger Rosso, spero che tu stia bene e che i dottori non ti facciano tanto male.
Ho chiesto alla mia mamma e ha detto che le punture non fanno male! Sono come un pizzicotto, quelli che ti do io sulla pancia, lo sai? Ma non voglio che tu stia male. Appena esci da lì, la mamma ha promesso di accompagnarmi da te. E se non lo fa, vengo con la mia macchinina verde, quella che tu vuoi sempre rubare!
Boo, sei il mio migliore amico, e sei anche il mio eroe.
Saremo amici per sempre.
Promesso, sempre.
Ti voglio tanto bene,
Harry, il Power Ranger Blu”
 
*
 
Quando il giorno dopo Louis si sveglia, non ha idea di dove si trovi.
Si sente smarrito, come se non riconoscesse il luogo, come se si trovasse in un labirinto, dal quale non può uscire, come se quelle quattro pareti di casa lo avvolgessero soffocandolo.
Che è successo?
E’ svenuto?
Non ricorda assolutamente nulla del giorno prima, né di quelli precedenti. Sente solo un grande senso di smarrimento, come se lui si fosse perso, ma in realtà è in casa. Forse si è perso Harry?
Controlla il cellulare per vedere se gli abbia scritto mentre è fuori, magari ha bisogno di aiuto e lui dorme.
Gli fa male lo stomaco, come se quello fosse stato… vuoto?
Forse ha solo fame, o forse si è sentito male.
Una puzza assurda di vomito e di chiuso gli arriva alle narici, e non ha idea del perché la senta, forse ha l’influenza, ecco perché si sente anche gonfio come quando arriva la primavera e contrae l’allergia solita. Si tasta il viso ed effettivamente è gonfio. Affaticato si alza da terra – quando si è steso per terra? – e si dirige in bagno.
Si guarda allo specchio e spalanca gli occhi.
Il suo aspetto è orribile, non si è mai visto così pessimo in tutta la sua vita, nemmeno nei momenti peggiori.
La sua mente elabora il pensiero che è per l’allergia, ecco spiegati gli occhi, le labbra, gli zigomi gonfi, tutto il viso gonfio e di certo non può fare nulla, a parte prendere l’antistaminico. Magari, dopo lo prenderà, ora deve chiamare Harry e assicurarsi che non sia perso da qualche parte. Conosce il suo fidanzato, sa che è uno sbadato, e potrebbe perdere la via di casa da un momento all’altro. E’ preoccupato, ma non troppo. E’ mattina, quindi Harry è uscito da poco, magari gli ha lasciato la colazione pronta, come sempre.
Sembra che gli ultimi sei mesi non li abbia proprio vissuti, sembra come risvegliato da un brutto incubo. Si lava il viso, finalmente lo fa, e poi si guarda nuovamente. Un’occhiata cade sulle sue braccia e inorridisce. Non può essere caduto in quel tunnel, con Harry accanto sarebbe tremendo farlo, insomma, come se non gli fosse riconoscente per tutto quello che fa per lui, impossibile. Gli è davvero riconoscente per tutto e no, non lo farebbe, quelli sono sicuro graffi del gatto. Ricorda che è andato al parco con Harry, e un gatto li ha quasi aggrediti, ed è per colpa di quello che ora ha le braccia graffiate. Si pettina appena i capelli rendendosi conti che sono davvero sporchi…
Ma da quanto tempo non li lava?
Scrolla le spalle, e crede che sia colpa della doccia rotta.
Si reca in cucina, che trova immacolata, nessuna colazione è stata preparata. Scrolla nuovamente le spalle e si dice che Harry sia uscito presto e non ne ha avuto il tempo.
Vagamente ricorda qualcosa di un licenziamento, allora decide di restare a casa. Si infila nel letto e si copre, quella brutta allergia dovrà passare prima o poi, no?
Non illuderti. Farà più male quando te ne renderai conto.
Non illuderti. Lui non c’è più.
Non illuderti. Non è allergia, sei distrutto.
Scuote la testa e chiude gli occhi. Fa dei sogni davvero assurdi. Harry è morto, lui è solo, e non può far nulla. Ride, una risata senza allegria esce dalle sue labbra, che inutilità, non è affatto vero. Harry non se n’è andato, altrimenti non l’avrebbe portato al parco, non gli avrebbe stretto la mano. Si sente come quando era più piccolo, e negava che qualcosa di brutto fosse accaduto.
Improvvisamente l’istinto di urlare lo invade. Non sa perché, ma vuole urlare e liberare il suo corpo da quel dolore?
Ecco i conati di vomito, ritornano di nuovo, più violenti di prima, perché sta così male?
Louis, Louis… - una voce lo chiama, e lui si alza dal letto, recandosi nel luogo da cui essa proviene. Si trova davanti allo specchio, e sorride. E’ Harry. Non è morto, è lì davanti a lui, e nessuno può portarglielo via. Il riccio nello specchio appoggia una mano sulla spalla del suo riflesso, e Louis automaticamente porta una mano su di essa, per intrecciarla a quella del riccio, ma con orrore non la trova.
Scuote la testa terrorizzato.
No, ha appena dimenticato tutto il dolore, non può tornare.
Ha bisogno di lui, ha maledettamente bisogno di lui, perché è nello specchio?
“Esci da lì, ti prego, Haz…” – sussurra, la mano ancora poggiata sulla sua spalla, una lacrima a rigargli il viso. Ha bisogno di lui come mai in vita sua, ne ha il bisogno incondizionato, lo rivuole con sé, lì al suo fianco.
Non posso.
“Se vuoi, puoi. Esci.”
Il riflesso scuote la testa. Louis ormai non può più smettere di illudersi, ormai l’illusione l’ha contagiato talmente tanto da ignorare la verità dei fatti, la verità delle cose così come si presentano. E allora nega, continua a negare.
L’unica cosa che non nega è il bisogno incessante che ha di lui. Ne ha così tanto bisogno, ora che si trova da solo, ha bisogno di lui, delle sue carezze, dei suoi baci. Deve smettere di mentirsi e accettare, ma non ci riesce.
Vuole un happy ending, chiede troppo?
Evidentemente sì, perché è tutto contro di lui. I ricordi, i sogni, le canzoni… tutto è contro di lui, anche il riflesso di Harry che continua a dirgli che lui non c’è più, che è morto, che non è più con lui, che non può uscire dallo specchio. Lui sa che può uscire, l’ha visto fare, insomma, la Pietra Filosofale esce dallo specchio, quando Potter si specchia, no? Allora perché… non può uscire anche Harry dal momento che Louis si sta specchiando tantissimo? Non si è mai specchiato così tanto, nemmeno da bambino, e sono tre giorni che si fissa nello specchio, guardando Harry che gli sorride e muove piano la mano.
Si sente smarrito, non sa cosa fare.
E’ perso, lo sa di esserlo, e ne è terrorizzato.
Ha solo bisogno di Harry, magari era ubriaco il giorno prima, non ricorda niente per questo.
Ha paura, dannazione, è terrorizzato.
Ho bisogno di te, tanto bisogno di torna…
 
*
 
Era il ventesimo compleanno di Harry.
Tutti erano un po’ ubriachi, Louis compreso, ma i ragazzi avevano deciso di fare comunque il karaoke. Louis non voleva, si vergognava troppo di cantare davanti a tutti, il coraggio del liceo gli mancava quella sera, soprattutto se leggermente brillo. E poi con Harry aveva già cantato. Stavano insieme da pochi giorni, e non voleva di certo mettere in difficoltà la relazione a causa della sua poca intonazione vocale. Ma Harry da ubriaco era imprevedibile.
Fece tutto lui, afferrò Louis per una mano, e lo condusse nell’area karaoke del locale in cui si trovavano. Passò un microfono a lui, tenendo l’altro per sé, e con il sorriso sulle labbra, fece partire la base.
Il cuore di Louis perse un colpo, quando il riccio lo indicò incitandolo a cantare per primo.
Non riconobbe subito la canzone, ma le note erano familiari, e alle prime parole, intuì.
Picture perfect memories scattered all around the floor…” – titubante, iniziò a cantare, guardando Harry, che gli sorrideva, magari era l’alcol a fare quell’effetto. La voce era raschiata, e roca.
Reachin for the phone cause I can’t fight it anymore”- deglutì continuando a cantare. Forse era solo un’impressione, ma… quella canzone forse li… rappresentava?
And I wonder if I ever crossed your mind” – cantò anche Harry, insieme a lui e le loro voci come per magia si fusero tra di loro, dando vita ad una nuova melodia, bellissima per le orecchie di tutti i presenti.
For me it happens all the time” – Louis sorrise imbarazzato leggendo quelle parole, sembravano davvero indicate per loro due.
It’s a quarter after one, I’m all alone and I need you now
Said I wouldn’t call but I lost all control and I need you now
And I don’t know how I can do without
I just need you now” – di nuovo insieme per il ritornello. Guardavano lo schermo in quel momento. Non si guardavano, non ancora. Leggevano le parole da cantare sullo schermo e Louis non riusciva a spiegarsi come mai fosse così… emozionato.
Another shot of whiskey can’t stop looking at the door” – Harry girò lo sguardo verso il castano, e sorrise, sembrava se la dedicassero a vicenda, dalla prima all’ultima parola. Non a caso, Harry aveva scelto quella canzone.
Wishing you’d come sweeping in the way you did before” – sorrise ancora, mentre cantava, l’impressione era giusta, sembrava la descrizione di uno dei loro litigi, quando uno andava via sbattendo la porta, e l’altro restava a casa ad aspettare.
And I wonder if I ever cross your mind” – di nuovo insieme, stavolta si guardavano mentre cantavano. Occhi dentro occhi, amore dentro amore. Una storia appena iniziata, agli inizi, che muoveva i primi passi della sua vita di coppia. Due ragazzi che solo in quel momento scoprivano i loro sentimenti, pur conoscendosi da anni.
To me it happens all the time” – Harry era perso negli occhi Louis, e non riusciva da essi a staccarsi, erano come fusi, uniti da un unico filone, il loro amore incontrastato, riusciva ad unirli dopo quel bacio disperato dato qualche giorno prima.
It’s a quarter after one, I’m a little drunk and I need you now
Said I wouldn’t call but I lost all control and I need you now
And I don’t know how I can do without
I just need you now” – si sorrisero, guardandosi. Le loro voci si unirono nuovamente, occhi dentro occhi, voci contro voci. Loro due vicinissimi…
Finirono il ritornello guardandosi negli occhi. Avevano bisogno l’uno dell’altro, lo stavano capendo in quel momento, e tutto era così maledettamente bello da sembrare… finto.  
Guess I’d rather hurt than feel nothin at all” – Louis sorrise guardando Harry negli occhi, non poteva credere che stessero duettando nuovamente…ed Harry guardò Louis negli occhi cantando quel pezzo. Le voci ancora intrecciate, i cuori sincronizzati…
It’s a quarter after one I’m all alone and I need you now” – la voce di Louis, più forte che mai, pronunciò quelle parole, come se stesse chiamando Harry a sé, che non si fece attendere oltre.
And I said I wouldn’t call but I’m a little drunk and I need you now” – aveva bisogno di Louis, tanto quanto il castano avesse bisogno di lui, ed era una cosa stupenda, meravigliosa, la più bella mai provata da entrambi.
And I don’t know how I can do without” – Louis cantava vicinissimo ad Harry ormai, e nessuno dei due poteva prevedere la prossima mossa dell’altro, ormai erano sincronizzati talmente tanto che ignoravano il testo che scorreva alle loro spalle, si fissavano, si amavano con il solo sguardo. Ma erano ubriachi, e le risatine sommesse, spezzavano il canto perfetto che intonavano.
I just need you now” – sussurrò Harry vicinissimo a Louis, i loro visi ad un centimetro di distanza. Tutto era magico, tutto era incredibile, e loro si amavano, si amavano come non era possibile amare qualcuno nella vita. Erano semplicemente perfetti l’uno per l’altro.
I just need you now” – sussurrò Louis vicinissimo ad Harry, ancora più vicini, i nasi si sfioravano quasi, tutto era incredibilmente reale, ma anche tanto idilliaco da non sembrarlo. Era quello il confine tra sogno e realtà? Un confine mai varcato da alcuno, un confine che doveva restare inviolato. Era stato superato dal riccio e dal castano? Avevano reso il sogno reale?
Oh, baby, I need you now” – l’ultima frase pronunciata insieme, poi Harry non resistette più. Aveva bisogno di Louis, e il castano aveva bisogno di lui. L’avevano detto cantando, ma il concetto era quello.
Avevano disperatamente bisogno l’uno dell’altro e quello non poteva essere cambiato.
Le labbra di Harry si congiunsero a quelle del più basso, che allungò repentinamente le braccia dietro al suo collo e lo strinse forte, energicamente a sé. Persi l’uno nell’altro, ecco come apparivano.
Un applauso si levò dagli amici comuni che li circondavano.
C’era chi applaudiva, chi urlava, chi sorrideva, chi fischiava.
I due vennero acclamati da tutti, ma loro non se ne accorsero, troppo persi l’uno nel mondo dell’altro.
Entrambi innamorati, entrambi felici di vivere tutta la vita con la propria metà.
Avevano bisogno solo l’uno dell’altro, ed eccoli, insieme, finalmente. Stretti l’uno all’altro davanti a tutti gli amici, davanti a tutte le persone che gli volevano bene.
Non erano sicuri di volerlo far sapere a tutti, ma avrebbero giustificato tutto con: “eravamo solo ubriachi!” – nessuno gli avrebbe creduto, ma in quel momento non vi badavano. Avevano bisogno l’uno dell’altro.
Quel bacio fu inteso, bisognoso e pieno d’amore. Mai un bacio migliore di quello fu dato ad alcuno, e quando si staccarono, si guardarono negli occhi, riconoscendo negli occhi dell’altro il proprio riflesso. Il loro era uno specchio infrangibile.
La risposta era sì.
Harry e Louis avevano abbattuto il confine del sogno e della realtà, rendendo reale un bellissimo sogno.
Quello dell’amore.

 
*
 
E’ ancora davanti allo specchio, la mano appoggiata contro il vetro, quando vede il riflesso di Harry svanire nel nulla.
Deglutisce, forse ha capito cos’è successo nelle ultime settantadue ore.
Si guarda il petto, dove svetta uno dei tatuaggi in comune con Harry.
It is what it is, e sa cosa vuol dire, lo ha capito, ormai non può non averlo capito. Insomma, è successo, deve… accettarlo? No, non ci riesce. Non è vero, non è quello che è.
Non può essere perché quello è della loro relazione, ciò che è, è solo la sua relazione, nient’altro. Solo quella è ciò che appare, vero? Vero? Non se n’è andato.
Non vuole rassegnarsi, il suo cervello non accetta quella soluzione.
Non esiste. Harry non è morto.
Non può esserlo, ha promesso che non sarebbe mai andato via. Vero?
Ma se gli avessero sparato, e lui fosse finito in ospedale?
Se fosse stato operato?
E se… poche ore dopo fosse…?
Deglutisce, ora ha paura, e inizia a tremare più forte di quanto non abbia fatto prima.
L’illusione fa male.
L’illusione è stata la sua rovina. E’ stato male negli ultimi mesi, ma negli ultimi tre giorni, ha cercato di mandare via tutto il dolore, di smettere di star male. E ad un certo punto si arrende.
Si rassegna.
I loro progetti di vita insieme, il loro matrimonio, i bambini, la loro vita, tutto è finito, tutto si è volatilizzato nel nulla dopo la morte di Harry.
Tutto è finito.
Harry è morto.
Louis è morto con lui.
Ha perso se stesso, non sa più chi sia, è quasi impazzito a causa del disturbo post-traumatico, e non sa fare nulla se non piangere e stare male. I giorni sono pieni di tristezza da quando è morto, ma lui dopo mesi, ha appena accettato la sua dipartita. E piange.
Piange perché ha creduto di potersi illudere di averlo ancora.
Piange perché il suo cuore è rotto, morto insieme a quello di Harry che si è fermato.
Piange perché non ha più l’amore di Harry.
Senza amore non può andare avanti, senza il suo amore non può vivere. Se n’è accorto perché lo ha visto nello specchio, perché si è illuso di potersi far abbracciare ancora, quella piccola fiammella di speranza che aveva dentro di sé, è svanita. La rassegnazione ormai è l’unico sentimento prevalente in lui.
Non riesce a provare più niente.
Solo rassegnazione, gli eventi parlano.
Nessun lavaggio del cervello, nessun complotto contro di lui, pura verità, verità dolorosa che lo ha ucciso, più di quanto non fosse morto prima. Lo ha buttato a terra, più di mille coltellate, più di mille colpi di pistola, più di quanto non possa fare un salto nel vuoto. Il suo corpo è debole, lo sente. Sta cadendo, sta precipitando. Ormai ha perso se stesso, non può far altro che lasciarsi andare, e… rifiutare tutto.
Ormai non mangia da mesi, o meglio mangia talmente poco da sembrare che non lo faccia. Ha passato settantadue ore a piangere, a vomitare, ha solo bevuto un po’ d’acqua, ma nient’altro. E’ distrutto, completamente distrutto. Vorrebbe l’amore di Harry, quello in grado di aggiustare tutto, di conquistare tutto, ma non c’è, perché Harry è morto.
Non fa altro che ripeterselo nella mente. E’ morto, è morto, è morto, è morto… - avanti, all’infinito, e vorrebbe che non fosse vero, ma ci ha provato ad immaginare che non lo fosse, ha fatto solo più male di quanto non faccia la sua assenza. Allora preferisce restare fermo, immobile.
Gira lo specchio verso il letto e si siede sopra il comodo letto.
Fissa la figura nello specchio, ed è orrenda. Come ha fatto Harry ad innamorarsi di un tale scherzo della natura? Forse è per questo che è andato via, per questo che è morto. Per non vedere più la sua brutta faccia, e come biasimarlo? Ha l’aspetto più tremendo del globo. Odia se stesso, odia il fatto di essere solo, e odia essersi rassegnato alla dipartita del suo ragazzo, ma non può farci niente, è successo. E’ solo colpa sua e della sua debolezza, tanto per cambiare.
Si sdraia sul letto, ha tutti i muscoli indolenziti a causa della nottata sul pavimento.
Sente le membra comprimersi tra di loro.
Sente la vita scorrere via dalle sue ossa, e non può farci niente, è arrivato al limite.
E’ rotto, senza Harry non può essere aggiustato, come un vaso, un coccio di vetro, una bambola di porcellana, pur aggiustandola non ritornerà mai la stessa senza le abili mani dell’artigiano che l’hanno prodotta. E lui è così, rotto in tanti pezzi, distrutto da tutto, dagli avvenimenti, non può essere riparato, a meno che Harry non torni e lo porti nel luogo dove possono ancora appartenersi, ed essere felici. Ma sa che Harry non arriverà mai.
Vuole dormire, e non ricordare più nulla.
Vuole dormire, e andare via per sempre.
Vuole dormire, e non svegliarsi mai più.
Allora lo fa, chiude gli occhi, si lascia andare, e lascia che le sue membra riposino finalmente.
Smette di pensare, smette di soffrire, chiude gli occhi.
Tutto tace, anche il suo corpo, i suoi pensieri, tutto è fermo, anche lui.
Finalmente è in pace con il mondo.
Vede la mano di Harry davanti a sé, e la afferra.
Ora è di nuovo felice.
E’ morto psicologicamente il giorno della morte di Harry, ora è morto fisicamente.
E’ nel luogo dove possono appartenersi per sempre.
Finalmente, può specchiarsi di nuovo in Harry, che è da sempre e sarà per sempre il suo unico specchio.
 
I have loved you for a thousand years…
…I love you for a thousand more.



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Salve a tutti!
State bene dopo questa... immensità?
Vi linko subito le canzoni usate nel corso della storia, e quelle che cantano i nostri piccioncini c:
Wish you were here.
Shattered.
Near to you.
A thousand years.

Perfect.
Need you now.


Spero vivamente vi sia piaciuta... e ci vediamo alla prossima shot!
Ringrazio tutte le persone che mi hanno aggiunto agli autori preferiti, e tutte quelle che continuano a leggere tutte le vecchie storie, chiunque preferisca/ricordi e segua o anche solo visualizzi una mia storia.
Vi ringrazio di cuore.
Siete meravigliosi :')

Byeee. 
 
   
 
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