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Autore: milly92    08/09/2013    4 recensioni
Stanchi delle solite storie in cui un'alunna e un professore si amano e riescono ad essere felici superando mille ostacoli? Allora questa storia fa per voi, visto che il professore in questione non sa nemmeno che la ragazza con cui ha a che fare sia una sua alunna e non ha per nulla intenzioni "serie"...
"Mi... Mi stai incoraggiando a...".
"Ad uscirci, sì".
Trudy sembra aver assimilato subito e fin troppo in fretta la notizia, in un modo che mi lascia alquanto scioccata. Sembra crederci più di me, quasi quasi. "Sai come si dice in questi casi?".
"Sei fottuta?" suggerisco, melodrammatica come sempre.
"No. "Fake it until you make it"! Fingi! Fingi fino a credere sul serio di non essere una sua alunna e il gioco è fatto, no?".
Da una parte, il discorso della mia amica ha un minimo di senso, dall'altro sono troppo spaventata perchè, per la prima volta in vita mia, rischio di iniziare un cammino caratterizzato dal proibito e ho paura di scottarmi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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2ffac
Capitolo 2
Certe Notti


 
4 Novembre 2010

"Scusami, ma quello è uno dei libri di Linguistica Generale da studiare per l'esame del professore Giusti?".

Alzai lo sguardo, smettendo di sottolineare un paragrafo particolarmente incomprensibile con l'evidenziatore verde, e, stupita, mi ritrovai davanti quello che, il primo giorno di lezione, ormai un mese prima, avevo ribattezzato "Ragazzo Figo".

"Sì" risposi, sorpresa nel trovarmelo davanti, visto che dopo quel giorno non l'avevo visto più.

"E quanti altri ce ne sono? Scusami per le domande, ma manco da un mese, ho avuto problemi con la casa da affittare, sono un fuori sede..." spiegò, scrollando le spalle e sedendosi dietro il mio stesso tavolo della biblioteca.

Mi sforzai di fare un sorriso che mi rendesse carina e non idiota come al solito, e mi tolsi una corta ciocca di capelli dalle spalle, sperando di non risultare goffa. "Ma no, figurati! Ti capisco, sono fuori sede anch’io… Comunque sì, ce ne sono altri due... Posso dirti i titoli" mi offrii.

Lui guardò l'orario sul display del suo Nokia C3 e, in tutta fretta, si rialzò. "Scusami, è tardissimo, devo scappare! Facciamo così, scrivimi il tuo numero e ti chiamo, così mi dici, ok?" esclamò, porgendomi il suo cellulare.

Sorpresa più che mai, rimasi ferma qualche istante, prima di decidermi ad agire.

Possibile che gli servisse il mio numero per conoscere i titoli dei libri che avrebbe tranquillamente trovato sulla pagina personale del professore? E perché doveva scappare se fino ad un secondo prima sembrava avere tutto il tempo del mondo a tal punto di perdere tempo a vedere il titolo del libro che stava leggendo una sconosciuta?

Tuttavia, dicendomi che era un bene dare il mio numero a "Ragazzo Figo", mi affrettai a digitare il numero e a salvarlo.

"Sono Lena, comunque" dissi, restituendogli il cellulare.

"Io Matteo, piacere" rispose lui. "Aspettati una mia chiamata..." aggiunse, sorridendo in un modo che lo rendeva ancora più figo, se possibile, per poi andarsene, lasciandomi così, confusa e felice allo stesso tempo.

 
*******

"Ok, mi hai parlato, quindi penso ti possa ritenere soddisfatto".

Sono sul serio io quella che ha risposto in maniera così scorbutica, che sfiora l’essere incivile?

“Ecco perché sei single, i tuoi modi fanno schifo!” mi punzecchia una vocina nella mia testa,  che è decisamente peggio del Grillo Parlante di Pinocchio.

Non posso aver risposto così di mia spontanea volontà, e non posso nemmeno aver dato del tu ad un mio insegnante!

Ai professori si da il lei!

Ok, lui parla inglese e in inglese ci si dà sempre il tu, ma stiamo parlando in italiano e...

Sono ufficialmente nel pallone, è deciso, senza contare che ho una marea di clienti che sono in attesa di decine di drinks, ed è per questo che, detto ciò, mi volto per dare la lista a Sara, che inizia subito a darsi da fare.

Cerco di non guardare in direzione del professore, ma mi è impossibile nel momento in cui la mia collega mi dà i primi due bicchieri, cosa che mi obbliga a tornare al bancone.

"Sappi che non me ne andrò finché non avremmo chiacchierato un altro po'" dice l'uomo, sorridendomi in un modo che quasi mi fa dimenticare la mia determinazione.

"Sto lavorando!" protesto, chiedendomi cosa abbia mai fatto di male per meritarmi un simile scherzo del destino.

Ecco! Soluzione trovata: è tutto uno stupido scherzo, perché non può essere che un bell'uomo come lui mi trovi carina, quindi non mi rimane altro che ignorarlo e fare finta di nulla.

"Ho tutta la notte. A che ora stacchi?" risponde prontamente.

Alzo gli occhi al cielo, mi volto e prendo altri due bicchieri, li distribuisco e noto che è ancora lì, in attesa.

Continua a guardarmi, ma non sembra indispettito, anzi: ha l’espressione di chi si sta divertendo un mondo, e la cosa mi dà ai nervi.

Come posso mai comportarmi? La parola "Professore" continua a rimbombarmi nelle orecchie, insieme alla frase: "E' troppo figo!", e ciò mi provoca una lotta interiore tra la mia parte responsabile e quella - sempre repressa - ribelle.

Mentre cerco di prendere tempo scrivendo altre ordinazioni, lui ripete la domanda ed io non rispondo, fingendo di non sentire, il che potrebbe essere molto probabile a causa della musica a tutto volume.

"Stacca alle quattro, ora però lasciala lavorare che il capo ci ammazza se non ci diamo una mossa!" si intromette Sara, sorridendogli e facendogli l’occhiolino, prima di strapparmi dalle mani il block notes.

Il professore, finalmente soddisfatto, ritorna a sorridere. "Grazie! Bene, allora ci vediamo alle quattro. Ah, prendo due birre" aggiunge come se nulla fosse.

"Devi prima fare lo scontrino alla cassa" esclamo, fingendo di non aver ascoltato il commento precedente.

Dopotutto, non è nemmeno mezzanotte, figuriamoci se aspetta quattro ore per parlare con una che nemmeno conosce e che l'ha trattato male!

“Ma i ragazzi amano essere trattati male, lo adorano, forse perché ciò ricorda loro quelle cose zozze e sadomaso che gli piacciono tanto, sai?” continua imperterrita la vocina nella mia testa, che, ovviamente, ignoro.

Chiunque sia sano di mente smette di provare a fare qualcosa se non riceve un trattamento adeguato, no? Lo dovrebbe stabilire qualche legge fisica o che so io!

Dal canto suo, il professore annuisce e torna dopo pochi minuti con lo scontrino in mano, porgendomelo.

Rapidamente, mi dirigo verso il frigo vicino al bancone, estraggo le due bottiglie e gliele porgo senza guardarlo, in modo da non capire ciò che mi dice dato che il volume della musica è alto e non ho visto il suo labiale.

"Ma dico io, un figo del genere ci prova con te e tu fai la zitella acida?" mi rimprovera Sara, mentre versa della vodka liscia in un bicchiere con fare esperto, anzi, eccessivamente meccanico.

Non so cosa mi blocca dal dire la verità, fatto sta che esito qualche istante prima di inventare una scusa. "Sai com'è, mi infastidiscono i tipi petulanti!".

"Tu sei matta! Fatto sta che mi ringrazierai per avergli detto a che ora finisci il turno".

"E tu sei un'ingenua! Pensi che mi aspetterà fino alle quattro?".

"Perché no? Se è qui, da solo, di sabato sera, non ha nulla da fare…".

Con un verso scettico, torno a distribuire i drinks, fino a quando, alle due, non tocca a me prepararli mentre Sara prende le ordinazioni.

Non so quanti caffè bevo, fatto sta che mi aiutano a non sentirmi stanca e a continuare a lavorare senza sosta, nonostante non riesca a non pensare allo strano incontro di poche ore prima.

In realtà, in tanti anni la fortuna non è mai stata dalla mia parte, quindi non riesco a credere che un bell'uomo come il mio nuovo insegnante mi abbia notata a lavoro settimane prima di iniziare il suo lavoro alla mia università.

E' raro che un ragazzo mi si avvicini e mi faccia complimenti perché è altrettanto raro che io cerchi di farmi notare, quindi il pensiero che il professore mi abbia notata mentre lavoro mi sembra più che assurdo.

Lentamente, l'orologio del locale segna le quattro meno dieci, ma ormai ci sono pochissime persone, quasi tutte poco sobrie.

Il signor Giacomo si avvicina a me e Sara e ci fa un gesto che nel suo gergo significa: "Potete andare!", annunciando la salvezza mia e della mia collega.

Con un infinito sospiro liberatorio, così, entrambe corriamo nel retro, prima che Giacomo possa cambiare idea, e ci liberiamo di malavoglia della divisa, visto che sembra parte integrante delle nostre epidermidi per tutto il tempo che l'abbiamo indossata.

Sciolgo la treccia dato che Trudy l'ha stretta così forte da renderla quasi insopportabile dopo più di cinque ore e indosso i jeans e il maglioncino che avevo prima di iniziare il turno.

Nonostante tutto, però, sono nella fase in cui dopo una notte insonne si crede di non avere più voglia di dormire e per confermare ciò bevo il caffè - l'ennesimo - che Giacomo offre a me e Sara.

Quest'ultima esce prima di me, dato che devo accordarmi con il padrone per quanto riguarda il prossimo turno di lavoro, e quando esco guardo il cielo ancora molto scuro.

Tutto ciò mi ricorda la notte di Capodanno, quando vengo letteralmente sequestrata dalle mie cugine che, vivendo nella mia città, Caserta, non mi vedono spesso e quindi approfittano delle vacanze natalizie per recuperare il tempo perso.

Negli ultimi tre anni, siamo solite iniziare l’anno nuovo con una tombolata a casa di qualche conoscente, che poi degenera in una nottata fatta di spumante, musica commerciale, qualche danza scoordinata a causa della stanchezza e dell’alcool, per poi finire il tutto verso le sei per andare a prendere i cornetti caldi dalla nostra cornetteria di fiducia e tornare a casa verso le otto.

Questi ricordi misti all’atmosfera lugubre che mi avvolge mi incutono uno strano senso di oppressione, perché so che non è Capodanno e dovrò aspettare le vacanze di Pasqua per divertirmi con le mie cugine, così mi avvio subito verso la macchina, a passo svelto.

"Lena?".

Mentre sono ormai a pochi metri dall'automobile, sento una voce alle mie spalle che mi chiama con decisione e un accento insolito.

Mi volto e, incredula più che mai, vedo il professore che mi guarda sornione mentre sorride, con in mano una confezione bianca e due bottiglie.

"Come sai il mio nome?" chiedo, improvvisamente dimentica del senso di oppressione che mi stava invadendo pochi istanti fa.

Se conosce il mio nome, può scoprire che sono una sua alunna in qualsiasi momento!

“Idiota! Non sei al liceo, i professori non hanno il registro con il tuo nome! Lo leggono solo se ti prenoti ad un esame, ricordi?” commenta la vocina nella mia testa, prendendosi il gioco di me. Certo che la stanchezza fa proprio brutti scherzi…

"Me l'ha detto un tuo collega, Giorgio. E' molto simpatco, anche se mi ha quasi rovesciato un drink addosso. Comunque... Piacere Lena, io sono Leo" si presenta, parlando lentamente - forse per cercare di non commettere errori - e porgendomi la mano destra.

Gli stringo la mano di rimando, sentendo quanto sia decisa la sua stretta, al contrario della mia. "Piacere. Leo?" domando poi, incuriosita.

Perché diamine faccio domande simili ad uno a cui non devo assolutamente dare confidenza?!

"Mi chiamo Leonard Ernest Scott, ma tutti mi chiamano Leo. Sono nato in Calfonia ma i miei parenti erano Sicliani, sono emigrati in Amerca a fine Otocento... E tu? Cioè, Lena non è un nome usato, qui".

"No, infatti. E' molto usato in Germania, i miei nonni hanno vissuto lì per tanti anni. Mia madre li andò a trovare poco prima di sposarsi con mio padre e conobbe delle persone che si chiamavano così, e le piaceva..." spiego, scrollando le spalle, come ogni volta che lo spiego a chi crede che mi in realtà chiami Maddalena o Milena.

"E' un bel nome" esclama. Poi, improvvisamente, mi porge la confezione bianca che ha tra le mani. "Croissants caldi! Ti avevo detto che avrei aspettato la fine del tuo turno" aggiunge poi, quando mi vede fare un cenno incerto. "Mantengo sempre le mie promesse".

"Leo, sei molto gentile, ma devo tornare a casa e...".

"Non me ne andrò finchè non avrò il tuo number".

Sconcertata da quella buffa e strana situazione, batto numerose volte le ciglia, senza sapere sul serio cosa dire.

Vorrei sul serio non sapere che è il mio insegnante, così magari lunedì avrei un'assurda sorpresa a lezione ma potrei godermi in santa pace la gentilezza di un bell'uomo che mi crede carina.

In preda all'agitazione, così, faccio un cenno di assenso. "Va bene, dammi il cellulare e te lo segno" esclamo, decidendo di usare un vecchio trucco che uso con i ragazzi un po' assillanti – e bruttini - che ti abbordano alle feste: dargli il numero sbagliato, così quando chiamerà non avrà modo di rintracciarmi.

"Eh no, non sono mica nato ieri! Così mi dai un fake number!" ridacchia, come se nulla fosse, comprendendo al volo le mie intenzioni.

"Ma se sai che farò così, perché ti ostini a parlarmi?".

"Perché so che non te ne pentirai".

"Non mi conosci, Leo".

"E' un motivo in più per parlarti, Lena".

Messa totalmente k.o. dall'arte oratoria di quell'uomo, non ho altro da fare che prendere il suo cellulare, segnare il numero e lasciarlo soddisfatto quando vede che squilla sul serio.

"Ora però devo andare, sul serio" dico, decisa più che mai. "Sono stanca e...".

"Ma ci sono i croissants! E se ti sbrighi sono ancora caldi, dai! Ti ci vogliono un po' di zuccheri dopo il turno di lavoro... E, se ti va, ho ancora le due birre che ho preso ore fa". Mostra le due bottiglie come se fossero trofei, senza smettere di sorridere.

"Per questo ne hai prese due!" mormoro, incredula.

E' assurdo! Non riesco a credere che faccia sul serio, anzi, in realtà è come se avessi il timore che tutto questo sia un malefico scherzo di qualcuno non molto ben disposto nei miei confronti.

"Pensavo lo avessi capito".

Scuoto il capo, arricciando le labbra. "No, sono sempre un po' ritardata quando si tratta di queste... Cose, ecco. Quindi, ora, hai un buon motivo per andare via".

"In realtà vorrei conoscere altri tuoi difetti, visto che esteriormente per me hai molti pregi" rivela, con un tono che lo fa sembrare quasi innocente come un bambino.

"Divento isterica quando qualcuno non mi ascolta" scandisco, per poi fare qualche passo indietro come per fargli capire che sul serio me ne devo andare, e subito.

"Anche io! Cioè, non proprio isterico, direi... Insicuro, ecco. Sai, sono un professore d'inglese " - qui cerco di trattenere un'espressione alla Capitan Ovvio e fingo di non sapere nulla - "E se noto che la classe è disattenta inizio subito a pormi mille problemi riguardo il mio metodo d'insegnamento. E tu?" aggiunge, interessato più che mai, "Cosa fai nella vita? Oltre la barista, intendo".

"Studio lingue. Inglese e Tedesco" rispondo automaticamente, senza nemmeno pensare alla possibilità di mentire.

Lo vedo sorpreso, poi, annuisce. "E in che facoltà?" chiede.

"Federico II" mento spudoratamente.

Ecco, la frittata è fatta. Ha il mio numero, non può sapere che io sia una sua alunna, e io sono in una fase particolare - tra il sonno e l'adrenalina - in cui non riesco a capire bene come comportarmi.

"E' vicina all'Orientale, dove insegno io" spiega.

Annuisco, senza sapere cosa dire perché l'unica certezza che ho al momento è che mi sto cacciando in un mare di guai senza volerlo.

"Il locale a che ora chiude?" domanda poi lui, evidentemente per eliminare quel silenzio imbarazzante.

"Alle cinque".

"Bene, possiamo mangiare lì i cornetti, tanto li ho presi lì" propone.

Il pensiero di essere in qualche modo sorvegliata da Giacomo mi sembra buono, così annuisco e ritorno nel luogo in cui ho passato il sabato sera.

C'è solo Giorgio al bancone, il quale sembra molto a suo agio ora che non ha clienti a causa di cui creare danni, e mi sorride sornione quando vede con chi sono.

Come se nulla fosse, Leo apre la confezione con i cornetti e me ne porge uno con gentilezza.

Io odio mangiare davanti ai ragazzi se non ci sono in confidenza, specialmente se si tratta di pizze, panini e cornetti, perché temo di sporcarmi tutta mentre mangio e di fare la figura dell'idiota.

"Posso farti una domanda?" chiede poi.

"Vai. Ormai mi sembra di essere parte di un talk show incentrato su di me!" esclamo, scrollando le spalle, causando la sua risata.

"Perché una bella ragazza come te lavora il sabato notte invece di uscire con gli amici?".

Alla faccia della domanda! Non poteva essere una più classica, del tipo "Quanti anni hai?" o "Posso sapere che taglia di reggiseno hai? Sai, ho scommesso con i miei amici che avrei indovinato!" ?

Più che altro, sono seccata dal fatto che dalla discussione con Germana si stiano sviluppando conseguenze assurde: per non andare a dormire da lei, decido di lavorare e mi ritrovo stalkerizzata da un mio professore che non sa di esserlo.

"Avevo semplicemente bisogno di soldi" mento, fingendomi disinvolta e dando il primo morso al cornetto per avere qualcosa da fare per non guardarlo in faccia e dargli la possibilità di capire che sto mentendo.

"Non penso sia così. L'ultima volta che hai lavorato qui era martedì, se avessi avuto bisogno urgentemente di soldi ci verresti più spesso, no?" osserva.

Deglutisco il boccone a forza, incredula per quella constatazione. "Ma... Ma tu sei uno stalker!" esclamo, così forte che le poche persone nel locale si voltano verso di me.

Per tutta risposta, Leo ride e scuote il capo. "Volevo conoscerti, tutto qui. Dai, tu non hai mai seguito causalmente un ragazzo?" mi provoca.

Certo che l'ho fatto!

Al primo anno, dopo aver conosciuto Matteo in biblioteca, facevo di tutto per trovarmi negli stessi posti in cui c'era lui, ma per avere una scusa per parlarci, non per seguirlo e basta.

"Ecco. Ti ho colta in flagrante! Quindi sei anche tu una stalker come me?" mi rimbecca, senza che io abbia detto nulla.

"Ma no!" sbotto, senza sapere cosa dire.

"Dai, allora, mi dici perchè...".

"Sei asfissiante, Leo! Davvero!" sbotto, senza riuscire a trattenermi.

Vedendolo improvvisamente a disagio, mi porto una mano alla bocca, un po' pentita per aver sbroccato così, anche perché sono riuscita a zittirlo.

"Scusami".

Sembra sul serio pentito, e, improvvisamente, ha l'aria di un uomo che ha capito il limite, non sembra più un bambinone travestito da uomo.

"A volte non realizzo di non essere nel mio paese, cioè, non per offendere le italiane, ma da me le ragazze sono molto più aperte e non badano al fatto che non ti conoscono e...".

"Leo, noi italiane non siamo una massa di bacchettone" lo interrompo, cauta.

"Bacchettone?" domanda, confuso, con quell'accento appena marcato che mi è sempre piaciuto.

"Volevo dire che noi italiane non siamo l'opposto delle californiane, sul serio, sono io che sono particolare e hai toccato un tasto dolente, tutto qui" cerco di spiegargli.

Annuisce. "E io sono... Come si dice...? Invadente, sì" ammette.

"Un pochino" confermo, cercando di risultare ironica.

Di nuovo, cadiamo in un silenzio imbarazzato, finché qualcosa non scatta in me ed inizio a parlare e ad esternare la realtà dei fatti come se mi stessi rivolgendo al mio diario segreto.

"Stasera sarei dovuta andare a dormire da due amiche perché arrivava il ragazzo della mia coinquilina e volevo lasciar loro un po' di privacy, ma ho avuto una discussione con una di loro e quindi ho preferito lavorare, dato che l'alternativa era dormire per strada" spiego lentamente.

Annuisce di nuovo, quasi come se avesse il timore di parlare ancora.

"Sei una persona orgogliosa" osserva poi, cauto.

"Fin troppo. L'orgoglio mi farà fare brutta fine" sospiro, decidendo di dare un altro morso al cornetto.

Lui mi imita, quindi per un po' si sente solo il rumore impercettibile delle nostre mascelle al lavoro, poi torna a parlare.

"A me è successa spesso una cosa del genere quando andavo al college. Bei tempi" dichiara, nostalgico.

"Parli come se fosse passata una vita".

"Sono passati quasi otto anni da quando mi sono... Graduated" risponde, in difficoltà a causa di quel termine di cui non ricorda la traduzione.

"Laureato".

"Giusto! Dopotutto studi inglese... Comunque, sì. Tra due mesi compio trent'anni" rivela.

"Ed io tra uno ne avrò ventidue".

"Pensavo ne avessi tipo ventiquattro...".

"Potrei offendermi, sai?".

Di solito, tutti mi dicono che sembro più piccola della mia età effettiva, quindi questa sua osservazione mi giunge nuova.

Leo ride e mi guarda dritto negli occhi. "Ho detto una bugia. Si vedeva che fossi piccola, ma non volevo fare la parte di quello che ci prova con una di otto anni più piccola...".

"Non sono mica minorenne" osservo.

Passano i minuti, e, per la prima volta in vita mia, mi ritrovo a bere una birra dopo un cornetto caldo.

Alla cinque, però, usciamo visto che il locale sta per chiudere.

Mi riavvicino alla macchina, prendendo le chiavi dalla borsa, e Leo mi lascia con un sorriso di congedo.

"Il tuo numero ce l'ho, quindi... Mi autorizzi a mandarti qualche messaggio?" domanda.

Esito, senza sapere cosa dire. Tutto andrebbe a meraviglia se la mia coscienza non mi ripetesse in continuazione che lui è uno dei miei docenti, ma ormai gli ho mentito, e, a meno che non mi veda in classe, non può avere modo di sapere che sono una sua alunna.

Quindi, annuisco. "Va bene. Sei autorizzato" concedo.

Lo vedo esitare, come se stesse riflettendo a lungo, poi, finalmente, si decide a parlare. "Volevo anche dirti che... E' un po' imbarazzante. Non so bene come funzionano le cose qui, cioè, cosa si aspetta una ragazza quando uno le rompe le scatole come ho fatto io con te ma... Lavorerò qui fino a giugno, poi tornerò in America, quindi, nel caso uscissimo insieme qualche volta volevo tu sapessi che non ci sarò sempre e...".

Se ne andrà a giugno, ed io ho intenzione di fare l'esame orale di inglese a settembre, quindi è tutto perfetto!

Annuisco, un po’ sollevata. "Tranquillo, Leo. Ti ho appena conosciuto e di certo non penso che tu mi regalerai un anello di fidanzamento, tranquillo" ripeto.

Sorride, evidentemente felice per il fatto che io abbia capito la situazione.

"Allora... Ciao, Lena".

"Ciao".

Muovo leggermente la mano in segno di saluto, ma rimango come una scema quando lui si sporge e mi dà un bacio sulla guancia. Continua a sorridere mentre se ne va, avvicinandosi alla sua auto, ed io entro in macchina con la sensazione di aver sognato tutto.

Probabile, solo nei tuoi sogni rimorchi dei fighi pazzeschi. L’ultimo era Ian Somerhalder, ricordi?” commenta la vocina nella mia testa, sarcastica al massimo.

Mi lascio trasportare dagli eventi e rido per qualche istante, sentendomi un po’ più leggera e dicendomi che, sul serio, forse sto sognando tutto ed è meglio così.

 

°*°*°*

Ed eccoci qui, con il nuovo capitolo!

Beh, se state leggendo queste parole, significa che probabilmente avete letto il capitolo, quindi… Grazie di cuore!

Grazie per l’accoglienza che avete dato a questa storia e grazie a quelle che io chiamo “Le mie lettrici fedeli” che hanno iniziato a seguirmi anche qui. Non so cosa dire, davvero,  è magnifico sapere che il primo capitolo vi sia piaciuto! :D

Comunque, passando al capitolo… Conosciamo Leo (e la vocina interiore di Lena!xD) e veniamo anche a conoscenza delle sue intenzioni: a giugno se ne andrà, e non è in cerca di una storia “seria”. Stando a ciò che dice Trudy, Lena ha proprio bisogno di una storia non seria, quindi ci divertiremo a vedere eventuali sviluppi.

Questi due primi capitoli sono stati un’introduzione, mentre dal prossimo inizia la storia vera e propria. Conosceremo il ragazzo di Trudy e rivedremo Germana, Marina e Dario.

Vi lascio qualche anticipazione:

"Ohoh! E chi è questo Leo?" domanda.

Deglutisco, cercando di evitare il suo sguardo, e mi alzo dal letto. "Se te lo dico non mi credi" borbotto.

"Ma come! A meno che non sia Leonardo Di Caprio, certo. Lì non ti crederei, senza offesa".

 

"Trudy, ragiona. Lo conosco da, quanto?, tre anni? Ed è mai possibile che abbia sempre finto con me? Per favore! E' un caso, basta!" provo a farle capire, ma lei sembra non mi stia ascoltando.

 

Aggiornerò venerdì visto che domenica prossima sarà troppo vicina all’esame che ho il 17.

Baci!

Milly92

  
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