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Autore: S t r a n g e G i r l    08/09/2013    3 recensioni
Tutti i bambini hanno paura di qualcosa, che solitamente poi si nasconde sotto il letto.
L'uomo nero, mostri, rapinatori...
Quel che spaventava me, ad esempio, era verde e aveva i tentacoli.
Ma quello da cui Isaac era terrorizzato, da cui si nascondeva e fuggiva non era nulla di simile; il suo, di mostro, aveva le fattezze di suo padre.
Quando me lo aveva raccontato, io avevo riso come se fosse stata una barzelletta e lui non mi aveva rivolto parola per mesi, fino a quando non ero andata a casa sua con un dolce fatto da mia madre per farmi perdonare e, dalla finestra, l'avevo intravisto anche io, il suo incubo.
E da allora in me era nato l'istinto di proteggerlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isaac Lahey, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia Di Vetro

7. Pioggia di stelle.

- Did I do something wrong? -
- I dont' have anyone -


Sto sognando.
Non so cosa di preciso mi faccia capire che non sono sveglia, ma lo avverto.
E' come un bruciore lieve sulla pelle, un malessere nello stomaco appena accennato: piccolezze traditrici del mondo onirico in cui sono immersa.
Un mondo inizialmente fosco e lugubre, costellato di ombre oscure terrificanti e schizzi di sangue, che ha poi assunto tinte più tenui.
Il tutto è stato, infine, inghiottito da un turchese elettrico, culminante in un blu cupo.
Un alone chiaro, come una pennellata di colore annacquato, sui contorni delle cose.
Ma a riconsegnare al mio corpo il senso di realtà sono il calore rassicurante di una mano grande stretta nella mia ed una voce insistente.
« Apri gli occhi, Violet. »
La sua voce.
Dischiudo piano le palpebre, con lentezza misurata, e lui è lì, accanto a me.
Isaac.
E di colpo mi rendo conto che quello che vedevo nei miei sogni non era altro che il colore delle sue iridi.
Lui mi ha riportato indietro da qualsiasi cosa fosse quella che mi teneva imprigionata nel sonno. Lui mi ha salvata.
Mi sorride ed io riesco a contare una ad una le screziature scure attorno alle sue pupille.
Ha gli occhi di un azzurro abbacinante, come il cielo d’estate col sole allo zenit, Isaac.
Come l’acqua cristallina dell'oceano che si rifrange sui ciottoli tondi e lisci del fondale.
« Ehi, pulcino, mi stavi facendo preoccupare. » si sporge e mi bacia la fronte sudata, scostando le ciocche più corte della frangia che la coprono.
Mi volto verso di lui e mi rannicchio sulla sua spalla nuda, baciandogli la clavicola.
« Quanto ho dormito? » domando, sfregando i piedi freddi fra loro.
« Un paio d'ore, credo. Non ho badato molto all'orologio. » risponde lui e infila un braccio dietro la testa, fissando il soffitto scuro sopra cui sono incollate decine di stelle fluorescenti.
Appena trasferitami a Beacon Hills, avevo voluto ricreare una piccola galassia nella mia stanza e ad ogni costellazione immaginaria avevo dato persino un nome strampalato.
C'era quella del coniglio salterino, quella della rana in gonnella, quella del cane a testa in giù... e quella dell'amore.
Isaac sembra fissare proprio quella, mentre mi accarezza distratto un braccio con la mano libera.
« Tra quanto devi andare? » chiedo, sperando che la risposta somigli anche solo vagamente a "mai".
« Tra circa tre ore. Se tuo padre mi trova qui, mi spara un proiettile in fronte... nella migliore delle ipotesi. » sorride con un solo angolo della bocca e poi, d'improvviso, di gira su un fianco e m'imprigiona sotto di sè.
« Hai una qualche interessante proposta su come impiegare questo tempo? » ha un'espressione sorniona in viso e scende a leccarmi le labbra, in attesa di una risposta.
« Non so... facciamo un gioco di società? »
Isaac annuisce e si sposta leggermente, arrivando a baciarmi appena sotto l'orecchio destro.
Ansimo e cerco di rimanere lucida. Non voglio cedere con così tanta facilità.
« Prendo le carte? » propongo allora e lui ride roco, sussurrando la sua risposta sulla mia bocca.
« Sì. Giochiamo a strip poker. Ops, sei già nuda. »
***
Non sto sognando.
E' difficile spiegare perchè abbia la precisa sensazione di non essere addormentata, ma è proprio così.
Questo non ha niente a che vedere col mondo onirico; questo, più che altro, sembra un ricordo.
Un ricordo disgustoso e inquietante, a tratti distorto, forse suscitato da un qualche film dell'orrore visto con Mery.
Sono in strada, sto fuggendo da qualcosa.
Corro, corro fino a non sentire più nemmeno le proteste delle mie gambe e a non riuscire ad ossigenare a dovere i polmoni. Mi collasseranno nel petto, temo.
Corro nel buio. Forse è notte o forse è solo il colore della mia paura a circondarmi.
Corro e inciampo. Poi cado duramente e sbatto contro qualcosa.
No, qualcuno.
E' un uomo enorme, grottesco e maleodorante.
Si avvicina e io non arretro, resto ferma, in attesa.
C'è qualcun altro lì vicino.
No, qualcos'altro.
Si direbbe un animale, dai versi che fa.
E' di lui che ho paura, mi rendo conto mentre cerco di fuggire.
E' ingobbito però si regge su due zampe come un uomo, ma non può essere umano: le sue dita culminano in artigli appuntiti, ha le orecchie allungate e ulula.
Si avventa sull'omone mastodontico e lo atterra, affondando le fauci nella sua giugulare.
Poi, lentamente, alza il muso al cielo ed il sangue gli cola dal mento; la sua preda non si muove nè lamenta più.
Vorrei gridare d'orrore, ma non ci riesco. Provo e riprovo e la voce collabora solamente quando l'essere si volta verso di me.
E quegli occhi, io, li riconoscerei anche se di colpo divenissi cieca.
Sono di un azzurro abbacinante, come il cielo d’estate col sole allo zenit.
Come l’acqua di cristallina dell'oceano che si rifrange sui ciottoli tondi e lisci del fondale.
« Violet, svegliati. » dice la creatura, con le sembianze di Isaac, in un ringhio.
Ed io, spalanco di scatto le palpebre.
La prima cosa che noto è che il soffitto che mi sovrasta è spoglio: non ci sono stelle, nè artificiali nè naturali. Forse sono tutte piovute giù, come comete.
E' un banale soffitto qualunque di una casa qualunque, quello.
La seconda cosa che entra nel mio campo visivo è un'espressione corrucciata e vagamente allarmata. Il colore delle iridi, però, è sbagliato: verde erba appena tagliata.
Mery.
« Ehi, stavo cominciando a preoccuparmi. » mormora e poi mi poggia una mano fresca sulla guancia, aspettando che mi tiri un po' su da sola per tornare a parlare.
« Come ti senti? »
« Cosa è successo? » rilancio, tenendomi la testa come se in quel modo potessi arrestare l'oscillazione della stanza attorno a me.
« Non... non te lo ricordi? » domanda ancora la mia amica, strappandosi le pellicine dalle labbra con morsi violenti.
Scuoto appena il capo e la nausea mi ribolle nello stomaco.
« Sei uscita a cercare Isaac, senza darmi il tempo di impedirtelo... »
« Mmm, sì. Un qualcosa del genere mi pare di ricordarlo. Ma è tutto confuso. » borbotto contrariata, allungandomi verso il comodino per prendere il bicchiere d'acqua che vi sta sopra.
« Poi sei stata aggredita... »
Mery squittisce, quasi. Mi stringe le mani con tanta forza che per un attimo la mia attenzione si focalizza sulle nostre dita cianotiche intrecciate invece che su quello che so per certo essere un ricordo, ora.
Non stavo sognando. Non stavo affatto sognando.
L'uomo, il mostro, sono entrambi veri.
« Isaac ti ha trovato svenuta a terra e mi ha telefonato. Poi ti ha portato qui e... »
« ... se n'è andato. » concludo io, con un tono tetro e scoraggiato.
Il bicchiere d'acqua trema fra le mie mani o forse sono proprio quelle a tremare.
Ed il cuore le imita.
« Io volevo portarti al pronto soccorso, sai. Lui, però, ha detto che avevi solo battuto la testa e che non dovevo preoccuparmi... Ho fatto male, vero? Oddio, potresti avere una grave commozione cerebrale e... »
Mery parla e parla e parla ancora.
Io ho smesso di ascoltare, per cercare di concentrarmi sulle diapositive sbiadite e frammentate che compongono il ricordo di quelle ore traumatiche.
Isaac ha detto alla mia amica di avermi trovato già svenuta, ma io ho la precisa sensazione che non sia così.
Ricordo una terza figura, fra me e l'aggressore.
Ricordo un essere non del tutto umano.
E sì, forse avevo battuto la testa violentemente al suolo e poi la mia fantasia ci aveva ricamato sopra abbondando in dettagli macabri quale sangue, giugulare squarciata e via dicendo... ma sono piuttosto certa di quel poco che ho visto.
« Mery? » la interrompo d'improvviso e lei alza gli occhi di giada su di me con aria colpevole.
« Che hai? Stai male? Chiamo i miei e andiamo all'ospedale! » si alza in piedi e riesco a malapena ad acciuffarla per un gomito prima che corra fuori dalla stanza come avevo fatto io poco prima.
« No. Niente del genere. Sai dove è andato Isaac dopo avermi lasciato qui a casa tua? » le chiedo e non riesco a soffocare la fiammella della speranza che so mi sta incendiando gli occhi.
« Non me lo ha detto. » sussurra lei, e lacrime di tristezza, miste a quelle dovute al trauma vissuto, innafiano il mio viso.
Avrei voluto che lui fosse accanto a me, al mio risveglio.
Non avrebbe dovuto essere per forza dolce come era stato dopo aver fatto l'amore, no. Mi sarei fatta bastare la sua sola presenza.
Avevo solo bisogno che mi mostrasse i suoi occhi rassicuranti, anche solo per due minuti, il tempo di dirgli "Grazie di avermi salvata."
Invece...
« Ma gliel'ho sentito riferire al telefono. »

 
« L'ho già detto che è una pessima idea? » domanda Mery, inciampando sull'ennesimo pezzo di ferro arrugginito a terra che non aveva visto.
Sbuffo e la sorreggo, illuminando con la luce del cellulare il pavimento sconnesso su cui camminiamo.
« Sì, almeno dodici volte, ma chi le conta più. Non eri costretta a venire. » le faccio notare con un pizzico di acredine nella voce, che non era mia intenzione usare.
Mery, difatti, si ferma al centro di quel casermone spoglio e sinistro e prende a giocare con il ciondolo della sua collana lunga, con indecisione.
Sospiro -dandomi mentalmente della stupida- e torno verso di lei, stando ben attenta a dove metto i piedi. La raggiungo e l'abbraccio forte, cercando di assorbire un po' della sua inesauribile forza, che lei non sa neppure di possedere. « Perdonami, non volevo essere dura. Sono... soltanto preoccupata, stanca e spaventata. » ammetto riluttante, domandando nel frattempo a me stessa il motivo che mi spinge ad insistere, a non lasciarlo andare.
« Devi andartene, non è sicuro qui. Nessun posto è sicuro per te, con me. » mi aveva confessato.
Eppure gli avvenimenti di quella notte dimostravano il contrario: lui non era il cattivo da combattere, ma il supereroe che interveniva tempestivamente e mi traeva in salvo.
Mery ricambia il mio abbraccio esalando un respiro rassegnato e mi accarezza i capelli per infondermi coraggio. Sa bene che ne ho bisogno.
« Perchè non torniamo domattina, quando è giorno? Non siamo nemmeno sicure che sia davvero qui. Io gli ho solo sentito dire "Ci vediamo alla stazione." »
« E secondo te, essendo dato per scomparso, se ne va in giro a prendere la metro come niente fosse? Deve essere qui per forza, in questa stazione abbandonata. Ricordi? Da piccole ce ne tenevamo alla larga perchè si vociferava fosse infestata... Credo che Isaac confidi proprio sul fatto che quella leggenda metropolitana, ad oggi, tenga ancora lontani i curiosi. »
« Non avrei dovuto dirti niente. Mannaggia alla mia lingua! » borbotta contrariata Mery, rubandomi poi il cellulare e avanzando per prima verso la porticina che s'intravede in fondo. Si volta, mi tende la mano a palmo aperto rivolto verso l'alto, e mi sorride incoraggiante.
« Visto che siamo arrivate fin qui, tanto vale dare un'occhiata. Ci sono io con te, dai. »
Afferro con forza la sua mano e, aggirando massi e pezzi solitari di panchine in ferro, arriviamo alla porta sgangherata.
Però, prima che possiamo anche solo provare ad aprirla, essa si spalanca e, dalla scalinata che c'è dietro, emerge una figura dall'aria sorpresa.
« Toh, non sapevo avessimo visite. » esclama la ragazza di fronte a noi, strizzata in un abitino di pizzo che io indosserei come maglietta.
Ci fissa a lungo dall'alto in basso con un ghigno soddisfatto dipinto sulle labbra rosse e poi incrocia le braccia sotto il seno prosperoso.
« Vi siete perse, conigliette? » si prende gioco di noi, scostandosi con noncuranza una ciocca così bionda da parere bianca da davanti agli occhi scuri, perfettamente truccati.
Io arretro involontariamente, come se qualcuno mi avesse schiaffeggiato, mentre Mery avanza decisa.
« Dov'è Isaac? » chiede risoluta al posto mio, intuendo che la lingua mi si è atrofizzata in bocca.
Quella lì, la Dea bionda che è scesa in terra solo per farmi sentire miscroscopicamente insignificante, non può che essere...
« Erica! » la sua voce.
Il cuore mi va in arresto cardiaco qualche istante, il tempo che lui impiega a raggiungerci e ad accostarsi alla ragazza con espressione sbalordita in viso.
« Guarda chi ho trovato qui fuori. Le conosci? Sono amichette tue? » fa una risatina sommessa e Mery pesta, inviperita, un piede a terra.
« Veramente Violet ed Isaac stanno insieme! » sibila e per un momento temo che voglia saltare al collo di Erica.
« Mi risulta che si siano lasciati. Sbaglio? » quella sbatte le lunghe ciglia più del dovuto e si rivolge ad Isaac con una voce che ha il retrogusto stucchevole del miele.
Io, dal canto mio, non riesco a formulare una sola parola sulle labbra, eppure di domande la mia testa è piena.
« Sto con un’altra adesso, contenta? Si chiama Erica ed è come me. » aveva ammesso lui poche ore prima nel seminterrato, ma io non gli avevo creduto.
Stupida ingenua.
Ora che li hai di fronte a te, a cosa ti aggrapperai per non affogare nella mareggiata impetuosa della tua disperazione?
E' finita.

« Che siete venute a fare? Come ci avete trovato? » chiede Isaac, ancora palesemente scosso dalla mia presenza.
Non mi guarda, si concentra solo su Mery, fingendo che io non sia davvero lì.
Sono venuta a farmi ammazzare.
Come ti senti nei panni di un assassino, Isaac?
E non c'entrano nulla il sangue, i reciproci mostri e le vecchie ferite. Non si tratta di tuo padre, del suo omicidio e del fatto che sei il primo sospettato.
Parliamo di me. Parliamo di come mi stai uccidendo lentamente, senza neppure sfiorarmi.
Parliamo di noi. Di come stai gettando palate di terra su quello che eravamo, seppellendoci vivi.

E' Mery a rispondere anche per me. E' Mery a tenermi a galla, a non farmi annegare nel mio dolore.
« Ti ho sentito parlare al telefono. » spiega paziente e in replica ottiene un ringhio da parte di Isaac. Mi pare familiare, un suono che ho già sentito da qualche parte, forse in un sogno...
« E quindi siete venute a venderci biscotti, piccole scout? » ride ancora, Erica, e la sua mano si stringe quasi casualmente attorno a quella di lui.
« Vuoi stare un po' zitta, tu? Perchè non vai a buttarti in qualche angolo, in silenzio, in attesa di un attacco epilettico? » sbotta la mia amica, infuriata come non l'avevo mai vista: Mery non è una ragazza aggressiva e questa è la prima volta che le sento dire un cosa cattiva e sprezzante all'indirizzo di qualcuno. Trattengo il fiato, troppo allibita dalla sua uscita per accorgermi che qualcosa, nel frattempo, è cambiato: il sorriso di Erica è evaporato dalle sue labbra scarlatte.
Di riflesso, il suo respiro si è ingrossato ed il suo corpo ha preso a scuotersi.
Che si stia sentendo male?
Lei china la testa di scatto, lasciando che i boccoli chiari le coprano il viso, e le sue dita si contraggono spasmodicamente.
« Isaac... no-non rie-sco a... » geme, con una voce che non sembra neppure sua: è colorata di una sfumatura roca e gutturale, che mi fa accapponare la pelle. Lui impallidisce e la prende per le spalle, cercando di trascinarla con sè e intimandoci, al contempo, di andar via.
Mery ha gli occhi stralunati e si morde il labbro inferiore con pentimento, ma nè io nè lei ci muoviamo.
Osserviamo, sgomente, Erica dimenarsi fra le braccia di Isaac, che sembra non riuscire a tenerla, ed infine liberarsi dalla sua stretta, scagliando lui giù dalla scalinata.
Poi, con un gesto fulmineo che quasi non riesco a cogliere, salta addosso alla mia amica come un animale feroce.
Cadono a terra con uno schianto sordo, alzando una nuvola di polvere densa e granellosa, fra le urla terrorizzate di Mery ed i versi animaleschi dell'altra.
Erica si tira un po' su e serra una mano sulla gola della mia amica, stringendo fino a farla tossire.
« Lasciala! Sei pazza?! » grido, correndo nella loro direzione d'istinto.
Ma prima che possa anche arrivare solo a toccarla, mi ritrovo stretta nella stessa morsa di Mery, tenuta per la gola con i piedi che non toccano il suolo.
Erica emette di nuovo quel suono che pare un ringhio e si volta a guardarmi.
Ed io, allora, urlo.
 

Il capitolo che avete appena letto... avrebbe potuto non essere così.
L'avevo immaginato in maniera diversa, ovvero incentrato solo sull'iniziale parallelismo, ma poi veniva corto e non diceva nulla di interessante, quindi ci ho aggiunto un altro pezzo che mi sembra un po' più "succulento" a livello di trama e colpi di scena.
Spero di non far storcere il naso a nessuno con l'entrata in scena di Erica.
Io non l'ho amata molto, ma non le ero neppure ostile... qui devo ancora capire che ruolo farle avere.
Se avete suggerimenti, io vi ascolto volentieri ^^
Vi bacio immensamente. Siete un dono per me, voi che leggete.


Strange.

Ps: Twin, non so che dire. La pubblicità che mi fai e la passione con cui mi segui mi spegne le parole in gola. GRAZIE <3
   
 
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