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Autore: Nero inchiostro    08/09/2013    2 recensioni
E mentre pensavo al mio dolce Ercole sentii un tocco sulla mia mano e mi si staccarono dal corpo le dita, le vidi fluttuare di fronte a me e divenire cenere che mi si poggiò in grembo...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pezzi di me

 

“Sai, ogni volta che qualcuno mi abbandona si porta via un pezzo di me.”

Me ne stavo lì seduta a pensarlo, mentre fuori infuriava la tempesta bagnando le strade, i desideri delle persone che avanzavano sotto gli ombrelli in cerca di riparo mentre io non avevo alcun riparo, alcun ombrello per la pioggia dei miei pensieri. E ogni volta che un ricordo nuovo, per quanto vecchio fosse, avanzava strisciando miseramente tra i recessi della mia mente, viscido e graffiante, trovava le porte sempre aperte impedendomi di dormire.

Quand’era successo? Quando era accaduto che rimanessi completamene sola? Di piangermi addosso non ne avevo più le forze.

E allora pensai a Marco, oh Marco dolce Ercole salvatore della mia anima dai mostri che affollavano la mia mente. Pensai ai suoi occhi che dentro avevano l’oceano e quella sua bocca, quella sua bocca che zittiva i miei silenzi. Quando era successo che mi aveva abbandonata? Ricordo che un giorno mi svegliai e accanto a me, sul letto disfatto, c’era solo il solco del suo corpo adagiato sulle lenzuola di lino bianco. Sotto il cuscino trovai un biglietto: ci eravamo divertiti, questo mi diceva. E mentre pensavo al mio dolce Ercole sentii un tocco sulla mia mano e mi si staccarono dal corpo le dita, le vidi fluttuare di fronte a me e divenire cenere che mi si poggiò in grembo. Ricordo che adoravo passare le mie dita tra i suoi capelli dorati forse quasi quanto amavo leggere ad alta voce. Ed ora quelle dita si erano staccate dal mio corpo, via un pezzo di me. Turbata mi alzai dal letto dove ero seduta e mi fissai le mani senza appendici. Le girai, le rigirai, ma ormai erano solo palmi e qualche lieve rivolo di sangue vi scorreva sopra. Non sentii dolore, solo una fitta al petto causa dell’immensa paura. Cosa stava succedendo?

Capitò che il turbamento mi portasse a pensare a Luisa, oh cara Luisa che si presentava alla mia porta con la colazione e mi regalava collane che raccontavano la nostra amicizia dicendo che sarebbe stata per sempre. Dolce Luisa, pasticcera in grado di cucinare le mie confessioni sollevandomi il morale semplicemente essendoci, con quel suo costante profumo stucchevole addosso. Quando era successo che anche lei mi aveva abbandonata? Ricordo farina ovunque nella sua cucina, i suoi occhi rossi dal pianto, quella promessa che anche se si fosse trasferita a Sidney, chilometri e chilometri da me ci sarebbe sempre stata. Non la rividi, non la sentii mai più. E la mia paura aumentò quando sentii lo stesso tocco e vidi fluttuare dinnanzi al mio volto il mio naso alla francese, troppo piccolo, diceva lei, per sentire tutto il profumo delle sue prelibatezze preparate a mano. Biscotti, torte, cupcakes e cioccolatini. Con le mani senza dita mi sfiorai il volto ormai quasi piatto, senza un ragionevole profilo. Sentii una cavità al centro e vidi il mio naso sgretolarsi sul tappeto. Mi inginocchiai e sentii la polvere fina impregnarmi la pelle. Che diavolo stava succedendo? Incominciai a piangere, disperata. Cercando una via d’uscita a qualunque cosa stesse accadendomi. Le lacrime mi scivolavano salate sulle labbra, vi passai sopra la lingua sentendone il sapore.

Così cominciai a pensare a mia madre Clara. Luce che mi risplendeva negli occhi quando sorridevo, pilastro che sorreggeva ogni mia scelta. Mamma, oh mamma, cosa darei perché fossi qui e mi dicessi cosa fare. Quale medico si chiama quando stai letteralmente perdendo i pezzi? Lei, dottore, conosceva tutte le mie debolezze. Lei, medico, salvava tutte le vite che le venivano offerte. Tutte tranne la sua. Non si diagnosticò mai il cancro, si rifiutò di ammettere la malattia sino a quando non fu troppo tardi, uno stadio troppo elevato dicevano i suoi colleghi e tutte le lacrime che piansi al suo capezzale non le piansi mai in tutta la mia vita. E piansi ancora più forte quando dal corpo mi si staccarono le braccia, quelle braccia esili che amavano abbracciare il suo corpicino stanco mentre la sua anima volava altrove. Mamma era un angelo, ne ero sicura, era lei a strapparmi via tutte le membra? Possibile che fosse diventata un diavolo dopo tutte le azioni angeliche che aveva compiuto in Terra? Mi accasciai sul tappeto respirando la cenere. Gli occhi vacui, la pelle diafana, le gambe tremanti. Sarebbero state loro le prossime? E chi? Chi le avrebbe portate via?

Chi se non Elia? I fantasmi del mio passato iniziavano a prendersi tutto ciò che avevano adorato prima di abbandonarmi. E prima che me ne accorgessi le mie gambe si stavano già staccando dal mio corpo inerme, mentre ricordavo ancora quanto a lui piacesse accarezzarle prima che un pirata della strada me lo portasse via per sempre. Sentii le forze che venivano meno e più mi sforzavo di non pensare, più i pensieri si facevano strada da soli. Se non pensavo, dunque, mi sarebbe stato risparmiato il dolore di perdere altri pezzi? Eppure sentivo che, in passato, questi pezzi se li erano già portati via ed io ero come una sottospecie di fantasma, fatta di rimpianti e rimorsi, lacrime e depressioni, possibile che i medici che mi prescrissero gli antidepressivi fossero stregoni? Era questa la punizione che mi meritavo per essere stata così fiduciosa negli esseri umani tanto da collezionare delusioni come francobolli?

Tentai di chiudere la mia mente ma prima un nome vi si impresse. Luca. E allora sbarrai gli occhi perché quella era la mia fine. Ricordo che esalai un ultimo respiro prima di accasciarmi completamente e perdere ogni forma di vita.

Di Luca amavo sentire il respiro sulla pelle, fu quello che mi tolse.

E adesso credo di essere morta, un fantasma per qualcuno, una disgrazia per qualcuno come me.

 

Successe che poi mi svegliai. Non erano nemmeno le quattro del mattino quando mi alzai a sedere sul letto, madida di sudore e svuotata. Mi sentii così vuota che mi venne da pensare e forse mi espressi a bassa voce: “Può essere mai possibile che stanotte, i fantasmi del mio passato, mi abbiano strappato l’anima in pezzi?”

 

N.d.a. Ebbene un altro frutto della mia mente malata. Ero lì da sola e pensavo alla frase iniziale che, penso, ognuno abbia sentito almeno una volta, anche in un film o da qualcuno. E se letteralmente ci portassero via "pezzi di noi"? Un incubo a cui non vorrei mai partecipare.

   
 
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