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Autore: MissBethCriss    08/09/2013    1 recensioni
Secondo la definizione di ohana, che corrisponde al termine famiglia, nessuno viene abbandonato. O dimenticato. Questo Blaine e Sebastian lo hanno imparato sulla loro pelle: sono stati uniti dal fato a due piccoli angeli e mai si separeranno da loro. Il fato, che per molto tempo ha remato contro di loro, ora li ha resi un ohana.
F is for Family. A family named Smythe-Anderson.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro Ryan Murphy, pelatone fortunato; *sigh*
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei quattro scemi (come qualcuno ha detto) che mi hanno rubato il cuore.
 
 

  



 

Y is for You, you’re my hero.

“Sebastian Smythe giovane milionario a capo della Smythe Industries rapito da terroristi Afghani.”
Era ciò che da settimane si leggeva sui giornali di tutto il paese e nessuno riusciva a trovare un modo per riportare il giovane a casa. Ormai ogni giorno portava dei nuovi problemi sulle spalle di Blaine Anderson, segretario di Sebastian, veniva sommerso da domande a cui non sapeva dare una risposta e di problemi che solo la mente geniale del giovane a capo delle industrie Smythe poteva dare una soluzione. Visto che ogni giorno portava della nuova grana, la sera non tardava mai ad andare a trovare il giovane Anderson affiancato dai suoi scheletri dell’armadio e il suo riflesso sul suo blasone aumentava i suoi sensi di colpa, perché sapeva cosa poteva fare per salvare il suo amico, ma non riusciva a trovare la forza che gli serviva per farlo. Visto che quella sensazione, che era molto familiare al giovane Blaine, stava per tornare, le visite alla palestra della boxe si fecero più frequenti e quella sensazione di oppressione si affievolì. Quando Blaine venne chiamato per metterlo a conoscenza del ritrovamento di Sebastian Smythe e del suo imminente ritorno in patria si trovava sulla strada che lo portava dalla palestra alla casa e ricorda che per quanta fretta avesse di rivederlo andò all’aeroporto con ancora la tuta e i capelli liberi dal gel. Nel momento in cui lo vide uscire dal suo aereo notò subito che qualcosa non andava nell’uomo che era il suo capo, ma che pian piano era diventato un amico: il suo passo non era più fermo con una volta, ma zoppicante; riportava dei tagli sulla faccia e il suo braccio era fasciato, ma niente di tutto questo colpì Blaine tanto da farlo preoccupare quanto i suoi occhi perché ci vide una luce diversa, non sapeva definire cos’era, ma per certo poteva dire che qualcosa lo aveva fatto cambiare. Radicalmente. Quel giovane uomo impertinente, che molto spesso faceva impazzire Blaine, aveva lasciato posto ad un uomo diverso che finalmente aveva capito cosa avesse fra le mani e della sua pericolosità. Appena Sebastian lo vide gli sorrise e affrettò il passo per andare da lui, si fermò a un passo da Blaine per avere modo di guardarlo con quel mezzo sorriso tanto amato dal riccio dipinto in volto.
“Non mi dire che ti è mancato il tuo boss stronzo, killer. Non ti credo.”
Blaine si sentì gli occhi pizzicargli perché il suo boss stronzo come si era appena definito il ragazzo dagli occhi verdi era sì, una delle persone più maleducate e piene di sé che avesse mai avuto l’occasione di incontrare e di persone negli anni passati ne aveva incontrata molta, forse fin troppo, e sì per un periodo l’aveva pure odiato, ma avrebbe preso la sua pallottola pur di salvarlo e col tempo imparò ad amare il suo boss stronzo, curando di nascosto questo sentimento fatto di sguardi e caffè portati alle due di notte per fargli finire il suo lavoro. Ora il suo boss stronzo era in piedi, vivo, di fronte a lui, dopo mesi e mesi di preoccupazioni. Non ci credeva. Sebastian conosceva Blaine e in cinque anni aveva imparato cosa riuscisse a far tranquillizzare l’amico in determinate situazioni perciò aprì il braccio che non gli faceva male per invitare l’amico ad abbracciarlo, Sebastian non era solito a certe manifestazioni d’affetto in pubblico, ma conosceva molto bene Blaine e teneva a lui più di quanto avesse mai ammesso. Il ragazzo più basso non se lo fece ripetere una seconda volta e si strinse a lui, lo strinse troppo forte e dei lamenti a denti stretti uscirono dalla bocca del castano e come li sentì Blaine si staccò subito da lui.
“Scusa.”
Gli disse e quando si guardarono ad entrambi venne da ridere sotto gli occhi stupiti degli altri che come Blaine stavano aspettando il grande ritorno del signor Smythe, il Capitano Harwood gli andò incontro e gli diede una pacca sulla spalla buona facendolo ritornare serio.
“La prossima volta usa la macchina dei noiosi perché alcuni tengono alla tua pelle più di quanto ci tieni tu. Adesso vieni con me che c’è il socio di tuo padre che vuole parlare con te.”
“Può aspettare, ho fame. Cheeseburger, Anderson?”
“Tu odi i cheeseburger.”
Ribatté Blaine ricevendo come risposta un’occhiata di ammonizione da parte di Sebastian che scosse leggermente il capo deluso per poi girare quel tanto che bastava la testa per permettere al ragazzo dai ricci scuri di vedergli il suo mezzo sorriso.
"Reggimi il gioco di tanto in tanto, Anderson!”
Gli disse seccato Sebastian continuando a sorridere.
“Dicevo tu odi i cheeseburger, ma conosco un posto dove hanno una ricca scelta di panini.”
“Vedi Harwood? Lui si che è buon capitano: mi guida verso il trionfo dei panini.”
Sebastian salì nella limosine e invitò Blaine a copiarlo, ma quando aprì lo sportello Thad lo fermò e prese il posto di Blaine per poter guardare Sebastian negli occhi. “Sebastian Smythe ti ricordi cos’è successo l’ultima volta che hai fatto di testa tua?”
“Gli Afgani mi hanno rapito, pronto a correre il rischio, Anderson?”
Blaine non gli rispose ma spostò delicatamente Thad dallo sportello ed entrò.
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Dopo che lo stomaco venne soddisfatto con i tipi di panini più strani con la scusa del ‘sai da quanto non mangio qualcosa di decente?’. Blaine quella sera fece avanti indietro più volte per prendergli il cibo perché non volevano che si facesse vedere in un luogo pubblico, a Blaine non pesava questa mansione perché era abituato a richieste peggiori. Quella sera parlarono di lavoro e dell’industria, Blaine non riempì Sebastian di tutte quelle parole dette e stradette dopo che un tuo conoscente viene rapito, non gli disse di quanto gli era mancato, ma gli parlò degli andamenti della borsa e di come il socio del padre si era comportato. Sebastian sentiva attentamente ciò che il suo segretario aveva il bisogno di dirgli, ma anche lui gli tenne nascosto qualcosa, ciò che era accaduto in Afganistan e di ciò che gli permetteva di vivere e di cosa avesse in mente per cambiare totalmente la sua industria. Quando Sebastian fu sazio fece riportare a casa Blaine e quando fece per uscire venne bloccato dalla voce del ragazzo dagli occhi verdi.
“Domani ricordati di vestirti per bene, ma scordati la brillantina. Ci siamo capiti?”
“Non si preoccupi signor Smythe.”
Sebastian si portò due dita sulla fronte per salutarlo come faceva sempre col capitano suo amico Blaine contraccambiò il saluto con un cenno col testa. Sebastian prima di dire al suo autista che poteva partire voleva aspettare che Blaine entrasse, non gli era mai piaciuta come zona. Quando varcò la soglia e si chiuse la porta alle spalle Blaine si lasciò scivolare sulla porta, lentamente, per poi appoggiare la testa sulle ginocchia. L’eco delle bombe che esplodevano e il sibilo dei proiettili che ti passano vicino si fece spazio ancora una volta fra i pensieri di Blaine l’esser chiamato capitano da Sebastian aveva riaperto quella porta che diligentemente aveva chiuso e dimenticato. I ricordi feriscono più delle bombe, più dei proiettili e Blaine non li sopportava più.
“Sono solo Blaine ora, lasciatemi in pace. Solo Blaine.”
Continuò a ripetere il riccio come una cantilena fino a quando Morfeo ebbe la meglio su di lui facendolo scivolare in un sogno fatto di urla e polvere da sparo. Invece quella sera Sebastian la passò in bianco era dedita a ricostruirsi un elettromagnete nuovo, il modello che si era costruito in Afganistan dopo la caduta gli stava dando dei problemi e non voleva rischiare di morire per non esser stato prudente abbastanza.
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Blaine sapeva che doveva riprendere il controllo di sé, il prima possibile per non destare sospetti, doveva indossare di nuovo la sua maschera di un giovane uomo che aveva perso tutto, ma qualcosa gliela aveva fatta incrinare e di ciò era preoccupato. Quella mattina si svegliò come sempre alle cinque per poter andare a fare la sua solita corsa mattutina, un toccasana per i suoi fantasmi che lo tormentano, e quando finì il suo giro era più tranquillo e ciò gli rese più semplice mettere in scena la faccia da bravo ragazzo, che non scappa da alcun passato. Indossò una delle sue tante camicie bianche e i suoi soliti pantaloni neri come le scarpe, ignorò lo specchio i suoi capelli non necessitavano del loro solito gel. Come sempre si fermò al bar dietro l’angolo e ordinò il solito, un caffè corretto con del Courvoisier per Sebastian e uno con un pizzico di cannella per lui che consumò in macchina. Quando arrivò alle industrie scambiò come sempre una parola col guardiano all’entrata e quando vide che aveva lasciato i suoi ricci liberi si preoccupò, lui non ne usciva mai senza e forse la mancanza di gel poteva significare che era depresso o qualcosa del genere pensò Patrick, ma Blaine lo tranquillizzò dicendogli: alcune volte si ha bisogno di un piccolo cambiamento. E lo lasciò passare senza fare ulteriori domande. Quando arrivò nell’ufficio di Sebastian notò che all’interno c’era troppa calma e vide che effettivamente era vuoto, chiamò all’istante il giovane Smythe, non era da lui arrivare in ritardo. “P-pronto?”
“Smythe? Che è successo?”
“Nie-” Sebastian non riuscì a finire di parlare perché si ritrovò ad urlare di dolore e questo fece preoccupare ancora di più Blaine.
“Sebastian? Dove sei?”
“A casa.”
“Ti devo aiutare?”
Altre urla che gli impedirono di parlare e quelle furono il sì che Blaine aspettava, perciò corse subito verso il parcheggio e trovò l’autista appoggiato alla macchina mentre parlava con una segretaria che gli aveva portato il caffè. Quando il moro entrò nel campo visivo dell’autista questo sussultò perché non si aspettava di vederlo, la ragazza al suo fianco arrossì e gli prese il caffè dalle mani e corse verso l’interno delle Industries.
“Metti in moto. Ora!”
Gli urlò Blaine mentre saliva in macchina dopo avergli detto dove dovevano andare.
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Blaine appena arrivò a casa Smythe si precipitò all’interno e andò verso il pannello dei comandi che si trovava nel grande soggiorno bianco e cercò in quale porta si era verificato l’ultimo accesso e quando vide che era quella dei laboratori si preoccupò ancora di più. Grazie ai muri in vetro già dalle scale Blaine poté aguzzare la vista per trovare Sebastian e si bloccò quando lo vide steso su un lettino che trafficava con un oggetto vicino al suo cuore che emetteva una luce celeste e nel momento in cui il ragazzo dagli occhi verdi lo notò gli sorrise per tranquillizzarlo e mosse la mano libera in segno di saluto sotto agli occhi scioccati di Blaine, subito dopo lo incitò a velocizzarsi e andare da lui il prima possibile.
“Sei venuto per vedere o per aiutare Anderson?”
Lo ammonì Sebastian appena Blaine mise il piede dentro al laboratorio.
“Hai un buco.”
“Sì, lo so Anderson.”
“Al centro del petto c’è un coso blu.”
“Oh siamo molto acuti oggi eh Anderson?”
“E il tuo cuore?”
Quello scambio di battute stava stancando Sebastian perciò come se lo vide vicino gli afferrò la cravatta nera e portò il suo viso vicino al suo per guardarlo negli occhi e a denti stretti gli disse: “Oh un problema ok? Se sei venuto qui per farmi domande facevi prima a rimare a casa. Okay?”
Blaine si limitò ad annuire.
“Ce l’ho fatta a farti chiudere la bocca, perfetto.”
Disse trionfante Sebastian per poi afferrare le mani di Blaine per potersele vicino agli occhi.
“Suoni vero? Mani delicate, da pianista. Affusolate che sanno dosare la pressione, perfette. Ora ascoltami bene Anderson, so che puoi farcela. Ora tu devi prendere questo elettromagnete e tirarlo su, ma non staccare nessun filo e lo appoggi sul mio petto. Così bravo, perfetto. Ora devi infilare la mano dentro e sistemare dei fili, quella brutta caduta me li ha smossi tutti. Attento all- AHH!”
“Pareti scusa scusa!”
“Anderson!”
“Scusa scusa. Ci sono, ok, ci sono. Sistemo il filo. Sebastian perché c’è una sostanza gelatinosa, Sebastian?”
“Non è niente, dopo ti lavi le mani. Questo mi farà un po’ male ma tu sistema il filo.”
Blaine fece quello che gli era stato detto e non si fermò quando sentì Sebastian urlare per la milionesima volta a causa di quei maledetti fili. Quando sistemò tutto si mise a sedere sulla sedia lì vicino e si tolse una gocciolina di sudore che gli scendeva dalla fronte col dorso della mano pulita.
“Credi di aver finito?”
“Ti ho sistemato i fili. Io il coso lì non te lo ritocco.”
“Io però non posso cambiarlo da solo.”
“No. Io non so cos’è quell’affare là, ma deve essere collegato al tuo cuore oppure è proprio quello e io non voglio ucciderti.”
“Non mi uccidi. Fidati di me, okay?”
“Non voglio ucciderti.”
“Non lo farai. Prendi l’altro elettromagnete, da bravo, è semplice. Devi staccare questo qua con pezzi rimediati per mettermi un qualcosa di decente che non mi faccia male. Credo in te Blainey-boy.”
Blaine rise e scrollò la testa.
“Se volevi che io non ti facessi male non dovevi chiamarmi in quel modo Smythe.”
“Tanto non lo faresti mai di proposito”
Blaine avvicinò la mano al petto del ragazzo disteso sul lettino.
“Vuoi scommettere?”
“Fa pure.”
Sebastian lo guardò con occhi di sfida e aspettò che si avvicinasse tremendamente vicino al posto che proteggeva i suoi organi dall’elettromagnete e aspettò che si avvicinasse, Blaine non perse mai il contatto visivo con lui, ma l’altro sapeva che non gli avrebbe mai fatto male. Il cambio del congegno che lo manteneva in vita avvenne in una frazione di secondo e Sebastian sentì solo un leggero pizzicore all’altezza del cuore, Blaine reggeva nell’altra mano che non era appoggiata al petto nudo del ragazzo più alto l’elettromagnete rustico.
“Lo sapevo che ne saresti stato capace, io lo sapevo!”
Disse Sebastian mentre si rimetteva la camicia scura.
“Ma che cos’è? E perché prima stavi così male?”
“Te l’ho detto: cavi messi male. Ed è un elettromagnete che non permette a delle schegge di arrivare al mio cuore e di perforarlo. Sai non ero da solo in cella e c’era questo medico dalla mente geniale come la mia che mi mise un apparecchio simile, alimentato con una batteria, è grazie a lui se sono sopravvissuto e al ‘coso’ che hai fra le mani, mi faresti un favore? Lo puoi distruggere?”
“Non lo tieni?”
“Nah, non ne ho bisogno. Mi puoi aspettare in cucina? Mi devo cambiare ed è meglio che ci sbrighiamo, credo che il signor Karls sarà arrabbiato con me per via del mio ritardo.”
“Okay.”
Sebastian fu il primo a uscire dalla stanza e corse sulle scale, a due a due, per poi tornare giù in cerca di Blaine.
"Però se ci tieni puoi tenerlo, puoi vantarti della volta in cui hai salvato l’uomo più senza cuore e stronzo della storia, non so in quanti sarebbero contenti della tua azione, ma fai tu. E se vuoi puoi usare anche il piano, so che vuoi farlo. Io ora vado a preparami.”
E così Blaine rimase da solo nel grande laboratorio con in mano forse l’unica prova in antitesi con le teorie di tutti: Sebastian Smythe aveva il cuore e lui aveva fra le mani la prova tangibile di ciò.
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Come pensava Sebastian il socio del suo defunto padre non era per niente felice del loro ritardo e passarono più di mezz’ora nel sentirlo parlare dei valori della puntualità e sembrava che l’unico che prestasse attenzione era Blaine, visto che l’altro continuava a scarabocchiare su dei fogli un qualcosa che era sconosciuto a tutti, persino a Blaine che conosceva ogni singolo progetto a cui l’altro si interessa. Quando il signor Karls finì di parlare Sebastian finalmente alzò gli occhi da foglio, aveva qualcosa da dire.
“Prepara la stampa che fra due giorni voglio rilasciare un’intervista.”
“E per dire cosa?”
“Lo sentirai Karls.”
“Sebastian è mio diritto sapere.”
“Fra due giorni ne sarai a conoscenza. Abbiamo finito?”
“Non abbiamo nemmeno iniziato, Sebastian.” Sebastian si guardò intorno, erano solo loro tre e lui non aveva niente da dire a Karls perciò chiuse il suo blocco mettendolo dentro alla sua valigetta e fece per alzarsi, immediatamente lo seguì Blaine e si fermarono insieme davanti alla porta.
“Abbiamo finito, buona giornata Karls.”
Blaine non riusciva a capire questo suo comportamento, ma si trovò obbligato a seguirlo fuori dalla stanza, era un suo compito dopotutto. Quando si trovarono dentro allo studio di Sebastian Blaine lo fermò prendendogli il braccio.
“Ma che ti prende?”
“Niente.”
“Sebastian.”
“Vuoi sapere cosa annuncerò? La chiusura dell’industria e mi sono preso questi due giorni perché devo sistemare una cosa, conoscendolo mi ucciderà.”
“Ma sei pazzo?!”
“No, tu non sai cosa ho visto. Le armi che io faccio, quelle per tutelare gli americani, vengono usate contro di noi e io non so come ci sono riusciti ma ora che so non voglio stare zitto, devo fare qualcosa.”
“E io? E tutti noi? Se chiudi fai un disastro.”
“Tu non ti devi preoccupare, finché ci sono io tu non hai da che preoccuparti. Ci siamo capiti? E gli altri non perderanno il loro lavoro, chiudo la fabbricazione d’armi, mi inventerò qualcosa.”
“Perché aspetti due giorni?”
“Perché così ho tempo per finire una cosa, secondo te mi lasceranno chiudere così? No, sarò bombardando di domande, Karls sarà arrabbiatissimo e se dovessero ritornare mi devo far trovare pronto.”
“Sei sicuro della scelta?”
“Mai stato più sicuro, bisogna cambiare. Fidati di me.”
E Blaine di fidava.
“In cosa posso essere aiuto?”
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I due passarono quelle 48 ore successive dentro al laboratorio di Sebastian per metter appunto la sua nuova armatura, alla fine aveva raccontato a Blaine tutti i dettagli della sua permanenza in Afghanistan sia di come riuscì a scappare per mettersi in salvo sia come aveva salvato una cittadina da un attacco e l’altro ascoltava molto attentamente tutto l’accaduto mentre gli passava un pezzo o gliene reggeva un’altro. Ma quei due giorni non gli furono a sufficienza per completare l’opera, il più alto era preoccupato, ma preferiva non farlo capire a Blaine. La mattina dopo aver chiuso il laboratorio e dopo aver messo al sicuro tutto il progetto dell’armatura, andarono insieme nella sala conferenze che andò come aveva previsto il giovane Smythe: domande poste da ogni dove che si intrecciavano alle altre impedendogli di capire, Karls arrabbiato e che cercava di rispondere a tutte le domande che poteva, raccontandogli della sua permanenza nel campo dei terroristi credendo che una buona argomentazione mettesse sulla buona luce la sua decisione. Per la prima anziché pensare ai suoi guadagni pensò al futuro, aveva messo a nudo tutti i suoi pensieri e ciò che aveva vissuto e di certo non si sarebbe tirato indietro, voleva cambiare questo mondo. Quando finì venne fermato dal signor Karls che era l’unico in quella stanza che non aveva visto di buon occhio questa sua mossa.
“Sei impazzito? Non posso permetterti di rovinare tutto il lavoro di tuo padre.”
“Ho preso la mia decisione. Il nostro futuro è custodito dal nostro reattore.”
“Tuo padre non sarebbe d’accordo.”
“Mio padre ha costruito queste armi per il governo, per la nostra tutela e quei terroristi avevano le nostre armi e io non posso permetterlo. Io non so come ci siano riusciti ma fatto sta che stavo per venir ucciso dalle mie armi e non me ne starò a guardare mentre il mio cognome viene macchiato. Adesso devo andare.”
Lo salutò e si incamminò verso il suo studio seguito a ruota da Blaine, Karls lo vide allontanarsi e la rabbia incominciò a ribollire dentro di sé perché un ragazzino che del mondo aveva visto poco si era permesso di mettersi in mezzo ai suoi affari e lui non poteva permetterglielo, Sebastian non sapeva dove si era cacciato. Quando arrivarono al suo studio Sebastian sistemò su una borsa degli oggetti che sapevano che gli sarebbero serviti per poter finire la sua armatura scarlatta.
“Secondo me Karls sa più di quello che pensiamo.”
Disse sovrappensiero Blaine sotto lo sguardo confuso di Sebastian.
“Non sembrava tanto stupito del fatto che i terroristi avevano le tue armi.”
“Non credo che lui centri qualcosa, non tradirebbe mai il ricordo di mio padre.”
“Forse hai ragione tu. . .ma a che ti serve tutta questa roba?”
“Devo portarla a casa.”
“Non puoi lavorare qui?”
“Sono progetti segreti, non voglio che nessuno la fuori sappia qualcosa.”
Mentre Sebastian cercava qualcosa dentro ai cassetti della sua scrivania Blaine si appoggia alla sua scrivania voltandogli le spalle.
“Non è poco sicura anche casa tua?”
QUando sentì che Sebastian si fermò di colpo si girò un po’ per poterlo guardare, ma l’altro teneva gli occhi fissi davanti a lui.
“Proprio non ti fidi di lui eh?”
Blaine scosse la testa.
“Posso portare da te tutto questo?”
Blaine gli rise in faccia e poi gli venne il dubbio che forse lo stava dicendo veramente e visto il suo sguardo serio capì che non stava scherzando, scosse un’altra volta la testa non voleva che nessuno entrasse dentro casa sua.
“Tu ti fidi di lui quindi non vedo il problema, posso sbagliarmi.”
“Mi fido delle tue impressioni, raramente falliscono.”
“Daresti nell’occhio lo stesso, - poi abbassò il volume – l’armatura non è mica tanto piccolina.”
“Se ti preoccupa solo quello un modo lo troviamo.”
“No.”
“Non so a chi altro chiedere, ho solo te.”
Sebastian ci giocava molto sul ‘ho solo te’ perché lo stesso valeva per Blaine e quando giocava quella carta ogni no lasciava il suo posto ad un sì.
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La casa di Blaine non era fastosa come quella di Sebastian, ma non meno bella e il più alto costatò che il soggiorno era perfetto come laboratorio provvisorio, per la gioia di Blaine che se lo vide trasformato: con la libreria spostata sul corridoio il divano spostato in un angolo con sopra il tavolino e con le piante messe sul terrazzo. In due giorni gli rivoluzionò la casa e in un certo modo anche la vita perché ebbero modo di avvicinarsi ancora di più, di coltivare la loro amicizia nata per caso e cresciuta giorno dopo giorno e portarla ad uno stadio più alto. Dopo le riunioni con gli altri soci per discutere il futuro dell'industrie Sebastian andava sempre da Blaine o se stavano insieme tornavano insieme e ormai Sebastian sapeva dove poteva entrare e cosa non aveva il permesso di aprire, era come se quella casa al terzo piano era diventata la sua. Blaine lo lasciava molto spesso lavorare da solo perché lui non aveva le capacità per aiutarlo, non come i suoi robot, perciò si metteva sempre a sedere ad incastro col tavolino sul divano e lo guardava al lavoro, guardava i movimenti della sua fronte di come la corrugava sotto sforzo, gli occhi fissi verso il materiale che stava lavorando e le mani esperte che sapevano cosa dovevano fare, ma succedeva che molto spesso Blaine si addormentasse e la mattina si risvegliava sempre col tavolino di fianco al divano e con una coperta sulle spalle, quello era il grazie di Sebastian per permettergli di lavorare al sicuro a casa sua. Ma le cose si complicarono dopo una settimana perché mentre Blaine si trovava in cucina a preparare qualcosa da bere Sebastian sbagliò porta e anziché entrare nel bagno entrò in una stanza che non aveva mai visto prima con i muri blu e spoglia, salvo per un muro dove al centro emergeva uno scudo circolare con una stella al centro a Sebastian non ci volle molto prima di riconoscerlo, si trattava lo scudo di Capitan America e di fianco c’era una teca che teneva al suo interno i vestiti di quel famoso eroe che da anni non se ne sentiva più parlare. Blaine come non lo vide tornare si preoccupò e lo andò a cercare e quando vide quella stanza che non doveva essere aperta col la porta socchiusa capì e trovò all’interno Sebastian che leggeva dei pezzi di giornale attaccati alla parete.
“Tu non dovresti essere qui.”
Sebastian si congelò al suo posto e si girò piano verso di lui.
“Scusa.”
“Ecco cosa fanno 70 anni di ibernazione, molti cercano di prendere il tuo posto, vestono i panni dell’eroe da laboratorio quando tu stai dentro ad un ghiacciaio. Ti accorgi che il mondo va avanti, anche senza gli eroi, i miei imitatori cadono uno dopo l’altro e il mio mito con lui. Ti risvegli da questo sonno senza sogni in un mondo che a nessuno ormai importa più niente di Capitan America, l’eroe caduto e dimenticato. Nessuno ormai ha più bisogno di supereroi. E l’unico posto che trova l’eroe caduto è quello da segretario del figlio viziato del defunto signor Smythe. Bello il mio passato, non trovi? Dicevi che non potevo capire cosa avevi visto in Afghanistan? Ho fatto la guerra io, credimi se ti dico che lo so e vorrei non saperlo.”
Blaine era rimasto per tutto il tempo fermo appoggiato sulla porta mentre il suo sguardo si spostava da un angolo all’altro della stanza, scorrendo gli articoli di giornale, non incrociando mai lo sguardo dell’altro.
“Non è vero Blaine, il mondo aveva bisogno di te e ne ha tutt’ora.”
“Si sono dimenticati di me, nessuno ricordava la mia identità e sono rimasto solo Blaine.”
Sebastian si avvicinò lentamente a lui e gli posò una mano sulla spalla e finalmente lui alzò il suo sguardo tormentato verso di lui, senza accorgersene si ritrovò stretto fra le sua braccia.
“Sono stato dimenticato.”
Era ciò che ripeteva Blaine perché dopo tanto gloria quella era una realtà che difficilmente andava giù, che ti logorava facendoti pensare di essere il nulla. Quella sera Sebastian non lavorò a quei piccoli particolari che andavano migliorati sulla sua armatura ma si sedette di fianco a Blaine e si fece raccontare tutto ciò che aveva visto in quegli anni in cui il mito di Capitan America ancora viveva. Per la prima volta Blaine non pesò il ricordare il suo passato, ma gli fece piacere che dopo tanto tempo qualcuno finalmente era interessato e si addormentarono così quella notte: fianco a fianco con Sebastian che avvolgeva l’altro dietro il collo e Blaine che aveva la testa appoggiata alla sua spalla e una mano che lo cingeva in vita.
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Blaine era preoccupato: Sebastian la sera successiva dopo il lavoro non era andato da lui e non l’aveva visto per tutto il giorno, forse non doveva raccontargli tutto, per lui poteva esser troppo. Nemmeno il giorno successivo lo vide e una strana sensazione si instaurò all’altezza del suo stomaco, non voleva perdere anche lui. Quel giorno quando tornò a casa notò che la porta era già stata aperta e sperò con tutto il cuore che ciò non avesse niente a che fare con dei ladri, ma quando entrò dentro casa vide che la libreria era ritornata al suo posto così come il resto del mobilio e l’armatura che luccicava nella sua fierezza e poi c’era lui. Lui che dormiva affiancato da uno scudo nuovo di zecca che al centro aveva la sua stella bianca su sfondo circolare blu accerchiato da strisce rosse e bianche, Blaine si avvicinò a lui e si mise in ginocchio di fronte allo scudo sfiorandolo con la punta delle dita, aveva paura di rovinarlo. Blaine non svegliò Sebastian, ma aspettò che lo facesse da solo perciò rimase fermo a guardare il suo scudo, il più alto credeva in lui tanto da fargli uno scudo nuovo e forse in questi anni era ciò che gli era mancato per poter risorgere dalle ceneri dell’eroe dimenticato e con lui poteva ricominciare da capo. Quando vide che Sebastian si stava per svegliare il sorriso di Blaine divenne più grande e l’altro contraccambiò dopo essersi stiracchiato e averlo messo a fuoco.
“Buongiorno.”
Gli disse sorridendogli.
“Mi sono addormentato vero?”
Disse Sebastian mentre andava a nascondere il viso dietro lo scudo lasciando scoperto quel mezzo sorriso che il riccio tanto amava.
“Come hai fatto ad entrare?”
“Le chiavi di scorta sotto al tappetino, è un classico.”
Blaine afferrò la mano di Sebastian per invitarlo a guardarlo.
“Grazie.”
Sebastian lo guardò confuso piegando la testa su di un lato perché non capiva cosa avesse da ringraziargli, gli aveva appena detto che era entrato in casa grazie alla chiave di scorta, Blaine gli indicò lo scudo con un movimento della testa e come vide Sebastian si mise di fronte allo scudo facendo ridere l’altro, perché se il suo intendo era quello di nasconderlo aveva fallito miseramente.
“Non dovevi vederlo! Non ora!”
“Non ti preoccupare, va bene così.”
“Doveva essere una sorpresa!”
Disse con tono lamentoso Sebastian mentre si rimetteva a sedere sul divano.
“Sono molto sorpreso e veramente stai tranquillo, lo apprezzo lo stesso.”
Gli disse con un sorriso dolce.
“È tutta colpa di quello che mi hai detto l’altra sera, tu ti sentivi una nullità per il lavoro che avevi trovato, per il fatto che non nessuno si ricordava di quell’eroe che per anni e anni aveva acclamato e io ti volevo omaggiare con lo scudo, uno nuovo. È fatto con lo stesso materiale della mia armatura, ma ho usato i colori della nostra bandiera. Io mi sto scoprendo, mesi fa non avrei mai pensato di dover costruire uno scudo, l’idea di dormire per terra non mi era mai passata per la testa, ma eccomi qui con un torcicollo che me lo prova. Io sto scoprendo il mio essere supereroe, con l’armatura e tutto, voglio fare qualcosa di buono e riparare ai miei errori e tu potresti far risorgere Capitan America insieme ce la possiamo fare. Iron-man e Capitan America. Potrebbe funzionare. Credo in te e nel tuo talento, sei il miglior supereroe di sempre.”
Blaine rimase per qualche minuto in silenzio e appoggiò le sue mani sopra le ginocchia di Sebastian e con uno slancio si tirò su, i loro visi era vicini, aspettò che l’altro colmasse quella distanza che in quei giorni era diventata più fastidiosa che mai, Sebastian pose una mano sul collo dell’altro delicatamente e lo fece avvicinare a lui finché le loro labbra si toccarono.
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10 anni dopo. . .
 
Sebastian e Blaine dopo quel primo bacio divennero più inseparabili che mai, lavoravano e lottavano per proteggere il mondo fianco a fianco, giorno dopo giorno, combatterono insieme fino a quando nella loro vita non piombarono due piccoli tesori dai ricci rossi che fecero mettere al chiodo per una seconda volta lo scudo di Blaine al muro e sopra al mobile il casco dell’armatura di Sebastian. Lasciarono il compito di salvare il mondo ad altri l’esser genitore comportava determinati sacrifici e quella vita da supereroe era giunta al suo termine. Ogni mattina Blaine si svegliava, per colpa di un raggio di sole dispettoso, sempre per prima e con la testa sopra al petto dell’amato e aspettava che si svegliasse, si spostava di poco e metteva una mano sopra all’elettromagnete, toccava i contorni e lasciava una serie di baci sulla pelle nuda che lo circondava.
“Non ti stanchi mai, vero?”
Mugugnava Sebastian di tanto in tanto quando vedeva tutte le attenzioni che Blaine prestava all’elettromagnete e poi intrecciava le sue mani dietro alla schiena del moro per farlo avvicinare ancora di più al suo corpo.
“No. È grazie a quello che sei vivo.”
Sebastian lasciava un bacio fra i suoi ricci e si riaddormentava per un altro po’, fino a che non suonasse la sveglia.
 
* * * * * *
 
Molto spesso Sebastian quando leggeva degli articoli sul giornale riguardanti certi avvenimenti che minacciavano il mondo si girava felice con quella luce che animava ogni loro missione e ogni volta Blaine accarezzava le testoline dei loro Emily e Andrew e da lì l’uomo dagli occhi smeraldini capiva la risposta del marito e si metteva a leggere con meno entusiasmo il giornale, ma certe volte nemmeno quello fermava Sebastian.
“Una sola missione Anderson! L’esser padre non ti avrà mica rammollito!”
“Abbiamo delle responsabilità ora!”
“Ne abbiamo una anche verso il mondo.”
“Abbiamo detto niente più armi o macchine superaccessoriate e niente più missioni.”
“Hai ragione ma una solo non ha mai fat-”
I due come sentirono un’esplosione provenire dal soggiorno della casa Smythe-Anderson corsero il più veloce possibile, in quella stanza si trovavano i loro figli e trovarono la piccola Emily che si era nascosta dietro al fratello e lo proteggeva con il suo libro, i due bambini tremavano dalla paura e il telecomando delle macchina nuova di Andrew che gli aveva fatto il suo daddy gli cadde dalla mani. I due genitori gli andarono subito incontro e li abbracciarono stretti.
“Ma che è successo?”
Andrew si strinse ancora più forte al collo del suo papa, perché era colpa sua se tutto quel disastro era avvenuto ed era ancora spaventato.
“Stavo giocando con la mia macchina e BOOM! Sono partiti dei piccoli razzi dai fari io non l’ho fatto apposta papa.”
Gli disse con la voce rotta suo figlio e Blaine guardò suo marito con occhi infuocati per fargli capire che con lui avrebbe sistemato i conti più tardi. Portarono i loro figli nella stanzetta di Andrew perché Emily voleva stare con lui e i due genitori restarono finché i bambini si tranquillizzarono, quando furono fuori dalla stanzetta Blaine diede un pugno a Sebastian sulla spalla.
“Ma sei impazzito?! Missili nell’automobile giocattolo di tuo figlio! Ma che ti dice la testa, razza di deficiente!”
“Forza dell’abitudine? Non lo so! Mi aveva chiesto una macchinina e gliene ho fatto una tipo quelle che mi facevo da solo, gli ho fatto vedere i tasti che doveva usare.”
“Ha 7 anni! Non puoi mettergli dei missili!”
“Lo so Blaine!”
Sebastian aveva il viso rivolto verso il pavimento, si vergognava di se stesso, anche lui aveva avuto lo stesso pensiero: la macchinina era rivolta verso un muro, ma cosa sarebbe successo se era rivolto verso di loro?
“Vuoi salvare il mondo e poi fai certe cose, non ti capisco.”
“Le ho fatte sempre così, prometto che la prossima sarà solo una macchina.”
“Non te le chiederà mai più una.”
Sebastian annuì e si avviò verso il soggiorno per pulire il disastro dovuto all’esplosione aiutato da Blaine, rimasero in silenzio per tutto il tempo perché Smythe era immerso nei pensieri e sembrava che stesse in un’altra dimensione, Blaine gli si avvicinò e gli lasciò un bacio sulla guancia facendolo sorridere un po’.
“Non sei un pessimo papà, sei solo stupido e pensiamo solo al fatto che stanno bene entrambi, ok? Solo questo conta. Voglio quella macchina libera da ogni tipo di polvere da sparo e annessi, chiaro?”
“Signorsì Cap!”
Gli disse Sebastian e in quel momento suonò il telefono delle emergenze che non suonava più da anni ormai e non riuscirono ad ignorare quel fastidioso richiamo perciò Blaine si avvicinò al telefono, ma non alzò la cornetta. Sebastian lo guardava con occhi speranzosi, desiderava da tempo do ritornare in pista.
"Una solo missione, per un'ultima volta. Solo una, killer."
Blaine guardò un'altra volta quella cornetta che lo tentava e prima dell'ultimo squillo la portò all'orecchio.
“Salve. Qui è Capitan America che parla.”


Beth's Corner!
Sono di nuovo io! Questa cosa non so da dove viene, ormai avrete capito che questa raccolta sta inglobando l'au e no, non è un sogno! L'altra volta B aveva sognato di stare su THG, ma non può sempre sognare e benché questa os si distacca dalla mia idea orginale devo dire che dopo tutto questo Sebastian!IronMan e questo Blaine!CaptainAmerica accomunando molto i miei Bas e Bee per ragioni che capirete in seguito e che riguarda il loro passato. Questa storia nasce dalla mia indecisione tra IronMan&Cap e IronMan&Pepper ergo ho aggiunto entrambi gli elementi, ho aggiunto un pizzico di daddies ho shecherato per bene ed ecco che questa cosa informe prende vita, spero che vi sia piaciuta!
Ringrazio ancora la beta perché questa volta si è superata <3
Ringrazio anche chi ha letto anche questa cosa ed è arrivato fino a questo punto!
Alla prossima!
Love always,
_Beth
   
 
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