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Autore: Clovely    08/09/2013    3 recensioni
«La storia di Cato e Clove ebbe inizio molto prima dei Giochi, quando erano ancora dei bambini. A Clove bastò solo uno sguardo per capire che c'era qualcosa di più sotto l'espression beffarda di Cato, il ragazzo dai profondi occhi di ghiaccio. Qualcosa di irresistibile e misterioso. Fu così, dopo un solo, breve incontro, che le loro vite iniziarono ad intrecciarsi, portandoli lentamente verso il loro destino.»
Noi tutti conosciamo Cato e Clove come i Tributi letali e spietati dal Distretto 2. Ma cosa sappiamo veramente di loro? La risposta è semplice: nulla. Per questo motivo ho deciso di scrivere questa fanfiction, per tutti quelli che credono ci sia stato qualcosa di più, sotto la superficie dei due Favoriti. Anche loro devono avere una storia, una vita... un passato.
Questa è la mia storia di Cato e Clove, prima e durante gli Hunger Games e se vi ho incuriositi, leggete e lasciatemi una recensione, mi farebbe davvero piacere ;)
Genere: Azione, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Cato, Clove, Favoriti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Till your last breath
CAPITOLO 17
BREAKING THE RULES


Passarono due giorni interi prima che l’effetto del veleno degli aghi inseguitori sparisse del tutto. In quel vasto arco di tempo i tre Favoriti rimasti decisero di radunare le forze e stabilire la loro base alla cornucopia, a solo pochi metri dal lago, dov’erano rimaste tutte le loro scorte.
Fu lì che trovarono il ragazzo del Distretto 3. Anche lui era stato punto da qualche ape, quindi doveva trovarsi nei pressi del lago da un po’ di tempo. Ormai restavano solo dieci tributi in tutto e presto ne sarebbero rimasti nove. Ma il ragazzo li aveva fermati e  aveva detto che, se lo avessero risparmiato, lui li avrebbe aiutati.
Avrebbe fatto in modo di riattivare le mine sotterrate nel terreno attorno alla cornucopia, era da un po’ di tempo che stava pensando di farlo, per quello si trovava nei pressi del lago. Disse che le avrebbe nascoste attorno alle provviste, di modo che se qualcuno avesse tentato di avvicinarsi per rubarle sarebbe scoppiato in mille pezzi.
Dopo varie discussioni i tre decisero di accettare. Quel ragazzo non era una minaccia: era smilzo, affamato, pallido. Non aveva con sé nemmeno un’arma. Però poteva essere utile come sentinella mentre loro andavano a caccia.
E così adesso si trovavano lì, in silenzio, seduti su scatole e contenitori di plastica vuoti, attorno al mucchio di provviste che avevano radunato e attorno alle quali il ragazzo del Distretto 3 aveva sistemato le mine.
Non erano state giornate piacevoli, anzi. Il dolore delle punture degli aghi inseguitori tornava spesso a farsi sentire e le ferite non erano ancora del tutto guarite. Erano rimasti in silenzio, pensierosi. Marvel era cupo e aveva perso la sua allegria. Clove sospettava fosse colpa della morte di Glimmer. In fondo lei era del suo stesso Distretto. Lo aveva visto, alzare lo sguardo al cielo quando lo schermo aveva proiettato la foto della ragazza con sotto inciso il numero 1. E l’aveva visto abbassarlo subito dopo, ignorando la foto del tributo femmina del Distretto 4. Aveva visto una certa tristezza nei suoi occhi. Come se avesse realizzato che non erano immortali, i Favoriti.
Anche Cato era rimasto cupo e silenzioso per tutto il tempo. E Clove si chiedeva se fosse per la stessa ragione di Marvel. Odiava ammetterlo, ma aveva notato, nei giorni passati, che Glimmer gli ronzava spesso attorno e che lui sembrava considerarla più di quanto considerasse lei. Di nuovo il pensiero del suo carattere mutevole la pervase. Rimase lunghi minuti ad osservarlo, mentre stava seduto ai piedi di un grosso albero al limitare della foresta. Non c’era pericolo che lui la vedesse, era troppo preso dai suoi pensieri.
Prima dei Giochi si comportava quasi come se fossero amici. Le sorrideva, scherzava anche con lei, a volte. Ma dall’inizio degli Hunger Games non la guardava quasi più negli occhi, come se fosse una completa estranea.
Però il giorno dell’incendio l’aveva aiutata a fuggire. L’aveva presa per il polso e se la era trascinata dietro fino a quando erano giunti in salvo. Perché?
Perché salvarla se tanto per lui era come una sconosciuta? Non sarebbe stato più semplice lasciarla morire? Clove passò quei due giorni in preda alla confusione e allo sconforto. Si odiava per questo, perché per molto tempo era riuscita a non pensare a Cato o al futuro, e ora invece non faceva che concentrarsi su quei problemi. Diede la colpa al veleno degli aghi inseguitori. Ma non era certa che quello fosse l’unico responsabile.
Clove si rese conto che il suo debito nei confronti di Cato aumentava sempre di più e forse era ora di saldarlo. Forse era per questo che si sentiva in dovere di aiutarlo. Forse una volta che si fosse tolta quell’enorme peso dalla coscienza avrebbe potuto smettere di pensare a lui e di sentirsi in debito.
Così, guidata da chissà quale istinto o forse ancora dal veleno, si alzò silenziosamente in piedi. Diede uno sguardo veloce alle sue spalle: Marvel le dava la schiena ad una decina di metri di distanza. Il ragazzo del 3 studiava un cubo di plastica contenente chissà che cosa. Nessuno badava a lei. Così, con passo silenzioso, si avvicinò di soppiatto a Cato. Esitò solo per un istante, poi si sedette al suo fianco, a pochi centimetri di distanza da lui.
«Ciao.»
Lui non alzò nemmeno lo sguardo, ma continuò pigramente a strappare erba e pezzetti di radice. «Hey.»
Clove abbassò lo sguardo, incerta sul da farsi. Era venuta lì per sdebitarsi con lui, ma realizzò solo in quel momento di non aver nemmeno pensato a cosa gli avrebbe detto. Rimase in silenzio per qualche istante. «Come ti senti?» Gli chiese alla fine, senza guardarlo. «Il dolore è passato?»
«Sì. È tutto a posto.» Ma non lo era, Clove lo sapeva. Non seppe dirsi quale strana forza la spinse a parlare, ma lo fece.
«Sei così cupo per via della morte di Glimmer, non è vero?» Clove iniziò a strappare pezzetti d’erba, stringendoli spasmodicamente tra le dita.
«Cosa?» Cato alzò uno sguardo confuso su di lei. «No.» Disse con voce dura, scuotendo la testa. «Doveva morire prima o poi. Non mi importa nulla di lei. Non mi è mai importato.» Detto questo, abbassò nuovamente lo sguardo e tornò a strappare le radici dell’albero che fuoriuscivano dalla terra brulla. Clove rimase sorpresa dalla sua risposta. Si aspettava che la causa della sua tristezza fosse quella, invece non era così. Allora cosa lo aveva spinto a diventare così silenzioso e distante? I Giochi stavano lentamente entrando nelle fasi finali, quelle più dure, e lui pareva non rendersene conto.
«Oh, credevo...» Iniziò Clove, pensando a voce alta. Si maledisse per averlo fatto. «Niente, lascia perdere.» Scosse la testa, sconsolata. «Cosa ti prende, Cato? Non sei più la stessa persona. Da qualche giorno tu... sembri assente. Cosa ti è successo?» Sembri folle. Avrebbe aggiunto Clove. Non si dimenticava dei suoi eccessi di ira. Molte volte si era ritrovato a battibeccare con Marvel per motivi futili ma questo non l’aveva fermato dal minacciarlo o addirittura dall’estrarre la spada. E quando accadevano questi eccessi non c’era nessuno in grado di placarli. La rabbia doveva semplicemente sbollire da sé e poi Cato tornava ad essere silenzioso e imbronciato e non proferiva parola per lunghi lassi di tempo. Questo non era da lui.
«Niente. Non mi è successo niente.» Disse lui con voce roca.
«Voglio solo aiutarti, Cato. Te lo devo.»
Lui la guardò e i suoi occhi sembravano stanchi ma, almeno per quel momento, presenti.
«Durante le interviste...» Riprese lei, scrutando la foresta. «Hai parlato di una ragazza alla quale avevi regalato un coltello.» Anche lui spostò lo sguardo nella stessa direzione, senza negare. «Non ti ho mai ringraziato per averlo fatto. Avrei voluto, ma non l’ho mai fatto. È stata la mia prima vera arma e... e l’ho anche portata a Capitol. Non volevo separarmene. Ma sapevo di non poterla portare con me nell’arena. Così l’ho lasciata in custodia ad Enobaria. Non sopportavo l’idea che essa venisse perduta. In un certo senso, mi ci sono affezionata. Quindi volevo solo dirti... grazie per avermela regalata.» Clove si zittì, sentendosi immediatamente meglio. Era da anni che quelle parole aspettavano di essere dette. La ragazza non avrebbe mai pensato però che sarebbe accaduto in una circostanza come quella.
«Non mi devi ringraziare. E non devi sentirti in debito con me. Quello che è successo fuori dall’arena resta fuori.» La sua voce era fredda e tagliente coma la lama del suo coltello. Clove ne rimase sorpresa. Cosa voleva dire con quella frase? Era la spiegazione del perché la trattava come se fosse un’estranea? Tutto ciò che è successo fuori resta fuori? E lei che aveva passato così tanto tempo pensando a lui, a come sarebbe stato difficile ucciderlo o vederlo morire quando sarebbe arrivato il momento! Chissà come se la rideva di gusto Damien in quel momento. Era da un bel pezzo che Clove non pensava a lui, ma era colpa sua se lei si trovava in quella situazione. Si chiese come sarebbero stati i Giochi se Damien si fosse offerto, come doveva essere. E poi si chiese perché mai invece si fosse offerto Cato. Non gli importava nulla di sapere che lei sarebbe stata l’altra volontaria? Non gli importava di niente? Clove mandò giù un groppo di delusione al pensiero. Chiuse gli occhi per un istante e rimase in silenzio.
«Bene. Allora è tutto a posto. Non sono in debito con te.» Disse, e mascherando la tristezza si alzò in piedi e si allontanò da Cato, tornando a sedersi al suo posto. Per un istante, un solo istante, si era sentita leggera, quando aveva ringraziato Cato. Ora invece qualcosa di ben più pensante pareva schiacciarla a terra. A lui non importava niente di lei, alla fine l’avrebbe uccisa senza tanti problemi. L’aveva salvata solo perché gli serviva la sua abilità con i coltelli. Prima dei Giochi era stato buono con lei solo per fare in modo che si fidasse di lui abbastanza da allearcisi. Era tutta finzione. Tutti i suoi complessi andarono in fumo perché Cato, il ragazzo che pensava di conoscere almeno un po’, non era altro che una vera e propria macchina per uccidere, proprio come aveva detto Caesar alla fine della sua intervista. Gli importava solo di vincere e alla fine lo avrebbe fatto. Avrebbe ucciso tutti, lei compresa, senza alcun rimorso.


Solo poche ore dopo a rompere il silenzio fu un urlo di Cato.
«Guardate!» Gridò balzando in piedi e avvicinandosi al centro della radura. «Là in fondo, nella foresta!» Clove e Marvel si alzarono e seguirono il suo sguardo: non molto lontano, dalle cime degli alberi, si alzava un sottile filo di fumo grigio. Possibile? Qualche altro tributo ci era ricascato? Probabilmente con l’avvicinarsi della fine uno di loro era impazzito per la fame o per il freddo e aveva deciso di arrischiarsi ad accendere un fuoco. Pessima mossa. Clove preparò i suoi coltelli, felice di avere finalmente qualcosa a cui pensare. Un po’ di azione era quello che ci voleva. Stava già per partire quando si rese conto che Cato e Marvel stavano discutendo. Di nuovo.
Non c’era tempo per aspettare un altro eccesso d’ira di Cato. Dovevano trovare il tributo ed ucciderlo prima che si allontanasse.
«Ho detto che viene anche lui.» Sussurrò Cato tra i denti, indicando il ragazzo del Distretto 3 che si era alzato e se ne stava immobile, in attesa. Marvel però non pareva essere d’accordo con la sentenza di Cato. «Ne avremo bisogno nel bosco. E poi il suo lavoro qui è finito. Nessuno può toccare le nostre provviste.»
«E il Ragazzo Innamorato?» Chiese Marvel, non ancora del tutto convinto.
«Te l’ho già detto, dimenticati di lui! So dove l’ho colpito. È un miracolo che non sia già morto dissanguato! Non è una minaccia per noi, non lo è mai stato.»
Marvel lanciò uno sguardo a Clove e lei gli comunicò con gli occhi di smetterla, che non era il caso di far arrabbiare Cato. Lui capì al volo e decise di arrendersi.
«Andiamo.» Li esortò Cato, soffocando l’irritazione e ficcando una lancia tra le mani del ragazzo smilzo, prima di iniziare a correre. «E quando la troveremo, la ucciderò io.» Urlò con voce spietata. «E nessuno osi intromettersi.»
Meno di pochi minuti dopo erano nel bosco e seguivano la colonna di fumo. Corsero veloci e in silenzio, determinati come non mai. Ma quando arrivarono al luogo del fuoco, quello era deserto.
«Dannazione!» Imprecò Cato prendendo a calci i resti polverizzati dei tronchi bruciati. Ma mentre sfogava la sua ira e la sua delusione, ecco che poco più distante si levò un’altra colonna di fumo oltre agli alberi.
«Ci sta prendendo in giro.» La voce di Marvel era bassa, come un ringhio. «Forza, muoviamoci! Magari riusciamo a beccarla!»
Clove ne dubitava. Chiunque avesse acceso il fuoco aveva un piano in mente, un percorso che loro stavano seguendo senza battere ciglio. Clove era anche certa che ad accendere i fuochi era stata lei. Preferiva giocare d’astuzia piuttosto che fronteggiarli. Ma non importava. Non poteva nascondersi per sempre.
Corsero per parecchi minuti ma quando arrivarono al luogo del fuco trovarono anch’esso deserto. La rabbia cresceva dentro di loro mentre un nemico invisibile li imbrogliava in quel modo. La tensione, che in quei giorni era cresciuta tra di loro fin quasi a soffocarli, ora sembrava essere diventata una cappa carica di elettricità pronta ad esplodere da un momento all’altro. Questo era troppo.
Marvel voleva andare avanti a cercare, certo che chiunque avesse acceso il fuoco dovesse trovarsi nei paraggi, ma secondo Clove quella sarebbe stata una mossa inutile. Di sicuro il piano della ragazza del 12 non era di farsi trovare.
«Dobbiamo tornare indietro! Non la troveremo mai se continuiamo così!» Esclamò Clove, sull’orlo della disperazione. Sentiva di dover tornare all’accampamento. Quei fuochi e la loro progressiva distanza... sembravano quasi un diversivo per allontanarli dalla loro base.
«Non puoi nasconderti per sempre! Mi hai sentito! Ti troverò!» Gridò Cato con furia, rivolgendosi all’aria. Proprio in quel momento sentirono l’esplosione. Un boato enorme, assordante. Tutti e quattro si coprirono le orecchie con le mani, chiudendo gli occhi. Gli uccelli si alzarono in volo dagli alberi e gli animali selvaggi scapparono via, in branco. L’esplosione veniva da dove erano arrivati loro. Non ci volle molto per capire che erano stati fregati.
«Maledizione!»
Con quell’ultima imprecazione ripartirono tutti, correndo veloci come fulmini.
In pochi minuti erano ancora nella radura della cornucopia, solo che la trovarono irriconoscibile. Del fumo si alzava da dove una volta c’era il loro mucchio di provviste. Ora non restava altro che un mucchietto di plastica annerita e cenere.
Cato urlò la sua rabbia, prendendo a calci i detriti e portandosi le mani tra i capelli biondi. Clove e Marvel invece, dopo essersi accertati che tutte le mine fossero esplose, si addentrarono in quel disastro cercando tra i resti qualcosa che potesse essere recuperato, ma non c’era nulla. Era tutto andato. Sparito. Esploso. Tutte le loro risorse non c’erano più e Clove sapeva esattamente di chi fosse la colpa. La rabbia le montò dentro come un fiume in piena.
Poco distante, Cato sbraitava insulti al ragazzo del Distretto 3. Clove sentì un colpo secco, un sonoro crack e il ragazzino cadde a terra morto con il collo spezzato. Il cannone suonò.
Ma la furia di Cato non si placò. Clove e Marvel gli si avvicinarono con cautela, cercando di farlo tornare in sé. Era come tentare di domare una animale furioso, imbestialito.
«NO! Dobbiamo tornare là dentro, questa è l’ultima goccia! Io la uccido, la uccido con le mie mani quella piccola, lurida...»
«Cato! Cato!» Esclamò Clove cercando di bloccarlo, aiutata da Marvel. «Fermati un attimo e ragiona! Non dobbiamo tornare nel bosco.» Cato smise di dimenarsi e si fermò, il respiro pesante, gli occhi folli. «Chiunque abbia provocato l'esplosione deve essere morto!»
Marvel le diede ragione. «Esatto, deve essere saltato in aria, non può essere altrimenti! Chiunque sia stato, ora è già all’altro mondo!»
Cato ci pensò su per qualche istante, poi spostò lo sguardo verso il mucchio fumante di macerie. «Tutte le nostre provviste...» Anche gli occhi degli altri due si spostarono nella stessa direzione.
«Ce la caveremo.» Disse Clove con freddezza.
«Forza, spostiamoci di qui, così possono recuperare il corpo.»
Si allontanarono tutti e tre verso il lago, cercando di calmarsi e di escogitare un piano, perché tutte le risorse erano andate e non sapevano come fare per trovarne di nuove. La soluzione era semplice, dovevano fare in modo di accorciare i tempi e di eliminare i restanti tributi. Rimasero a pensare fino a quando l’inno non interruppe il silenzio e in cielo comparve lo stemma di Capitol. E poco dopo le immagini dei tributi morti: quello del 3 ucciso da Cato, quello del 10 morto quel mattino... e basta.
Cato imprecò di nuovo e si alzò in piedi. «È ancora viva.» La sua voce era bassa e vibrante, piena di disprezzo e crudeltà. Clove non poteva biasimarlo. Anche lei era stanca delle bravate di quella ragazza. «Muoviamoci.»
Clove e Marvel recuperarono in fretta le loro armi e con feroce determinazione si diressero tutti e  tre verso i boschi. Erano rimasti solo in otto adesso. I Giochi si stavano dirigendo lentamente verso la fine. La caccia era aperta.

***

All’alba, dopo un breve riposo, visto che tutto taceva, i tre Favoriti rimasti si divisero, dandosi appuntamento il pomeriggio successivo alla cornucopia. Restavano in otto ed escludendo loro tre i tributi da eliminare erano solo cinque. Uno dei quali era probabilmente moribondo. Poi, oltre al Ragazzo Innamorato, restava ancora la ragazza del 12, ovviamente. Il bestione dell’11 e la ragazzina del suo Distretto, che era ancora miracolosamente viva. E poi un altro tributo che Clove non riusciva a ricordare.
L’idea di separarsi non la entusiasmava gran che, ma forse era meglio così. Prima o poi sarebbe successo. Clove si inoltrò nel fitto della foresta, con le orecchie tese a captare il minimo rumore, ma tutto era silenzioso.
Così la ragazza ebbe abbastanza tempo per pensare e lo sfruttò, esaminando per bene la sua situazione. Arrivò perfino ad accogliere l’idea di non presentarsi all’appuntamento alla cornucopia. Quella era la sua occasione per rompere l’alleanza. Perché tornare, poi? Dopo quello che le aveva detto Cato, il suo debito con lui aveva cessato di esistere. Poteva benissimo starsene per conto suo, cercare gli ultimi nemici rimasti ed ucciderli e sperare che il gigante dell’11 trovasse i suoi ormai non più alleati e che si uccidessero tra di loro. L’idea la fece trasalire, il pensiero di Cato e Marvel morti la disorientò per qualche istante.
Pensandoci bene, aveva vissuto con loro per tutto quel tempo, si erano guardati le spalle a vicenda come dei veri compagni. Ma alla fine dovevano morire, o se così non fosse stato voleva dire che sarebbe morta lei. E non era forse meglio abbandonare l’alleanza ora, senza lotte o liti, piuttosto che aspettare di rimanere loro tre e doversi combattere a vicenda? In vecchie edizioni degli Hunger Games aveva visto più e più volte queste situazioni: alla fine, quando restavano pochi tributi, la tensione tra i Favoriti aumentava sempre di più per la consapevolezza che presto uno di loro avrebbe tradito gli altri. Doveva andare così, il vincitore era uno solo. Quella probabilmente era la parte preferita del pubblico: vedere gli alleati litigare e iniziare a colpirsi a vicenda, ammazzando quelli che fino a pochi minuti prima avrebbero potuto considerare compagni.
Non era forse meglio evitare tutto questo? Lei, che ne aveva l’occasione, avrebbe dovuto farlo. E lo avrebbe fatto.
Non avrebbe mai più rivisto Marvel... o Cato. Mai più: l’alleanza era rotta.


Andò avanti tutto il giorno cercando di imprimersi per bene quel pensiero nella mente. Quando si accorse che il momento dell’incontro era vicino, cercò di non pensarci e concentrarsi sulla caccia. Ma non incontrò nessuno per tutto il giorno, solo qualche animale selvatico. Per battere la noia ed evitare di crucciarsi sulla sua decisione, iniziò a tirare coltelli a bersagli immaginari, colpendo anche qualche animaletto.
Proseguì in questo modo fino a quando ormai la sera iniziò a calare in lontananza. In quel momento sentì due distinti spari di cannone spezzare il silenzio, a breve distanza l’uno dall’altro. Due spari. Due tributi morti.
Chi erano?
L’agitazione si impadronì di lei. Due morti.
Cosa doveva fare?
Si fermò, in preda all’angoscia. E se fossero stati Cato e Marvel? Possibile che qualcuno avesse teso loro un’imboscata alla cornucopia? Clove non sapeva darsi una risposta, ma era certa che doveva scoprirlo, e subito, altrimenti l’ansia l’avrebbe uccisa. Non poteva aspettare che comparissero le loro foto in cielo. Doveva sapere e subito.
Mettendo da parte i suoi propositi di non tornare più alla cornucopia, iniziò a correre proprio in quella direzione. Non si era resa conto di essersi allontana così tanto e quando finalmente arrivò nello spiazzo non aveva più fiato e le gambe le dolevano.
E poi lo vide. Alzò lo sguardo verso di lei e balzò in piedi.
«Clove!»
Cato. Era vivo. Cato era vivo, il colpo di cannone non aveva segnato la sua morte. Era vivo. E lei era tornata alla cornucopia e ora non avrebbe più potuto scappare via. Si maledisse mentalmente per la sua codardia. Alla fine, dopo tutto quello che aveva pensato, dopo la decisione che aveva preso con difficoltà, era comunque tornata.
«Dov’è Marvel?» Chiese lei correndogli incontro.
«Io... non lo so. È  da quasi un’ora che aspetto qui. Credevo foste morti tutti e due.»
Clove riprese fiato. «Io credevo che voi foste morti.»
«Forse non tornerà.» Disse Cato, scrutando i boschi come se Marvel vi potesse spuntare fuori da un momento all’altro.
«Stai dicendo che è morto?» Per un istante Clove arrivò persino a pensare che Cato avrebbe potuto ucciderlo. Forse era il suo piano fin dall’inizio, farli dividere e ucciderli uno alla volta. Forse ora avrebbe ucciso lei.
«No. Forse non tornerà più perché non vuole farlo.» Fu allora che Clove capì cosa intendeva Cato. Stava pensando a quello che aveva pensato lei per tutto il giorno: rompere l’alleanza. «Credevo che tutti e due aveste pensato di non tornare più.» Fece una breve pausa, poi la guardò intensamente «Perché sei qui?»
La domanda colse Clove di sorpresa. «Perché tu sei qui?»
Cato scosse la testa ma non rispose e lasciò cadere l’argomento. Già, perché Clove era lì? Doveva solo restare ferma nel suo proposito e non tornare mai più. Invece le sue gambe avevano corso senza fermarsi fino a quando lei non aveva scorso la testa bionda di Cato. Improvvisamente, mentre lo guardava sedersi stancamente su una cassa di plastica annerita, le tornò in mente quando era bambino, quando lo aveva conosciuto. Era passato così tanto tempo.
Non potendo fare altro, Clove si lasciò cadere al suo fianco,passandosi le mani nei capelli ormai sporchi e spettinati.
«Ma il cannone ha sparato due volte. Chi è morto?» Chiese lei, arrovellandosi.
Cato scosse la testa. «Non lo so, non ho incontrato nessuno per tutto il giorno.»
Nemmeno lui aveva avuto fortuna, allora. Clove chiuse stancamente gli occhi. Cosa ne sarebbe stato di lei adesso?


Dopo molti minuti di silenzio partì l’inno di Capitol. Subito Cato e Clove alzarono lo sguardo al cielo. Era il momento della verità, avrebbero finalmente scoperto per chi erano suonati quei due colpi di cannone.
L’inno si spense. Lo schermo si illuminò. Su di esso vi comparve lo stemma di Capitol e poi... E poi comparve la foto di Marvel.
«Marvel...» Sussurrò Clove con voce bassa. Il suo cuore accelerò e lei non poté negarsi di essere dispiaciuta per il ragazzo. Ma doveva succedere. Doveva succedere, si ripeté nella mente, come per convincersi.
La sua foto scomparve e fece posto a quella della ragazzina dell’11. Poi di nuovo lo stemma e poi il cielo tornò ad essere sgombro. I due abbassarono la testa, restando in silenzio. Sei, erano solo in sei ora. Loro due, il tributo dell’11, entrambi quelli del 12 e un altro che non doveva essere una grande minaccia, visto che né Cato né Clove avevano idea di chi fosse.
La conclusione si avvicinava di ora in ora e presto sarebbe arrivato lo scontro finale. E lei era lì, alla cornucopia. Con Cato. Di nuovo, si chiese cosa ne sarebbe stato di lei.


Cato e Clove rimasero in silenzio, dandosi le spalle e scrutando ognuno una determinata zona dell’arena. Erano solo quattro ora gli occhi disponibili per controllare tutto quel vasto campo e non potevano permettersi distrazioni. Si aspettavano un attacco da un momento all’altro. Gli altri dovevano sapere che due dei Favoriti erano morti e ne restavano due soltanto. Avrebbero potuto pensare di poterli sopraffare se avessero agito con astuzia, ma si sbagliavano. Forse avevano prevalso su Marvel, ma lui era solo. E per di più né Cato né Clove sapevano come lui fosse morto.
Se gli altri tributi pensavano di poterli battere, che si facessero avanti. Avrebbero scoperto la forza dei tributi del Distretto 2. Forse, pensò Clove, arrivati a questo punto dei Giochi non era male avere ancora un alleato. O forse, le sussurrò una vocina nella sua testa, era un pessima mossa. Solo le circostanze avrebbero potuto farglielo capire.
Rimasero in silenzio, le orecchie tese, gli occhi attenti quando lo stemma di Capitol City ricomparve nel cielo. I due si raddrizzarono ma non si alzarono. I morti erano già stati annunciati e da allora nessun cannone aveva sparato.
Questo poteva voler dire solo una cosa...
Dopo l’inno vi fu uno squillo di trombe. E le trombe significavano che presto vi sarebbe stato un annuncio. Cato e Clove restarono in silenzio, tesi e trepidanti. Forse quello avrebbe donato loro l’occasione perfetta per scovare gli altri tributi ed ucciderli. Forse gli strateghi avevano deciso di organizzare un festino o un banchetto e quella era la migliore occasione che potessero sperare di ottenere per agire.
Ma Clove si sbagliava, si sbagliava di grosso.
«Attenzione tributi, attenzione!» Tuonò la voce. «Prima di tutto, le nostre congratulazioni ai sei valorosi guerrieri rimasti in gara! Onoriamo il vostro coraggio e la vostra forza!» Vi fu un istante di silenzio e il cuore di Clove iniziò a battere all’impazzata. In quel preciso momento avrebbero potuto udire quella che sarebbe stata la svolta finale dei Giochi.
«Ho un importante annuncio da comunicarvi, perciò prestate la massima attenzione. Devo annunciare un... cambiamento nelle regole!» Clove si fece ancora più attena, con il cuore in gola. «La regola che imponeva l’incoronazione di un solo vincitore è stata... sospesa. Da questo momento potranno essere incoronati due vincitori se entrambi provengono dallo stesso Distretto e se saranno gli ultimi due a restare in vita.» Ci fu una pausa. Il cuore di Clove si fermò temporaneamente, o almeno così le sembrò. Prima che potesse formulare una qualsiasi ipotesi, la voce riprese a parlare. «Ripeto: da questo momento potranno essere incoronati due vincitori se provengono dallo stesso Distretto e se saranno gli ultimi due a restare in vita. Buona fortuna e possa la sorte essere sempre a vostro favore.» La comunicazione terminò e piombò di nuovo in silenzio. Clove non si mosse, non respirò. Doveva essere uno scherzo, un terribile scherzo. Non poteva essere vero, non poteva. Dopo tutto quello che aveva vissuto, quello che aveva pensato. Di uccidere Cato, di vederlo morire o di soccombere trafitta dalla sua spada... ora questo.
Potevano vincere entrambi. Potevano tornare a casa.
Alle sue spalle sentiva silenzio, nemmeno il suono di un respiro. Lentamente si alzò in piedi. Le gambe tremanti quasi non la ressero. L’emozione le stava quasi facendo venire le lacrime agli occhi. Un debole sorriso, segno della speranza che rinasce, si fece largo sulle sue labbra. Non ebbe il coraggio di voltarsi, aveva paura che, se lo avesse fatto, avrebbe scoperto che l’annuncio era stato tutto un sogno.
Lentamente, come se una forza indefinita la bloccasse, si voltò verso Cato. Anche lui si era alzato, e la guardava. La guardava come non faceva da giorni. O forse come non aveva mai fatto. I suoi occhi azzurri brillavano, non erano più cupi e distanti, erano vivi più che mai, una fiamma danzante sotto il cielo che andava scurendosi. Anche sulle sue labbra si dipinse un grande sorriso.
Senza dire una parola, senza nemmeno pensare, semplicemente seguendo il suo istinto, Clove corse verso Cato. Anche lui avanzò di qualche instabile passo vero di lei. E allargò le braccia. Clove vi si gettò dentro con uno slancio un po’ troppo forte e per poco non caddero entrambi a terra. Lo abbracciò come se fosse la cosa più naturale al mondo.
Lei lo strinse così forte come non aveva mai fatto con nessuno e con sua sorpresa anche lui la strinse, sollevandola da terra e fino quasi a farle male. Ma a Clove non importava, il dolore se n’era andato via, lontano. La tensione le scivolò di dosso come acqua, lasciando solo un senso di calore e forza. E di ritrovata speranza.
Una sola, calda lacrima le scivolò sulla guancia, andandosi a posare sulla giacca di Cato. Ma poi lei iniziò a ridere, più felice di quanto non fosse mai stata in vita sua. Anche lui rise, iniziando a girare in tondo. No, non era un sogno. Era reale.
Le regole erano state cambiate. Potevano vincere entrambi.
Tutte le angosce che le avevano affollato la mente si dissolsero mentre entrambi cadevano a terra, ridendo come dei folli. Ora sì, che erano imbattibili.
Insieme erano più forti e adesso sapevano che avrebbero combattuto fianco a fianco fino alla fine. Non dovevano più preoccuparsi di dover rompere l’alleanza o di doversi combattere. E tutto questo era un’enorme vantaggio, perché c’era solo un’altra coppia in gara e loro presto l’avrebbero trovata ed eliminata. Gli altri invece combattevano soli e sarebbero stati una facile preda per loro due.
Rimasero lì, sdraiati nell’erba a ridere e a fissare il cielo che diventava sempre più scuro fino a quando a Clove cominciò a fare male la pancia. Allora smisero di ridere. Ma la felicità e l’euforia non li abbandonò nemmeno per un istante.
«Torneremo a casa, Clove. Torneremo entrambi a casa.» Le sussurrò Cato, voltandosi verso di lei. Clove sorrise e osservò con interesse la prima stella comparire nel cielo scuro.
«Lo so.» Disse lei, allungando la mano sull’erba e stringendo quella di Cato.
Chissà cosa stava succedendo ora nel Distretto 2. Chissà a cosa pensava suo padre, o Damien o i loro compagni di Accademia. Probabilmente stavano festeggiando, Damien escluso ovviamente, il fatto che i loro ragazzi avrebbero potuto tornare a casa, tutti e due. E chissà cosa pensava tutta Capitol nel vedere quella scena: i due spietati, letali Favoriti che quasi si commuovono nel sentire la modifica delle leggi.
Ad ogni modo, Clove sapeva solo a quello che pensava lei, ovvero che sarebbero tornati a casa tutti e due. E allora avrebbe potuto pensare al futuro senza che una morsa di dolore la attanagliasse.
Lei e Cato, loro ce l’avrebbero fatta. Insieme.


SPAZIO AUTORE

Salve a tutti lettori e lettrici! Ecco finalmente il nuovo capitolo! Allora... che ne pensate?
Siamo arrivati ad un punto davvero cruciale dei giochi: le regole sono cambiate.
Nel libro vediamo solo la reazione di Katniss, ma io ho sempre cercato di immaginarmi la reazione di Cato e Clove. D'altronde, loro era l'unica altra coppia che sarebbe potuta tornare a casa. Ho sempre cercato di immaginare le loro reazioni, le loro emozioni a riguardo. E ho tentato di scriverle (spero in modo decente xD)
Dopo tutti i problemi di Clove, le paranoie, la paura del momento in cui sarebbero rimasti loro due, faccia a faccia sapendo che solo un poteva andare a casa.... E invece questo cambiamento. Be', non mi dilungo oltre, lascio la parola a voi!
Sarei davvero, davvero molto felice di sapere cosa ne pensate, quindi... recensite, mi farebbe piacere ;) Al prossimo capitolo!
Love always,

~ C

   
 
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