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Autore: radioactive    08/09/2013    4 recensioni
CAP. 6 Il cigolio del legno si mischiava al battito del cuore del ragazzo tanto da confondergli le idee, non capiva più se il suo cuore era malandato come quelle travi o se l’Arena era viva quanto il suo cuore, aveva il terrore che ciò che lo teneva sospeso in aria crollasse sotto i suoi piedi.
Ma Ariel si bloccò di colpo, Lyosha avrebbe voluto chiederle che diamine stesse facendo, che erano inseguiti!. Ma lei non si muoveva, immobile, fissava ciò che solo in un secondo istante il fratello identificò come Sean, quello che li aveva derubati.
«Ciao, otto»
[...] Stavano per morire, stavano per morire!
CAP. 10 Caesar Flickerman trattava tutti i tributi come validi concorrenti, Lyosha invece, agli occhi del presentatore, era già morto.
| 72esimi Hunger Games ● Lyosha e Ariel Isaacs ● DISTRETTO 8 |
EDIT - testo in via di revisione e betaggio (01 capitoli su 14) + cambio grafica [in data 11/11/2013]
→ I capitoli 15, 16 e 17 sono degli SPINOFF di Die on the front page, just like the stars.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 05

                 «l’arena ha i suoi segreti», aveva detto. [PT. 2]

 

 

 

Salirono le scale in un silenzio assordante, anche in quell’occasione gli insetti non mormoravano e Lyosha si chiese se ci fosse un qualche stratega che comandava il canto di quelle bestiole, giusto per rendere più frustrante il tutto.

Fece salire prima Ariel, iniziando ad arrampicarsi sulle scale dopo di lei, scale malmesse, anche, e un paio di volte qualche gradino minacciò di rompersi sotto i pesi comunque leggeri di entrambi.

Durante quella salita Lyosha riuscì a percepire sulle sue ossa la fatica di quella mezza giornata, la colonna vertebrale sembrava arrotolata su sé stessa, le dita delle mani intorpidite e di tanto in tanto scosse da vari tremori. Arrivato in cima, però, quello che sentì fu nient’altro che sollievo: puro e semplice.

I colori che li circondavano non erano più forti, quasi accecanti, come quelli che li avevano circondati per gli istanti precedenti, l’aria era letteralmente bagnata e non ci volle molto ai due per capire che un discreto velo di nebbia li circondava – fortunatamente non era troppo fitta e riuscivano a vedere ben oltre il loro naso.

«E’ così diverso, qui…» mormorò la più piccola, stringendosi nelle spalle e scostandosi i ciuffi ormai sudici dagli occhi, si guardava intorno come se fosse stata trasportata nelle foreste buie e minacciose delle favole che sentiva da bambina, lo stupore che la circondava come un’aurea di sotto era sparita, scivolata di dosso dal suo corpo. Lyosha le strinse piano la mano e cercò con lo sguardo l’acqua che alimentava la cascata, scoprendola con un grosso senso di conforto ad accompagnarlo a pochi metri da loro. Si avvicinò a passo abbastanza sicuro, e quella sua sicurezza lo portò ad inginocchiarsi vicino al liquido, con veloci e precisi gesti disse ad Ariel di tirare fuori una pastiglia in modo che questa fosse pronta nel caso il fratello più grande si procurasse un’altra intossicazione.

L’arena ha i suoi segreti, si sentiva ripetere da una voce lontana, dentro la sua testa. E lui pensava di averla capita, quest’arena dei sessantatreesimi Hunger Games. Era divisa in due in modo visibile, come il bianco e nero. La prima parte, quella in cui si trovava la Cornucopia, apparentemente fornita di tutto ciò che serviva per sopravvivere… e poi quella di adesso: sciatta, buia e silenziosa, fatta di alberi troppo alti perché si vedesse se avessero qualcosa di commestibile sui rami e nebbia.

Qualcosa non quadrava. Non poteva essere così semplice, si ripeteva. Probabilmente anche quell’acqua era avvelenata. Si parlava sempre della stessa identica acqua, alla fine, no?

Si sfilò lo zaino dalle spalle e allungò i palmi verso il fiumiciattolo, le mani sparivano sotto l’acqua non più limpida come quella sotto di loro su cui si infrangeva la cascata, era fredda da raggelare le ossa e per un momento Lyosha penso di ritrarre le dita e asciugarle con la coperta che giaceva ammucchiata nello zaino pregando che non fossero diventate viola per la temperatura. Ma non fece niente di tutto ciò, chiuse leggermente i palmi a conca e si portò alle labbra il liquido soffuso, biancastro e sempre meno convincente.

Un sorso, e sentii nelle orecchie il sussulto spaventato di Ariel.

Due sorsi, l’acqua gli scendeva giù per la gola.

Tre sorsi, le mani gli facevano male per il freddo.

Si pulì le labbra con il braccio e rimase a fissare il torrente davanti a lui, si aspettava di vedere tutto appannato o di sentire  formicolio, il senso di vomito farsi strada e la morte impossessarsi del suo corpo. Eppure passavano i minuti ma l’unica cosa che Lyosha percepiva era il battito del suo cuore, la terra sotto le unghie e le foglie accatastate sotto le sue ginocchia indolenzite.

Si girò piano verso Ariel, ancora dietro di lui in trepidante attesa, come se aspettasse qualcosa che non arrivava mai, un treno non segnato nell’orario. Quello che le si presentò davanti era il volto del suo fratellone, sporco da un lato, le labbra bagnate e le guance rigate da due sottili linee di lacrime sporche. Piangeva, ma era un pianto liberatorio, felice – non il pianto a cui si era abbandonato mentre la madre li stringeva entrambi, prima di partire per Capitol City.

Era buona.

L’acqua era buona.

 

Il sollievo di aver trovato dell’acqua bevibile però, non aveva del tutto sedato l’adrenalina di essere dentro i Giochi. Lyosha si era lavato con impeto il volto rabbrividendo per la temperatura gelida, facendo poi avvicinare la sorella per pulirle il viso, le fece sciogliere i capelli e le bagnò i fili d’oro, legandoli poi nel modo più sistemato possibile, mettendole dietro le orecchie quei pochi ciuffi che sfuggivano alla presa dello stretto elastico.

La più piccola tirò fuori dallo zaino il cilindro in cui erano conservate dei doni e lo passò a Lyosha che, quasi gonfiato d’orgoglio per la sua scoperta, lo aveva immerso nell’acqua riempiendolo fino all’orlo, per poi chiuderlo con il coperchio, sorridendo ad un sonoro click che assicurava che il liquido non si sarebbe riversato.

Erano sul punto di alzarsi e riprendere a camminare, ma lo stomaco di Ariel brontolò rumorosamente facendo sorridere Lyosha, a gesti le chiese se avesse fame, lei annuì e, prima dicesse che poteva aspettare, il suo Thahn aveva già tirato fuori il tupperware in cui vi era della splendida mela tagliata a fette. Prese una porzione tra le due dita sottili e la porse ad Ariel che, per tutta risposta, se la portò alle labbra azzannando metà del trancio. Il ragazzo posò il contenitore per terra notando con la coda dell’occhio la mano di Ariel allungarsi ed afferrare dell’altra mela, Lyosha le prese lo zaino cercando quello che gli ricordavano le ostie del suo distretto, con uno dei due coltelli che avevano spezzò il filo che teneva intatto quella torre di dischetti candidi, attento a non farli cadere sulla terra. Mise tutti i cerchi bianchi nel contenitore delle mele, tenendo tra le dita solamente uno di questi, aprì la bocca e posò sulla lingua il composto di farina e acqua – questo si sciolse lentamente e senza sapore, e il tributo si ritrovò a mandare giù un qualcosa che avrebbe definito pappetta di acqua e farina se avesse potuto parlare.

Ma quello che si ritrovò a scoprire fu entusiasmante: non aveva più fame.

Sorrise come aveva fatto poche volte in vita sua e schioccò più volte le dita per catturare l’attenzione della sorella che ingurgitava il quarto pezzo di mela, con le dita la informò della sua nuova, esaltante, scoperta.

«Le ostie…? Cioè, quelle cose ti riempiono come un pasto vero?» ripeté lei, incredula e un po’ diffidente, probabilmente – si diceva – il fratello non aveva fame e quindi aveva l’impressione che fosse pieno, ma lo stomaco della piccola reclamava ancora nutrimento e quindi, presa dalla curiosità, afferrò uno dei dischi in questione, lo spezzò a metà e lasciò che si sciogliesse sulla sua lingua per poi mandarlo giù.

Lyosha aveva ragione.

 

«Liv, dov’è Kabe?» Fraser stava chinato su di lei, mentre Lexi si guardava attorno e scambiava profondi sguardi con uno strano uccello su uno dei rami bassi di quei alberi, la ragazza del quattro invece era seduta su una radice e faceva roteare il tridente.

Si erano accorti dopo non molto che Kabe era sparito dalla circolazione, ed era evidente che la sua compagna di distretto ne sapesse qualcosa. E lei avrebbe volentieri detto che l’acqua della Cornucopia era avvelenata ma avere Fraser così vicino a lei da sentire il profumo di lui proprio sotto il naso la deconcentrava terribilmente, un altro po’ e i suoi capelli le avrebbero sfiorato la fronte. Lei se ne stava lì, con le mani strette sulle ginocchia che cercava un modo gentile e soprattutto che non la facesse sentire un’imbecille e colpevole per annunciare la morte del ragazzo e i grandi occhi blu del tributo maschio, bellissimi e inquisitori la fissavano senza battere ciglio.

«Beh…» iniziò, grattandosi la guancia e affondando il tacco dello stivale nella terra che inabissò appena sotto la pressione.

Ines sospirò pesantemente e Lexi si girò verso i due con un colpo di chioma – sempre splendida per le sue splendide telecamere. «Beh?» domandò la ragazza dell’uno.

«Fraser, prova ad allontanarti un po’, la tua bellezza le toglie il respiro e finisce che arriviamo a sera che stiamo ancora qui cercando di cavar fuori delle parole da quella» sbottò la Sirenetta, alzandosi in piedi e piantando il tridente per terra, con un braccio spinse Fraser all’indietro che girò su sé stesso allontanandosi platealmente biascicando un “donne!”. «Allora, è semplice: o Kabe è morto oppure si è staccato dal gruppo, e non ci credo che si è perso. La prima o la seconda, Liv?», il tributo del quattro parlava in una maniera che lasciava intendere quanto fosse infastidita.

Gli altri tre capirono quanto lei potesse essere letale, in realtà, perché se prima Liv non riusciva a parlare per colpa dell’inebriante presenza di Fraser, ora era la decisa superiorità di Ines a bloccarla sul posto facendole dire solo dei monosillabi.

«Prima» mugugnò quella del due.

«Bene!» Ines era visibilmente irritata da quella risposta, si girò verso il suo tridente alzando le braccia al cielo, «i Giochi sono iniziati da meno di un giorno e abbiamo già perso un uomo, fantastico. Dovremmo essere in sei e invece siamo in quattro, a meno di dodici ore dall’inizio».

Nella mente di Liv si proiettò l’immagine di Ines che trapassava da parte a parte la gola di lei, Lexi e Fraser nel mezzo della notte con il suo dannato forcone. Ed ebbe una paura che l’alimentò così tanto da farle giungere ad una conclusione: farsela amica, o comunque alleata. Un’alleanza dentro un’alleanza.

«E’ morto perché ha bevuto l’acqua della Cornucopia, era avvelenata», si alzò, tentando di dare la parvenza di una persona che riesce a reggersi sulle proprie ginocchia, cercava negli occhi di Fraser un’approvazione che c’era, ma nascosta da un’ironia sottile.

Lexi, che prima si annoiava ispezionando il posto, ora sembrava preoccupata, impugnò saldamente la spada e fece dietro front, ritornando sui suoi passi, «allora dobbiamo tornare alla Cornucopia e prendere le caraffe d’acqua, ce n’erano molte».

Nessuno osò contestare il suo piano – si era affermata capo del gruppo ancora prima che iniziasse la competizione. A seguirla subito dopo vi era Ines, Liv fece qualche passo incerto per seguirle ma Fraser la fermò, tenendola per la manica, «dovresti stare attenta, Liv» le sussurrò all’orecchio suadente, ma a lei sembrò che la sua voce sembrasse più il sibilo di un serpente, «l’amore è un’arma a doppio taglio. Pensavo che una del due, il distretto dei Pacificatori, lo sapesse meglio di chiunque altro».

 

Lyosha vedeva rifiorire il suo futuro, forse, la strategia di tenere in vita Ariel non era destinata a fallire. Avevano delle pastiglie contro i veleni dell’Arena, della mela e delle ostie che te ne bastava una per sentirti pieno, avevano smascherato l’Arena e sapevano come usarla a loro vantaggio. Dulcis in fundo, avevano una coperta per ripararsi durante la notte che di lì a poco avrebbe fatto capolino tra gli alberi coperti dalla nebbia.

Sua sorella poteva vincere, pensava, poteva davvero farlo.

Si erano allontanati dalla cascata memorizzando il percorso per ritornare all’acqua facilmente, Lyosha ricordava di varie edizioni dove alcuni tributi si avvicinavano troppo al campo di forza che delimitava l’Arena ed era abbastanza sveglio da aver compreso che andare troppo oltre non dava mai nulla di buono. Avevano deciso quindi di camminare per qualche tempo, trovare un rifugio laddove la vegetazione era più fitta e avevano anche raccolto delle foglie abbastanza grandi con cui coprirsi per darsi l’illusione di essere ben nascosti.

Avevano srotolato la coperta e accatastato foglie più piccole per fare dei cuscini, il sole brillava di rosso oltre la nebbia e il freddo iniziava a farsi sentire sulle braccia scoperte di lui. Rimase seduto mentre la sorella beveva un po’ d’acqua dalla loro borraccia improvvisata e poi qualcosa dietro un albero si mosse.

Un animale, fu la prima cosa che venne in mente a Lyosha, ma poco dopo una chioma bronzea fece capolino con le mani alzate vicino alla nuca, da dietro la schiena spuntava una lancia. Era Sean, il volontario del distretto tre.

«Ragazzina, dì a tuo fratello che non voglio farvi del male» aveva detto, e sembrava sincero.

Ariel, che cercava di togliersi la terra da sotto le unghie spezzate senza farsi male, lo guardò con un lieve broncio, «guarda che capisce quello che diciamo, non sa parlare, non è scemo, pensa che sa anche scrivere!». Ed era una cosa che si ritrovava a dire spesso, anche al distretto.

«D’accordo, d’accordo…» mormorò lui, sfilandosi l’arma dalla cinghia e buttandola per terra, ai piedi di Lyosha, «ho visto quello che hai fatto, otto, e ti ho seguito abbastanza da lontano perché volevo proporti un’alleanza», si sedette piano, a gambe incrociate, con sé aveva solo l’arma e un taglio aveva sgualcito il pantalone dalla parte destra, mostrando una linea rossa di sangue secco. «Lo sai che ne hai bisogno, non avete brillato agli allenamenti».

Per quanto gli costava ammetterlo, Lyosha dovette annuire in sua ragione. Né lui né Ariel avevano imparato ad usare un’arma brillantemente durante quelle due settimane, eppure Lyosha aveva già ucciso un tributo e avvelenato un secondo. Ma non poteva andare avanti così.

Quindi mosse le mani in modo che Ariel comprendesse quanto Lyosha aveva da dire, nonostante fosse contraria, socchiuse le labbra pronunciando le parole dell’altro, «d’accordo, ma se ti diciamo che te ne devi andare, te ne vai». La più piccola avrebbe voluto mandarlo via e basta.

Ma non ci fu bisogno di cacciare via Sean perché, dopo i dieci colpi dei tributi morti, il freddo della notte, le mani di Ariel che premevano contro la sua schiena e il chiarore pallido e confuso della mattina nebbiosa che li attendeva, il ragazzo del tre non c’era più, e con lui erano sparite le pillole per il veleno, lo strano liquido ambrato, il tupperware con il loro cibo.

Era iniziato il loro secondo giorno in quell’Arena, quella dannata Arena, e loro armati solo di una coperta, dell’acqua e un coltello che teneva ancora stretto in pugno.

Un coltello che, pensò con gran stupore Lyosha – inorridendo all’idea di aver ponderato una cosa simile – avrebbe voluto affondare nel cuore di Sean.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

« So che è un segreto, perché lo sento sussurrare dappertutto   

[WILLIAM CONGREVE; tratto da “Amore per amore”]

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»

 

Eccomi miei baldi giovani! Sarò molto breve perché non ho molto da dire, assolutamente no. u.u

Inanzitutto mi dispiace per non aver aggiornato dopo più o meno una settimana come al solito, ma questo capitolo non voleva saperne di venirne fuori ed infatti sono stata parecchio diffidente durante la sua stesura :/ ma ve lo do comunque con il cuore in mano, sperando che vi piaccia nonostante tutto

Alla fine l’Arena è stata scoperta da Lyosha, questa è una foresta pluviale divisa in due: la parte inferiore è tropicale ed ogni cosa risulta velenosa, indipendentemente dal fatto che sia commestibile o meno, se ingerita, porta alla morte. La parte superiore (a cui si può accedere in diverti punti contrassegnati dalla presenza delle cascate a cui Lyosha aveva prestato attenzione alla Cornucopia) è invece una foresta nebulosa, dove l’acqua è potabile ma il cibo commestibile scarseggia. Inoltre è popolata da uccelli, alcuni serpenti e insetti, ma non ci sono mammiferi o cose del genere (sarebbe un po’ troppo, non credete?)

Ho cercato di fare qualcosa di diverso ma che non si discostasse troppo dal “dimenticabile”, ed è uscito fuori questo.  Spero che sia comunque di vostro gradimento. ~

Di seguito, i dieci tributi morti in questa prima giornata (otto nel bagno di sangue e due successivamente): M-2; F-3; M-5; F-5; F-6; F-7; M-10; F-11; M-12; F-12.

E dal loft(?) è tutto, ringrazio il seguito che pian piano cresce motivandomi sempre a continuare! ;3; non sapete quanto mi fate felice.

Probabilmente gli errori di battitura – e non solo – saranno leggermente più numerosi del solito, ma non sono riuscita a rileggere con troppa attenzione causa forze esterne

 

EDIT: (16/09) inserita nuova grafica, testo ancora da revisionare e aggiunta citazione finale. Enjoy ~

 

Alla prossima!

radioactive,

   
 
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