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Autore: AllePanda    08/09/2013    11 recensioni
In questa storia Katniss e Peeta sono gli stessi e vivono nello stesso modo ma il mondo in cui vivono è diverso. Non esistono gli Hunger Games qui! La storia è ambientata in una cittadina americana della prima metà del 1900 e loro due come Romeo e Giulietta scoprono di amarsi. Un amore impossibile quello tra la figlia di un minatore morto nelle miniere e il figlio di un commerciante?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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I ragazzi innamorati capitolo 22

Fuochi d’artificio - SECONDA PARTE- 

Punto di vista di Katniss:

Il sonno nel quale piombo è tormentato. Addirittura mi capita di chiedermi se sto veramente sognando, se invece sono sveglia o magari morta. La testa mi gira e quando mi pare di riemergere riesco a sentire delle voci attorno a me, ma sono soltanto suoni ovattati e non capisco cosa vogliano da me. I miei occhi restano chiusi. Le mie palpebre sembrano pesanti come macigni. Per un po’ ho la mente così annebbiata che sono sicura di essere ancora una ragazzina di undici anni, una ragazzina spaventata che cerca suo padre. Lo invoco. Poi di nuovo l’oblio.
Quando finalmente mi sveglio, la prima cosa che registro è che sono seduta su quella che sembra una poltrona.
Ho la vista annebbiata ma appena metto a fuoco quello che mi circonda riconosco l’ambiente gradevole e  rassicurante della casa di Peeta.
Poi ricordo: l’esplosione, la miniera, Peeta. Peeta!
 – Peeta, Peeta…! – invoco il nome del figlio del fornaio e faccio per alzarmi ma non appena mi ritrovo in piedi comincio ad avere la vista annebbiata e un forte senso di vertigine mi fa ricadere all’indietro sulla poltrona.  Respiro in modo affannato e capisco subito che qualcosa non va. La testa mi pulsa in modo anormale e sembra che qualcuno me l’abbia fasciata con una benda. Sto per provare a rialzarmi una seconda volta quando la voce gracchiante di un uomo mi intima di non farlo. – Resta seduta! -.
Un uomo sulla sessantina, con una folta barba ispida e gli occhi da indemoniato mi si avvicina. Dallo stetoscopio che porta sulle spalle deduco immediatamente che si tratta di un dottore. Un aggeggio simile lo usa di tanto in tanto mia madre per curare le persone, per questo lo riconosco. Chi altro potrebbe averne uno con sé? Ma la vera domanda è: che ci fa un dottore a casa di Peeta? Rifletto un secondo sulle mie condizioni e capisco subito che per una semplice botta in testa non si sarebbero mai scomodati a chiamare un vero dottore. Forse è per l’uomo che abbiamo estratto dalla miniera, forse è ancora vivo, mi dico, ma scarto subito l’idea. Quell’uomo non può avercela fatta, aveva già le labbra blu quando lo abbiamo estratto. La paura dentro di me aumenta mano a mano che il cerchio si restringe. Il fornaio e sua moglie non possono avere chiamato un medico vero, un dottore con tutti i crismi, se non per una persona: loro figlio. – Che è successo? Io…sto bene, io sto bene…dov’è Peeta? – chiedo con voce semi disperata. Per tutta risposta un grido strozzato mi fa sobbalzare. L’uomo dimentica presto la mia presenza e corre verso la stanza da cui provengono quelle grida, non prima di avermi di nuovo intimato di stare ferma al mio posto.
Ovviamente non gli do ascolto, e dopo un paio di passi incerti riesco a trascinarmi fino a quella che sembra essere la cucina. Comincio a sentire i suoni sempre più ovattati, le luci si fanno più intense e lo sguardo si offusca ma mi impongo di resistere e di non svenire. Poi due braccia salde mi afferrano e mi aiutano a sostenermi. E’ il fornaio. Ancora una volta il suo intervento è provvidenziale, sembra che debba salvarmi sempre dalla mia debolezza, un po’ come il figlio… - Che succede? – mormoro, confusa. Non riesco a vedere bene. Perché non riesco più a mettere a fuoco? Ho forse subito danni irreparabili alla vista a causa dell’esplosione? La paura cresce dentro di me mentre respiro affannosamente avvolta dalle braccia del signor Mellark. Intravedo solo un tavolo e delle sagome attorno ad esso. – che ci fa lei qui? Arold! Allontanala immediatamente…è colpa sua se nostro figlio…- le grida della madre di Peeta finiscono in un singhiozzo e solo allora realizzo che quello sdraiato sul tavolo della cucina è lui, il ragazzo gentile e premuroso che solo la sera prima ha insistito per fare di me la sua fidanzata. Ora giace prono sul legno scolorito del tavolo, con il viso contratto in una smorfia di dolore. Quindi non me lo sono immaginata, Peeta mi ha veramente protetta dall’esplosione facendomi scudo con il suo corpo! Sono così sconvolta che neanche riesco a prestare attenzione alle invettive della strega che mi punta il dito contro, tra un insulto e l’altro. Cos’ho fatto? Lo sapevo! Non avrei dovuto coinvolgerlo e farlo entrare a far parte della mia vita…Io…

- Katniss…- la voce di Peeta mi raggiunge. E’ sofferente ma sembra molto più lucido di me – Katniss…non dovevi alzarti! La tua ferita alla testa ha bisogno di rimarginarsi. Io sto bene! Non preoccuparti! Pensa a guarire…- dice. Ecco. Ho parlato troppo presto. Per quello che ha appena detto non posso fare altro che pensare che Peeta sia tutto meno che lucido. – Peeta! Ma ti rendi conto che tu… - replico immediatamente. Poi mi accorgo di non sapere nemmeno che cosa abbia. La mia testa è così annebbiata da farmi spavento. La sua di testa invece, per fortuna sembra a posto, ma se l’hanno fatto sistemare lì sul tavolo e hanno chiesto l’intervento del dottore, deve esserci per forza qualcosa che non va.  – Che cos’hai? – domando, come una povera stupida. Nel frattempo la signora Mellark mi afferra per un braccio con forza e tenta di trascinarmi lontano da lui. Suo marito è l’unico appiglio che ho per non rovinare a terra, mi aiuta a restare in piedi e la allontana immediatamente da me. – Tu! Con che coraggio… –  grida.  - Insomma! Datti una calmata! Katniss non ha colpa per quanto è successo! – sbotta infine il fornaio. Intanto io approfitto del battibecco che si crea fra i due per fare altri due passi incerti verso il tavolo e stringere le mani di Peeta. E’ allora che dopo aver strizzato più volte gli occhi, riesco finalmente a mettere a fuoco la sua gamba e la signora Mellark mi grida in faccia la mia colpa.

 
Punto di vista di Peeta:

Un enorme boato si sprigiona dalla terra. La miniera di fronte a noi ruggisce e l’unica cosa che riesco a pensare è Katniss. Sono terrorizzato ma mi getto ugualmente verso di lei per proteggerla. Una forza spropositata ci sbalza lontano qualche metro. Il rumore è assordante. Purtroppo quando mi alzo da terra a esplosione finita, Katniss sembra avere perso i sensi. La scuoto lentamente ma non risponde e il mio cuore perde un battito quando mi rendo conto che sta perdendo sangue dalla testa. Nel frattempo Haymitch e gli altri due uomini che sembrano avere a che fare con l’esplosione, stanno trasportando quello che resta del loro amico lontano da qui. – Haymitch – grido e la mia voce risuona ben più impaurita di quanto vorrei. Ma d’altra parte, che potrei fare? Doveva essere una mattina spensierata, trascorsa con la ragazza che desidero da sempre, non un inferno fatto di terra, esplosivo e morte. Quando il mio amico mi raggiunge e mi mette una mano sulla spalla, mi accorgo che sto tremando e che qualcosa decisamente non va. – Tutto bene figliolo? – chiede, poi lancia un’occhiata a Katniss e quando torna su di me il suo sguardo si fa serio.  - Ce la fai a muoverti? – domanda. Sul momento sono sorpreso per la richiesta, poi volto lo sguardo nella stessa direzione in cui è diretto il suo. E mi sento mancare il respiro. La mia gamba sinistra è stata completamente schiacciata da un enorme masso staccatosi dalla montagna. La cosa strana è che non sento alcun dolore, ma soltanto una scarica di adrenalina che mi pervade da capo a piedi. Almeno fino a quando Haymtich, dopo aver soccorso Katniss e averla trascinata qualche metro più in là, non si avvina e comincia a cercare di spostare la roccia che mi impedisce di muovermi. E’ una sofferenza indescrivibile. E’ come se adesso che non c’è più quella roccia a tenere il sangue al suo posto, il mio corpo avesse deciso di liberarsene tutto in una volta. Ne perdo così tanto da formare un piccolo lago tutto attorno al grosso taglio che mi squarcia la gamba. Forse per lo shock, forse per il dolore o per il sangue che sgorga a fiotti, perdo conoscenza. E’ il dolore a ridestarmi. E mi ritrovo sdraiato sul grande tavolo della cucina. I miei genitori e i miei fratelli, sconvolti, stanno parlando concitati di qualcosa. Il mio primo pensiero però va a Katniss. – Lei dov’è? – chiedo fissando il mio sguardo in quello di mio padre. Lui per tutta risposta mi fa un sorriso carico di tensione – è di là in soggiorno figliolo, se la caverà con qualche punto – risponde ed io so che non sta mentendo perché mio padre non lo farebbe, non l’hai mai fatto. Non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo che un dolore lancinante cattura nuovamente la mia attenzione. – La gamba…- dico stringendo i denti mentre i miei occhi minacciano di riempirsi di lacrime. – Tranquillo, il dottore dice che non è grave… - mi conforta lui, mia madre però interviene bruscamente per contraddirlo – Arold! Ma se ci ha appena detto che probabilmente… - poi mi lancia uno sguardo carico di compassione e si interrompe. Le tremano le labbra. – Mamma, non preoccuparti – replico. Lei però scoppia a piangere e grida di nuovo – Insomma, dottore! -. Poi d’improvviso ecco Katniss. Sembra stordita e ha una benda sulla testa pericolosamente tinta di rosso. Stringe gli occhi, quasi non riuscisse a mettermi bene a fuoco e per un attimo temo stia per svenire a terra ma mio padre interviene prontamente per sorreggerla. Quello che segue è un grosso battibecco tra lei e mia madre. – Tu! Mio figlio ora perderà una gamba per causa tua! – grida quest’ultima a Katniss. Non so se a farmi trasalire di più sia il contenuto della sua affermazione o il modo orrendo in cui mia madre ha appena attaccato la ragazza che amo, fatto sta che non le permetterò di andare oltre. Con uno sforzo di volontà considerevole mi costringo ad alzarmi dal tavolo e appoggio per prima cosa la gamba sana a terra. Afferro le estremità del tavolo con le braccia e lentamente appoggio il peso del mio corpo sulla gamba destra. Inaspettatamente non sento dolore perciò decido di provare ad appoggiare leggermente anche l’altra. Quando il piede sinistro tocca terra però è come se una scarica di corrente mi trapassasse. Il dolore è profondo, sordo e accecante. Stringo i denti con tanta forza da sentirli stridere tra di loro e le dita delle mie mani si fanno bianche, tanto stringo forte il tavolo della cucina per non crollare dal dolore. – PEETA FERMO! – è il coro che ricevo subito in risposta. Sia mia madre che Katniss si sono protese verso di me e hanno gridato all’unisono. La cosa sembra spazientire entrambe ma nessuna delle due fa commenti al riguardo. Piuttosto, Katniss sembra interessata ad approfondire la questione – come sarebbe a dire che perderà la gamba? – e dal suo tono di voce trapela tanta disperazione che io stesso non avrei saputo mettercene altrettanta. Ora che l’ho sentito dire anche dalle sue labbra però l’ida comincia a farsi più chiara anche ai miei occhi. Un brivido freddo mi attraversa da capo a piedi. La spina dorsale percorsa da scariche elettriche mentre il mio cuore martella rapidamente nel petto. Senza pensare, mi trovo a fissare lo sguardo in quello di mio padre. – E’ vero? – bisbiglio. Katniss, per tutta risposta, si mette a fissare mio padre con la stessa intensità. Lui sospira. Sta per rispondere ma mia madre sovrasta la sua voce – certo che è vero! Il dottore dice che se non la tagliamo subito il male si estenderà-. Lei e il suo solito tatto sembrano farmi piombare nel tumulto più totale. – Non è del tutto vero – replica prontamente mio padre, riaccendendo in me una seppur flebile speranza. – Dice che potremmo anche aspettare e provare a curarlo con le medicine -. Mia madre sta già per dire che è una follia quando Katniss si rivolge direttamente al dottore, che nel frattempo è rimasto in silenzio in un angolo della stanza. – E’ vero che basterebbero le medicine? – chiede concitata. Un vecchio con la barba ispida si avvicina a noi e grattandosi il mento risponde – potrebbe essere una soluzione, ma l’amputazione è più sicura – spiega. –Vivendo qui ho fatto in tempo a fare esperienza di minatori i quali erano rimasti schiacciati sotto le macerie delle esplosioni in miniera. I sopravvissuti ai quali sono rimasti schiacciati braccia e gambe per ore, possono riportare una sindrome cosiddetta “da schiacciamento”, che non è qualcosa di troppo diverso da quanto è successo al ragazzo – racconta. Poi fa un respiro mentre noi tutti, siamo rimasti col fiato sospeso.  – Tale sindrome è caratterizzata da shock ipovolemico e insufficienza renale acuta. Tuttavia, occorre che lo schiacciamento si sia protratto per ore…Ma può comunque accadere che dallo schiacciamento derivi un edema che rimanendo bloccato all’interno delle fasce muscolari porta ad una diminuzione del sangue in circolo ed un forte rischio di shock con conseguenze irreversibili sui reni… - dice. Il suo discorso è troppo complicato e poco chiaro, ma da quanto ho capito non è niente di buono. Katniss stringe i pugni. I suoi occhi grigi sembrano determinati e non disperati o colmi di pietà come quelli di mia madre, e quando il dottore ha terminato dice – mia madre non è un medico ma l’ho vista curare qualche paziente del genere, prima che mio padre morisse…e beh, sono certa di non averla mai vista alle prese con tagli di gambe o braccia… - dice. Nella sua voce c’è una evidente nota polemica. – Lei stesso poi sostiene che occorrono ore di schiacciamento per arrivare a tali conseguenze…la gamba si può salvare! -. La sua risoluzione è forte. Io però sono costretto nel frattempo a tentare di sedermi sul tavolo.  A fatica mi appoggio mettendo entrambe le gambe a penzolare, il dolore però non accenna a diminuire. – Se c’è una possibilità di salvare la gamba direi che opto per questa soluzione – intervengo cercando di ostentare un tono tranquillo, quasi stessimo parlando del tempo invece di una cosa tanto tragica. – A meno che tu non aspiri ad avere un figlio che ti zoppica in giro per casa, se ci fosse una possibilità voglio tentare – dico subito dopo rispondendo al muto dissenso di mia madre, che adesso mi fissa come se fossi pazzo. I suoi occhi azzurri sono glaciali. A guardarli mi si profilano, inevitabilmente, nella testa diversi scenari agghiaccianti di quella che potrebbe essere la mia vita da qui in poi nel caso mi sottoponessero ad una cosa del genere. Io che me ne sto costretto a letto per tutta la vita, oppure seduto da solo in  una stanza da qualche parte. Mia madre che mi costringe a mangiare una minestra disgustosa mentre mi imbocca quasi fossi un bambino malato invece di un giovane uomo senza una gamba…Non sarei nemmeno più in grado di lavorare, dipenderei da tutti e poi Katniss… che se andrebbe e si troverebbe qualcun altro… Già, Katniss… Che ne sarà di me? Una paura viscerale mi attanaglia lo stomaco mentre mia madre non si fa attendere oltre e grida di preferire un figlio storpio ad un figlio morto e nuovamente incolpa Katniss per quanto successo alla miniera. La miniera. Ora basta. – Smettila! – grido proprio mentre mia madre sferra un poderoso ceffone a Katniss. La sua treccia bruna di capelli, già abbastanza sfatta, si scioglie per l’impatto e i lunghi capelli corvini di Katniss vanno ricoprirle il lato del viso colpito. La vedo portarsi una mano sulla guancia arrossata, i capelli a celare l’espressione sconvolta che certamente deve avere assunto il suo viso. A quel punto dimentico perfino la gamba dolorante e muovo un passo verso di lei. Il risultato è presto detto. Un dolore lancinante mi attraversa e senza neanche accorgermene mi ritrovo a terra a tenermi la gamba con le braccia, la testa nascosta tra le ginocchia. – Peeta! – Katniss è subito accanto a me, inginocchiata, con gli occhi grigi che minacciano di buttare fuori lacrime amare da un momento all’altro. Mio padre a quel punto decide di prendere l’iniziativa e senza dire una parola trascina mia madre nella stanza accanto e le chiude la porta in faccia per poi tornare velocemente da noi. Le proteste della donna sono inutili. Riusciamo a sentire le grida, prima di rabbia e poi di disperazione, farsi sempre più sommesse e rassegnate. – Arold! E’ mio figlio! Non puoi farmi questo! Allontanala subito da lui! Arold!!! – grida. Mio padre però fa finta di non sentirla. Aiutato dal dottore mi prende in braccio e mi posiziona di nuovo sul tavolo. Il dolore purtroppo non accenna a diminuire, Katniss mi stringe forte una mano per farmi coraggio mentre due calde lacrime cominciano a scorrermi lungo le guance. – Sta tranquillo Peeta. Non faremo niente finché non saremo certi che non c’è più speranza…- mi rassicura subito mio padre, posandomi amorevolmente una pezza umida sulla fronte per rinfrescarla. Non mi sono accorto di avere la febbre, almeno fino ad ora. Adesso che finalmente mi sento meno sotto pressione comincio lentamente a crollare, fa un caldo pazzesco qui e sono certo che non dipenda dal forno. In casa mia non c’è mai stato freddo ma sto sudando talmente tanto che deve essere per forza febbre. Katniss ora che mia madre è stata allontanata, sembra ricomporsi e ritrovare un po’ di lucidità, anche se il ceffone di mia madre deve averle riaperto la ferita alla testa perché la sua benda sta lentamente tingendosi di uno spaventoso rosso acceso. – Mi dispiace – sussurro con voce rauca mentre lei mi inumidisce di nuovo la pezzuola che ho sulla testa. – Non dirlo…è a me che dispiace – risponde, dopodiché la vedo risistemarsi velocemente i capelli in una treccia. Il gesto è così automatico che sembra rassicurarla un po’, la riporta alla realtà anche se dal suo viso capisco perfettamente che è sconvolta tanto quanto me. – Grazie – sussurro. Lei per tutta risposta mi accarezza dolcemente una guancia dopo avermi rimesso in testa la pezza bagnata. Se non ci fossero il dottore e mio padre, gamba ferita o no, credo che potrei anche azzardarmi a chiederle un bacio. Le sue labbra così vicine alle mie, sono screpolate ma mi attirano come se fossero miele.  – Dovresti sdraiarti – le dice d’un tratto il dottore attirando la sua attenzione. Soltanto adesso noto che lo sguardo di Katniss è rimasto puntato nel mio per più di dieci minuti. – Sto bene – risponde, ma ha il viso sempre più pallido e quando anche mio padre le dice di ascoltare l’uomo, sembra rassegnarsi e cedere un momento alla stanchezza. – Va bene, ma andrà bene qui – taglia corto sedendosi su una vecchia sedia di legno accanto al tavolo dove sono sdraiato io. – Dovresti stenderti – ribatte il medico. – Sto bene così -. Il battibecco prosegue ancora un po’, poi mio padre sbuffa e mettendo una mano sulla spalla del dottore sospira – lascia perdere, questa giovane donna ha la testa dura, in tutti i sensi -. L’anziano medico pare contrariato, io invece non posso fare a meno di sorridere per la sua battuta. Anche Katniss sorride, ed è il primo momento leggero da quando… - Papà- dico attirando subito la sua attenzione – che è successo? Perché la miniera è esplosa? -. Katniss sembra drizzare le orecchie, in ansia quanto me e in attesa di una risposta. Una risposta che possibilmente non ci terrorizzi. I due uomini sembrano studiarsi per un momento, poi il dottore sbuffa sonoramente emettendo una specie di strano grugnito e infine si siede accanto a Katniss, cominciando ad aggrovigliarsi nervosamente i peli ispidi della lunga barba. – Non è giusto che proprio a voi tocchi una cosa del genere – esordisce mio padre, alla ricerca evidente del modo più indolore per spiegare qualcosa che indolore non può né potrà mai essere. Katniss si tende come una corda di violino, da stare sdraiato sul tavolo, girando lentamente la testa, la vedo a sua volta che si tocca nervosamente la treccia. – Oggi non è un giorno come gli altri – prosegue, poi sembra ripensarci. – Ma ora dovremmo occuparci di te Peeta… Questo può aspettare…- tentenna. – No, voglio sapere! Quell’uomo è morto? Chi altri? Stanno tutti bene? – incalzo. – Che vuol dire che oggi non è un giorno come gli altri? E’ natale sì, ma… - aggiunge Katniss confusa. – Io non credo che…- la voce di mio padre viene inaspettatamente sovrastata da quella del medico. – Dobbiamo andarcene, o finirà male. Siamo in guerra -. E nella stanza cala il silenzio.



Punto di vista di Gale:

Il braccio destro non mi fa quasi più male, constato mentre mi cambio la fasciatura. La garza sterile ormai è quasi finita. Siamo in viaggio da un paio di giorni e comunque non posso permettermi di tardare ancora per fermarmi da qualche parte a cercarne di nuove. Poco male, per fortuna il taglio non è profondo e la ferita si sta già rimarginando. Purtroppo il treno merci sul quale sto viaggiando impiegherà ancora qualche giorno prima di raggiungere Twelve City. La mia squadra non sembra passarsela troppo male, nonostante l’attacco a sorpresa che due notti fa ci ha colto durante il sonno, posso ritenermi soddisfatto. Siamo vivi, abbiamo delle armi e una missione da portare a compimento. Il sergente Judith è perfino riuscita a captare il segnale radio del nemico mentre Jess e Philip si sono dimostrati davvero indispensabili grazie alle loro conoscenze sulle armi a lunga gittata. Tanya invece sembra aver perso la testa. Continua a camminare avanti e indietro nel nostro vagone, tenendosi la testa con le mani mentre si martoria i lunghi capelli rossi, annodandoseli, rigirandoseli tra le dita in modo febbrile. Ora che ci penso, non credo abbia dormito affatto da quando è successo. Non ce la faccio più a vederla così. – Ehi – le dico attirando la sua attenzione su di me – bevi…devi tenerti idratata -   e così dicendo le lancio la mia fiaschetta dell’acqua. Per fortuna almeno di questa ne abbiamo in abbondanza grazie al carico che abbiamo trovato qui sul treno. L’unica cosa che ci manca davvero è il cibo. I nostri stomaci brontolano da diverse ore, ma fermarsi sarebbe troppo pericoloso. Possiamo restare senza mangiare, probabilmente ci toccherà farlo per altri due o tre giorni. Ma resisteremo. Senz’acqua invece non so come avremmo potuto sopravvivere. Ringrazio mentalmente il cielo per questo colpo di fortuna. Per il mangiare, dovrò per forza pensare a qualcosa, ma c’è tempo. Tanya intanto mi fissa con i suoi occhi grandi e azzurri come il ghiaccio, smarriti. – Gale – la sua voce è rauca  - credi davvero che ce la faremo? Voglio dire…La tua città è persa…Quando arriveremo saranno tutti già morti – dice e le sue parole sembrano dare voce al mio più grande incubo. – Non succederà. Li aiuteremo a scappare. Haymitch ha già fatto saltare la miniera…- bofonchio buttando giù qualche sorso d’acqua a mia volta. Jess si unisce a noi sedendosi accanto a me con le ginocchia raccolte tra le braccia. Sospira. – Anche se riuscissero a scappare attraversando da sotto la montagna, non credo che ce la farebbero tutti. Più della metà moriranno…Lo sai questo vero? – mi chiede. Il mio sguardo però è indecifrabile. – Lei potrebbe non essere tra quei fortunati – conclude arrivando finalmente al punto. Io continuo a fissare un punto qualsiasi di fronte a me, senza fiatare. – E anche se ce la facesse probabilmente morirebbe di fame o di sete…- interviene Philip con il suo solito tono irritante. – Per non parlare del fatto che la gente si ammazzerebbe a vicenda pur di sopravvivere – aggiunge presto Tanya tremante. A quel punto sbotto. – Volete finirla?! – grido alzandomi in piedi di colpo – Se siete tanto ansiosi di morire e lascarci le penne, si può sapere perché vi siete uniti a me in questa specie di missione suicida? – sbraito tirando un calcio al fieno che mi circonda, che era stato sistemato qua sul treno per essere portato altrove e fungere fa cibo per gli animali. Inaspettatamente mi faccio male, ma non ci bado… La rabbia è più forte perfino del dolore. – Hai ragione, scusaci… - balbetta Jess, portandosi una mano tra i capelli neri e ricciuti. – Non ti garantisco niente, ma se capiterà l’occasione farò in modo di trovarla e portarla da te – dice. Poi il silenzio cala di nuovo tra noi. – Certo che questa Katniss deve essere davvero tanto speciale per farti rischiare la vita in questo modo…- interviene d’un tratto Tanya che adesso sembra essersi un po’ calmata. – Anche a me sarebbe tanto piaciuto trovare qualcuno che mi amasse in questo modo – a quelle parole Philip e Jess scoppiano a ridere mentre il mio viso si tinge impercettibilmente di rosso. Già… Peccato che mi ci sia voluto tanto per capirlo, penso amaramente mentre il treno sfreccia nella notte. Spero soltanto di fare in tempo.


Punto di vista di Katniss:

Avverto distintamente i battiti accelerati del mio cuore pulsare nelle tempie. La testa mi gira ed è vero, dovrei proprio sdraiarmi per riprendermi ma non posso. – Che significa che siamo in guerra? Con chi? – grido. In quel momento, quasi a farlo apposta, qualcuno bussa alla porta. Non è la madre di Peeta. La strega sembra essersi rassegnata e forse si è perfino data una calmata. No. E’ Haymitch, seguito a ruota da Madge, Delly, mia madre e Prim. Si tratta di un gruppo così mal assortito che quasi mi par di sognare. Dietro di loro c’è anche la signora Mellark che dopo aver chiesto al marito il permesso di entrare, si fa strada verso il tavolo dove è sdraiato Peeta senza attendere veramente una risposta di assenso. Sento il signor Mellark sospirare e vorrei prenderla a schiaffi, ma quando noto le lacrime che le rigano il viso mi dico che, in fondo, anche lei è solamente preoccupata per Peeta. Intanto Prim mi corre incontro e mi stringe forte. Io la stringo a mia volta e subito dopo abbraccio anche mia madre mentre due alti ragazzi biondi si fanno strada verso il tavolo dove già Delly e Madge sono protese verso Peeta. Questa stanza è decisamente troppo piccola per tutte queste persone, penso, mentre Haymitch mi si avvicina e mi mette un braccio attorno alle spalle. – Sei tutta intera vedo, dolcezza… - commenta rivolto a me. – Lui è messo un po’ peggio – fa cenno con la testa rivolto a Peeta. Il gesto mi dà altamente sui nervi ma cerco di mantenere la calma. – Tranquillo, sopravviverò…almeno spero – risponde Peeta, un po’ rianimato alla vista di parenti e amici. Delly gli stringe forte la mano ed esclama: - certo che ce la farai Peeta! Sta tranquillo, andrà tutto bene! Sono corsa appena ho saputo…- dice cominciando a singhiozzare.  Haymitch sospira. – Non avevo dubbi, sei uno tosto – dice. Peeta intanto cerca di tranquillizzare una Delly sempre più sconvolta senza mai mollare il contatto visivo con me. Sono io a rompere il nostro contatto, per scrutare meglio negli occhi di Haymitch. Il suo sguardo è freddo, distaccato, la bocca impastata. Solo ora noto le grosse borse che ha sotto gli occhi. – Che è successo Haymitch? Cosa significa che siamo in guerra? È vero? Che c’entra con la miniera? – chiedo tutto d’un fiato. Lui deve saperlo. Era lì. E poi se non sbaglio, Peeta mi ha detto che lui era un militare…Sì, Haymitch deve saperne qualcosa. Lo osservo e mi aspetto quasi che non voglia parlare oppure che neghi, dicendo di non saperne nulla. Invece l’uomo ci trafigge tutti con parole così taglienti da lasciare a bocca aperta. – La miniera è esplosa per causa mia. Ho ricevuto una soffiata sicura riguardo a New Capitol. Hanno intenzione di sterminarci. L’unica via di fuga è sotto la montagna… - spiega con un sorriso amaro. Restiamo tutti in silenzio e proviamo ad assimilare quanto ci ha detto, ma la mia testa sembra rifiutarsi di funzionare come si deve. Non è possibile. Sterminarci? Che significa? La madre di Peeta è la prima a schiodarsi dalla trance in cui siamo caduti. – Che sta dicendo? Le sembra il caso di terrorizzare questi poveri ragazzi con simili invenzioni! E poi se scopro che è stato davvero lei a far esplodere quella miniera io le giuro che la farò impiccare all’albero più alto della città!! Mio figlio perderà una gamba! SI RENDE CONTO?!!! – grida. I due giovani ragazzi biondi che, a giudicare dalla somiglianza, devono essere i fratelli di Peeta, si avvicinano rapidamente alla donna per trattenerla dal saltare al collo di Haymitch. Ammetto che non mi dispiacerebbe, in questo momento, vedere quelle mani ossute dalle unghie lunghe, avvolgersi attorno al collo di Haymtich e stringere forte, ma così non saprei mai se quanto dice è davvero la terribile realtà. – Si calmi…se si agita così sembra un tacchino che sta per strozzarsi da solo – è il commento ironico di Haymtich rivolto alla madre di Peeta. – Ehi, come si permette? – interviene subito uno dei figli a sua difesa. Nel frattempo io incrocio gli occhi ambrati di Madge che subito vanno a posarsi altrove quasi potessero scottarsi a causa mia. – Che c’è? – le chiedo spazientita afferrandola per un braccio per costringerla a guardarmi in faccia. – Niente – pigola  per poi farsi rossa in viso – è che purtroppo è tutto vero…Per fortuna LUI ci ha avvisati in tempo, ma ora chissà se riuscirà a raggiungerci. Non ti senti anche tu in pena? – mi chiede, con una nota di terrore nella voce. Provo a riflettere sulle sue parole, ma proprio non capisco a che si riferisce. – Di cosa parli? – replico. Madge prende a singhiozzare come una bambina – Oh avanti, non vorrai farmi credere che adesso ti sei davvero scordata di lui, che è Peeta quello che vuoi… - dice e inevitabilmente gli occhi azzurri di Delly finiscono per fissarsi su di me. Ha una mano che affonda nei capelli biondi e sudati di Peeta, l’altra stretta al tavolo della cucina. Le osservo meglio entrambe. Non sembrano meno stravolte di me, i capelli in disordine, i vestiti sporchi di non si sa cosa, terra, forse cenere… - Io…- balbetto, ma prima di riuscire a formulare una risposta, la voce di Peeta raggiunge le due ragazze. – lei sta con me. Di chiunque voi stiate parlando, di sicuro Katniss non ti farà alcuna concorrenza Madge! - sospira. Quelle parole hanno un effetto devastante su Delly che scoppia a piangere sempre più forte, mentre diverse paia di occhi increduli vagano alla ricerca dei miei. Le mie guance si fanno rosse, non reggo all’occhiata di mia madre e abbasso il mento rivolgendolo a terra. Madge invece sta trattenendo il respiro e sembra che uno strano sorriso si stia formando sulle sue labbra. Non ci sto capendo più niente, penso, ormai è ufficiale. Sbuffo. – Insomma, si può sapere di che parli Madge? – e poi rivolta a Peeta, ancora sdraiato sul tavolo – e tu perché hai deciso di parlarne proprio adesso? – sbraito. Sono a dir poco furiosa. Questa giornata non è andata affatto come mi aspettavo, non c’è che dire. La testa mi pulsa.  Alla fine Madge si sbottona – Gale Hawthrone… lui ha avvertito Haymtich dell’attacco. Dice che se non scappiamo subito tempo una settimana e New Capitol arriverà qui con le sue truppe armate per sterminarci. Pensavo che avesse scritto anche a te…- spiega. La terra sembra franarmi sotto i piedi. Gale? Le ha scritto? Pericolo di morte… avvertita? Ma quando mai?! Un moto di rabbia mi sconvolge e vengo anche assalita da un terrore irreale. La madre di Peeta ha giusto il tempo di sconvolgersi per le parole del figlio. Ovviamente lei non crede ad una parola riguardo alla guerra, a lei importa che Peeta abbia detto a Madge e Delly che sta con me. La testa mi si fa sempre più leggera. Faccio appena in tempo a vedere altri fuochi d’artificio colorati che mi si formano davanti agli occhi, prima di svenire di nuovo con un solo pensiero nella testa: “non può essere…”  

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Spazio autrice: chiedo venia ma ho dovuto litigare con l'editor perché l'hanno cambiato e non sapendolo usare non riuscivo neanche a postare la storia. Quanto al capitolo attenderò con ansia i vostri commenti/critiche. Grazie mille :)

 

  
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