Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Lavi Bookman    09/09/2013    6 recensioni
"[...] Non era così facile sopravvivere in quel mondo, se si aveva il terrore della perdita. Per questo, lui, ancora prima di partire per la sua prima missione, aveva deciso di guardare i suoi compagni come persone che possono morire. Con la ragione e la logica, aveva accettato da tempo che le cose non sarebbero sempre rimaste come erano. Aveva accettato che sarebbero morti.
Faceva male. Un male terribile e atroce. Ma poteva sopportarlo. Poteva.
Quello che non poteva realizzare era la perdita di Eren."
[LeviXEren]
Genere: Angst, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren, Jaeger
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Everybody's got no place to hide.



 



It's a truth that in love and war,
World's collide and hearts get broken,
I want to live like I know I'm dying,
Take up my cross, not be afraid.

 

Era tutto così orribile che anche solo a ricordare avrebbe voluto morire ripetutamente. Non era riuscito a salvarli. Non era riuscito in nulla. Solo perchè non era stato abbastanza forte.
Ricacciò indietro le lacrime. Era cresciuto, ormai. Non era più lo stupido ragazzino sconsiderato che aveva deciso di donare la sua vita alla causa. Ora, se avesse potuto tornare indietro, avrebbe detto a quel ragazzino “scappa, scappa e smettila di provare tutto questo”.
Non si vergognava della sua scelta, ne andava fiero, ma avrebbe davvero voluto proteggersi maggiormente. Un po' di quel sano egoismo che permette alle persone di dire “mi voglio bene abbastanza per sapere che merito di meglio”.
Dio, avrebbe così tanto voluto risparmiarsi la vista dei corpi mutilati dei suo compagni -quando c'erano, dei corpi da guardare.
Arricciò il naso e si strinse maggiormente le gambe contro il busto, seduto sul lettino dove passava le notti. No, non era più quel ragazzino sciocco. Adesso , come la gente amava ricordargli, era un mostro, un Titano come quelli che aveva giurato di uccidere. Una volta terminato tutto ciò, se mai fosse davvero terminato, avrebbe dovuto chiedere di poter morire.
“Devo anche chiedere il permesso per questo...”, sbuffò contraendo le labbra in un sorriso tra l'afflitto e il divertito. Strinse il pugno e lo portò al cuore, in segno di saluto. Lui doveva servire l'umanità, doveva solo pensare a questo, e sopportare. Solo questo.
... Eppure, faceva così male. Ed era così difficile.
Abbassò il capo fissando il pavimento. Era sporco, quella mattina ancora non lo aveva pulito. Con una smorfia si rese conto che se il Comandante Levi fosse sceso nei sotterranei e avesse notato che c'era della polvere, lo avrebbe sicuramente picchiato -ancora.
Sentire quelle piccole mani sul suo corpo, in quel modo, lo sorprendeva ogni volta. Era terribilmente forte, confronto a quanto si potesse pensare vedendolo da fuori. Almeno finché non ci si scontrava con il suo sguardo. Eren aveva sempre pensato che la sua forza venisse dagli occhi, perché solo quelli erano in grado di gelargli il sangue.
Si alzò di malavoglia, ancora intorpidito per il calore delle coperte, e andò a raccogliere la scopa lì accanto. Odiava fare le pulizie, non era neanche sicuro che servisse a qualcosa. Alla fine, con tutti i problemi che aveva, possibile che dovesse preoccuparsi di lucidare un pavimento?
- Sono felice di vederti all'opera, Jaeger – intervenne una voce alle sue spalle.
- Buongiorno, signore! - rispose immediatamente il ragazzino mettendosi sul'attenti, scopa in mano. Non lo aveva sentito arrivare, preso come era dai suoi pensieri. Si ringraziò mentalmente per non essere rimasto un minuto in più a letto.
- Quando hai finito qui, sali di sopra –, “il solito tono vacuo e inespressivo”, pensò Eren annuendo con il capo e pronunciando a gran voce “sissignore”. Eppure, lo sapeva. Sapeva che nonostante quell'uomo sembrasse così glaciale, in fondo, aveva comunque le sue paure.
E sapeva che quei compagni persi nell'ultima battaglia, per lui, erano sempre stati una motivazione per andare avanti. Avrebbe voluto proteggerli, tenerli al sicuro, tornare sempre a casa insieme. Non abbandonarne i corpi lì, dove per “lì” si intendeva l'Inferno.
Lo leggeva nei suoi occhi, che se possibile erano diventati ancora più insensibili: si dannava. Si odiava, e si incolpava. E lui, dal canto suo, a volte, si ritrovava a pensare che avrebbe davvero voluto fargli fare dei passi indietro. Avrebbe voluto poter far tornare in vita tutte le persone che avevano rappresentato le sue ragioni per vivere, e vedere quale fosse stato lo sguardo iniziale del Comandante Rivaille.
- Ho fatto il caffè... Preferivi il tè? - chiese l'uomo davanti alla cella, guardando l'altro come se in realtà neanche gli interessasse la risposta.
Eren sorrise. Era un bel sorriso, come se, poco prima, non avesse avuto la tentazione di smetterla con tutto questo.
- No, signore. Il caffè andrà benissimo, grazie mille. -
- Mh. -
Poche volte si era soffermato a guardarlo, a guardarlo davvero. E ora, mentre si allontanava, sentiva un vuoto che lo attanagliava alla bocca dello stomaco. La schiena del suo Heichou era così piccola che per la prima volta pensò alla sua possibile perdita. Se fosse morto, se per un qualche errore Rivaille fosse morto, probabilmente sarebbe impazzito.

 

Is it true what they say, that words are weapons?
And if it is, then everybody best stop steppin',
Cause I got ten in my pocket that'll bend ya locket,
I'm tired of all these rockers sayin' come with me,
Wait, it's just about to break, it's more than I can take,
Everything's about to change,
I feel it in my veins, it's not going away,
Everything's about to change.

 

“Ci hanno fatto spendere altri soldi, 'ste merde!”
“State solo dando cibo ai giganti, e sono i nostri figli quelli che tramutate in pasti!”
“Dovreste smetterla! Smettetela, tanto non siete in grado di vincere...”

All'inizio, aveva odiato come quegli idoti si scagliassero contro di loro. Alla fine, tornavano già a casa distrutti e dimezzati. Non comprendeva come potessero anche calcare la mano in un modo tanto infimo.
Ma poi bastava guardarli. La paura che provavano era palpabile. La disperazione, la sfiducia, la consapevolezza di non essere altro che nulla. Era sempre stato difficile, per Levi, affrontare la folla urlante al ritorno da una missione.
Quando era ancora alle prime armi, alle prime missioni, sperava sempre di poter tornare dentro le mura e potersi togliere quella maschera che doveva continuamente tenersi addosso. Sperava, segretamente, che qualcuno potesse dirgli “ehi, va bene, hai fatto tutto quello che potevi. Non è colpa tua”. Però, entrato lì, doveva affrontare loro: il male umano. Ed erano pugnalate al cuore, ogni singola parola. Ogni sguardo lo rendeva sempre più distaccato.
Forse, se avessero assistito in prima linea a quello che dovevano sopportare, avrebbero fatto silenzio. E qualcuno veramente sarebbe andato lì dicendogli “vedrai, finirà tutto, ora puoi piangere”. Ma nessuno, negli anni, aveva mai capito. Neanche dopo gli attacchi. Neanche dopo aver sperimentato la paura.
- ZITTI! STATE ZITTI! -
Rivaille si girò di scatto interrompendo i suoi pensieri bruscamente e fissando il ragazzo che, poco dietro di sè, urlava alla folla. Per un attimo, un breve attimo, si rivide in lui. E la cosa lo spaventò, quello stupido in nessun modo doveva somigliargli.
- JAEGER. - pronunciò zittendo sia lui che i presenti, pronti a scagliarglisi contro. Sentì lo sguardo ferito di Eren addosso, e non se la sentì di dire altro. Da quella missione, anche lui ne era uscito distrutto abbastanza per non aver voglia di parlare.
- Mi scusi, Capitano... Io... - non finì la frase. Non aveva senso terminarla. Rivolse semplicemente lo sguardo verso il popolo, stringendo tra le mani le redini del cavallo, ma nessuno di quelli che prima erano pronti ad attaccarlo aveva il coraggio di guardare quegli occhi.
Il dolore va bene guardarlo solo da lontano, non quando si presenta a pochi metri.
Per il resto del viaggio, l'unica cosa che poterono fare fu rimanere in silenzio. Un silenzio a volte rotto da qualche pianto improvviso, che ormai non attirava neanche più l'attenzione.
“Siamo arrivati, finalmente”, si disse Levi mentre scendeva dal cavallo e lanciava un'ultima occhiata agli uomini rimasti. Il sangue sui loro vestiti, sui volti, li insudiciava fin nelle viscere. Ancora una volta, era stato tutto inutile.
- Eren, vieni con me – comandò avvicinandosi al ragazzo e prendendolo per un braccio. Non lo avrebbe fatto, in altre occasioni. Non lo avrebbe neanche sfiorato, per convincerlo a seguirlo, ma non era convinto che in quello stato il ragazzo avrebbe capito l'ordine impartito.
E poi, il contatto con la stoffa della giacca, la consistenza del braccio, avevano un effetto lenitorio anche per lui, che, nonostante tutto aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non cominciare a urlare. Una parte fondamentale del suo lavoro consisteva nel non farsi mai vedere in procinto di crollare. Doveva sempre mantenere la sua calma apparente.
Non vi fu alcuna risposta da parte dell'altro. Semplicemente muoveva i piedi automaticamente. Non poteva sopportarlo. Non lui. Non poteva lasciare che quegli occhi non avessero neanche un briciolo di speranza.
Lo strattonò brutalmente sino ai sotterranei, nella sua camera, lontani dalle grida e dai pianti e dalle maledizioni e dalle preghiere simili ormai a barzellette, “nessun Dio potrà mai ascoltarvi”.
Partì il primo schiaffo, così forte da spedire il ragazzino contro la parete fredda. Non fece tempo a parlare, a chiederne il motivo, che poco dopo arrivò un calcio all'altezza dello stomaco, un pugno che lo colpì alla mandibola, e una gomitata alla base del collo che lo stese a terra definitivamente. Provò a rialzarsi, ma immediatamente arrivò un calcio alle costole.
Sputò sangue. -”Scusami.”
Un'ulteriore calcio lo colpì in faccia mentre, nuovamente, annaspava cercando ripararsi dai colpi e potersi rialzare. Sentì il labbro aprirsi e il sangue colare lungo il mento.
- He... Heichou...? - tentò disperatamente Eren aggrappandosi ai pantaloni dell'uomo davanti a sè, alzando lo sguardo per guardarlo in volto. E se fosse morto in quel momento, gli sarebbe andata bene perché l'espressione che il suo Capitano aveva mentre lo colpiva era qualcosa di molto più doloroso. E, per chissà quale motivo, sapeva di essere l'unico in grado di poterla notare.
Non fece tempo a formulare un solo altro pensiero che arrivarono altri calci, riducendolo a piegarsi a terra su sè stesso. -”Muoviti, alzati. Merda, riprenditi.”
- Fa... Fa così male...? - chiese facendo leva sulle braccia per raddrizzarsi. Non arrivarono ulteriori colpi, e si sentì sollevato. Si adagiò con la schiena contro il lettino e lanciò un'occhiata a Rivaille.
Non ebbe risposta, ma d'altronde già la conosceva. Come poteva non far male? Non poteva.
Abbassò gli occhi e imprecò dentro di sè, costringendo il proprio corpo ad alzarsi in piedi, tentennando e rischiando più volte di cadere.
- Ora va meglio, Jaeger? -
Si permise di lanciargli un'occhiata stranita, mentre si appoggiava con una mano contro la parete. Quell'uomo minuto era davvero la persona più strana che avesse mai incontrato.
Non rispose. Non avrebbe saputo cosa dirgli. Sentiva le ossa fratturate, i muscoli distrutti e la testa scoppiargli.
- Ti sei rialzato. Questo è l'importante, Eren. Oggi è stato orribile, ma sei vivo. Ci saranno un'infinità di volte in cui sarà così, ma tu ricordati questo: puoi rialzarti. Non si tratta di volere o dovere, ma di potere. Finchè lo puoi fare, hai il dovere verso te stesso di farlo. Anche ora, nonostante i miei colpi, sei di fronte a me e mi stai fissando -, fece una piccola pausa girandosi verso le sbarre e stringendone una sino a rendere bianche le nocche della mano, - le persone... Loro non capiranno mai, quindi non essere stupido e non dire nulla quando si lamentano. Ricordati una cosa: sono i loro cari, quelli che riportiamo a casa morti. Loro ce li affidano, e noi li riportiamo morti. -
- ... Sissignore. Ho capito. Mi scusi. - rispose dopo un minuto di silenzio, giusto il tempo di elaborare cosa gli era stato detto.
- Va bene. Spero che le ferite vadano via presto. Ci si vede dopo. -
- Heichou...? -
- Dimmi. -
- Non mi ha risposto... Fa così male? -
- Non capisco cosa tu voglia dire. -
- Credere che sia colpa sua. Prendersi la responsabilità delle loro morti, ogni volta. -

 

It creeps in like a thief in the night,
Without a sign, without a warning,
But we are ready and prepared to fight,
Raise up your swords, don't be afraid.

 

Odiava le crepe. Nelle crepe si insinua la polvere.
Quindi, quando qualcosa si rompeva, Levi Rivaille si limitava a buttarlo. Non sopportava che ci fossero le imperfezioni, al mondo.
Doveva avere il controllo completo intorno a sè, in modo che nulla e nessuno potesse mai rompersi.
Ma, nel caso di una qualche crepa dentro di sè, si sarebbe dovuto limitare a renderla talmente tanto invisibile che alla fine sarebbe stato come se non ci fosse. Così, nel momento in cui aveva capito che qualcosa non andava, che rischiava di attirare lo sporco all'interno del suo corpo e del suo essere, decise che isolare l'area infetta sarebbe stata la cosa più intelligente da fare.
Ed ora era lì, davanti a uno stupido moccioso, a chiedersi quale fosse stato il momento in cui la quarantena aveva smesso di funzionare. Fece mente locale e non notò nessun momento che potesse lasciar intravedere la sua personalissima struttura ammaccata. La teneva così al sicuro che, qualcuno da fuori, a notarla, avrebbe potuto azzardare che in realtà ne era innamorato quasi fosse la sua parte umana rimasta. In fondo, non era poi tanto diverso da Eren. Se avessero chiesto a lui “sei un essere umano?”, non avrebbe avuto tutta la forza di urlare “sì” che aveva avuto il moro.
- Non so di cosa parli. Oltretutto, da quando ti permetti di farmi domande simili? Non ne hai avute abbastanza? -, il tono era sempre quello, sicuramente, e anche lo sguardo. E i movimenti, e le espressioni.
- Nessuno, Capitano. -
- Dormi, ragazzino. -

Levi lasciò la prigione senza voltarsi. Era davvero una pessima giornata quella, ammise rendendosi conto dell'eufemismo.
Aveva provato molta più paura delle volte precedenti, senza un motivo apparente. Era stato così vicino alla perdita della lucidità che se ne era stupito da solo. Non sarebbe mai più dovuto succedere, o avrebbe rischiato di spedire tutti sotto terra. Ammesso che avessero avuto anche la fortuna di poter avere una tomba.
Era una paura insensata. Non era la prima volta che affrontava i nemici naturali dell'umanità. Ne aveva uccisi così tanti da perderne il conto quasi, ma l'adrenalina l'aveva salvato dalla pazzia, rendendolo capace di reagire velocemente ad ogni situazione.
Le volte prima, però, non c'era Eren da proteggere. Non era così facile sopravvivere in quel mondo, se si aveva il terrore della perdita. Per questo, lui, ancora prima di partire per la sua prima missione, aveva deciso di guardare i suoi compagni come persone che possono morire. Con la ragione e la logica, aveva accettato da tempo che le cose non sarebbero sempre rimaste come erano. Aveva accettato che sarebbero morti.
Faceva male. Un male terribile e atroce. Ma poteva sopportarlo. Poteva.
Quello che non poteva realizzare era la perdita di Eren. Non che fosse più importante degli altri, ma aveva deciso di prenderne la responsabilità. Era suo. E ciò che gli apparteneva non aveva il permesso di rompersi. La paura derivava da questo, mettere in gioco Eren, ora, era mettere in gioco tutto ciò che aveva. Se ne fosse uscito con una qualche crepa, sarebbe stata una perdita molto più grande di quanto fosse disposto ad ammettere. Ridurre quegli occhi a due fessure, come i suoi, sarebbe stato più ingiusto che ucciderlo.
- Dannazione! - imprecò battendo un pugno contro il tavolo della cucina. Vuoto. Ora era lui, solo lui. - Li ucciderò. Li ucciderò tutti -, sibillò.
Non avrebbe più dovuto aver paura. Eren era in grado di pensare a sè stesso. Lui doveva solo concentrarsi su come sterminarli, e su come fargli provare le pene dell'Inferno. Era solo un peso, pensare a un'altro essere umano.
Fece una smorfia notando una macchia sul tavolo e con la manica della giacca la tolse, “una in più una in meno... Almeno non è sangue, questa volta.”


This is a warning, like it or not,
I break down, like a record spinning,
Gotta get up,
So back off,
This is a warning, like it or not,
I'm tired of listenin', I'm warning you, don't try to get up.


 

Si distese sul lettino, e tirò a sè le lenzuola, coprendosi anche se in realtà non aveva freddo.
Gli mancavano le risate e gli scherzi degli altri soldati. Non aveva più alcuna importanza se per un po' avevano avuto paura di lui, non sapeva neanche dargli torto.
Erano morti per lui. Per proteggerlo, alla fine. Gli avevano dato l'opportunità di scappare e mettersi in salvo... E lui aveva accettato. Si vergognava e si odiava per come se ne era andato, ma la cosa che maggiormente lo spaventava era la possibilità che Rivaille potesse odiarlo o disprezzarlo per questo. In fondo, per quel che ne sapeva, lui confronto a tutti loro contava meno di zero. “Per salvarne uno, non dovrebbero morirne cento”.
- Tanto vi ucciderò. Uno ad uno, morirete – e tirò un pugno contro la superficie del letto.

____

- Heichou – attirò l'attenzione Eren entrando in cucina.
- Non ti avevo detto di dormire? Hai bisogno di riposarti – osservò l'altro senza neanche guardare il ragazzo negli occhi. Restava fermo lì, sulla sedia, a rigirarsi una tazza con del caffè all'interno.
L'odore della bevando aleggiava nella stanza. Era buono. Un qualcosa che sembrava scontato, in altre situazioni. Ma quel giorno, non aveva neanche sperato troppo di poterlo risentire ancora.
- Non volevo infastidirla, prima... Solo che – e si bloccò, cercando di trovare le parole – Heichou, non è colpa sua -, affermò alzando fermamente lo sguardo per fissare l'uomo che aveva di fronte. Non lo riusciva a riconoscere. Non riusciva più a distinguere la forza nel suo sguardo. Vedeva solo due occhi vuoti, e stanchi. Estremamente stanchi. E feriti.
- Smettila di dire cose che non hanno senso – concluse piatto l'altro, continuando a non guardarlo. Se solo ci avesse provato, probabilmente avrebbe lasciato ingrandire la sua crepa sino a renderla visibile. Era troppo esausto per mantenerla al sicuro. E quelle parole, quelle che Eren tentava di dirgli, erano qualcosa di molto vicino alla chiave per far saltare la serratura.
Vide il moro avvicinarsi a lui a passo spedito, e non potè fare a meno di girarsi verso di lui per capirne le intenzioni. Era stato più veloce di quanto si aspettasse, finendo per trovarselo davanti a sè che gli tendeva una mano. Lo sguardo contrariato e irritato che aveva assunto non fecero smuovere Eren dalla posizione in cui era. Piuttosto tremava, ma non era disposto ad allontanarsi. Era consapevole che per un comportamento simile avrebbe rischiato almeno un pugno, ma sembrava che non gli importasse.
- Che dovrei farci con la tua mano, soldato? - chiese cupamente il Capitano, senza nascondere un ringhio nella voce.
- Prenderla, signore. E lasciare che possa aiutarla – e sorrise. Sorrise perché non poteva fare altro, non sapeva neanche come altro dire una cosa simile. La sfrontatezza non era mai stata un problema per uno come lui, ma Rivaille era tutt'altra storia confronto alle altre persone.
- Non ho bisogno del tuo aiuto. Io sto bene -, aggiunse l'ultima frase dopo qualche secondo. Eppure, anche dopo aver affermato questo, inconsapevolmente, prese la mano che gli veniva offerta stupendosene da solo. E la crepa prese spazio, avvertendo il calore di Eren.

 

There's a war going on inside of me, tonight - don't be afraid.


Non si dissero nulla. Si sentì solamente la sedia scricchiolare quando Levi si alzò, accompagnato dall'unica persona che gli era rimasta, sino alla camera da letto, completamente diversa dal seminterrato. Era spaziosa, con lenzuola sul letto bianche e pulite di quella che, probabilmente, era seta. Le tende erano ricamate e perfettamente lisce, senza alcuna piega. La mobilia mancava se non per un armadio e un comodino, ma se lo aspettava. Era bella, anche nella sua estrema semplicità.
- Si sieda, perfavore – disse Eren, facendo segno all'altro di raggiungere il letto. E incredibilmente, venne ascoltato. Non una lamentela, non una domanda. Faceva quello che gli veniva detto, e basta.
Gli si avvicinò, e non potè fare a meno di avere una stretta nel petto quando i loro sguardi si incrociarono. Se solo avesse potuto prendere almeno una parte del suo dolore, lo avrebbe fatto senza chiedere nulla in cambio.
Portò le mani alla giacca del suo superiore e gliela fece cadere giù per le braccia.
- Andrà bene. -
Si mise in ginocchio davanti a lui e cominciò lentamente a slacciargli gli stivali, facendoli poi scivolare per liberare i piedi. Alzò lo sguardo per vedere se vi era un cambiamento di espressione. Nulla.
- Alla fine, vinceremo. Ne sono sicuro. Lei no? -
Si alzò nuovamente ma accucciandosi un po' per arrivare alla stessa altezza dell'altro che non dava alcun segno di essere presente. Gli sorrise, decidendo di sederglisi accanto.
- Signore... Se per caso vuole piangere, non lo dirò a nessuno e se lo vorrà dimenticherò che sia successo, va bene? -
Ci volle del tempo, prima che questo rispondesse. Prima che guardasse Eren vedendolo. Ore in cui le parole uscivano dalla bocca del ragazzo come se volessero lenire ogni singola ferita che poteva distruggere dall'interno il suo Capitano. Ore di promesse, e di lacrime e di carezze stesi vicini e raggomitolati. Solo per quella notte, avrebbero potuto stare così e fingere che non ci fosse un mondo pronto a ucciderli, pensando a tutte le perdite avute. Bramando una tranquillità che probabilmente neanche gli apparteneva, ma che per almeno una volta volevano provare.
Eren stringeva da dietro il corpo magro ma saldo di quello che, alla fine, non doveva avere troppi anni più di lui. Avvertiva quando il pianto aumentava e tentava invano di zittirsi, poggiandogli una mano sugli occhi e sussurrandogli dolcemente all'orecchio “ecco, ora nessuno può vedere”.
Realizzarono, quella sera, che avrebbero potuto nascondersi dalle loro maschere se fossero stati insieme.


 

[...]
- Comandante Smith, dov'è il Comandante Rivaille...? -
Non ebbe risposta. Ed era la risposta peggiore.


 

I said I gave all my love to you,
we dreamt a new house,
some place to be at peace.
But things changed, suddenly;
I lost my dreams in this disaster.


"Ecco, ora nessuno può vedere."



 




Note Autrice
Non ho molto da dire, se non che mi sta completamente distuggendo SnK. Davvero, la mia mente non regge a tutti questi feels. Cooomunque. Non sono voluta cadere nella trappola del sesso sfrenato in ogni angolo della casa rapporto amoroso canonico. Più che altro, mi sono voluta concentrare solamente sul lato emotivo in base a quello che devono vivere.
La canzone che accompagna tutta la one shot è "War of Change" dei TFK, canzone che trovo fatta apposta. Seriamente, ho avuto il dubbio che sia stata scritta per quest'anime.
L'ultima strofa è di "Call your name", una delle canzoni originali di SnK.
Detto ciò, spero vi sia piaciuta, e in qualche commento. Perché sì, fa dannatamente piacere riceverli. Ecco.
  
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