CAPITOLO 1:
Roma, 695 a.U.c., calende di Iulius.
(1 Luglio, 58 a.C.)
Roma, la città più bella del mondo conosciuto.
Davanti
a me si stagliava fiera ed orgogliosa la tanto declamata Urbe, colei
che fece innamorare i poeti e alimentò le fantasie di tutti i popoli.
Ai miei occhi appariva così diversa dai luoghi verdi in cui ero
cresciuta, ma perfetta nella sua grandezza.
Nessun uomo poteva non
sentirsi attratto da tanta magnificenza, Roma era in grado di far
sentire minuscolo anche il più possente tra tutti i mortali, grazie
alle enormi costruzioni che la dominavano e che parevano essere state
costruite dagli dei.
Mi trovavo nel grande Foro della città e dal
palco rialzato su cui mi avevano portato riuscivo a scorgere le vecchie
case del popolo, le domus dei patrizi e gli sfarzosi templi che avevano
reso famosa l'Urbe. Vedevo quello che doveva essere il Tabularium e,
accanto ad esso, il tempio della dea Concordia. Se avessi girato il
capo, dietro di me avrei potuto intravedere il Tempio dei Castori, la
Basilica Emilia e alcune tabernae novae che vendevano frumento, pane, vini pregiati e gioielli.
Quella
città era davvero immensa: si estendeva oltre l'orizzonte, tanto da
sembrare infinita. Non avrei dovuto, eppure non riuscivo a fare a meno
di ammirare a bocca aperta quelle costruzioni così perfette da
sovrastare anche la magnificenza di Lugdunum.
L'aria
era intrisa dei forti profumi delle spezie orientali e le vie
illuminate dal primo sole della giornata erano riempite da un allegro
vociare: quella mattina l'enorme sezione del mercato aveva radunato una
gran varietà di gente, romana e straniera: Roma era davvero la patria
per le genti di tutto il mondo. C'erano pretoriani intenti a
sorvegliare l'area, servi che si sbrigavano a fare le commissioni per i
loro padroni, uomini vestiti con un'elegante toga che discutevano di
politica, ragazzini che si rincorrevano tra la calca di persone e
raffinate matrone che ridevano raccontandosi a vicenda i pettegolezzi
del giorno.
Molti di loro soffermavano lo sguardo davanti al palco
su cui mi trovavo io, curiosi di scoprire quali nuovi progionieri
avesse fatto la guerra, o più probabilmente alla ricerca del perfetto
servo da comprare al Foro, un nuovo sottoposto che provvedesse alle
loro personali esigenze. Ecco la sorte che sarebbe toccata anche a me:
mi sarei ritrovata nelle mani di qualcuno di loro.
Già alcuni di noi erano stati venduti al miglior offerente per alcune monete e portati via con poca grazia.
Ne
stavo guardando un altro allontanarsi, quando un'ombra si proiettò
davanti ai miei piedi scalzi. Alzai lo sguardo e scorsi davanti a me,
davanti al palco, l'uomo più alto che avessi mai visto. Una lunga barba
scura copriva parte del viso, mentre il naso aquilino accompagnava due
occhi piccoli e tondi.
Vidi l'individuo osservare il titulus appeso al mio collo, per poi spostare gli occhi sul mio corpo ed infine, dopo alcuni minuti, sul mio viso.
Mi sforzai di non abbassare lo sguardo e sorressi il suo con l'occhiata più truce che fossi in grado di creare.
I suoi piccoli occhi si restrinsero ancora di più.
“Che hai, ragazzina? Non ti hanno insegnato a rispettare i tuoi padroni?”
Le
grosse labbra si aprirono in un ghigno vorace e derisorio, un distorto
sorriso che mi umiliò in un modo che non avrei potuto immaginare, non
dopo tutto quello che mi era successo in Gallia nelle ultime settimane.
Non dopo la separazione da mia zia e l'allontanamento dal mio
villaggio, da chi conoscevo. Non dopo le percosse e gli sguardi
trionfanti dei romani.
Mentre l'uomo rideva ancora soddisfatto
dall'espressione ferita del mio viso, il mercante che mi aveva comprata
qualche giorno prima si riscosse e corse verso di noi, asciugandosi con
una pezza il volto madido di sudore per il caldo afoso di Roma.
“Buongiorno signore, state osservando il nuovo carico? Vedete,
è arrivato direttamente dalla Gallia ieri.”
“Si
mercante, avete davvero delle belle ragazze qui.” esordì, spostando lo
sguardo annoiato e spento sulle donne esposte sul palco.
“Oh, lei sembra un intenditore! Guardi, abbiamo la miglior scelta
tra le femmine più belle di tutte le provincie.”
Quel gigante si avvicinò a me ed io non potei fare altro che abbassare lo sguardo, spaventata.
“Quella lì. Cosa puoi dirmi della ragazzina?”
“Oh,
signore, lei ha davvero buon gusto! Nimue ha vissuto una vita degna di
questo nome in Gallia. È in grado di leggere, scrivere e conosce il
latino. Sarà in grado di soddisfarvi la notte, quanto di intrattenere
gli ospiti. E potrà essere vostra per 400.000 sesterzi.”
“400.000 sesterzi? Ma questa è una truffa, mercante!”
“Il
prezzo le potrà sembrare elevato, ma pensi a quanto può valere una
creatura simile, una ragazza educata dai grandi filosofi greci, non
abbia remore!”
Cominciai a sentirmi male; davvero stavano trattando
il prezzo per la mia vendita, per la mia vita? E in tutto ciò io
rimanevo pur sempre un essere umano, oppure mi ero tramutata unicamente
in un oggetto utile ai romani?
Mi sentivo umiliata, privata della mia dignità. Come potevano parlare così di un'altra persona?
Mi
guardai attorno avvilita, e tra le lacrime che riempivano i miei
occhi riuscii a scorgere un gruppo di giovani che mi osservava.
Parevano
avere una ventina d'anni, anche se qualcuno poteva essere più vecchio.
Indossavano degli abiti bellissimi, fatti sicuramente di qualche stoffa
molto pregiata, il tipo di materiale che solo i patrizi potevano
facilmente acquistare.
“Si, per me è perfetta.”
A parlare era
stato il ragazzo in testa agli altri, un giovinetto dalla chioma biondo
scuro e un corpo dai tratti delicati, quasi femminei, che si mosse
verso il palco su cui sostava ancora l'uomo che mi voleva comprare.
Fissai il ragazzo e mi permisi di riaccendere una piccola speranza:
forse la dea Gontia non mi era avversa e mi avrebbe evitato di
finire nelle mani del gigante che, intanto, si stava lamentando del
prezzo: “Razza di truffatore, non pagherò tutti quei soldi per una
femmina, sono davvero troppi!”
“Ma non lo sono per me. Compro io la ragazza, e te la pago 500.000 sesterzi. Va bene, vecchio?”
Mi
girai verso il punto da cui proveniva quella voce. Mi sorpresi quando
scoprii che si trattava proprio del giovane di poco prima.
Socchiusi gli occhi. Chi mai avrebbe pagato un prezzo così alto per una schiava?
Intanto
il mercante, riscosso dallo stupore in cui anche lui era caduto e
benedicendo probabilmente gli dei per la fortuna ricevuta, si avvicinò
al gruppetto. Con un largo e falso sorriso, chiese al ragazzo se avesse
qualche domanda da fare su di me.
“Nimue... Giusto? Prima ho sentito che è stata cresciuta dai filosofi greci. È vero?”
“Ovviamente, Posidonio di Rodi in persona si è occupato della sua educazione.”
“Posidonio? E come mai si sarebbe preso la briga di istruire una ragazza?”
“Beh, si dice che la giovane sia sua nipote, ma ovviamente sono
solo voci.” rispose il mercante con un ghigno complice.
“Uhm, e va bene” sospirò, poi riprese sorridendo “Penso che Nimue sia perfetta.”
L'individuo,
il mio salvatore potrei dire, prese delle monete da un pesante
sacchetto di stoffa che portava allacciato alla cintura di porpora, le
diede al mercante e questi le prese avaro, mentre scioglieva
l'estremità della catena che mi legava.
Non riuscii a trattenere un
basso lamento per il dolore provocato dalla spessa corda attorno ai
miei polsi. Il giovane attese che scendessi dal palco e poi si
incamminò lungo l'affollata via del mercato. In un attimo fugace, mi
concessi di pensare che, magari, avevo avuto la fortuna di trovare un
romano che trattava i propri schiavi con rispetto.
Sarebbe
forse stato troppo perfetto? Dopotutto non era mia natura fidarmi delle
persone, e soprattutto non lo era permettere al mio cuore di sperare
nel meglio, ma quella volta non potei farne a meno. Tutti i miei
progetti per il futuro si erano frantumati nel momento in cui il primo
piede romano calzante una caliga aveva varcato la soglia del mio
villaggio. Era un soldato, e si trovava lì con i suoi uomini per
dichiarare la mia terra ed i suoi abitanti parte del dominio di Roma.
Non avevamo difese. Non avevamo guerrieri. Non avevamo speranze di
riscatto. Non avevamo più libertà.
Cominciò così il mio viaggio
verso Roma, separata dal resto del villaggio e legata accanto a
prigionieri di chissà quale altra terra. Riconobbi i fratelli Batavi ed
alcuni Catti. Parlai con il giovane Gesalico, che riuscì a rendermi la
mia nuova condizione più facile da accettare; mi rassicurò per quanto
ci riuscisse, ma ci separarono a Verona ed io non lo rividi più.
Arrivai
a Roma meno di una settimana dopo; non avevo contatti, non avevo
riferimenti né qualcuno su cui appoggiarmi. Mi sentivo persa e forse lo
ero ancora. Non conoscevo anima viva e l'Urbe, la città perfetta per
chi voleva rifarsi una vita o aprirsi la strada del successo, appariva
ai miei occhi un'enorme prigione dalle catene dorate.
Persa nei miei
pensieri, non mi accorsi che i ragazzi che in quel momento tenevano in
mano la mia vita stavano parlando di me, mentre attraversavamo la via
del mercato verso chissà quale destinazione. Forse la mia nuova casa,
se così potevo chiamarla.
Curiosa di sapere come fosse il mio nuovo
padrone, forse desiderosa di rassicurarmi, cominciai ad ascoltare i
loro discorsi, appena in tempo per sentire uno dei ragazzi dire:
“Vedrete, la fanciulla andrà benissimo per il nostro giovane amico!”
“Sapete una cosa? Avete ragione, Catullo ne sarà entusiasta.”
Catullo...
Avevo la sensazione di aver già sentito quel nome, poteva appartenere
ai ricordi del mio villaggio, ad una vita che ormai sentivo lontana.
Per gli dei, che fosse lui?
Angolo dell'Autrice:
Ciao ragazze/i!
Alcuni
di voi conosceranno già questa storia e sapranno che ho preferito
cancellare la scorsa versione e scriverne una nuova sulla base della
precedente, ma migliorata (spero) e sicuramente arricchita di
particolari e personaggi. Spero che la gradirete com'è ora.
Do invece il benvenuto ai nuovi lettori, con lo stesso augurio e la speranza che la storia del triste Catullo piaccia.
Quella
che intendo scrivere è una fanfiction più matura e soprattutto ben
inserita nel contesto in cui si svolge: intendo per questo impegnarmi
di più per farvi immaginare la bellezza della Città Eterna nel primo
secolo a.C. Spero non vi annoierà, in ogni caso dai prossimi capitoli
la storia dovrebbe diventare più dinamica :)
Spero in un vostro
parere positivo o negativo, anche perché ogni volta che rileggo il
capitolo mi vedo più insoddisfatta del mio lavoro; per qualunque
domanda, suggerimento o critica, fatevi pure avanti. Avverto che è
stata un'odissea far quadrare tutte le informazioni storiche con la
trama ed i personaggi (i nomi, i luoghi d'origine, la conquista della
Gallia, Posidonio ecc.), quindi è possibile che abbia fatto degli
errori. Se li notate fatemi pure sapere :)
Ciao, Kora ;)
Ps. Aggiungo, per chi non lo conoscesse, il significato delle parole in corsivo:
Tabernae novae: sono piccole botteghe situate nel Foro che vendono vari tipi di alimenti e vini. Sono anche le sedi di banchieri.
Lugdunum: l'odierna Lione, in Francia, che nacque come un insediamento celtico e poi romano.
Titulus: si tratta di un cartello appeso al collo degli
schiavi in vendita; indica la provenienza, le capacità e le
attitudini.
Gontia: è il nome di una dea celtica, quella della fortuna.
Posidonio di Rodi: filosofo greco, vissuto tra il II e il I secolo a.C., che viaggiò anche in Gallia.