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Autore: MJJ4Ever    09/09/2013    1 recensioni
Un viaggio attraverso i ricordi di Paul, che racconta la sua storia d'amore con Michelle durante la sua infanzia, il suo periodo con i Beatles e anche dopo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SPAZIO AUTRICE:
Dopo esattamente un mese.. BAAAM eccomi con un nuovo, attesissimo (per niente) capitolo! Siamo nel vivo della storia, signori! Da questo momento le cose si faranno interessanti! MUAHAHAH Buona lettura! 




Il giorno dopo, svegliarmi con Dorothy accanto a me, fu la sensazione più bella che avessi mai provato. Non avevamo fatto niente, avevamo solo dormito, ma il fatto che lo avessimo fatto insieme era speciale. Era nuovo per me riuscire a dormire con una ragazza senza provare neanche a sfiorarla, ma con lei mi bastava. Solo guardare il suo volto addormentato, solo sentire le sue mani che mi tenevano stretto a lei, solo il pensiero di esserle così vicino mi facevano impazzire. La conoscevo da pochissimo tempo eppure già non potevo fare più a meno di lei e, il fatto che mi trovassi nel suo letto, confermava che anche lei provava lo stesso.
Aspettai che la mia dolce, bellissima Dorothy aprisse gli occhi prima di andarmene. Volevo aspettarla per assicurarmi di essere il primo a darle il buongiorno, il primo a poterle sorridere e a poterla baciare. Già, perché pur non avendo fatto niente, ero riuscito a rubarle più baci nel corso della serata prima di addormentarci completamente e, dato il tempo che ci avevo impiegato, lo consideravo davvero uno dei miei più grandi record. Si perché, per quanto potessi sentirmi innamorato, alla fine anche Dorothy era nella mia lista di vittime e, pur non volendo, alla fine la comparavo a tutte le altre.
Dopo averla salutata con calma … molta calma, dopo tutti i “quanto sei bella sta mattina” e i “mi piaci da impazzire appena sveglia” mi decisi a prendere le mie cose e a fiondarmi fuori da casa sua con il massimo silenzio per non essere scoperto dai suoi genitori. Mi allontanavo quasi a malincuore, come se non avessi avuto mai più l’opportunità di vederla. Eppure, sapevo che quella sarebbe stata solo la prima di tante occasioni passate insieme. Mi sentivo quasi fiero dei miei stessi pensieri: se progettavo di passare molto tempo con lei, significava che ero pronto ad impegnarmi seriamente con una ragazza. Era davvero un bel passo avanti.
Camminavo con la testa fra le nuvole e quasi non mi accorsi, arrivato davanti casa, che ad aspettarmi c’erano John e George. Chiesi loro cosa ci facessero lì e fui fulminato dallo sguardo assatanato di John,
“Alla buon’ora! Sai quant’è che ti aspettiamo? Abbiamo le prove, razza di idiota, che fine avevi fatto?” 
Se John era così suscettibile, non era mai un buon segno. Lanciai uno sguardo a George che rispose alzando il sopracciglio e dando ragione a John. Che begli amici che avevo. Ci volevamo molto bene.
“Scusa tanto John, ma come puoi vedere non ho passato la notte in casa, ecco il motivo del mio ritardo. Ora, se mi è concesso, mi reco a prendere la chitarra … Lei acconsente, maestà?”
Poteva suonare come un’offesa, ma per noi era normale insultarci o prenderci in giro. Era il nostro modo di mostrarci affetto di fronte agli altri. Le labbra di John si espansero in una meravigliosa risata. Bella quanto dolce. Mi sentii immediatamente soddisfatto.
“Dai, cretino, muoviti!”
Era bello vedere John ridere, sapeva contagiarti senza fatica e la trovavo una cosa fantastica. Era una delle qualità che apprezzavo di più di lui. Ed è una delle cose che mi mancano di più.
Ricambiando il sorriso, entrai in casa e mi affrettai a raggiungere camera mia. Presi la chitarra in fretta, controllai di avere le sigarette in tasca e tornai fuori.
Raggiunti gli altri, ci avviammo tutti e tre verso l’appartamento di John dove avremmo provato. Quando passai davanti la tua porta, mi tornò immediatamente in mente la sera prima, il modo freddo con cui avevamo percorso l’ultimo tratto di strada … Non riuscivo a capire cosa ti fosse successo. Le ragazze sono strane ma, dannazione, tu le battevi tutte. Comunque, non diedi molto peso alla faccenda e scacciai subito il pensiero.
Arrivati all’appartamento di John, si finiva immediatamente catapultati nel suo mondo. Nel suo e quello di Stu. C’erano colori, colori ovunque! Sulle tele, sulle pareti, sui mobili. Era davvero la casa di due artisti.
All’improvviso sentimmo il rumore di oggetti che si spostavano. Ci voltammo tutti e tre e vedemmo Stu raggiungerci con la sua solita aria spavalda, con tanto di sigaretta consumata fino all’ultimo millimetro in bocca. Si faceva strada tra il disordine ed era esilarante.
“Ah, siete riusciti a recuperare il disperso! Ma che fine avevi fatto, eh Paul?”
Che simpatico il caro Stu. Di certo non avrei raccontato a lui le mie nottate.
“Lasciamo perdere, andiamo a provare piuttosto.”
Stu soffocò una risata, gettò la sigaretta in un posacenere lì vicino e si avventurò insieme a noi in mezzo al disordine verso Pete che ci aspettava già seduto alla batteria.
Ognuno prese la propria postazione. Io mi sistemai a terra per controllare l’accordatura della chitarra, quando John mi si accovacciò accanto. Aveva uno sguardo che conoscevo bene.
“Cosa c’è?”
“Paul, seriamente, cos’è che hai combinato?”
Sapevo che era quello il suo intento. Era sempre stato un tipo curioso ed era ovvio che volesse sapere la verità.
“Poi ti spiego, ma non ora.”
Non è che volessi avere dei segreti con John. In fondo non era neanche chissà quale grande scoop. Era solo una ragazza, ma era anche … la mia ragazza. Questa volta era importante.
Rassicurato John del fatto che avrebbe avuto presto delle risposte, iniziammo le prove. Come al solito andavamo molto spediti, c’era solo qualche intoppo qui e là che si risolveva in pochi secondi. La mia parte preferita era quando Stu aveva qualche difficoltà e toccava a me semplificargli la parte. Ero l’unico, oltre a lui, che sapesse maneggiare un basso. La differenza era che io ero molto più bravo. Per questo, quando lui non riusciva a fare tutti i passaggi, io prendevo in mano la situazione e lo aiutavo. Il basso non era l’unico strumento in cui ero migliorato. Suonavo un po’ di tutto e mi piaceva scoprire strumenti sempre nuovi. Suonavo il piano, la tromba, il flauto … e contavo di allungare la lista. Quello che sapevo, però, era che il basso era lo strumento che mi attirava di più. Un giorno, magari, avrei preso il posto di Stu.
Dopo le prove, pranzammo insieme e poi ci salutammo. John decise di accompagnarmi, ma sapevo che il suo scopo era quello di sapere la fatidica verità. Ovviamente l’accontentai e per strada gli spiegai per filo e per segno tutto ciò che era successo la sera precedente. Omettendo il tuo particolare, ovviamente.
“E così, James Paul McCartney, si è finalmente innamorato, eh?”
“E’ una cosa normale innamorarsi, non vedo cosa ci sia di strano …”
“Se sei tu non è normale. Sei pronto a rinunciare a tutte le tue ammiratrici per una ragazza sola?”
Era strano sentir dire quelle cose da John. Neanche lui era un angioletto, anzi era peggio di me. Io la prendevo seriamente quella faccenda e un po’ mi deludeva il fatto che non mi credesse capace di amare veramente una ragazza. Che diamine, era il mio migliore amico! Se non mi appoggiava lui, chi lo avrebbe fatto? La conversazione si concluse con la scommessa che avrei tradito Dorothy prima della fine del mese. Dopodiché ognuno se ne andò per fatti suoi. Tornando verso casa mi capitava spesso di fare delle pause in posti calmi e stare lì per una manciata di minuti, e così feci anche quella volta. Mi trovai un posto all’ombra in un parco, accesi una sigaretta e mi presi il mio tempo. Era molto rilassante e, quando c’era il sole come quella volta, era ancora meglio. Era in situazioni come quelle che mi venivano le ispirazioni per delle possibili canzoni, ma quella volta avevo altro per la testa. Pensavo a quanto fossi sottovalutato da John in materia “ragazze”. Ok, ne avevo avute tante e le cambiavo spesso … ma questa volta sentivo davvero che era diverso e mi sarebbe piaciuto essere preso sul serio. Non avrei mai tradito Dorothy, perché avrei dovuto farlo? Forse avevo dato un’idea sbagliata di me. Forse avevo davvero esagerato con le mie “mini relazioni”. Ma ero fatto così, non potevo farci niente: mi piaceva corteggiare le ragazze. Anzi, mi piacevano le ragazze e basta. Era una vera passione quella che avevo e per questo era finita per diventare il mio passatempo.
Ma nonostante tutto, volevo provare davvero ad avere una relazione seria con Dorothy. In poche ore trascorse con lei avevo provato emozioni che tutte le altre ragazze non mi avevano dato e lo prendevo come un segno.
Quando ebbi finito la sigaretta, la gettai e ripresi a camminare verso casa. Mi ci volle quasi un’ora per arrivare, ed era un tempo decisamente lungo per i miei standard. Si vedeva che qualcosa non andava. Ah, l’amore ha sempre giocato brutti scherzi.
Arrivato davanti casa tua, fui subito sorpreso vedendo i tuoi genitori in giardino che si guardavano. Parlavano e, dai loro sguardi, si direbbe che erano anche abbastanza preoccupati. Ma non ne ebbi la certezza fino a quando non fui abbastanza vicino da essere visto da loro. Mi corsero immediatamente incontro e mi parve subito una cosa insolita. Ma il vero colpo lo ricevetti quando sentii tuo padre dire: “Paul, tu sei l’ultimo che l’ha vista, sai dov’è andata?”
Non c’era un soggetto in quella frase, ma era chiaro a chi si stessero riferendo. E io capii immediatamente che, quella sera, non eri tornata a casa come mi avevi fatto credere.
“Io l’ho lasciata davanti la porta … Non l’avete proprio vista?”
Le parole uscivano dalla mia bocca praticamente a forza. E questo perché dentro di me stavano cominciando a crescere la rabbia per essere stato preso in giro, il dubbio su dove potessi essere andata e la paura per le ipotesi più pessimiste, che volevo non tenere in considerazione, ma inevitabilmente c’erano.
“Non sappiamo proprio dove possa essere finita, ci siamo svegliati e non era in camera sua! Abbiamo paura che possa esserle successo qualcosa,  non ha mai fatto niente del genere, tu lo sai!”
Lo sapevo eccome. E mi chiedevo anche io cosa ti stesse succedendo. Eri come cambiata tutto d’un tratto e non riuscivo a trovare una spiegazione logica a quel cambiamento. Eri sempre fredda, distante, pareva che ce l’avessi con il mondo intero e adesso ti mettevi anche a scappare di casa. No, non era la Michelle che ricordavo io e quel pensiero mi creava un peso nello stomaco insopportabile.
“Vado a cercarla.”
Posai la chitarra nel mio giardino e tornai indietro da dove ero venuto.  Non sapevo dove potessi essere andata e un po’ me ne sentivo in colpa. Uno sa sempre dove andare per trovare il suo migliore amico o semplicemente una persona cara, e io non sapevo dove andare per trovare te. Bell’amico che ero, mi facevo schifo da solo. Sentivo la rabbia crescere ad ogni strada che imboccavo senza trovarti, ogni volta che urlavo il tuo nome senza ricevere risposta e intanto le ore continuavano a passare.
Trascorsi per strada tutto il pomeriggio.
Quando mi arresi era quasi il tramonto e mi sentivo un fallito. Sarei tornato come un perdente dai tuoi genitori a mani vuote. Con quale coraggio avrei detto “Mi dispiace, non l’ho trovata!”? Con quale faccia? Volevo sotterrarmi. Lì forse non avrei più fatto figure come quella che stavo per fare.
Arrivato nei pressi del porto, mi stesi su una panchina e mi accesi una sigaretta. Era l’unico modo che avevo per rilassarmi un po’ e togliermi quella pesantezza di dosso. Poi c’era il suono del mare, delle navi, l’aria fresca: era un posto perfetto per togliersi i problemi dalla mente, riappacificarsi con il mondo e con se stessi.
Ecco dov’eri!
Mi misi a sedere di scatto facendo quasi cadere la sigaretta dalle labbra. Dovevi essere al porto, per forza. Era l’unico posto adatto a starsene soli e, almeno io, non sarei andato da nessun’altra parte.
Mi alzai immediatamente e cominciai a cercarti con lo sguardo. Guardai ovunque, finché non arrivai su uno dei ponti dove attraccavano i traghetti. Lì, proprio sulla punta della passerella, una figura piccola e esile stava seduta accovacciata su se stessa e fissava il mare. Che sollievo rendermi conto che quella figura eri proprio tu. Gettai la sigaretta sorridendo e mi venni a sedere accanto a te. Tu rimanesti ferma, come se avessi fatto finta di non vedermi. Anche io ci misi un po’ prima di parlare. Avevo bisogno di trovare l’argomento adatto, non era semplice per me parlare di qualcosa che non sembrasse invadente.
“E’ davvero bello qui.”
Erano passati circa cinque minuti e l’unica cosa che avevo trovato da dire era quella frase insulsa. E dire che sognavo di diventare un compositore, avrei fatto davvero strada.
“ … E’ ottimo per quando si vuole stare da soli, non trovi?”
Continuai per non farti notare che stavo improvvisando tutto. Sperai in una tua risposta, giusto per ravvivare un po’ la conversazione, ma tu non parlavi. Ti limitasti a sospirare. Ricordo che pensai  ‘Ah devo fare tutto io!’ ma, in fondo, non conoscevo le tue motivazioni.
Ti guardai qualche secondo e notai come ti stessi tenendo stretta nelle gambe e quanto bianca fosse la tua faccia. Stavi congelando.
“Da quanto tempo sei qui?”
“Da stamattina …”
Avevi passato lì tutta la giornata. Quasi non ci credevo, come avevi fatto?
“I tuoi genitori erano preoccupati per te.”
Di nuovo niente risposta. Ti guardai ancora.
“Hai freddo?” 
Scuotesti la testa.
Mi stavo stancando di quelle risposte misere o addirittura … nulle! Stavo per perdere la pazienza, in quel momento avrei desiderato afferrarti e portarti a casa con la forza. Ma ovviamente non lo feci.
“Non so perché tu sia così arrabbiata … né so con chi tu lo sia, ma non ti pare esagerato scappare di casa, passare tutto il giorno a non far niente, da sola e al freddo?”
“Non ho freddo, sto bene.”
Stavi ancora cercando di prendermi in giro. Era come se ai tuoi occhi fossi stato uno stupido che si beveva qualunque stupidaggine. Mi stavo innervosendo parecchio.
“A me non pare che tu stia bene … Per favore, vieni con me.”
Mi guardasti a lungo. Era come se avessi detto qualcosa che ti avesse toccata. Era come se ti avessi appena chiesto di scappare via da qualche parte. Insieme. Non so perché, ma era quello che leggevo nel tuo sguardo. O forse mi stavo sognando tutto.
Scossi la testa e mi alzai allungandoti la mano. Tu non dicesti niente, continuavi a fissarmi e afferrasti la mano senza parlare o cambiare espressione. Ti aiutai a tirarti su e ci avviammo verso casa. Questa volta camminavamo l’uno accanto all’altro. Ci tenevamo per mano. Io stringevo la tua e tu stringevi la mia, dopo tanto tempo.  La lasciai solo per un motivo: metterti il braccio attorno alle spalle e tenerti stretta. Per riscaldarti, non per altro. Continuavo a ripetermelo ‘solo perché ha freddo. Solo perché ha freddo!’
L’orgoglio, vecchio nemico.
Era ormai notte quando arrivammo davanti le nostre case e, questa volta, mi assicurai che fossi realmente intenzionata ad andartene a letto prima di andarmene. Ti riconsegnai ai tuoi genitori vittorioso e ti lanciai uno sguardo d’intesa. Volevo assicurarmi che non facessi più niente di simile. Tu mi sorridesti senza dire niente e chiudesti la porta. Poteva essere l’inizio della nostra nuova amicizia, quello. 20 Giugno 1960: io e te eravamo finalmente amici. Bel regalo di compleanno, il migliore che potessi ricevere, anche se in ritardo.
Avrei voluto ricambiare, magari il Settembre di quell’anno avrei potuto farti un bel regalo per il tuo quattordicesimo compleanno. Ma, ancora una volta, le cose non andarono come avevo sperato. 
  
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