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Autore: chilometri    09/09/2013    5 recensioni
“Louis.”
“Non cercare scuse, perché non ce n’erano.”
“Lo so.”
“E allora vaffanculo.” E sa tanto di singhiozzo, di sospiro, di dolore e di paura di essere ai suoi occhi un perdente.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Football Lovers.'
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cracked ribs

 
(*)
 
“Hai le costole incrinate
a furia di scontrarti contro i muri
che ti sei creato intorno.”
 

 

Louis ha la testa che gli scoppia, un sapore di merda come retrogusto in fondo alla gola e il ginocchio gli fa così male che se avesse la forza e la voglia e il coraggio di parlare, non smetterebbe di dire bestemmie.
Sta uno schifo, la pioggia ha iniziato a battere contro i finestrini dell’auto nera e si prenderebbe a schiaffi se poi potesse non sentirsi ancora un perdente.
Dopo la partita – che sarebbe da cancellare –, i fischi, il dolore, il suo orgoglio del cazzo che lo ha fatto allontanare dai ragazzi con un “vaffanculo” secco, ha vomitato. Vomitato.
E’ una star internazionale, quella era la sua prima partita e le aspettative di tutti erano così alte che, ora, nemmeno vuole pensare a tutto quello che stanno sicuramente dicendo.
Tra l’altro è incazzato, incazzato nero, per precisione. Con Harry.
Con Harry che non si è presentato alla partita, che la mattina lo ha solamente abbracciato, che tutto quello che aveva fatto, dopo aver saputo, era stato mandargli un messaggio. “Come stai?”
Come pensi che stia, Harry? Era tutto quello a cui aveva pensato, e, senza nemmeno rispondergli, aveva sbuffato e represso le lacrime – perché non poteva anche piangere –, ed imprecato.
Poi aveva tirato un pugno al muro e adesso gli fanno male anche le nocche e vaffanculo.
Non ha voglia di vederlo, non ha voglia di vedere nessuno, né di parlare, respirare, né. Questo è quello che pensa, mentre si sbatte lo sportello alle spalle e si tira su il cappuccio e trascina un po’ la gamba e si rende conto che forse, tornare a casa, non è stata una buona idea.
Forse sarebbe dovuto andare da Jay, o meglio ancora in ospedale, e lo sa, lo sa che si sono già occupati di lui – quella cazzo di benda sul suo cazzo di ginocchio, dice tutto –, ma ha paura che ci sia testa di cespuglio, o di cazzo, o di cazzuglio ad aspettarlo, ha paura di crollare davanti a lui, ha paura.
Louis ha sempre paura.
Ha paura delle parole della gente, degli sguardi pieni di rancore, ha paura che Harry ora rida di lui – lo farebbe mai? Forse no, ma Louis ha paura –, di aver deluso ancora altre persone e di sembrare troppo stanco, ha paura persino di lui.
Perché lo sa che cosa segue, dopo un fallimento.
E ha paura che abbandonerà tutto senza nemmeno aver iniziato, di non farcela, di non reggere, perché nonostante tutto, lui, non è forte come Zayn, né tranquillo e pacato come Harry, né riflessivo come Liam o amato come Niall.
Lui è Louis.
E questo fa schifo.
Sospira mentre infila il più silenziosamente possibile la chiave nella toppa, gira a destra e apre la porta del piccolo appartamento che, prima di iniziare il tour, quindi esattamente dieci mesi prima, ha comprato, e si sente quasi più sollevato nel vederlo vuoto. E pulito.
Harry non sembra esserci.
Sta quasi per sorridere, quando un altro pensiero, più veloce degli altri, gli invade ogni angolo della testa. Perché non c’è? Perché non mi ha aspettato?
Ancora una volta, Louis, ha paura.
Poi sente gli occhi lucidi, le mani che sudano, il cuore che batte più forte e le gambe che tremano e porca troia, Harry sta cantando e la sua voce proviene dalla camera da letto.
Per un secondo, gli passa per la mente di andare via, ma conciato così, con il vomito che gli sfotte lo stomaco, la testa che gli gira ed il ginocchio che fa male da morire, dove crede di poter andare?
Si chiude la porta alle spalle, accompagnandola fino al “click”, sperando di passare inosservato almeno il giusto per riflettere sul da farsi, ma non ha nemmeno il tempo di voltarsi che “Louis?”, lo sta chiamando Harry.
Non risponde, respira profondamente, ripone le chiavi nella tasca della felpa e si abbassa il cappuccio bagnato dalla pioggia; si addentra nel corridoio, sperando di raggiungere il bagno prima che lui lo veda, ma.
“Lou”, ed è un sussurro, quello che sfugge dalle labbra di Harry, è quasi sollevato e lui si sente un po’ meglio alla sua vista, ma poi ricorda tutto.
La partita. La caduta. Il vomito.
Harry assente.
La delusione.
Il vuoto.
La paura.
“Lou, cazzo, finalmente”, continua e gli è vicino in due passi, ma Louis ha lo sguardo rivolto al pavimento e vorrebbe solo sparire. “Mi hai fatto preoccupare.”
“L’ho notato - dice. Fa una pausa. - Eri davvero impaurito quando sono caduto sul campo, di fronte a tutte quelle persone, per non parlare di quando sei quasi corso dentro!, davvero, Harry, è stato un gesto eroico.”
Poi si ferma, lo guarda, aggrotta con fare teatrale le sopracciglia e “Ah, no, aspetta. Tu non sei venuto.”
Questa volta è Harry ad abbassare la testa, ad incassare il colpo e Louis si sente strano quando si rende conto di essere soddisfatto di ciò.
Per la prima volta, vuole che soffra, che capisca quanto schifo faccia essere sempre dalla parte di chi è malvisto.
“Louis.”
“Non cercare scuse, perché non ce ne sono.”
“Lo so.”
“E allora vaffanculo.” E sa tanto di singhiozzo, di sospiro, di dolore e di paura di essere ai suoi occhi un perdente.
“Non fare così.”
E’ quasi arrivato alla porta del bagno, ha la mano sulla maniglia e gli occhi già lucidi perché sente i suoi muri cedere, ma Harry a volte è così ingenuo che gli verrebbe voglia di prenderlo a schiaffi e poi accarezzarlo.
“E come dovrei fare? Ero solo, cazzo, solo. Davanti a tutta quella gente, tu lo sai, lo sai che...” ma la voce gli si spezza.
“Mi dispiace.”
“Non me ne faccio niente delle tue cazzo di scuse!” e non sta urlando, ha solo la voce più alta del solito ed è così ferito che sente male al cuore.
Perché non era così che doveva andare.
Non avrebbero dovuto conoscersi quando erano dei ragazzini, non avrebbero dovuto innamorarsi, amarsi di nascosto, dirsi bugie e nascondersi verità, non avrebbero dovuto scegliere la vita più difficile, non avrebbero dovuto assecondare il loro sentimento, perché a quest’ora starebbero entrambi meglio.
Bugie.
E’ solo che Louis ha così bisogno di lui, dei suoi capelli ricci, delle sue frasi da idiota e della sua musica hipster, del suo cappello di paglia, dei suoi tatuaggi, della sua pelle sotto il suo tocco, del suo sorriso, delle sue scarpe e dei suoi jeans ricuciti con lo scotch, della sua voce roca al mattino e dei suoi ti amo.
Verità.
Louis sente così tanto dolore che non riesce più a capire se provenga dall’interno o dall’esterno, sa solo che la stanza gira di nuovo vorticosamente e il ginocchio ha ripreso a fargli male.
Stanchezza.
“Non essere arrabbiato con me.”
“Quando ti ho portato il contratto che avevo firmato con la squadra e tu sembravi così preoccupato per noi, per la band, io ti avevo detto, Harry, che se per te non andava bene, se ti sembrava affrettato, avrei mollato tutto. Per te. E te lo ricordi, che mi hai risposto, Harry? Te lo ricordi?” La voce di Louis è tagliente, ma ogni parola fa male.
“Sì.” È un sussurro, quello di Harry.
“Cosa?”
Harry tace.
“Cosa mi hai detto, Harry?”
Respira, “che sarei stato sempre il tuo più grande fan.”
Stronzate.”
“Lo sai che non avrei mai voluto ferirti.”
“Ma lo hai fatto! – e questa volta Louis sta gridando – e non me ne frega niente del ginocchio, dello stomaco sottosopra, se tu fossi stato lì con me, se solo mi avessi abbracciato negli spogliatoi, se solo avessi trovato il modo di sostenermi anche solo moralmente, Harry, sarebbe stato tutto diverso.”
“Scusami.”
“No.”
“Ti amo.”
Louis ride ma non è divertito, “non mi importa.
E finalmente, lo ferisce.
Ci riesce, perché gli occhi verdi del riccio scattano verso l’alto e trovano i suoi, che sono lucidi e feriti, ma arrabbiati. Ci riesce e lo capisce quando apre la bocca per parlare, ma poi la richiude, quando chiude gli occhi e poi c’è solo erba bagnata sulle guancie.
“Vattene”, Louis glielo ordina quasi e sostiene il suo sguardo mentre Harry rimane fermo sullo stesso punto. “Devo stare solo. Non ti sei fatto tanti problemi, fino a qualche ora fa, a non esserci per me.”
“Sai che non è così.” la voce e i sussurri, “e com’è, allora?” la rabbia e la paura.
Harry rimane zitto e capisce, gli passa al fianco, lo guardo e prova a sfiorarlo ma lui si scansa, abbassando la maniglia. Si infila in bagno, accende la luce ed aspetta di sentire la porta sbattere.
Tre.
Due.
Uno.
Le costole incrinate a furia di sbattere contro le barriere che si è creato ed il respiro corto.
Le guance bagnate, guarda lo specchio e lo sa che non può fare a meno di prendersela invano con Dio.
Ormai, Louis è solo.
Ed ha paura.
 

 

 

 

 

 

 

è una schifezza, dovrei smetterla di intasare questo fandom è solo che non lo so
sono stata malissimo per louis oggi e avevo tanto angst nel corpo
ma questa roba non è angst, non è niente, è solo uno "sfogo", avevo bisogno di scrivere ed amen
capirò se non l'apprezzerete ahahahah
 
scusate se sono sparita e se non pubblico praticamente quasi mai niente, è un periodo complicato
spero non vi dimentichiate di me, davvero
un bacione grande grande,
romeo<333
((che vorrebbe tanto firmarsi "chilometri" ma non può perché l'amministrazione nON MI CAMBIA IL NOME))
 
ps. ricordatevi che vi amo tanto <333
 
 

 

  
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