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Autore: Layla    09/09/2013    2 recensioni
"Jack impallidisce e mi lascia da sola, tanto lo becco a letteratura inglese dopo.
“Sei veramente poco sensibile, DeLonge.”
La teppista della scuola – Maria Gonzalez, detta Ginger– mi rivolge di nuovo la parola.
“Scusa?
“Ho detto che sei poco sensibile, DeLonge.”
“Perché Gonzales?”
“Perché non vedi un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il naso.”

Ava DeLonge/Jack Hoppus
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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4)Come i bambini sperduti delle favole.

 

La notte a volte è lunga, a volte si srotola davanti a te come un tappeto scuro, morbido e invitante, altre volte lo stesso tappeto è irto di spine e per niente comodo.
È passato un bel po’ di tempo da quando siamo saliti, scommetto che ora le stelle sono alte in cielo e splendono per guidare tutti quelli che viaggiano, ma non sono perduti.
Ho raccontato a Derek tutta la mia vita: i tour, la diffidenza, la mia cronica mancanza di amici, di come Landon e Jack fossero le uniche stelle che mi accompagnassero insieme a mio fratello Jonas.
Derek mi chiede come è Jojo e io gli rispondo che è come tutti i fratelli del mondo, a volte li uccideresti nel modo più cruento possibile, a volte li adori.
Lui sorride e mi dice che ha quattro fratelli più piccoli e sa cosa si prova ad avere un fratellino, ha anche dei fratelli più grandi, ma sono uno in carcere e uno a New York a fare non si sa bene cosa.
“Beh, siete sette in famiglia. Com’è vivere così?”
“Uno schifo. I miei si sono sposati subito dopo il liceo perché mamma era incinta di mio fratello maggiore, quello che sta a New York.
Non si sa bene cosa faccia lì, quando chiama è sempre vago, ho il sospetto che sia coinvolto in attività illegali, ma è la sua vita.
Ha ventiquattro anni e scommetto che sa pulirsi il culo da solo, senza aiuto.
Si chiama Jose, ha due spalle larghe allucinanti, sembra un armadio, hai capelli corti ed è pieno di tatuaggi, tanti se li è fatti al riformatorio.”
“Per cosa è finito dentro?”
“Furto e spaccio.”
Io annuisco.
“Poi c’è Michael, ha vent’anni ed è dentro per furto d’auto. Ha tanti tatuaggi, ma non è gigantesco come Jo. È mingherlino e ha i capelli tutti irti tinti di azzurro, gli piace il punk e il pop punk ed è stato lui a farmi scoprire i blink.
Jo sa essere cattivo, picchia a volte, Mike è una pasta d’uomo, ha solo il dono di conoscere brutta gente e mettersi nei guai.
Lui ha persino preso il diploma. Sarà quello che mi mancherà di più.
Poi sono arrivato io e quando avevo quattro anni mia madre ha tagliato la corda, credo sia andata in Florida perché era stufa che mio padre spendesse tutti i soldi al pub.
Non ha più telefonato e non ha più scritto.”
“Come fai a sapere che è ancora viva?”
 Lui ride, io rabbrividisco e mi stringo di più nel suo abbraccio, la seconda coperta che ha tirato fuori basta a malapena a coprirci.
“Ho telefonato a mia nonna e mi ha detto che è ancora viva, tanto mi basta.
Spero che ora stia bene e abbia trovato la sua strada, con noi non è mai stata felice.
Nemmeno sei mesi dopo mio padre ha portato a casa la sua nuova compagna, avrà avuto al massimo vent’anni e con lei ha avuto quattro figli.
Reina, che ha quattordici anni, Kevin dodici, Mia dieci e Jim cinque anni.
Con lei ho sempre avuto un rapporto freddo, ma poteva capitarmi di peggio, anche perché mio padre non ha cambiato abitudini. Era sempre  e comunque al pub.
Cosa posso dire di questi quattro?
Reina, se non sta attenta, rischia di finire incinta prima della
Quinceañera e il padre sarebbe un avanzo di galera violento. Abbiamo cercato tutti di allontanarla, ma lei continua di ritornare da lui.
Ha quattordici anni, è il suo primo amore e pensa che lui sia fantastico e che possa cambiare gli aspetti poco carini del suo carattere.
Mi fa un po’pena.
Kev è a posto, è il più bravo di noi a scuola e spero che decida di andare avanti e di lasciarsi alle spalle quel casino che è la nostra famiglia.
Mia ha solo dieci anni, ma temo farà la fine di Reina. Le starebbe bene dato che è una mocciosa viziata e piagnucolona; sua madre si spacca la schiena per farle  avere le cazzate che deve avere per essere come le stronzette con cui è in classe e lei quasi le sputa in faccia.
Jim ha solo cinque anni, per ora sembra ok, spero non prenda una brutta strada.”
“Spero che non la prenda, dopotutto nemmeno tu sei cattivo.”
Lui sospira.
“Sì, sono solo uno sfigato come Mike e non so cosa peggio.”
“Sono sicura che andrà tutto bene.”
Lui sospira.
“Tu sei fortunata, se anche ti ritrovassero la tua famiglia ti accoglierebbe in lacrime, la mia se ne sbatterebbe.”
“Potresti tornare da tua madre.”
“ Sono quattordici anni che non si fa sentire. Quattordici.
Credo si sia persino dimenticata di aver avuto dei figli.”
Io scuoto la testa.
“Una madre non si dimentica mai dei propri figli.”
“Parlami un po’ di Tom DeLonge, di tuo  padre, l’ho sempre ammirato solo su un poster.”
“Beh, è, è stato un buon padre.
Fa sempre il cretino, mamma anche adesso lo rimprovera per certe battute che fa, dice che noi non dovremmo imparare queste cose. È fatica sprecata, forse solo i cavalieri dell’Apocalisse ridurrebbero mio padre al silenzio.
Non parla più così tanto come prima con Mark, come i fan si aspettano che faccia, ma sono ancora buoni amici.
Più o meno due volte al mese facciamo una grigliata e ci ritroviamo tutti in giardino a mangiare beatamente carne alla brace, tranne Travis che mangia la sua erba.”
“Erba?”
“Sì, verdure grigliate. È vegetariano, poverino.”
Nella mia voce c’è una nota di compassione che fa ridere Derek.
“Mio padre mi ha anche insegnato a suonare la chitarra, mi dispiace averla lasciata a casa, ma era troppo ingombrante da portare con me e poi non mi servirebbe più.
Ho sempre creduto di avere, essere parte, di una band in tutti questi anni, ma mi sa che mi sono sbagliata. La band esisteva solo nella mia testa.”
“Eravate bravi?”
“È una domanda a cui non posso rispondere, questa è una cosa che può dire solo chi ci ha ascoltati.
Tu in cosa eri bravo a scuola?”
Lui si gratta il mento.
“A riparare le cose e poi con i computer. Sai, ripararli, farli ripartire e riprogrammarli di nuovo.
Il mio insegnante era molto felice, diceva che se non fossi messo sulla cattiva strada avrei potuto lavorare come tecnico. Diceva che avevo un dono per quelle cose, ma mi sono messo sulla cattiva strada e così è andato tutto a puttane.”
“Hai una ragazza?”
“L’avevo. Ci siamo lasciati il giorno prima che io mi mettessi nei guai, voleva qualcosa di più serio e migliore che una vita nei bassifondi in compagnia di un ladruncolo e di uno spacciatore.”
“Mi dispiace.”
“Sì,è stata dura. Ha bruciato, ma in fondo aveva ragione. Ora che futuro potrei offrirle?
Fuggire in Canada con me da clandestina?
Si merita di meglio.”
Io rimango in silenzio.
“Beh, se tu fossi stato ancora con lei non avresti incontrato me. Anche se non so se puoi considerarla una bella cosa o l’ennesima noia.”
“Sei una brava ragazza, Ava. Non sei una noia. È meglio per tutti che io ti abbia incontrata o avrebbe potuto finire male, molto male per te.
Fuori c’è della brutta gente e tu hai una faccia da cucciolo che per loro è un invito a nozze per fregarti.”
Io abbasso gli occhi e mi stringo le gambe tra le braccia, lui fa una cosa sorprendente: mi dà un bacio sulla fronte.
“Andrà tutto bene.”
“Sei il mio angelo custode.”
Continuiamo a chiacchierare fino  a che il camion non si ferma e qualcuno sposta tutte le scatole davanti a noi: è il ciccione.
Con poca grazia ci fa scendere dal camion: l’autostrada è deserta e in cielo brillano alte le stelle.
È una notte limpida e gelida.
“Il viaggio è finito, avete attraversato la frontiera. Se andrete in quella direzione troverete un abitato e poi non lo so. Fate quello che volete e andate dove volete, a me non interessa.”
Io e Derek mettiamo via le coperte, mentre il camion si allontana con un rumore sordo, ma almeno le stelle ci sono ancora e siamo in Canada, il cartello della piazzola di sosta indica come prossima area un posto con un nome francese.
Ci prendiamo per mano – come i bambini sperduti delle favole – e ci dirigiamo verso la direzione che ci ha indicato l’uomo.
Le stelle ci guidano come hanno guidato i pellegrini mille e più anni fa, mentre l’erba ricoperta di brina scricchiola sotto i nostri passi.
“Secondo te ci ha tirato bidone?”
“No, è solo incazzato perché sperava di avere più soldi. Le pistole sono delle ottime macchine della verità di solito.”
Lui sembra tranquillo, camminiamo rabbrividendo sotto la luce della luna fino a che un cartello ci avvisa che siamo a Langley.
“Dobbiamo farcela a piedi almeno fino al prossimo paese, Surrey. Lì potremo mangiare.
“Qui non è sicuro?”
“No, troppo vicino al confine. Da Surrey dovremmo avere abbastanza soldi per arrivare a Vancouver e una volta lì dovremo arrivare in qualche modo a Montreal.
È abbastanza lontano lì.”
Perfetto.
In silenzio attraversiamo Langley, che è un paese abbastanza grande, quando usciamo da lì il sole sta per sorgere e Derek si guarda in giro freneticamente.
Siamo fuori dalla cittadina, persino dalla zona delle roulotte e in mezzo ai campi.
“Dobbiamo trovare un capanno degli attrezzi abbandonato o qualcosa del genere e dormire almeno un po’.”
“Va bene.”
Camminiamo per una mezzoretta persi tra i campi fino a che io non noto una fattoria che ha l’aria di non vedere un proprietario da quando Noè scese dall’arca.
Con cautela io e Derek spiamo dentro, effettivamente sembra vuota ed entriamo anche perché intorno a noi i rumori del risveglio dei contadini si fanno più forti.
Ci nascondiamo dietro un vecchissimo divano e tiriamo fuori le nostre coperte.
Finalmente riusciamo a dormire e ovviamente siamo abbracciati.
Non ho mai incontrato una persona che mi facesse stare bene come lui.
Nella mia sfortuna sono stata fortunata.

 
Ci svegliamo che è pomeriggio, attorno a noi si sentono i rumori che caratterizzano l’attività dei campi, anche se ormai tra poco non faranno più nulla perché saranno sommersi dalla neve.
“Non possiamo muoverci, vero?”
Chiedo sottovoce a Derek.
“No, è meglio muoversi di notte. Qui potrebbero fare domande e sarebbe un casino.”
Io taccio per un attimo.
“Derek, la pistola.”
“Vuoi uscire e farli fuori?”
Mi chiede divertito.
“No, te ne devi liberare. Se siamo destinati a diventare senzatetto averla con noi complicherebbe le cose. Metti che ci fermi la polizia?
Due senza tetto non fanno notizia, ma uno armato sì. Potrebbero addirittura risalire  a cosa ci hai fatto con quella pistola.”
“Hai ragione, ma ci servono anche carte d’identità false, tu fai DeLonge di cognome.”
Io sospiro.
“Sì, e lo sto odiando in questo momento.”
“Non ti preoccupare, sistemeremo questi problemi quando saremo a Vancouver.”
“Sicuro?”
Lui annuisce.
“Conosco alcune persone che fanno al caso nostro, non sono persone che le persone per bene dovrebbero conoscere.”
“Va tutto bene, basta che ci levino da questo casino, Derek.”
“Va bene e adesso cerchiamo di non fare rumore e aspettiamo che se ne vadano.”
Io annuisco e aspetto che quei tizi là fuori la finiscano con i loro campi in modo che noi possiamo raggiungere Surrey, da lì raggiungeremo Vancouver e probabilmente ci fermeremo un po’ lì,  visto che ci sono delle cosette da fare.
Alle sette i rumori sono quasi del tutto spariti, probabilmente sono tutti a cena.
Alle otto si sente lo sporadico rumore di qualche pazzo che fa le cose fuori fase.
Alle nove si sente una tv in lontananza,un western a giudicare dalle battute e dagli spari.
Alle dieci c’è un perfetto silenzio, non vola neanche una mosca, la cittadina di Langley sembra essere caduta in un sonno profondo, come tutte le cittadine di campagna dopo una certa ora.
Io e Derek usciamo, fa freddo e il cielo è coperto, spero non nevichi perché farsela a piedi sotto la neve non è il massimo. Mi ricordo di una volta in cui mamma ha insistito per passare il Natale a New York e quando siamo arrivati là, c’era una tempesta allucinante di neve. I fiocchi vorticavano rabbiosi e il vento non vedeva l’ora di sbatterteli in faccia, intanto la neve depositata sui marciapiedi o accanto alla strada ti imprigionava, rendendo difficile camminare.
Io e Derek rabbrividiamo nei nostri cappotti e ci teniamo per mano, il fiato si condensa subito in nuvolette.
Dopo un’ora di cammino dal cielo iniziano a scendere piccoli fiocchi bianchi, con lentezza si depositano sull’erba gelata e rimangono lì.
Merda!
Dai campi di Langley passiamo in quelli di Fleetwood, il paese è piccolo e deserto e nessuno si cura delle due figure incappucciate che camminano sotto la neve.
Ho una fame allucinante, spero che a Vancouver potremo mangiare qualcosa, però non mi lamento.
Usciti da Fleetwood entriamo a Surrey, che è grande come Langley e altrettanto deserta, nel frattempo la neve continua a cadere. Ora ci sono almeno cinque centimetri sul terreno.
“Derek, ci fermiamo qui?”
“No, più avanti. Mi hanno detto che a New Westminster c’è un ricovero per senza tetto, ti danno da mangiare e ti lasciano dormire.
È oltre un ponte. Dopo c’è Burnaby e infine Vancouver.”
“Sei sicuro che riusciremo ad arrivarci?”
“Sì!”
Attraversiamo tutta la cittadina – il freddo è più intenso e la neve cade a grandi fiocchi bianchi – dopo di che finalmente vediamo il ponte e le luci di New Westminster. In mezzo alla costruzione c’è un cartello e giurerei che segni i confini municipali.
Lui mi prende per mano e mi io mi faccio portare, percorriamo un ponte deserto su un grande fiume di cui ignoro il nome. In mezzo c’è il cartello, come avevo previsto e lo superiamo.
Entriamo in una città leggermente più grande, sembra quasi un quartiere periferico di Vancouver, Derek borbotta qualcosa, io lo seguo.
Dopo avere svoltato in parecchie vie – e probabilmente esserci persi un paio di volte – arriviamo davanti a un edificio grigio e imponente, tetro come certi edifici londinesi ottocenteschi. Per arrivare al portone bisogna salire una rampa di scalini, io e Derek lo facciamo e poi suona.
Poco dopo fa la sua comparsa una suora.
“Possiamo rimanere per la notte, sorella?”
Le chiede Derek, lei ci squadra.
“Certamente, entrate. Questa neve maledetta non vi fa certo bene.
Avete mangiato?”
“No.”
“Perfetto.”
La donna ci dà in mano delle salviette e delle mutande.
“Fatevi la doccia, poi vi serviremo gli avanzi della cena: stufato.”
Io e Derek eseguiamo, devo dire che è piacevole stare sotto l’acqua, pulirti accuratamente e poi lasciare che lo sporco scorra via. È anche bello potersi avvolgersi e asciugarsi in un grande asciugamano bianco e cambiarti la biancheria.
Un leggero bussare mi avvisa dell’arrivo della suora.
“Metti i panni sporchi nel cesto, li avrai domattina, hai un cambio vero?”
Io annuisco e quando lei esce mi spoglio.
I jeans lacerati in più punti, la maglia nera, la camicia a scacchi rossa e nera, la felpa pesante dei Sex Pistols e i miei calzini finiscono lì dentro.
Indosso un paio calze fucsia, un paio di jeans neri strappati  sulle ginocchia, una maglietta azzurra, una camicia nera pesante come quelle a scacchi e una felpa gialla a strisce verdi, calzini nuovi e delle ciabatte che trovo al posto dei miei anfibi. Il mio cappotto sembra sia sparito anche quello, probabilmente per farlo asciugare.
Derek al piano di sotto indossa i pantaloni pesanti di una tuta, neri con le strisce bianche ai lati,una felpa nera da cui si intravvede una camicia a scacchi uguale alla mia.
Spero che arrivino presto con la cena perché sto morendo di fame.
Poco dopo arrivano con la cena, stufato come avevano detto.
Io e Derek ci buttiamo sopra il cibo e lo mangiamo avidamente, è da un po’che non mangiamo e abbiamo camminato parecchio.
Finito quello, mangiamo il pane e beviamo abbondantemente. Lo stufato ha tappato qualche buco nella nostra pancia, per ora stiamo bene.
“Adesso, ragazzi, è ora di andare a letto. Solo abbiamo un piccolo problema.
È rimasto solo un letto singolo.”
Derek alza le mani.
“Sono troppo stanco per fare qualcosa, sorella.”
“Non si preoccupi, non vogliamo certo abusare della vostra ospitalità.”
La donna sorride e ci porta al dormitorio, è tutto pieno di gente che dorme, camminando piano arriviamo al nostro letto e ci spogliamo un po’ imbarazzati davanti alla suora.
Ci infiliamo sotto le coperte e Derek mi abbraccia subito, il ritmo calmo del suo respiro mi dà un leggero brivido, ma mi calma anche abbastanza da addormentarmi subito.
Credo che anche lui si sia addormentato subito, il mio è un sonno senza sogni in ogni caso.
Alle nove circa una voce ci sveglia, è la suora della sera prima che organizza i turni per le docce e per la colazione. Derek non si è svegliato e mi tiene ancora abbracciata con un’espressione tenerissima.
Io lo scuoto dolcemente e finalmente si sveglia.
“Ehi, sei tra i primi per i turni per le docce, vai e buongiorno.”
“Buongiorno anche a te.”
Sembra imbarazzato e la ragione la scopro guardando per caso in basso, si è svegliato con una bella erezione. Adesso sono imbarazzata anche io.
Lui esce dal letto e si avvia verso le docce, poco dopo vado anche io, finito quello scendiamo a fare colazione in uno stanzone con una lunga tavolata.
Ci viene servito di tutto, dal caffelatte al bacon, io e Derek mangiamo tutto e poi – come fanno gli altri ospiti – prepariamo dei panini con il formaggio e il prosciutto da mangiare per cena.
Arraffiamo anche qualche biscotto, un paio di pancakes e di brioches e poi ci alziamo per andare a ringraziare e salutare la suora.
“La ringraziamo infinitamente, sorella.”
“Dovere, come dice Gesù? Date da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.”
“Grazie lo stesso.”
“Prego, ora andate e non mettetevi nei guai.”
“Non si preoccupi. Arrivederci, sorella.”
Usciamo dall’edificio rabbrividendo nei nostri cappotti come due bravi californiani, poco avvezzi al freddo e alla neve. Stanotte ne sono caduti dieci centimetri e la cittadina è spazzata da un vento gelido e tagliente che sembra volerti togliere la pelle dalla faccia.
“Che freddo!
Neve! L’avrò vista l’ultima volta a dieci anni.”
“Io forse una volta, l’ho vista altre volte, ma non a San Diego.
Adesso che si fa?”
“Partiamo in direzione Burnaby e poi da lì saremo praticamente attaccati alla periferia di Vancouver.
 Conosco un paio di persone lì che risolveranno i nostri problemi.”
“Perfetto. Meno problemi avremo, più le cose andranno lisce.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Non ti mancano i tuoi?”
A quell’unica domanda una breccia si apre nel mio cuore e mi ricordo di tutti i momenti felici che ho passato con i miei, con Jack e Landon e dei Somewhere in Neverland.
Mi mancano, ma non posso tornare indietro.
“No.”
Il tono è un po’ forzato e spero che Derek non si sia reso conto che gli sto mentendo, anche se se ne è reso conto non mi dice niente comunque.
Continuiamo a camminare con il vento che ci taglia la faccia.
Non tutti quelli che vagano sono persi, Ava.
Ricordatelo.

Angolo di Layla

Ringrazio ElaEla, Carousel, staywith_me e LostinStereo3 per le recensioni.

   
 
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