4)Come i bambini sperduti
delle favole.
La
notte a volte
è lunga, a volte si srotola davanti a te come un tappeto
scuro, morbido e
invitante, altre volte lo stesso tappeto è irto di spine e
per niente comodo.
È passato un bel
po’ di tempo da quando siamo saliti, scommetto che ora le
stelle sono alte in
cielo e splendono per guidare tutti quelli che viaggiano, ma non sono
perduti.
Ho raccontato a
Derek tutta la mia vita: i tour, la diffidenza, la mia cronica mancanza
di
amici, di come Landon e Jack fossero le uniche stelle che mi
accompagnassero
insieme a mio fratello Jonas.
Derek mi chiede
come è Jojo e io gli rispondo che è come tutti i
fratelli del mondo, a volte li
uccideresti nel modo più cruento possibile, a volte li adori.
Lui sorride e mi
dice che ha quattro fratelli più piccoli e sa cosa si prova
ad avere un
fratellino, ha anche dei fratelli più grandi, ma sono uno in
carcere e uno a
New York a fare non si sa bene cosa.
“Beh, siete sette
in famiglia. Com’è vivere
così?”
“Uno schifo. I
miei si sono sposati subito dopo il liceo perché mamma era
incinta di mio
fratello maggiore, quello che sta a New York.
Non si sa bene
cosa faccia lì, quando chiama è sempre vago, ho
il sospetto che sia coinvolto
in attività illegali, ma è la sua vita.
Ha ventiquattro
anni e scommetto che sa pulirsi il culo da solo, senza aiuto.
Si chiama Jose,
ha due spalle larghe allucinanti, sembra un armadio, hai capelli corti
ed è
pieno di tatuaggi, tanti se li è fatti al
riformatorio.”
“Per cosa è
finito dentro?”
“Furto e
spaccio.”
Io annuisco.
“Poi c’è Michael,
ha vent’anni ed è dentro per furto
d’auto. Ha tanti tatuaggi, ma non è
gigantesco come Jo. È mingherlino e ha i capelli tutti irti
tinti di azzurro,
gli piace il punk e il pop punk ed è stato lui a farmi
scoprire i blink.
Jo sa essere
cattivo, picchia a volte, Mike è una pasta d’uomo,
ha solo il dono di conoscere
brutta gente e mettersi nei guai.
Lui ha persino
preso il diploma. Sarà quello che mi mancherà di
più.
Poi sono arrivato
io e quando avevo quattro anni mia madre ha tagliato la corda, credo
sia andata
in Florida perché era stufa che mio padre spendesse tutti i
soldi al pub.
Non ha più
telefonato e non ha più scritto.”
“Come fai a
sapere che è ancora viva?”
Lui ride, io
rabbrividisco e mi stringo di più
nel suo abbraccio, la seconda coperta che ha tirato fuori basta a
malapena a
coprirci.
“Ho telefonato a
mia nonna e mi ha detto che è ancora viva, tanto mi basta.
Spero che ora
stia bene e abbia trovato la sua strada, con noi non è mai
stata felice.
Nemmeno sei mesi
dopo mio padre ha portato a casa la sua nuova compagna, avrà
avuto al massimo
vent’anni e con lei ha avuto quattro figli.
Reina, che ha
quattordici anni, Kevin dodici, Mia dieci e Jim cinque anni.
Con lei ho sempre
avuto un rapporto freddo, ma poteva capitarmi di peggio, anche
perché mio padre
non ha cambiato abitudini. Era sempre
e
comunque al pub.
Cosa posso dire
di questi quattro?
Reina, se non sta
attenta, rischia di finire incinta prima della Quinceañera e il padre sarebbe un avanzo di galera violento.
Abbiamo cercato tutti
di allontanarla, ma lei continua di ritornare da lui.
Ha quattordici
anni, è il suo primo amore e pensa che lui sia fantastico e
che possa cambiare
gli aspetti poco carini del suo carattere.
Mi fa un po’pena.
Kev è a posto, è
il più bravo di noi a scuola e spero che decida di andare
avanti e di lasciarsi
alle spalle quel casino che è la nostra famiglia.
Mia ha solo dieci
anni, ma temo farà la fine di Reina. Le starebbe bene dato
che è una mocciosa
viziata e piagnucolona; sua madre si spacca la schiena per farle avere le cazzate che deve
avere per essere
come le stronzette con cui è in classe e lei quasi le sputa
in faccia.
Jim ha solo
cinque anni, per ora sembra ok, spero non prenda una brutta
strada.”
“Spero che non la
prenda, dopotutto nemmeno tu sei cattivo.”
Lui sospira.
“Sì, sono solo
uno sfigato come Mike e non so cosa peggio.”
“Sono sicura che
andrà tutto bene.”
Lui sospira.
“Tu sei
fortunata, se anche ti ritrovassero la tua famiglia ti accoglierebbe in
lacrime, la mia se ne sbatterebbe.”
“Potresti tornare
da tua madre.”
“ Sono
quattordici anni che non si fa sentire. Quattordici.
Credo si sia
persino dimenticata di aver avuto dei figli.”
Io scuoto la
testa.
“Una madre non si
dimentica mai dei propri figli.”
“Parlami un po’
di Tom DeLonge, di tuo padre,
l’ho
sempre ammirato solo su un poster.”
“Beh, è, è stato
un buon padre.
Fa sempre il
cretino, mamma anche adesso lo rimprovera per certe battute che fa,
dice che
noi non dovremmo imparare queste cose. È fatica sprecata,
forse solo i
cavalieri dell’Apocalisse ridurrebbero mio padre al silenzio.
Non parla più
così tanto come prima con Mark, come i fan si aspettano che
faccia, ma sono
ancora buoni amici.
Più o meno due
volte al mese facciamo una grigliata e ci ritroviamo tutti in giardino
a
mangiare beatamente carne alla brace, tranne Travis che mangia la sua
erba.”
“Erba?”
“Sì, verdure
grigliate. È vegetariano, poverino.”
Nella mia voce
c’è una nota di compassione che fa ridere Derek.
“Mio padre mi ha
anche insegnato a suonare la chitarra, mi dispiace averla lasciata a
casa, ma
era troppo ingombrante da portare con me e poi non mi servirebbe
più.
Ho sempre creduto
di avere, essere parte, di una band in tutti questi anni, ma mi sa che
mi sono
sbagliata. La band esisteva solo nella mia testa.”
“Eravate bravi?”
“È una domanda a
cui non posso rispondere, questa è una cosa che
può dire solo chi ci ha
ascoltati.
Tu in cosa eri
bravo a scuola?”
Lui si gratta il
mento.
“A riparare le
cose e poi con i computer. Sai, ripararli, farli ripartire e
riprogrammarli di
nuovo.
Il mio insegnante
era molto felice, diceva che se non fossi messo sulla cattiva strada
avrei
potuto lavorare come tecnico. Diceva che avevo un dono per quelle cose,
ma mi
sono messo sulla cattiva strada e così è andato
tutto a puttane.”
“Hai una
ragazza?”
“L’avevo. Ci
siamo lasciati il giorno prima che io mi mettessi nei guai, voleva
qualcosa di
più serio e migliore che una vita nei bassifondi in
compagnia di un ladruncolo
e di uno spacciatore.”
“Mi dispiace.”
“Sì,è stata dura.
Ha bruciato, ma in fondo aveva ragione. Ora che futuro potrei offrirle?
Fuggire in Canada
con me da clandestina?
Si merita di
meglio.”
Io rimango in
silenzio.
“Beh, se tu fossi
stato ancora con lei non avresti incontrato me. Anche se non so se puoi
considerarla una bella cosa o l’ennesima noia.”
“Sei una brava
ragazza, Ava. Non sei una noia. È meglio per tutti che io ti
abbia incontrata o
avrebbe potuto finire male, molto male per te.
Fuori c’è della
brutta gente e tu hai una faccia da cucciolo che per loro è
un invito a nozze
per fregarti.”
Io abbasso gli
occhi e mi stringo le gambe tra le braccia, lui fa una cosa
sorprendente: mi dà
un bacio sulla fronte.
“Andrà tutto
bene.”
“Sei il mio
angelo custode.”
Continuiamo a
chiacchierare fino a
che il camion non
si ferma e qualcuno sposta tutte le scatole davanti a noi: è
il ciccione.
Con poca grazia
ci fa scendere dal camion: l’autostrada è deserta
e in cielo brillano alte le
stelle.
È una notte
limpida e gelida.
“Il viaggio è
finito, avete attraversato la frontiera. Se andrete in quella direzione
troverete un abitato e poi non lo so. Fate quello che volete e andate
dove
volete, a me non interessa.”
Io e Derek
mettiamo via le coperte, mentre il camion si allontana con un rumore
sordo, ma
almeno le stelle ci sono ancora e siamo in Canada, il cartello della
piazzola
di sosta indica come prossima area un posto con un nome francese.
Ci prendiamo per
mano – come i bambini sperduti delle favole – e ci
dirigiamo verso la direzione
che ci ha indicato l’uomo.
Le stelle ci guidano come hanno guidato i pellegrini mille e
più anni fa,
mentre l’erba ricoperta di brina scricchiola sotto i nostri
passi.
“Secondo te ci ha
tirato bidone?”
“No, è solo
incazzato perché sperava di avere più soldi. Le
pistole sono delle ottime
macchine della verità di solito.”
Lui sembra
tranquillo, camminiamo rabbrividendo sotto la luce della luna fino a
che un
cartello ci avvisa che siamo a Langley.
“Dobbiamo farcela
a piedi almeno fino al prossimo paese, Surrey. Lì potremo
mangiare.
“Qui non è sicuro?”
“No, troppo
vicino al confine. Da Surrey dovremmo avere abbastanza soldi per
arrivare a
Vancouver e una volta lì dovremo arrivare in qualche modo a
Montreal.
È abbastanza
lontano lì.”
Perfetto.
In silenzio
attraversiamo Langley, che è un paese abbastanza grande,
quando usciamo da lì
il sole sta per sorgere e Derek si guarda in giro freneticamente.
Siamo fuori dalla
cittadina, persino dalla zona delle roulotte e in mezzo ai campi.
“Dobbiamo trovare
un capanno degli attrezzi abbandonato o qualcosa del genere e dormire
almeno un
po’.”
“Va bene.”
Camminiamo per
una mezzoretta persi tra i campi fino a che io non noto una fattoria
che ha
l’aria di non vedere un proprietario da quando Noè
scese dall’arca.
Con cautela io e
Derek spiamo dentro, effettivamente sembra vuota ed entriamo anche
perché
intorno a noi i rumori del risveglio dei contadini si fanno
più forti.
Ci nascondiamo
dietro un vecchissimo divano e tiriamo fuori le nostre coperte.
Finalmente
riusciamo a dormire e ovviamente siamo abbracciati.
Non ho mai
incontrato una persona che mi facesse stare bene come lui.
Nella mia
sfortuna sono stata fortunata.
Ci svegliamo che
è pomeriggio, attorno a noi si sentono i rumori che
caratterizzano l’attività
dei campi, anche se ormai tra poco non faranno più nulla
perché saranno
sommersi dalla neve.
“Non possiamo
muoverci, vero?”
Chiedo sottovoce
a Derek.
“No, è meglio
muoversi di notte. Qui potrebbero fare domande e sarebbe un
casino.”
Io taccio per un
attimo.
“Derek, la pistola.”
“Vuoi uscire e
farli fuori?”
Mi chiede
divertito.
“No, te ne devi
liberare. Se siamo destinati a diventare senzatetto averla con noi
complicherebbe le cose. Metti che ci fermi la polizia?
Due senza tetto
non fanno notizia, ma uno armato sì. Potrebbero addirittura
risalire a cosa ci
hai fatto con quella pistola.”
“Hai ragione, ma
ci servono anche carte d’identità false, tu fai
DeLonge di cognome.”
Io sospiro.
“Sì, e lo sto
odiando in questo momento.”
“Non ti
preoccupare, sistemeremo questi problemi quando saremo a
Vancouver.”
“Sicuro?”
Lui annuisce.
“Conosco alcune
persone che fanno al caso nostro, non sono persone che le persone per
bene
dovrebbero conoscere.”
“Va tutto bene,
basta che ci levino da questo casino, Derek.”
“Va bene e adesso
cerchiamo di non fare rumore e aspettiamo che se ne vadano.”
Io annuisco e
aspetto che quei tizi là fuori la finiscano con i loro campi
in modo che noi
possiamo raggiungere Surrey, da lì raggiungeremo Vancouver e
probabilmente ci
fermeremo un po’ lì,
visto che ci sono delle
cosette da fare.
Alle sette i
rumori sono quasi del tutto spariti, probabilmente sono tutti a cena.
Alle otto si
sente lo sporadico rumore di qualche pazzo che fa le cose fuori fase.
Alle nove si
sente una tv in lontananza,un western a giudicare dalle battute e dagli
spari.
Alle dieci c’è un
perfetto silenzio, non vola neanche una mosca, la cittadina di Langley
sembra
essere caduta in un sonno profondo, come tutte le cittadine di campagna
dopo
una certa ora.
Io e Derek
usciamo, fa freddo e il cielo è coperto, spero non nevichi
perché farsela a
piedi sotto la neve non è il massimo. Mi ricordo di una
volta in cui mamma ha
insistito per passare il Natale a New York e quando siamo arrivati
là, c’era
una tempesta allucinante di neve. I fiocchi vorticavano rabbiosi e il
vento non
vedeva l’ora di sbatterteli in faccia, intanto la neve
depositata sui
marciapiedi o accanto alla strada ti imprigionava, rendendo difficile
camminare.
Io e Derek
rabbrividiamo nei nostri cappotti e ci teniamo per mano, il fiato si
condensa
subito in nuvolette.
Dopo un’ora di
cammino dal cielo iniziano a scendere piccoli fiocchi bianchi, con
lentezza si
depositano sull’erba gelata e rimangono lì.
Merda!
Dai campi di
Langley passiamo in quelli di Fleetwood, il paese è piccolo
e deserto e nessuno
si cura delle due figure incappucciate che camminano sotto la neve.
Ho una fame
allucinante, spero che a Vancouver potremo mangiare qualcosa,
però non mi
lamento.
Usciti da
Fleetwood entriamo a Surrey, che è grande come Langley e
altrettanto deserta,
nel frattempo la neve continua a cadere. Ora ci sono almeno cinque
centimetri
sul terreno.
“Derek, ci
fermiamo qui?”
“No, più avanti.
Mi hanno detto che a New Westminster c’è un
ricovero per senza tetto, ti danno
da mangiare e ti lasciano dormire.
È oltre un ponte.
Dopo c’è Burnaby e infine Vancouver.”
“Sei sicuro che
riusciremo ad arrivarci?”
“Sì!”
Attraversiamo
tutta la cittadina – il freddo è più
intenso e la neve cade a grandi fiocchi
bianchi – dopo di che finalmente vediamo il ponte e le luci
di New Westminster.
In mezzo alla costruzione c’è un cartello e
giurerei che segni i confini
municipali.
Lui mi prende per
mano e mi io mi faccio portare, percorriamo un ponte deserto su un
grande fiume
di cui ignoro il nome. In mezzo c’è il cartello,
come avevo previsto e lo
superiamo.
Entriamo in una
città leggermente più grande, sembra quasi un
quartiere periferico di
Vancouver, Derek borbotta qualcosa, io lo seguo.
Dopo avere
svoltato in parecchie vie – e probabilmente esserci persi un
paio di volte –
arriviamo davanti a un edificio grigio e imponente, tetro come certi
edifici
londinesi ottocenteschi. Per arrivare al portone bisogna salire una
rampa di
scalini, io e Derek lo facciamo e poi suona.
Poco dopo fa la
sua comparsa una suora.
“Possiamo
rimanere per la notte, sorella?”
Le chiede Derek,
lei ci squadra.
“Certamente,
entrate. Questa neve maledetta non vi fa certo bene.
Avete mangiato?”
“No.”
“Perfetto.”
La donna ci dà in
mano delle salviette e delle mutande.
“Fatevi la
doccia, poi vi serviremo gli avanzi della cena: stufato.”
Io e Derek
eseguiamo, devo dire che è piacevole stare sotto
l’acqua, pulirti accuratamente
e poi lasciare che lo sporco scorra via. È anche bello
potersi avvolgersi e
asciugarsi in un grande asciugamano bianco e cambiarti la biancheria.
Un leggero
bussare mi avvisa dell’arrivo della suora.
“Metti i panni
sporchi nel cesto, li avrai domattina, hai un cambio vero?”
Io annuisco e
quando lei esce mi spoglio.
I jeans lacerati
in più punti, la maglia nera, la camicia a scacchi rossa e
nera, la felpa
pesante dei Sex Pistols e i miei calzini finiscono lì dentro.
Indosso un paio
calze fucsia, un paio di jeans neri strappati sulle
ginocchia, una maglietta azzurra, una
camicia nera pesante come quelle a scacchi e una felpa gialla a strisce
verdi,
calzini nuovi e delle ciabatte che trovo al posto dei miei anfibi. Il
mio
cappotto sembra sia sparito anche quello, probabilmente per farlo
asciugare.
Derek al piano di
sotto indossa i pantaloni pesanti di una tuta, neri con le strisce
bianche ai
lati,una felpa nera da cui si intravvede una camicia a scacchi uguale
alla mia.
Spero che
arrivino presto con la cena perché sto morendo di fame.
Poco dopo
arrivano con la cena, stufato come avevano detto.
Io e Derek ci
buttiamo sopra il cibo e lo mangiamo avidamente, è da un
po’che non mangiamo e
abbiamo camminato parecchio.
Finito quello,
mangiamo il pane e beviamo abbondantemente. Lo stufato ha tappato
qualche buco
nella nostra pancia, per ora stiamo bene.
“Adesso, ragazzi,
è ora di andare a letto. Solo abbiamo un piccolo problema.
È rimasto solo un
letto singolo.”
Derek alza le
mani.
“Sono troppo
stanco per fare qualcosa, sorella.”
“Non si
preoccupi, non vogliamo certo abusare della vostra
ospitalità.”
La donna sorride
e ci porta al dormitorio, è tutto pieno di gente che dorme,
camminando piano
arriviamo al nostro letto e ci spogliamo un po’ imbarazzati
davanti alla suora.
Ci infiliamo
sotto le coperte e Derek mi abbraccia subito, il ritmo calmo del suo
respiro mi
dà un leggero brivido, ma mi calma anche abbastanza da
addormentarmi subito.
Credo che anche
lui si sia addormentato subito, il mio è un sonno senza
sogni in ogni caso.
Alle nove circa
una voce ci sveglia, è la suora della sera prima che
organizza i turni per le
docce e per la colazione. Derek non si è svegliato e mi
tiene ancora
abbracciata con un’espressione tenerissima.
Io lo scuoto
dolcemente e finalmente si sveglia.
“Ehi, sei tra i
primi per i turni per le docce, vai e buongiorno.”
“Buongiorno anche
a te.”
Sembra
imbarazzato e la ragione la scopro guardando per caso in basso, si
è svegliato
con una bella erezione. Adesso sono imbarazzata anche io.
Lui esce dal
letto e si avvia verso le docce, poco dopo vado anche io, finito quello
scendiamo a fare colazione in uno stanzone con una lunga tavolata.
Ci viene servito
di tutto, dal caffelatte al bacon, io e Derek mangiamo tutto e poi
– come fanno
gli altri ospiti – prepariamo dei panini con il formaggio e
il prosciutto da
mangiare per cena.
Arraffiamo anche
qualche biscotto, un paio di pancakes e di brioches e poi ci alziamo
per andare
a ringraziare e salutare la suora.
“La ringraziamo
infinitamente, sorella.”
“Dovere, come
dice Gesù? Date da mangiare agli affamati e da bere agli
assetati.”
“Grazie lo
stesso.”
“Prego, ora
andate e non mettetevi nei guai.”
“Non si
preoccupi. Arrivederci, sorella.”
Usciamo
dall’edificio rabbrividendo nei nostri cappotti come due
bravi californiani,
poco avvezzi al freddo e alla neve. Stanotte ne sono caduti dieci
centimetri e
la cittadina è spazzata da un vento gelido e tagliente che
sembra volerti
togliere la pelle dalla faccia.
“Che freddo!
Neve! L’avrò
vista l’ultima volta a dieci anni.”
“Io forse una
volta, l’ho vista altre volte, ma non a San Diego.
Adesso che si
fa?”
“Partiamo in
direzione Burnaby e poi da lì saremo praticamente attaccati
alla periferia di
Vancouver.
Conosco un paio di
persone lì che risolveranno
i nostri problemi.”
“Perfetto. Meno
problemi avremo, più le cose andranno lisce.”
Lui rimane un
attimo in silenzio.
“Non ti mancano i
tuoi?”
A quell’unica
domanda una breccia si apre nel mio cuore e mi ricordo di tutti i
momenti
felici che ho passato con i miei, con Jack e Landon e dei Somewhere in
Neverland.
Mi mancano, ma
non posso tornare indietro.
“No.”
Il tono è un po’
forzato e spero che Derek non si sia reso conto che gli sto mentendo,
anche se
se ne è reso conto non mi dice niente comunque.
Continuiamo a
camminare con il vento che ci taglia la faccia.
Non tutti quelli
che vagano sono persi, Ava.
Ricordatelo.
Angolo di Layla
Ringrazio ElaEla, Carousel, staywith_me e
LostinStereo3
per le recensioni.