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Autore: Uni    09/09/2013    5 recensioni
[RedMoon — a Luca, dato che gli piace così tanto]
Gli umani si differenziano dalle macchine per la dote nel provare emozioni. Ma quando una macchina inizia a provarle, anzi, a riscoprirle e a capirne l'importanza nel loro significato più puro ed esplicito, chi tra i due generi è il più inanimato?
— Spesso i nostri sentimenti vengono ridotti a mere parole, quindi, vorresti scoprire l'importanza dei miei?
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bright, Fine, Rein, Shade
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il calore della lana umida.
In lei ho trovato bellezza, calore e comprensione; stare con lei era la mia sola via di fuga da un mondo orribile.
Frank Sinatra — parlando della prima moglie Nancy Barbato
 
Svegliandomi da quel sogno, che rivelava la mia natura, gettai uno sguardo a Fine che credevo dormisse ancora tra le mie braccia. Invece questa, sì, era ancora tra le mie braccia, ma mi guardava con gli occhi carichi di preoccupazione. Sorrisi dolcemente, ricordando quasi che anch’io avrei potuto provare tali sensazioni. Questo mio gesto, però, più che rassicurarla, la stupì ulteriormente.
Ma lei non era la sola a pretendere spiegazioni «potresti spiegarmi?» le chiesi. Lei abbassò lo sguardo, come se formulare la frase fosse così importante da dover richiedere tutto il suo pensiero. 
«Sono attacchi epilettici, quelli che mi affliggono. Mi accompagnano da quando ne ho memoria e — prese fiato — Pin non ne è a conoscenza.» spalancai gli occhi e la strinsi più forte, ma poiché protestò, allentai la presa chiedendole come mai non glielo avesse detto. «Sua madre. Sua madre soffriva di epilessia e Pin l'ha tenuta segregata in casa fino a che non è morta. L'epilessia è comune in questa città.» spiegò con lo sguardo solido e fermo, come se avesse raccolto tutto il suo coraggio in quell'unica frase. «Ora tocca a te, — disse — come mai sei così strano?» lo aveva già capito? 
Abbassai lo sguardo istintivamente e allora lei rispose di spostarci a parlare in giardino. Mi afferrò per mano e non la lasciò fino a quando non scendemmo le scale e non raggiungemmo un gazebo in muratura. 
Al centro del gazebo vi era un divano e delle poltrone, distanziate da un tavolino basso in vetro: il tutto, in vimini. Sedette sul divano e disse a me di accomodarmi nella poltrona di fronte. Il suo portamento era - a suo modo - delicato e maestoso. A quel gesto, una che con tutta la probabilità era una governante, si avvicinò alla Miss che le chiese di portare due the aromatizzati alla vaniglia.
«Dunque? Cosa non va?» chiese aggiustando le pieghe del vestito. Risposi che nulla non andava, ma a quella risposta Fine alzò lo sguardo su di me e disse «Non hai capito, Shade. Quella non era una domanda disinteressata alla quale potevi evitare di rispondere correttamente: era un ordine.» quel suo sguardo mi mise i brividi, e allora risposi. «Da quando vi ho conosciuto, Miss Fine, vede ho iniziato a provare delle anomalie, quasi familiari.» mi disse di descriverle, mentre la governante, che aveva detto di chiamarsi Georgia Fritz, tornava con i due the e delicatamente li poggiava nel tavolo di fronte. Fine le disse di prendersi un lungo periodo di ferie - essendo la donna incinta, forse al secondo o al terzo mese. «Ecco, la prima fra tutte è stata verso i vostri confronti: il vedervi assopita ha scatenato un forte impulso in me, come se volessi abbracciarla, Miss; — mi sentii a disagio nel discutere su questa precisa sensazione, ma continuai — la seconda è stata molto più intensa, e spiacevole. Era pesante e molto fastidiosa: volevo a tutti i costi rubarvi dalle braccia di Pin - che vi è molto vicino; la quarta è forse la più terribile tra tutte poiché si è verificata quando voi eravate distesa per terra in preda alle convulsioni: volevo trovare assolutamente una cura al vostro malore, ma la mia impotenza non me lo permetteva; la quinta si è verificata proprio ora, nella mia riluttanza nel dichiararvi queste sensazioni; La sesta...» mi incitò «La sesta?» 
«La sesta si è sviluppata in un sogno che ho fatto poc'anzi.» Balbettò la parola "sogno" un paio di volte, stupita del fatto che un androide potesse sognare. Non me ne curai e continuai.
«Il sogno che ho fatto è stato il ricordo della mia ri-nascita come androide, e ho provato un senso di mancanza» .Lei rimase interdetta per un secondo e poi iniziò a ridere «Ma è normalissimo per gli uomini, sognare e provare queste sensazioni. Sono chiamate "emozioni". La prima è l'affetto, la protezione: si sviluppa solo nei casi in cui vedi una persona a te cara, soffrire; la seconda è la gelosia, parente dell'odio; la quarta è l'oppressione e l'impotenza: il voler ma, non poter aiutare, le persone a te care; la quinta è l'imbarazzo: la difficoltà nell'esprimere le proprie emozioni; la quinta è la nostalgia.» mi stupii del fatto che non mi spiegasse nulla sulla nostalgia, quindi le chiesi cosa fosse. «Ma lo hai detto anche tu: la nostalgia è il sentimento che si prova quando qualcosa di abituale - che era solito nella nostra vita quotidiana - ci è sottratto e ci manca.» sorrise lievemente «Ma gli androidi non dovrebbero provare emozioni.» dissi. Lei allargò il suo sorriso e guardandomi disse «Anche questo è uscito dalle tue labbra: Ri-nascita.» rise e si alzò dal divano, rientrando in casa, lasciandomi da solo a pensare.
Ri... nascita.

Nel frattempo, Bright, nel suo palazzo, tentava di rintracciarmi, ma ogni sensore nel mio corpo era stato disattivato. Da Fine.
È più malefica di me, pensò. Decise di smettere di pensare a Fine, che era fonte di ogni suo pensiero, e di pensare a quel nuovo TZ34 arrivato alla base. 
Il processo di Ri-nascita era andato a buon fine, così annunciava l'altoparlante. La nuova arrivata tra poco si sarebbe svegliata, pronta a vendicare il proprio corpo da colui che glielo aveva sottratto "veloce e indolore".  E mentre il computer scaricava i ricordi della nuova arrivata in un disco removibile - come lui aveva ordinato - Bright, pensava al volto di sua sorella, che uccisa "velocemente e indolore" aveva preservato quello sguardo anche dopo la morte e che in quel momento, tormentava Bright.
"Ripristino unità Altezza: completato"
Quello sguardo così sofferente non gli dava pace, così, sotto pressione disse solo: «Ciao, — prendendo una lunga pausa — sorellina». Riprendendosi da quello stato di angoscia, Bright si chiese se fosse giusto o no eseguire ciò che stava facendo. Ma oramai aveva iniziato la partita: non poteva abbandonare il tavolo. «Uccidi Shade. Fallo soffrire.» disse imponendo il primo comando all'unità che aveva di fronte. Questa annuì lievemente, facendo pesare ancora di più il silenzio a Bright, che bramava la voce della sorella - che tanto amava.
Così si voltò e andò verso l'ascensore, allentando il nodo della cravatta: quella tensione lo uccideva. Decise di andare a giocare con il suo giocattolo personale: Rein.
Aprendo la porta della sua cella, vederla lì in quello stato, bagnata e attraente era eccitante per Bright: il corpo nudo di Rein, gli ricordava troppo quello di Fine, che non gli apparteneva più. Si avvicinò come un leone con la sua preda e accarezzandole il viso le rinfacciò quella che secondo lui era la verità «Hai visto cosa comporta non essere sempre dalla mia parte?» lei per tutta risposta gli sputò in faccia, sibilando tra i denti un "fottiti" carico di odio. Bright, si avvicinò ulteriormente «Vedo che la gattina sta mostrando gli artigli e, — sussurrò sibilando le parole all'orecchio — mi piace.» la sua voce si perse in una risata terrificante: Rein ne ebbe paura. Pose le mie mani sui suoi fianchi e scorrendo fino al bacino, ne assaporò ogni singola curva. Scese ancora un po' più in basso e le sollevò un poco la veste bianca, ormai sporca di terra e di sangue, e accarezzò senza ritegno la coscia e l'interno coscia, fino ad arrivare alla chiave della sua verginità: era bagnata «Oh, ti stai eccitando, micetta?» lei gemette emettendo un suono, che alle orecchie di Bright suonava come angelico, mentre lui continuava a muovere le dita dentro di lei. 
Tutto di lei lo eccitava: dallo sguardo infuocato, fino ai seni ancora in fase di sviluppo. Bright avrebbe voluto farla sua, ma la sua malattia non gli permetteva di sfiorarla più di tanto. Il medico aveva detto che nel mese successivo sarebbe dovuto essere tutto risolto. Perfetto! Proprio per la vigilia del suo diciottesimo compleanno, pensò Bright. 
L’abito da notte ormai bagnato, dovuto a quei suoi sconci soldati, lasciava intravedere le bellissime curve che spiccavano sul vestito come diamanti tra il carbone. Si avvicinò cautamente a loro, ma mi ricordò della promessa fatta a lei, Fine: non poteva toccarla prima dei diciotto anni. E se c'era una cosa che Bright non aveva perso tra le sue buone abitudini, questa era l'abilità nel mantenere le promesse. Bright si ritrovò a pensarla di nuovo in quella situazione, ma i suoi occhi rubino comparivano innanzi alle porte della sua mente ogni volta che si guardavo allo specchio - i loro occhi del medesimo colore -, i suoi capelli scarlatti riusciva a vederli volare al vento ogni qual volta un fuoco cremisi si innalzava fiero nel cielo, vedeva il suo corpo ogni volta che guardava Rein. Si limitò a sfiorare quelle celestiali curve con l’indice e a sbottonare l’abito che elegante cadde a terra mostrando tutta la bellezza di quel corpo. Una piccola pressione fu esercitata nei pantaloni circa sotto la zona inguinale. Quel corpo mandava in estasi e le sue gote ormai rosate dall'imbarazzo rendevano tutto più memorabile. Per lui era come avere un giocattolo che solo lui possedeva e che anche se fragile e delicato era forte nel resistere. Ammirò nuovamente quel corpo e avvicinandosi a lei stampò un bacio sulle labbra: erano dolci.
Bright ordinò di bruciare quei vestiti, e così una ventina di uomini s’insediarono nella stanza, per scrutare il corpo bramato, ma mai ricevuto. Si gettarono almeno in otto, nel tentare di conquistare quelle vesti cadute: patetici, pensò Bright che gettando uno sguardo a quella mandria di pervertiti, si accorse di un unico ragazzo che non fissava Rein, tanto meno lottava sul pavimento per la conquista delle sue vesti. Bright decise che quel ragazzo avrebbe fatto la guardia a Rein. «signorsì.» rispose il ragazzo. Non appena tutti uscirono da quella cella, Rein si rivolse al ragazzo. «Oh, mio nobile soldato, come mai i tuoi occhi non sono vogliosi del mio corpo come tutti gli altri?» lui guardò fisso negli occhi. L’unico forse, tra i soldati, che li avesse mai guardati con così tanta tristezza e gioia di saperla viva da tutti gli sguardi. 
«Anche tu sei una persona come tutti loro, io non ho il diritto di fissarvi come se voi foste un oggetto prezioso in bella mostra, ma se desiderate che io vi guardi nello stesso modo dovete solo chiederlo.» la sua voce tremolava. Ma perché aveva detto “una persona come loro”? Lui non è forse una persona?, si ritrovò a pensare Rein. «perché hai detto “loro”?» chiese convinta. «Ve ne siete accorta? Di solito mai a nessuno importa della parola di un soldato semplice» sorrise timidamente e con la sua voce roca ma allo stesso tempo dolce e suadente attirò Rein nella sua essenza.
Questo ragazzo è puro come nessuno mai lo è stato, pensò. 
La sua statura era normale, degna di un soldato. I capelli neri ribelli domati dal cappello da soldato, il viso dolce e giovanile, dalle gote rosate e le labbra cremisi. Gli occhi erano lo spettacolo più invitante che io avessi mai visto. Due occhi di ghiaccio si nascondevano dietro all'ombra creata dal berretto militare. 
«Non hai risposto alla mia domanda.» sorrise. «Giusto Miss. Io sono un TZ33, uno degli ultimi modelli. Io a dispetto dei miei fratelli ricordo ogni singolo avvenimento del mio passato. Computer ha avuto un malfunzionamento proprio quando doveva cancellarmi la memoria.» lo sguardo sbarrato e le gambe tese, Rein era agitata e sorpresa. «Vuoi dire che ricordi tutto prima di diventare un TZ33? E allora se Bright ti ha ucciso, come mai ti sei schierato con lui?» Lui la guardò gioiosamente. «Per ordine di Mister Pinapsus John. Io in poche parole sono come Shade.» rabbrividì a quelle parole: Shade poteva ricordare? Oh no! Non deve ricordare o sarebbe la fine di questa città corrotta, altrimenti chiamata Risen Village.
Rein ebbe un brutto presentimento che le portò alla mente Fine: "se non mi sbaglio quella volta è stata lei a raccoglierlo dal ciglio della strada e a disattivare i sensori. Stai attenta, Fine" pensò.
«Oh, Miss. Sarà infreddolita! Tenga, le ho portato un vestito di ricambio, una coperta, un asciugamano, del cibo e la chiave delle manette.» disse mentre la slegava da quelle opprimenti catene, ma purtroppo sia mani che caviglie erano rotti a causa del maltrattamento. Capì subito delle caviglie rotte, così la aiutò a sedermi nella tegola che dovrebbe essere stata il letto. Le porse l’asciugamano ma vedendo che provava dolore quando stringeva qualcosa, decise di dare un’occhiata. «I polsi e le caviglie sono rotti, vado a prendere le fasciature e stecche e l’attrezzatura per il gesso, così potremmo tenerli fermi.» si assentò circa due minuti, l’infermeria doveva distare molto. «Eccomi!» s’inginocchiò dinanzi a Rein e con cura fasciò e ingessò le varie fratture.
Tremava ancora: era bagnata. Il ragazzo notandolo, aprì il telo e la avvolse con quello. Era in micro-fibra e così si asciugò subito. Prese l’abito di riserva e glielo infilò delicatamente. Era in lana, perfetto per quel luogo freddo e umido, e per evitare fastidi con il pizzicore di quest’ultima, l’interno era interamente rivestito di raso e pile: era comodo e caldo.
La fece mettere a testa in giù e le avvolse l’asciugamano, quello usato per il corpo, intorno ai capelli in modo da poterli asciugare. Le avvolse la coperta in pile intorno e le pose il vassoio con il cibo sulle gambe, però anche se con i polsi rotti, poteva prendere facilmente il cucchiaino e mangiare la calda minestra alla carne.
Lui nel frattempo si era seduto per terra a guardarla sorridente, così decise di prendere l’iniziativa a parlare. «Ragazzo non so ancora come ti chiami» le sorrise più energicamente e disse: «Io mi chiamo Tom Simmons, astrofisico della marina militare. Piacere di servirla Miss.» arrossì.
Come mai un androide riesce a farmi questo? Il suo sorriso era abbagliante e radioso. Metteva allegria, pensò Rein. «Sei molto gentile Tom, ma io non voglio che tu sia un mio servitore!» la guardò dubbioso. «Voglio che tu sia mio amico» rispose al suo sorriso con uno più spendente. Era in una brutta situazione ma Tom l'avrebbe rallegrata.
«Va bene! Sarò vostro amico Miss.» sorrise a sua volta. 

Questo capitolo è più lungo del solito,
è dedicato a Hinode, che - sicuramente - è l'attimo prima del mattino che più preferisco.
   
 
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