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Autore: Sigyn    09/09/2013    0 recensioni
"Non fu la prima volta che lo vide, no di certo."
Ci sono tanti piccoli dettagli che spingono Elek ad avvicinarsi ad Anatol.
[Male!Ungheria/Male!Bielorussia]
[Missing Moment di How I Met My Boyfriend]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'Boys will be Girls and Girls will be Boys '
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Little Details

 

 


La prima volta, lo notò mentre camminava in un corridoio. Gli passò accanto, e non gli rivolse la parola, nemmeno per un saluto.

Non fu la prima volta che lo vide, no di certo. Non ricordava la prima volta, in realtà: in fondo, sarebbe stato impossibile, in una vita fatta di incroci nei corridoi, di visi intravisti nel mezzo di una lezione e brandelli di conversazione nella mensa, di incontri insignificanti e momenti fatti di sorrisi amichevoli e brevi saluti nel parco.

Non che non lo conoscesse – per quanto si possa conoscere una persona da chiacchiere e pettegolezzi e sguardi come sussurri nell’ombra.

Ma quella volta lo guardò. Perché la luce calda e stanca del tardo pomeriggio era rimasta intrappolata tra i suoi capelli lunghi e biondi, e il suo viso era bianco e delicato.

 

 

Un giorno, non poté non guardarlo mentre il suo pugno si schiantava contro il naso di un altro ragazzo. Un po’ perché certe cose non accadevano spesso, alla World Academy, un po’ perché la piccola folla di studenti riunita tutto intorno a lui rendeva impossibile ignorare ciò che stava succedendo, non con quella cacofonia di urla e fischi e incitamenti.

Smise di camminare, si fermò a guardarlo. Il suo viso era bello, dai lineamenti fini, candido e gelido, come le sue espressioni fossero state dipinte su una tela di neve. I suoi occhi erano di un azzurro chiaro, limpido.

E tutto, in lui – dalla rigidità e la furia nel suo volto, al bagliore che gli illuminava gli occhi, ai movimenti agili e bruschi del suo corpo -, era animato da una rabbia determinata e glaciale, un fuoco pallido e freddo.

Elek si rese conto di fissarlo quando la mano piccola e delicata di Rodelind si posò sulla sua, le dita lunghe e affusolate che sfioravano le sue in un tocco leggero, come indecise avvolgere la sua mano o ritrarsi. Si voltò verso di lei troppo in fretta, forse, perché Rodelind sussultò.

Le rivolse un sorriso imbarazzato, come una scusa silenziosa. Rodelind aveva un’espressione seccata, con la bocca tirata in una linea severa, ma guardandola negli occhi era facile vedere che si sentiva a disagio. Non le piaceva la violenza, e non le piacevano le folle piene di curiosi e schiamazzi e sguardi fin troppo attenti.

Elek le passò un braccio sulle spalle magre – ignorando il suo sbuffo di finto fastidio, perché lui sapeva che nascondeva un sorriso sottile – e la condusse via, parlando del più e del meno e tenendo quel viso bianco e quegli occhi in un angolo della sua mente.

Più tardi, chiese in giro, per sapere cosa fosse successo. Qualcosa riguardo quello che qualcuno aveva sentito dire da qualcun altro sulla famiglia di Arlovsky, gli dissero, con un’alzata di spalle e uno sguardo che diceva che era meglio non parlarne.

 

 

Non fu la violenza a farlo avvicinare a quel ragazzo, quella volta, né i sussurri nei corridoi, né tantomeno il fuoco o il ghiaccio in quella faccia di neve. Forse, doveva ammetterlo, fu anche un po’ per il ciuffo di capelli biondi, quasi bianchi, che gli ricadeva su un occhio azzurro come il cielo, o magari perché le mani che stringevano quel libro gli sembrarono belle.

Ma, soprattutto, furono le sue spalle curve in avanti, l’espressione assente sul suo volto e lo sguardo lontano nei suoi occhi, l’aria rilassata e innocua e totalmente priva di difese che tutto in lui sembrava trasmettere in quel momento. Per la prima volta, gli sembrò triste, Anatol Arlovsky – e, rifletté Elek, probabilmente aveva delle buone ragioni per esserlo.

Non fu pietà, non esattamente. Se in seguito glielo avessero chiesto, Elek non avrebbe saputo rispondere. Ma nessuno gli domandò mai perché, ma solo come, o ma sei pazzo?, e per fortuna ci fu anche chi non gli chiese nulla.

Fatto sta che, quel giorno, tutto quelle cose lo spinsero ad avvicinarsi a lui, come una falena attratta dalla luce flebile di una candela.

Si sedette accanto a lui come non ci fosse nulla di anormale o di inaspettato in quell’azione – e per lui, in effetti, era davvero così – e guardò nei suoi occhi cupi e diffidenti, osservò quella freddezza tagliente che sembrava caratterizzare Arlovsky ritornare in un lampo in ogni linea del suo viso. E continuò a parlare, di tutto e di niente, come con un vecchio amico.

Oh, Arlovsky tentò di ignorarlo, in un mondo così ostentato da non poter essere che falso. In realtà tutti i suoi sensi erano all’erta, tutto il suo corpo era irrigidito della tensione.

Fu per quello che Elek tornò una seconda volta, e si sedette su quella stessa panchina.

 

 

Furono i suoi silenzi a convincerlo a restare. Anatol – era diventato solo Anatol più o meno al loro terzo incontro: Rodelind a volte gli diceva che era troppo aperto, troppo amichevole con gente che non conosceva – non gli diceva mai di andarsene.

Parlava con gli occhi, Anatol, in quei pochi istanti in cui permetteva a se stesso di incrociare il suo sguardo o di studiare il suo viso, e in tutto il resto del tempo in cui cercava di non guardarlo. Parlava con la dritta rigidità delle sue spalle, con la linea dura e severa della sua bocca, e con i momenti in cui si rilassava e in cui c’era un lieve movimento sul suo viso ed Elek quasi tratteneva il respiro nella convinzione che stesse finalmente per sorridere.

Era come un animale selvatico, curioso e disposto a lasciarsi accarezzare per un poco ma pronto a correre di nuovo dentro la sua tana, o a mordere e graffiare. Dovevi fargli capire che di te si poteva fidare.

Era come un buon libro giallo, un labirinto di pagine, sottintesi e false piste: dovevi arrivare alla fine, per capire. Ed Elek voleva rimanere fino alla fine, almeno per vedere ciò che sarebbe successo.

 

 

- Cioè, io l’ho sempre detto che hai qualche rotella fuori posto, ma ...

Gli occhi di Felicia erano verdi e intensi, curiosi, come quelli di un gatto. Il sorrisetto sulle sue labbra rosa era divertito e scettico allo stesso tempo.

Rodelind le lanciò un’occhiataccia da sopra la montature sottile degli occhiali, e Felicia alzò appena le spalle. – Quello che vogliamo dire è ... – tentò di nuovo  Rodelind, con quel tono pacato, un po’ troppo gentile e un po’ troppo lento, che usava quando voleva parlargli di qualcosa di serio e credeva che lui non l’avrebbe ascoltata: - Se davvero sicuro di quello stai facendo?

Elek non ne era sicuro, non completamente. Per un attimo, gli tornò in mente un paio di occhi blu e guardinghi, e l’ombra sfuggente di un sorriso.

Rispose di sì comunque, e dopo averlo detto si accorse che forse, dopotutto, era vero.

 

 

E dopo quel , fu come se le cose diventassero più semplici.

Anatol lo ascoltava quando parlava, ora ne era certo. Come al solito, rispondeva con gli occhi, con la faccia, con il corpo. Non era più teso e scostante, non lo guardava più come se sperasse che se ne andasse da un momento all’altro né come se temesse un addio improvviso.

Elek si accorse che gli bastava questo. Si rese conto che sarebbe rimasto, e che non importava se non sapeva cosa stava facendo o perché lo stava facendo.

Così, quel giorno, rimase in silenzio, e Anatol gli parlò per la prima volta.

 

 

Parlare con lui era bello: Anatol era intelligente, diretto al punto di essere brusco, e pronto a difendere le sue opinioni contro qualsiasi tipo di contestazione.

Ma Elek doveva ammettere che era bello anche solo ascoltare la sua voce, scrutare quella scintilla nei suoi occhi chiari durante una discussione, come ghiaccio colpito dal sole. E che la sua risata – per quanto rara, e per quanto sdolcinato fosse ritrovarsi a fare pensieri del genere – era il suono più bello che avesse mai sentito.

La prima volta, baciò Anatol perché stava sorridendo e perché anche il suo sorriso era bello. Fu un gesto spontaneo, improvviso, un lampo di colore dietro le palpebre e la morbidezza delle sue labbra contro le sue.

Fu un bacio lieve, veloce – forse troppo – e poco più di uno sfiorarsi di labbra. Per un attimo, un brivido gelato gli corse lungo la schiena, come una scarica di elettricità, e Elek spalancò gli occhi.

Ma Anatol non lo colpì, né scappò. Continuò a guardarlo in silenzio, con le guance bianche tinte di rosso e gli occhi chiari larghi e confusi. Poi, si portò lentamente una mano alle labbra come per controllare che fossero ancora nel posto giusto – Elek non riuscì a staccare lo sguardo da quelle labbra e da quella mano, e per l’ennesima volta notò che le dita di Anatol erano lunghe e aggraziate, con unghie corte e ben curate – e voltò il capo di scatto.

- E così volevi solo conoscermi, nient’altro -. La voce di Anatol aveva una nota di curiosità cauta e diffidente, quasi d’incertezza.

- Già. Poi ho cambiato idea.

Quando Anatol si alzò dalla panchina, Elek dovette costringersi a non fare lo stesso, a rilassarsi e a sorridere come se non fosse successo niente. – Ci vediamo domani? – chiese comunque, e nella sua mente non sarebbe dovuto suonare come una domanda ma come un semplice saluto.

Anatol non gli rispose ed Elek, semplicemente, guardò in silenzio la sua schiena che si allontanava.

 

 

Il giorno dopo, Anatol era lì, seduto sulla loro panchina a fingere di non aspettarlo.

Elek lo fissò come per imprimersi nella mente ogni particolare dell’espressione annoiata sul suo viso, ogni sfumatura di luce nei suoi capelli, ogni piccolo dettaglio che lo aveva portato fino a quel punto. Poi, si sedette accanto a lui e gli sorrise.

Anatol sorrise di rimando.       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali:

 

Dunque ... in questi giorni ho letto un libro che davvero amato, Swordspoint di Ellen Kushner. Dovreste leggerlo anche voi: ci sono spadaccini e intrighi politici e nobili bisessuali e processi in tribunale e femme fatale e duelli d’onore.

Comunque, ho anche letto una recensione su Goodreads, o forse su Amazon. In questa recensione, un lettore che non aveva amato il libro quanto me si chiedeva perché i personaggi che compongono la coppia principale, due uomini molto molto complicati e con molti molti problemi, dovrebbero amarsi – quale sia la ragione per cui si amano. E io mi sono accorta che la mia risposta a quella domanda è qualcosa di fin troppo simile a: duh, si amano e basta!

Questo mi ha fatto riflettere su Elek e Anatol, e sul modo in cui li ho descritti finora. Mi sono chiesta perché uno come Elek si dovrebbe innamorare di uno come Anatol, come una relazione del genere potesse apparire agli occhi di un lettore, fuori dalla mia testa.

La mia risposta, alla fine, è sempre la stessa di prima. Duh.

“Freddezza tagliente” è una definizione rubata senza alcuna vergogna a yanyan. Te l’avevo detto che prima o poi l’avrei fatto, no? Dovevo solo aspettare l’occasione giusta.

Au revoir!
  
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