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Autore: _vally_    16/03/2008    2 recensioni
Episodio 2x23; Cuddy chiede ad House di farle le iniezioni per la cura della fertilità. Questa storia è nata come un ipotetico seguito della scena in cui Cuddy va nell'ufficio di House, e lo ringrazia per le iniezioni, lasciando però intendere che non era lì solo per quello...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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1 - Luci

 

h 23.50

 

Realizzò quello che stava facendo quando ormai era davanti alla sua porta.

 

Era andata a casa, si era spogliata e si era fatta una doccia gelata.

Aveva indossato uno dei suoi tailleur e si era truccata.

Aveva cucinato, cenato, telefonato a una vecchia amica ma, quando si era resa conto che erano le undici di sera e lei si apprestava a pulire il bagno in gonna con spacco, camicia e spazzolone in mano, aveva capito che dimenticare quella storia era impossibile.

Si era vestita e truccata per andare da lui.

Era inutile tentare di ingannare se stessi.

 

In piedi, davanti a quella anonima porta di legno, questa volta senza un discorso pronto.

Sentiva note delicate provenire dall’interno della casa, soffocate dalla barriera fisica che c’era ancora tra lei e House; per un istante vide chiarissima l’immagine delle sue dita che accarezzavano agili i tasti bianchi e neri.

Stava suonando il piano mentre, probabilmente, un bicchiere di whisky era abbandonato vuoto da qualche parte accanto a lui.

Non si stupì di trovarlo ancora sveglio.

A quell’ora, le persone tormentate come House sono sempre sveglie. Andare a dormire presto sarebbe stato un attentato all’immagine di cinico solitario misantropo che House coltivava con tanta cura; non lo avrebbe mai fatto.

Non che lei lo credesse un agnellino travestito da lupo; semplicemente lo conosceva abbastanza bene da sapere che dietro il bastardo che era House, c’erano aspetti di lui più umani, più belli, che raramente era riuscita a scorgere, ma “raramente” era diverso da “mai”, e lei era sicura che questi angoli di luce ci fossero.

Era per quello che talvolta aveva intravisto nella sua anima nera, che ora era lì.

Quando la sofferenza per la gamba era stata troppa per essere mascherata con l’ironia, quando la paura di morire aveva eliminato per pochi lunghi istanti la razionalità a cui House si aggrappava con più forza di lei o quando, tantissimi anni prima, l’aveva guardata negli occhi mentre il piacere estremo faceva tremare i loro corpi; erano buchi nella serratura in una porta che non si sarebbe mai aperta per lei, né per nessun’altro.

Nonostante questo, aveva fiducia in ciò che aveva visto in passato, abbastanza fiducia da giocarsi la sua dignità, da chiedere il suo aiuto in qualcosa di davvero importante per lei.

 

Bussò forte, due rapidi colpi e nient’altro.

House non smise subito di suonare, portò a termine la melodia che stava suonando come se non fosse accaduto nulla, ma lei sapeva che l’aveva sentita.

Quando le note cessarono, infatti, la porta si spalancò.

House rimase qualche istante a fissarla, con una mano ancora sulla maniglia e l’altra appoggiata allo stipite; sembrava stesse riflettendo. Poi, come se si fosse reso conto solo in quel momento di conoscere la persona che si era presentata alla sua porta, si fece da parte per farla entrare.

Cuddy aveva appena varcato la soglia quando lui chiuse con forza la porta, facendola sussultare.

House sembrò non farci caso e, zoppicando più del solito per la mancanza dell’aiuto del bastone, tornò al pianoforte e riprese a suonare.

L’unica parola che disse, mentre dandole le spalle raggiungeva faticosamente il pianoforte, fu “siediti”.

Frastornata dallo strano modo in cui l’aveva accolta, raggiunse il divano e si sedette in un angolo.

Si era comportato in modo insolito, era come se lui…

L’occhio le cadde sul tavolino, dove vide due bicchieri a fianco di una bottiglia whisky. Non uno, due.

Era come se lui la stesse aspettando.

Agendo quasi d’istinto, prese la bottiglia e versò il whisky in entrambi bicchieri.

Nel momento in cui il vetro della bottiglia toccò nuovamente la superficie del tavolino, House smise di suonare.

Non era nulla di straordinario, una semplice coincidenza, ma le diede comunque la sensazione che c’era armonia in quello che, vicini nello spazio ma lontanissimi nel pensiero, stavano facendo.

Si alzò reggendo i due bicchieri, e ne porse uno ad House, ancora seduto al pianoforte.

Lui lo prese e, staccando gli occhi dai suoi solo per un istante, ingoiò tutto il liquido ambrato in una rapida sorsata.

“Se hai intenzione di farmi ubriacare per impossessarti del mio seme, riempire i bicchieri solo a metà non è un buona strategia.”

Le venne da sorridere, mentre si portava alla bocca il suo bicchiere, e si bagnava appena le labbra, solo per sentire il sapore forte dell’alcol e riempirsi le narici del suo odore. Per ora le bastava quello.

“Mi aspettavi?”

House si alzò per raggiungere la bottiglia di whisky e riempire ancora il suo bicchiere.

“No.” rispose senza nessuna esitazione “Quello è il bicchiere per la pipì. La strada che porta al bagno a quest’ora è pericolosa…”

Come a voler confermare quelle strampalate parole, dal buio del corridoio dietro di lei sentì un tonfo secco, che la fece trasalire.

Vedendola sussultare, ad House scappò un sorriso.

“Complimenti per gli effetti speciali.” gli disse, sperando che il tono della sua voce non tradisse il brivido che le aveva appena percorso la schiena.

“Complimenti a te. Con quel push up sembra che le tue tette si siano totalmente liberate della forza di gravità. Io i fantasmi e loro i super poteri…”

“Se vedi le mie tette volare significa che farti ubriacare non è poi così difficile.” accolse la sua provocazione; aveva imparato che, quando si trattava di House, giocare era il miglior modo per avvicinarlo.

“Ok, sono ubriaco.” spalancò le braccia in segno di resa, e si lasciò cadere sul divano “ora tocca a te.”

House non abbandonava mai il gioco.

E non smetteva mai di guardarla fisso negli occhi quando stavano giocando.

Si sentì improvvisamente a disagio; la situazione le ricordava pericolosamente quella di alcune ore prima, lei in piedi, completamente alla mercé dei suoi occhi, che la scrutavano impassibili.

Si sentì smarrita, imprigionata tra le mura dell’esitazione, con una gran paura di uscire ma con la sensazione che il vero pericolo stesse proprio dentro di lei; se non ci avesse almeno provato, non se lo sarebbe mai perdonato.

Era il momento della sua mossa, e doveva farla in fretta, prima che l’incertezza divenisse inazione.

Appoggiò il bicchiere sul tavolino, e si sedette affianco ad House.

Nel momento in cui con i capelli sfiorò il suo braccio, appoggiato sulla spalliera del divano, vide vacillare per un istante la strafottenza che c’era nel suo sguardo.

Come accadeva ogni volta che erano molto vicini, ogni volta che potevano sentire l’odore della loro pelle, la disinvoltura con cui si provocavano quotidianamente li privava del suo scudo, lasciandoli una accanto all’altro, indifesi.

Fissò House dritto negli occhi, e ci vide una di quelle piccole luci.

Non riuscì a capire se fosse turbato, emozionato oppure irritato; qualunque sentimento fosse, era autentico.

Persa in questo pensiero, non si accorse che i secondi passavano, e lo stava guardando senza dir nulla.

“Ti presenti a casa mia a quest’ora, con quella scollatura, e mi fissi così…se nella tua borsetta c’è un paio di manette giuro che ti sposo.”

Cuddy si fece scappare un sorriso, mentre abbassava lo sguardo; si accorse che le loro ginocchia ormai si sfioravano, e sentì la mano di House muoversi tra i suoi capelli. Un gesto quasi impercettibile, che voleva sembrare casuale.

Lei sapeva però che non lo era; House non lasciava mai niente al caso.

Tornò a guardarlo, ma si trovò talmente vicina a lui che fece fatica a mettere a fuoco il suo viso.

Non sapeva se era stata lei ad avvicinarlo o il contrario; in quel momento non si ricordava neanche perché fosse lì. Sentì la debole eco di qualcosa di importante che doveva dirgli, ma il sovraccarico dei sensi le impedì di mettere a fuoco le idee.

Sentiva il suo respiro addosso, e il calore di un altro corpo che premeva lievemente contro il suo.

Si avvicinò ancora di più, cercò le sue labbra.

Più tardi si sarebbe resa conto che House era rimasto perfettamente immobile per quei lunghissimi istanti, che aveva fatto tutto lei.

Aveva posato una mano sul suo ginocchio, gli aveva sfiorato le labbra con le sue.

Quando aveva sentito la lieve pressione della mano di House sulla sua spalla, aveva pensato che la stesse stringendo per avvicinarla a sé, per approfondire quel bacio appena accennato.

Poi la pressione era diventata più decisa, e lui aveva recuperato giusto quei pochi centimetri di distanza da lei, da permettergli di guardarla negli occhi.

La stava…respingendo?

  
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