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Autore: Liveandlove    10/09/2013    1 recensioni
Dal testo :
Ero scappato dalle mie responsabilità e adesso dovevo pagare delle conseguenze peggiori di quelle da cui ero fuggito. Solitudine, monotonia, senso di colpa.
Tutto questo mi massacrava a fuoco lento e con calma mi uccideva.
Quando davanti a quell'ospedale avevo trovato la forza di muovere anche solo un piede, lo feci nella direzione sbagliata. Esitai e mi rigirai verso la finestra che si affacciava verso di me, ma poi corsi sotto la pioggia scrosciante verso la parte opposta pur di non doverlo vedere, incontrare, sentirmi dire che non mi avrebbe mai perdonato e durante la corsa mentre il mio petto non faceva che alzarsi ed abbassarsi per le svariate emozioni che provavo e per la stanchezza, era come se assieme alle lacrime, gocce di sudore e alla pioggia che scivolavano sul mio corpo se ne fosse andato via tutto quello che mi era più caro.
«...»
Speravo che quello non fosse un sogno o un'allucinazione, ma prima di poter reagire o far qualcosa sussurai un «Jonghyun» che lui sentì benissimo e che attirò la sua attenzione verso di me, poi le mie palpebre si chiusero.
JongKey **
INCOMPLETA
Genere: Commedia, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jonghyun, Key, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Please, forget me.

Chapter III

http://images4.fanpop.com/image/photos/16800000/jongkey-shinee-16881121-500-191.jpg

 


La visita allo zoo ci aveva impegnati per tutta la giornata e nel tardo pomeriggio tornammo a casa mia.
«Hyung... Sai non ti ho detto una cosa...»
Dal suo tono sembrava aver combinato qualcosa di grave e sembrava che stesse cercando di scusarsi, cosa c'era peggio di ciò che mi aveva rivelato?
«Sputa il rospo Taemin-ah.» «Ho detto ai miei genitori che sarei venuto a stare da te per due settimane...»
Allora c'era qualcosa di peggio. Aprii i due borsoni e ne scoprì il contenuto : vestiti, asciugamani, spazzolìno e libri.
Prima che potessi ribattere e sbatterlo fuori di casa mi disse «I miei sono partiti e non mi lasceranno rimanere a casa da solo, quindi non riuscirai a libererti di me.» Intanto ridacchiava e intanto avrei tanto voluto lanciargli una scarpa in testa. Quel maknae era disordinato e con poca memoria, ciò voleva dire che ogni secondo si sarebbe perso qualcosa e avrebbe sporcato qualcosa e ogni secondo c'era il rischio che mi cadessero tutti i capelli per lo stress.
Forse avrei dovuto fare appello alla mia pazienza nascosta e avrei dovuto resistere a questo tsunami.
«Prima di entrare in casa cambiati sempre le scarpe;
Quando finisci di fare la doccia non lasciare i tuoi vestiti in bagno;
Quando utilizzi qualcosa in cucina lavala subito;
Non lasciare i tuoi vestiti sparsi per la casa, nemmeno i tuoi libri o la tua borsa;
La mattina uso prima io il bagno;
Non entrare in camera mia quando io non ci sono e non spostare le cose e soprattutto non entrare in bagno quando io sono dentro. Queste sono le mie condizioni, arasso*?»
Lui annuì come un bravo soldatino, ma sapevo che si sarebbe ricordato a fatica di tirare lo sciacquone figuriamoci il resto.
Si tuffò letteralmente sul divano e accese la televisione.
Non ricordavo di avergli detto un «Fa come se fossi a casa tua.»
Mi rintanai in camera mia e dopo una mezzoretta quando tornai in salotto c'era un Taemin con le gambe e le braccia spalancate come se stesse abbracciando un qualcosa di invisibile e un po' di saliva all'angolo della bocca; dolcemente disgustoso o disgustosamente dolce.
Lo coprii con una coperta e mi appollaiai per guardarlo meglio.
E pensare che quel faccino innocente pensava cose erotiche su dei ragazzi.
Un brivido di orrore mi passò per la schiena e me ne ritornai in camera.
Mentre mi sotterravo sotto la mia coperta partì la suoneria del mio cellulare che afferrai e fissai cercando di restare calmo, ma il cuore non faceva che pompare e battere così velocemente rischiando di fuoriuscire e rompermi la cassa toracica. Risposi e mi portai lo Smartphone all'orecchio, ma quando sussurrai un «Pronto...?» tremolante udii solo un "Tu-tu-tu-tu". Guardai nuovamente lo schermo e vidi che aveva riattaccato.
Avrei voluto spaccare il cellulare e fare a pugni con me stesso, ma lo feci semplicemente rimbalzare dall'altra parte del letto e presi a pugni un cuscino. Successivamente ricevetti un messaggio che aprii con mani tremanti.
"Ho sbagliato numero, non ti fare strane idee e non mi richiamare. Ciao."
Con violenza presi la mia giacca di jeans rosa e uscendo silenziosamente cercai di infilarmela.
Stavo andando in escandescenza e odiavo che mi trattasse così, come se fossimo degli sconosciuti.
Poco fa' per una sua falsa telefonata avevo quasi avuto un attacco cardiaco.
Odiavo tutta quella situazione, odiavo la sua indifferenza, odiavo me stesso perché gli avevo fatto del male, odiavo lui perché non mi dava la possibilità di rimediare e mi odavo perché sapevo che avrei fatto lo stesso al suo posto.
Arrivai all'indirizzo che avevo di sfuggita visto in segreteria e mi fermai davanti al palazzo.
Avrei saputo riconoscere la sua finestra anche se fossi stato cieco.
Sul davanzale vi erano sempre delle girandole colorate che gli aveva regalato sua madre quando era piccolo.
Fissai la finestra buia non sapendo che fare e il perché fossi venuto.
Mi diedi un leggero cinquino sulla fronte e mi incamminai verso casa. Dovevo essere totalmente impazzito.
"Cosa diavolo ci faccio qui?" pensai.
Non mi ero accorto di essere ancora con i sandali e solo allora percepii il freddo penetrarmi in tutte le ossa, così strofinandomi le mani sulle braccia per creare calore corsi verso il mio piccolo appartamento.
Fortunatamente mi ero portato le chiavi e dopo essermi svestito ritornai sotto le coperte.
Chiusi gli occhi e cercai di addormentarmi, ma le uniche cose su cui riuscivo a concentrarmi erano i versi degli animali che provenivano da fuori e su cosa diavolo avrei fatto con quel ragazzo.
Mi tornò in mente quel giorno in cui Minho mi aveva fatto sputare sangue.
L'unica cosa che riuscivo a ricordare era il sangue, la mia allucinazione e quel segno sulla sbavatura.
Avrei voluto riavvolgere da capo il nastro e vedere se veramente me l'ero fatto da solo.
Perché se non era così avrei voluto sentirlo quel dito che sfregava sul mio volto.
Avrei voluto godermi a pieno il suo tocco. Avrei voluto essere sveglio e chiedergli il perché di quel gesto.
Avrei voluto chiedergli tante cose, soprattutto se gli ero mancato almeno un po'.
Se oltre a pensare di vendicarsi si era ricordato di tutti i nostri momenti, di tutte quelle volte che ci eravamo salvati a vicenda e del nostro maledetto bacio che io ricordavo ancora vivamente come se fosse accaduto ieri.
Aveva cominciato a fare caldo e le lacrime avevano cominciato a scorrere sulle mie guance come un rubinetto aperto.
Mi passai la mano sugli occhi e questa volta con più calma mi rimisi la giacca, mi misi degli stivaletti neri e uscii a prendere dell'aria fresca.
Non sapevo dove stessi andando ma non sarei di certo tornato sotto le coperte.
Mi fermai e guardai il cielo. Buio, scuro e magnifico come i suoi occhi.
Scossi la testa e mi soffiai il naso col fazzoletto nascosto nella tasca.
Ero uscito apposta per togliermi tutto quel groppo, quei pensieri che mi appesantivano ma non stava funzionando.
Ritornai a guardarmi intorno e in quel momento avrei avuto voglia di lanciarmi una scarpa da solo.
Come diavolo era possibile?
Fissai le girandole che si muovevano piano piano a causa del venticello e diedi uno sguardo alla finestra che era ancora buia.
Come se Dio avesse percepito il mio malessere delle gocce cominciarono a scendere sempre più pesantemente, finché non me ne resi conto.
Sospirai dandomi dello stupido e mi girai per andarmene pronto ad evitare il diluvio universale, ma qualcuno mi parò il passaggio. Sbarrai gli occhi cercando qualche giustificazione.
Ma l'unica cosa che mi venne in mente fu' "Cosa diavolo ci fa' a quest'ora in giro?".
«Mi avevi semplicemente di non richiamarti.» me la cavai con una delle mie solite frasi.
Lui mi guardò con gli occhi lucidi forse per il sonno o per qualcos'altro ma non poteva essere sbronzo,
non era il tipo e mi inchiodò lì fermo. «E io... Ti avevo detto di non fraintendere.»
Buffo come un messaggio di qualche parola avesse potuto creare tutto quello, quella conversazione, quella mia insonnia. «Non ho frainteso nulla.» Il cuore mi pompava nel petto e mi sentii come sotto l'effetto di migliaia di droghe messe insieme. Quella situazione, la pioggia, il cielo, noi, le stelle, le case... Perfino la cacca del cane dietro l'angolo sembrò essere importante. Non mi sarei fatto sfuggire anche quell'occasione.
«Per tutto questo tempo hai meditato solo alla vendetta? Ti sei veramente dimenticato di tutto quello che c'era prima? Davvero adesso non ti importa proprio più un accidente di me?» Gli urlai cercando di tenere sotto controllo me stesso. Lui mi sorpassò in silenzio, ma riuscii a prenderlo in tempo. «L-lasciami, per favore.»
La sua sembrò quasi una supplica, ma non si era reso conto che anch'io lo stavo supplicando da più di una settimana? «Non ti lascerò mai più, te lo giuro. Se davvero non lo vuoi girati, guardami negli occhi e senza alcun sentimento, senza alcuna emozione dimmi che non vuoi più vedermi e che durante tutto questo tempo non ti sono mancato nemmeno un po' e tutto quello a cui hai pensato è stata solo la vendetta, allora sì che ti lascerò andare per sempre.»
Si girò e vidi una lacrima scivolare sulla sua guancia.
Passò forse un minuto, ore o forse solo secondi guardandoci negli occhi potendo legger il dolore di ognuno negli occhi dell'altro e fu come guardare in uno specchio.
Finalmente lui cercò di liberarsi dalla mia presa ma io strinsi ancora di più.
Era disperato.
Riuscivo a leggere che non sarebbe mai riuscito a dirmi tutte quelle cose, perché erano tutte false.
Rallentai la presa e lui strattonò la mano e si girò.
Pensai di aver perso ma lui si rigirò un'ultima volta.
«Come puoi pensare che tu non mi sia mancato?
Come puoi pensare che io abbia dimenticato tutto?
Come puoi pensare che almeno per un solo secondo non abbia pensato a te?
E il nostro bacio? Cosa credi?
Tutti i giorni cerco di dimenticarmi di tutto questo ma riappare ogni volta che chiudo gli occhi.
Anche dopo quello che mi hai fatto. Perciò aiutami a dimenticarti e vattene dalla mia vita.»
Percepii tutte quelle parole stracolme di sentimento arrivare al mio cuore, entrare e espandersi come un tumore.
Non riuscii a riprendermi abbastanza velocemente da potergli impedire di scappare, così rimasi lì immobile.
Era come se fossimo tornati a quel giorno all'ospedale, ma questa volta la situazione era inversa.
Lui era scappato e non io.
Avevo tutti i capelli e i vestiti fradici e appiccicosi e quando percepii quella sensazione tornai alla realtà e mi incamminai verso casa per evitare un raffreddore.
Il cielo si stava schiarendo e il sole stava salendo ciò voleva dire che non erano passati solo minuti ma ore e mentre svoltavo l'angolo non mi resi conto che dietro ad un albero c'era stato per tutto questo tempo uno spettatore ferito e in lacrime.

 

© 2013 LiveandLove S.p.A., Roma
"Please, forget me."
 

  arasso* -> In coreano vuol dire "Capito/capisci".
 
  




OhMyGod.
Honestly i hate this chapter.
I mean... Solita pioggia, solita tristezza nella storia. Ahah.
Se vi piace fatemelo sapere, se avete qualche giudizio da esprimere siete i benvenuti.
Nel prossimo capitolo finalmente arriverà Onew. Ahah povero, l'ho lasciato solo soletto. E scusate se è corto questo capitolo u.u


 
  
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