My
Soul
Prologo:
-
Life -
Fu una nuova folata di
vento freddo a sferzare violenta le
mura dei palazzi scuri di quella via.
Alla luce dei pochi
lampioni funzionanti, una sagoma
incappucciata gettò a terra il mozzicone di una sigaretta.
Scrutò la strada
deserta, sistemandosi meglio il mantello nero inchiostro.
Ci fu una nuova folata di
vento, e il cappuccio scuro
ricadde all’indietro, rivelando sottili ciocche
d’oro pallido, e mentre il
ragazzo lo ritirava rapidamente ad oscurare il volto, le sue iridi
plumbee saettarono
a un angolo buio della via.
- Quando agiremo, Draco?
–
Malfoy alzò
lentamente il capo, quasi ignorando quella voce
profonda giunta dall’ombra.
Osservò il
cielo, coperto da nubi nere, simili ad ali di
corvo tese ad oscurare il firmamento.
Selene, non era sorta,
quella notte.
Volse lo sguardo a nord, e
vide – in lontananza -, il nero
della notte frastagliato dai folgore di lampi e tuoni.
- Presto –
Disse con voce bassa, in
un debole sussurro serpentino.
Nell’angolo, una
figura scura si mosse, rimanendo celata
nell’ombra.
- Stanotte stessa
–
Draco Malfoy volse
nuovamente lo sguardo plumbeo lungo la
strada e, vedendo giungere una carrozza, ghignò maligno.
*
Era una notte speciale,
quella.
Hermione lo sapeva.
Dentro quella carrozza
scura, lasciò vagare lo sguardo lungo
la strada.
Si accigliò
appena, quando vide qualcosa sparire dietro un
angolo.
Chiuse gli occhi per
riaprirli immediatamente, ma c’era solo
ombra.
Credendo di essersi
sbagliata, volse lo sguardo verso il suo
taciturno accompagnatore.
Harry Potter era cambiato
in quei tre anni, dopo la
sconfitta di Tom Riddle.
Sembrava essersi
invecchiato di colpo, in quella lontana
notte d’inizio maggio.
Erano morti in molti,
sotto la luce di quella luna di cui
ora non rimaneva che uno sbiadito ricordo.
In troppi. Troppi occhi
che non potevano più vedere il
cielo.
Per lui. Erano periti per
lui.
Vessillo di Speranza.
Era caduti sotto la Saetta.
Emblema di
Libertà
Ma anche dopo tanto tempo,
non c’era ne l’una né l’altra.
Non per lui, almeno.
- Tutto bene, Harry?
–
Chiese Hermione, vedendolo
immerso in pensieri
dall’apparenza cupi.
Harry Potter
alzò appena lo sguardo, spento.
Indossava uno smoking nero
sopra una camicia bianca. Un
classico.
In effetti, nulla poteva
far intuire la situazione di
Potter.
Se non lo sguardo, vitreo
e opaco. Buio. Senza vita.
- Tutto bene –
Rispose, in un bisbiglio
appena accennato.
Si scostò una
ciocca di capelli corvini dalla fronte, prima
di parlare nuovamente.
- Dovevo proprio venire?
–
Chiese, squadrando
Hermione con quello sguardo da morto.
La Granger
rabbrividì. La intimorivano, quelle iridi spente.
Le ricordavano quello di
un uomo che non ha più niente da
perdere.
Neppure la vita. Neppure
l’anima.
- È
l’anniversario della tua vittoria più grande
–
Rispose. Era
effettivamente così. 2 Maggio 2001. Tre anni
dalla fine della Grande Guerra.
- Della mia sconfitta
più grande, vorrai dire –
Commentò Harry,
per poi ricominciare a ignorare Hermione.
Lei socchiuse gli occhi,
cercando di non far solcare le sue
guance a neppure una lacrima.
- Siamo arrivati
–
Disse dopo un
po’. Ma non ricevette risposta.
Harry Potter non poteva
sentirla. Era naufragato nei propri
ricordi.
C’era
profumo di
tempesta, quel giorno.
Oppure
d’estate.
Non
lo sapeva. I
ricordi di quel giorno erano sfumati nella sua mente. [Malata].
Elios
sormontava il
suo capo, re nell’azzurro del cielo.
Era
mattino. O forse
pomeriggio. Non lo sapeva con esattezza. [Chi lo poteva
sapere?]
Lui
non piangeva. Ne
era certo.
Avanzava
su quell’erba
brillante, con la morte nel cuore. [Nell’anima].
Dietro
di lui, mille
tra uomini e donne.
Davanti,
una distesa
di blocchi di marmo.
Tombe.
A centinaia. [Troppe].
Camminava
deciso,
avvolto in un mantello scuro.
Si
scostò una ciocca
di capelli dalla fronte, osservando ogni epitaffio.
Nomi.
Fin troppo
conosciuti. [Mai come in quel momento volle dimenticare i
loro volti].
Si
soffermò su quelli di
Sirius, di Alastor.
Di
Minerva, di Remus, di
Severus, e mille altri ancora.
Fino
a giungere agli
ultimi due.
Estrasse una rosa nera dal mantello, ponendola sulla tomba di Ronald Weaslay.
[Amico sincero
fino alla fine. Di tutto].
I
suoi petali scuri si
mossero al vento, quasi in un muto ringraziamento. [Fraterno].
Le
labbra furono
deformate da una smorfia amara.
Cadde
in ginocchio,
sfiorando il marmo freddo con le dita.
Lacrime
salate gli
scivolarono sulla guancia, andando poi a impregnare il terreno. [Brullo].
Se
le asciugò con una
manica. Strano, credeva di aver finito le lacrime tempo prima.
Nella
sua memoria ci
fu un lampo poco lontano, ma era quasi certo che non fosse
così.
Spostò
lo sguardo
sulla seconda tomba.
Singhiozzò
più forte,
piegandosi in due.
Ginevra Molly Weaslay.
1981 - 1998
Non
c’era epitaffio.
Meglio così.
Forse
questo rendeva
meno reale la sua morte.
Depose
una seconda
rosa, chiusa.
Non
sarebbe mai
sbocciata. Come Ginny.
Urlò
forte, ma non ne fu
sicuro. [Non troppo, almeno].
Forse
fu solo la sua
anima a urlare, straziata.
Nel
suo ricordo, sentì
una seconda anima urlare. [Disperata].
Allo
stesso modo. Volse
lo sguardo verso destra, e vide un ragazzo in piedi, davanti a due
tombe.
Era
avvolto in un
mantello nero, allacciato al torace in alto a sinistra da alamari
d’argento.
Immobile.
[Morto
dentro].
Sembrava
una statua di
cera dai tratti freddi, illuminata fiocamente dalla pallida luce solare.
Il
ricordo, a quel
punto, si faceva sbiadito. [Sfumato].
Quel
ragazzo gli dava
le spalle, e aveva un cappuccio scuro calato ad oscurare il volto.
Nella
mente, gli parve
di vederlo voltare.
Ma
forse a questo
punto subentrò l’immaginazione.
Perché,
l’unica cosa che
vide con chiarezza, furono due iridi chiare.
Illuminate
dall’Odio.
-
Harry? –
Harry Potter
aprì gli occhi di scatto, tornando alla realtà.
- Arrivo –
Disse sussurrando.
Mentre scendeva dalla
carrozza, poté giurare di vedere due
stelle d’argento splendere nell’ombra di un angolo.
E in lontananza, gli parve
di udire un urlo.
*
-
Sono in ritardo –
Commentò Ludwig
Heitz, neo-ministro della magia.
Si trovava
all’ingresso del suo palazzo, dove si stava
svolgendo la festa per l’anniversario della morte di Riddle.
- Suvvia, signor ministro
–
Disse una voce femminile
nascosta in un angolo.
Ludwig lo
squadrò un attimo, prima di sistemarsi meglio la
giubba in pelle e alamari bronzei che si allacciavano sul lato destro
del busto.
- Lasci il giusto tempo
alle “celebrità”
-
Continuò
suadente la donna, avanzando con grazia ed eleganza
di un passo.
Illuminata dalla luce di
un lampadario, rivelò una cascata
di boccoli neri inchiostro che scendevano morbidamente sulle spalle
lasciate scoperte.
La pelle –
alabastrina -, rifletteva la luce lì attorno.
Indossava un leggero abito
interamente nero, che lasciava
scoperte schiena e spalle.
Uno spacco partiva
dall’inizio della coscia sinistra, mentre
le dita affusolate sfiorarono le spalle del ministro.
- A ogni modo, potremo
divertirci anche senza quei due, non
è forse vero, caro Ludwig? –
Finì, uscendo
completamente dall’ombra.
Sul volto, portava una
maschera d’argento, che riproduce le
fattezza di una donna stupenda.
- Certo, dolcezza
–
Disse Heitz, regalandone
un sorriso malizioso, e prendendola
a braccetto.
In quel momento, il grande
portone d’ebano si aprì, per lasciare
passare due sagome scure.
La festa sembrò
fermarsi per un istante.
Ci fu il serpeggiare di
una voce. Di un nome.
Harry
James Potter.
Rimbombò quel
sussurrò appena accennato.
Ci fu un lampo, e la sua
luce rivelò le fattezze di Harry.
Sembrarono ammutolire
tutti, per un istante - il fiato perso
di un vigliacco -, prima di ricominciare a illudersi –
nuovamente -, della
bellezza del mondo.
Muovendosi nel volgare
palcoscenico delle proprie meschine
certezze, si illusero ancora una volta – come sempre
– che l’uomo fosse di
natura misericordiosa.
*
- Festa riuscita, direi
–
Disse Hermione, a
braccetto con Harry, mentre sui dirigevano
verso l’angolo degli alcolici.
- Certo –
Le sussurrò
lui, scrutando truce ogni presente in
quell’ampia sala.
- Un eccellente sfoggio
della più totale ipocrisia –
Disse. Hermione gli
scoccò uno sguardo duro, ma lui rimase
indifferente.
- Sappiamo entrambi della
verità contenuta nella mia
affermazione, quindi risparmiami la predica –
Disse Potter, sedendosi su
uno sgabello girevole e ordinando
due firewhisky con un cenno della mano.
- Anche fosse –
Iniziò
Hermione, sedendosi al suo fianco, avvolta in un abito
cremisi.
- È
così -
Harry stroncò
ogni accenno di protesta, per poi dare le
spalle alla propria accompagnatrice.
Volse lo sguardo verso
l’ampia vetrata.
Era arrivata la tempesta,
e lampi – fugaci schizzi di luce
nella notte buia e scura –, squarciavano il nero del manto
notturno.
Una nube scura si mosse, e
dietro di essa Harry Potter poté
vedere Selene.
Sembrava ghignare la luna,
sinistra.
L’aveva
già visto quel ghigno, Harry.
E contro la sua
volontà, fu travolto nuovamente dai ricordi.
-
Avada Kedavra! –
-
Expelliarmus! –
I
due incantesimi
corazzarono nel rimbombo metallico di una campana.
Ci
fu uno spostamento
d’aria tanto forte da costringere i mangiamorte a portarsi la
mano davanti al
volto.
Voldemort
socchiuse
gli occhi, levando una mano pallida. [Morta].
-
Non intervenite! –
Ordinò
imperioso,
risucchiando l’aria tra i denti.
Potter,
intanto,
teneva la bacchetta stretta con due mani, sforzando i muscoli degli
avambracci.
Dove
i due incantesimi
s’incontrarono, si formò una sfera di luce scura. [Impura].
Tom
Riddle avanzò lentamente
di un passo, mentre il mantello nero si muoveva sinuoso.
-
Non intervenite! –
Ordinò
nuovamente. [Dio
tra gli Uomini].
Fu
un gemito roco
quello che uscì dalle labbra di Harry, quando
sentì la bacchetta vibrare
violentemente: la sfera si stava avvicinando. [Impietosa].
Lord
Voldemort urlò.
I
Mangiamorte
sguainarono le bacchette, avvicinandosi di un passo. [Impauriti].
-
Non intervenite! Lui
è solo mio! –
Urlò
con voce ferma
Tom. [Sorpreso].
Ci
fu un periodo
infinito di stallo, sferzati dal vento freddo.
Come
immuni dallo
scorrere del tempo.
Alla
fine, poiché
tutto ha un inizio e anche una fine, la sfera iniziò a
scivolare verso la
bacchetta di Voldemort.
Il
pendolo del tempo
scandì i battiti del cuore di Harry e Tom.
E
beffardo, decise
che, per quella volta, sarebbe stato Potter a trionfare.
[Ancora una volta. Forse
l’ultima].
Quando
la bacchetta di
Tom e la sfera entrarono in contatto, ci fu un’esplosione di
fumo argenteo.
In
una cascata di
scintille verde-argento la sagoma di un uomo fuori uscì
dalla bacchetta d’osso.
Simile
ad un fantasma
pallido, mosse la labbra d’aria.
-
Mio Signore, perché?
–
Dietro
di lui, vennero
altre sagome argentee, altri pallidi fantasmi di un passato che non
ritorna.
[Che non ritorna].
-
Forza Harry, ce la
puoi fare! –
-
Allora era proprio
un mago?! Forza ragazzo, mi ha ucciso! –
-
Squallido
mezzosangue che sei altro! Mio
Signore, Uccidilo! –
-
Siamo con te, Harry
Potter –
Tom,
incredulo, non
mosse un dito davanti a quello scenario inverosimile.
Fu
Harry a
interrompere l’incantesimo, con uno strattone violento della
bacchetta. [Gemella].
Quella
pallide sagome scomparvero,
mentre Voldemort veniva colpito dal suo stesso incantesimo.
Tutto
quello che
successe dopo, Harry ne ha solo un pallido ricordo.
Nella
mente, vide il
corpo del suo rivale piegarsi con grazia all’indietro.
La
bacchetta parve
impiegare una eternità a scivolare via dalle sue mani
pallide.
Il
viso di Tom Riddle
era deformato da un smorfia di sorpresa, quando cadde a terra. Morto.
In
lontananza, sentì
una voce urlare.
Sempre
più lontana.
Sempre più lontana.
Anche
Harry Potter
urlò.
E
un istante prima di cade
in ginocchio, scoccò uno sguardo al cielo.
Lì
Selene si
intagliava fredda, ghignando sinistra, affiancata dal Marchio Nero.
Harry
chiuse gli occhi,
e si limitò ad ascoltare l’ululare del vento.
- Harry! Harry
ci sei? Il ministro sta per fare il suo discorso –
Harry
Potter non rispose.
Rimase in silenzio, ad
osservare Selene.
Rimase in silenzio, ad
ascoltare l’ululare del vento.
*
- Theodore, tu tieniti
pronto per fermare un’eventuale
difesa. Pansy –
Infuriava rabbiosa, la
tempesta.
Il nero del cielo era
frastagliato dai folgori dei fulmini e
dei lampi, mentre pioveva.
Gelida pioggia che porta
via il sangue. E le lacrime.
Ballerine trasparenti che
danzavano in quel palcoscenico di
vento e gelo.
Avevano la loro eleganza,
dopotutto.
Il cappuccio calato ad
oscurare il volto lasciava scoperta
qualche ciocca di serici capelli biondi, mentre Draco Malfoy chiamava
l’ex
compagna di Casa.
- Tu entrerai con me. Mano
alla bacchetta –
Ordinò a bassa
voce, osservandola con i suoi occhi plumbei.
Odio e rancore
all’interno di quelle sfere d’argento fuso.
- Voi, invece –
Si rivolse sussurrando
alle decine di figure incappucciate
lì intorno.
Avvolte in abiti scuri,
portavano maschere di morte in
volto.
- Circondate
l’aria. Pronti per ogni imprevisto –
Ordinò duro.
Quelle sagome scure sguainarono le bacchette.
- Pronti? –
Chiese con voce bassa.
Gli uomini si portarono la
bacchetta al torace.
- Sì, Nostro
Signore –
Risposero quasi in
sincrono: mille voci, un credo.
Quello dei Mangiamorte.
*
- Ricorderemo per sempre
questo giorno! –
Disse ad alta voce il
ministro della magia, levando un
calice.
Circondato da tutti gli
ospiti, sorrise.
In un angolo, Harry Potter
ghignò.
“Se
vogliono vivere nella loro bella campana di
vetro, facciano pure”
- Il giorno che vide la
caduta dell’essere più ignobile di
tutti i tempi! –
Chiuse gli occhi, davanti
a tanta ipocrisia.
[E
in quell’istante,
sentì qualcuno urlare. Disperato]
Riaprì di
scatto gli occhi.
- Il giorno in cui la
setta dei mangiamorte cessò di
esistere! –
Ludwig Heitz
inclinò il calice, sorseggiandone il contenuto.
Clap.
Clap. Clap.
Qualcuno batteva le mani,
in modo beffardo, quasi.
Scese il silenzio. Freddo.
Gelido.
- Bel discorso signor
ministro –
Disse una voce, melliflua.
Sull’ingresso si
intagliava una figura incappucciata.
Fradicia. Qualche ciocca
d’oro pallido scendeva sul petto.
Dietro di lui, una seconda
sagoma.
Draco Malfoy
lasciò ricadere il cappuccio all’indietro,
rivelando i capelli biondi.
Avanzò di
qualche passo, squadrando i presenti con i suoi
occhi plumbei.
- Un eccellente sfoggio
della più totale ipocrisia –
In un angolo, Harry Potter
ghignò, divertito, deciso ad
ascoltare il resto di quel discorso.
[Eppure,
l’eco di
quell’urlo continuò a riecheggiare nella sua
mente. Vivido]
Assomigliava al padre,
Draco Malfoy.
La pelle alabastrina
rifletteva la luce pallida del
lampadario, mentre i serici capelli biondi scendevano oltre le scapole.
Si scostò una
ciocca, portandosela dietro un orecchio.
Completamente avvolto in
un mantello nero allacciato al
torace da alamari d’argento, continuò ad avanzare
con falcate ampie ed
eleganti, in modo quasi sprezzante. Arrogante.
- Peccato che lei sia un
pessimo bugiardo, caro signor
ministro –
Continuò. La
seconda sagoma lo seguiva a pochi passi di
distanza, ancora incappucciata.
Si fece largo tra gli
ospiti, arrivando davanti al ministro.
- Lei sarebbe? –
Chiese, con voce ferma.
Peccato che dentro tremasse.
Draco si esibì
in un inchino arrogante.
- Draco Lucius Malfoy al
vostro servizio –
Disse, ghignando
sprezzante.
Ci fu un tremore tra gli
ospiti. Un sussurrò che serpeggiò
maligno.
Il nome dei Malfoy contava
ancora, dopotutto.
Harry si portò
le mani alle tempie, chiudendo gli occhi.
[L’urlo
riecheggiava
ancora nella sua debole mente].
- Condoglianze per sua
padre, signor Malfoy –
Disse sorridendo mellifluo
Ludwig.
Lucius Malfoy era stato
sottoposto al bacio tre anni prima.
Il ghigno di Draco non si
smorzò.
- È anche un
pessimo attore –
Commentò,
scrutandolo attentamente.
- Quindi io sarei un
bugiardo? –
Chiese Heitz, alzando il
capo: Malfoy lo sormontava di mezza
testa.
- Lei sì che
è un uomo pespicace, signor ministro –
Disse sarcastico Draco.
- È un
grandissimo bugiardo –
Draco prese mano alla
bacchetta e la puntò verso l’alto.
- Perché sa
benissimo che la setta dei mangiamorte non
può cessare di esistere! -
La sala era sormontata da
una cupola di vetro, e la luce di
Selene si infrangeva contro essa, dividendosi in mille raggi argentei.
Harry Potter
scattò in piedi, la bacchetta in mano, ancora
prima che succedesse.
E incredibilmente, si
sentì vivo. E felice.
Gli occhi splendettero, di
una luce che sembrava scomparsa
da troppo tempo.
-
Morsmordre! –
Urlò Draco
Malfoy.
Il lampo verde
sfrecciò rapido, frantumando il vetro della
cupola.
Ed apparve.
Vessillo di una setta, che
non era mai morta.
Emblema di un credo che,
probabilmente, non sarebbe
scomparso mai.
Il Marchio Nero.
Infuriò
rabbiosa la tempesta.
Ululò feroce il
vento.
E il serpente di Salazar,
saettò tra le nubi scure ridendo.
O forse, ghignando.
Vittorioso.
*
Fine
Primo Capitolo
*
Spero questo capitolo vi
sia piaciuto.
Un commento mi farebbe
piacere, grazie.
Caesar