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Autore: elina_j    10/09/2013    1 recensioni
. Aveva una carnagione chiara, molto probabilmente dovuta al fatto che aveva una delle mutazioni genetiche più comuni al mondo: i capelli rossi. Gli occhi erano verdi nella parte più interna ,vicino alla pupilla, e si facevano sempre più marroni fino ad arrivare a essere neri nel circolino più estero dell’iride; aveva lunghe ciglia rosse, che erano quasi sempre nere per via del trucco, ma erano così belle e slanciate che sembrava volessero allungarsi per toccare il cielo; tutto questo era reso più intenso dalle folte sopracciglia scure. E per ultimo le sue labbra, erano come due petali che, caduti da un mazzo di rose, avevano formato un’opera d’arte, senza bisogno di nient’altro.
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
Ed era lì ancora una volta, a fissar quel soffitto che sarebbe potuto passare, ad un occhio meno esperto, tutto uguale.
La finestra era socchiusa, quindi entrava una lieve brezza che le accarezzava il viso, facendo cadere di tanto in tanto qualche ciocca rossa dalla fronte. Era notte fonda, dormivano tutti, ma qualcosa teneva sveglia lei, era un rimorso forse, oppure rabbia, o semplicemente voglia di qualcosa di nuovo.
Era inverno ma aveva addosso solo una maglietta a maniche corte e un paio di pantaloncini di jeans consumati e scoloriti, non sentiva freddo, o semplicemente non le importava. Si alzò dal letto, mise un paio di calze lunghe fino al ginocchio, prese in mano le scarpe e la felpa blu. Stava scendendo le scale, facendo attenzione a non fare troppo rumore, quando passò davanti allo specchio, si fermò. Era un grande specchio, alto poco più di lei e aveva una cornice spessa in legno grigio. Avvicinò tanto la faccia al vetro, che si formò una macchia di condensa proprio all’altezza della bocca. Aveva una carnagione chiara, molto probabilmente dovuta al fatto che aveva una delle mutazioni genetiche più comuni  al mondo: i capelli rossi. Gli occhi erano verdi nella parte più interna ,vicino alla pupilla, e si facevano sempre più marroni fino ad arrivare a essere neri nel circolino più estero dell’iride; aveva lunghe ciglia rosse, che erano quasi sempre nere per via del trucco, ma erano così belle e slanciate che sembrava volessero allungarsi per toccare il cielo; tutto questo era reso più intenso dalle folte sopracciglia scure. E per ultimo le sue labbra, erano come due petali  che, caduti da un mazzo di rose, avevano formato un’opera d’arte, senza bisogno di nient’altro.  Aveva un fisico asciutto e longilineo, e lo sapeva abbastanza bene da non farsi problemi col cibo. Il suo magnifico viso era incorniciato da una criniera rossa, scompigliata e arruffata in certi punti, ma pur sempre perfetta.
Si rese conto che non poteva stare li ancora per molto, quindi si mosse, arrivo sull’uscio della porta e si infilò gli scarponi e la felpa, aprì la porta e uscì. Libertà. È bastato mettere un piede al di fuori di quella casa per non sentire più il peso che le gravava addosso.  Si sedette sul penultimo scalino prima del vialetto, e aspettò. Non aspettava un “chi” , ma piuttosto un “cosa”; aspettava un’idea, un sogno che l’avrebbe fatta diventare qualcuno, voleva essere diversa, voleva che quando gli altri, quando tra quindici anni l’avessero guardata, avrebbero detto “wow, quella si che ha una bella vita” oppure “vorrei essere come lei” .
Il freddo e la stanchezza si fecero sentire, e le gambe si erano ormai addormentate. Aprì la porta e si tolse le scarpe, passò nuovamente davanti allo specchio e diede un occhiata triste al suo riflesso, si tolse la felpa e i pantaloncini, e si infilò sotto il piumone caldo con solo la maglia e le calze. Non fu difficile lasciarsi prendere dal sonno, ormai era stanca di pensare, voleva qualcosa di buono da questa vita.
 La sveglia suonò come alle 7.15. Non ci era più abituata, dopo tre mesi passati a nascondere il viso dalla luce del mattino sotto le lenzuola, alzarsi a quest’ ora le sembrò una punizione per qualcosa che lei, sicuramente, non meritava  . Scese le scale e svoltò in cucina, cercando di non attirare l’attenzione di sua madre. Ma lei era proprio li, piegata dietro la porta aperta del frigo; quando la sentì , si alzò, aveva un espressione di disappunto stampata sulla faccia, le labbra fuxia si arricciarono, la fronte si aggrottò facendo risaltare ancora di più le due rughe appena sopra il naso, aprì la bocca e dalle labbra uscì un suono gracchiante e stridulo: << sei per caso uscita stanotte?>> , le si chiuse lo stomaco e sentì i suoi battiti farsi sempre più accelerati, pensava di avere fatto attenzione. Distolse lo sguardo dal suo e rispose rassegnata:  << si, cosa mi ha tradita stavolta? >>
<< il chiavistello della porta ,signorina. >>
La madre chiuse l’anta del frigo con la gamba, e appoggiò sul lavandino le uova e il latte, mentre la figlia si diresse verso il tavolo, prese una mela e cominciò a girarla tra le mani con fare assente;
<< posso andare ora, o hai altre domande?>>
<< vai a scuola, riprenderemo più tardi il discorso; non la passerai ancora liscia, non si può andare avanti con questa storia.>>
Diede un morso alla mela e si incamminò verso la sua stanza al piano superiore, salì i gradini due alla volta e girò subito a destra.
Aprì l’armadio per decidere cosa sarebbe stato adeguato per il primo giorno di scuola. Arrivò al torsolo e lo lanciò nel cestino, si pulì le mani sulla maglia. Sua madre odiava quando lo faceva. Prese un paio di leggins neri, una canotta bianca e una felpa grigia dalla mensola.
Dopo averli pigramente indossati, si buttò sul letto e chiuse gli occhi. Cercò di rilassarsi e non pensare a quello che avrebbe dovuto passare oggi.
Dal basso riecheggiò la voce della madre:
<< muoviti che non puoi fare tardi il primo giorno!>>
“che pensiero banale” pensò. Tutti non facevano altro che somigliare agli altri.
Si infilò le scarpe, prese lo zaino e i pochi trucchi che le servivano e li infilò nella tasca anteriore della felpa.
Si fermò in cima alle scale, prese lo zaino e lo lanciò ; atterrò più o meno a metà strada tra lo specchio e la porta. Scese le scale senza affanno e si fermò ancora una volta davanti a quello specchio. Infilò la mano in tasca e ne tirò fuori i trucchi che le servivano. Dopo averli messi distrattamente sul viso lentigginoso li ripose nella tasca. Si guardò. Gli occhi assonnati erano divenuti pesanti dal trucco; al mattino, le labbra erano sempre più gonfie del solito e avevano un colore lievemente più scuro. Ormai aveva rinunciato a domare la sua chioma rossa. Ogni tanto prendeva qualche ciocca di capelli alla base del collo, e li arrotolava distrattamente sul dito, lo faceva quando era nervosa o preoccupata, e molto spesso finiva col creare nodi che solo una forbice avrebbe potuto far sparire.
Diede un’occhiata all’orologio, mancavano venti minuti alle otto. Era pronta per uscire quando squillò il telefono. Rispose. Si sentivano solo rumori di interferenza, niente di più; dopo aver cercato di capire se dall’altra parte ci fosse qualcuno e non avendo ricevuto risposta, riattaccò.
 Dalla cucina, la madre gridò:
 << Charlie! muoviti a uscire di casa o ti porto io in macchina>>
<< sto uscendo, non rompere>>
Si sentì il rumore di qualcosa di vetro che si frantumava sul pavimento, Charlie sollevò il chiavistello e uscì di casa prima di dover ancora sentire l’orrenda voce di sua madre che le entrava nel cervello.
Scese di fretta i gradini che l’avevano ospitata la notte scorsa e si incamminò verso la casa dell’unica persona al mondo che la faceva sentire bene. Ogni sua parola era dolce, e rassicurante. Charlie amava il suono della sua voce, ascoltarla la faceva sentire a suo agio. Patrik. Era l’unico amico che aveva, e le bastava.
   
 
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