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Autore: Alex Wolf    10/09/2013    4 recensioni
Dal primo capitolo:
« Ma che cosa fai? Mettimi giù rampollo viziato!. »protestai nel mentre il mio sedere toccava il cuoio chiaro della sua sella.
« Quanto sei bisbetica. » borbottò salendo dietro di me e passando le sue mani attorno ai miei fianchi per prendere le redini.
« Togli quelle mani, guido io. » ringhiai afferrando d’impulso le redini e procurandomi una fitta alla spalla.
« Smettila. » mi riprese il principe scocciato levando le mie mani dalla giuda e riportandoci le sue. « E sta zitta. Hai già parlato troppo. » spronò il cavallo.
Risucchiai le guance e le labbra all’interno e le rilasciai andare con uno schiocco frustrato.
« Se dovrò viaggiare così, tanto vale che mi metta comoda. » borbottai appoggiando la mia schiena al suo torace e chiusi gli occhi. « Se ti metti a cantare qualche canzone in elfico ti strappo le labbra. » aggiunsi.
Non fatevi ingannare dalle apparenze, leggete e poi saprete dirmi che ne pensate ;)
Storia ispirata al film "la compagnia dell'anello"
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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When you let her go.     
 
 
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Quando uscimmo dalle miniere il mio cuore era fermo, immobile, come la pietra che ci circondava. L’aria soffiava leggera e il sole era già alto nel cielo. I piccoli hobbit si accasciarono a terra, pinagenti. Boromir, visibilmente distrutto, tratteneva Gimli che gridava contro l’entrata di Moria. Aragorn si allontanò dal gruppo e guardò lontano, mentre Legolas prese ad esaminare l’ambiente dalla parte opposta. I suoi occhi azzurri erano come buchi neri. Incanalavano di tutto ma non lasciavano uscire nulla. Erano fissi sull’orizzonte e sembravano aver risucchiato il colore di questo. Aveva il volto sporco, come gli abiti, a causa della battaglia, ma non sembrava ferito. Io rimasi in disparte, muta, mentre l’asciavo che l’anello riprendesse le forze che mi aveva prestato. Strinsi la mano a pugno e il guanto di pelle chiara che portavo gracchiò. La mia camicia logora, ora senza maniche, sventolò come una bandiera non più bianca, ma nera.
« Andiamocene di qui », suggerii al re avvicinandomisi. Lui mi guardò e nei suoi occhi azzurri potei scorgere lacrime. « E’ troppo pericoloso restare, Aragorn. Lo sai meglio di me », aggiunsi poggiando la mia mano sul suo braccio. Lui chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, poi si voltò e disse: « Legolas, falli alzare ». L’elfo lo guardò, ma sembrava perso nei suoi pensieri, assente dalla vita. « Concedi loro un momento, te ne prego », lo implorò Boromir. Guardai il re, che mi rivolse uno sguardo in attesa di risposta, scuotendo la testa. Aragorn fece un piccolo segno di capo e continuò imperterrito: « Stanotte queste colline brulicheranno di orchi! Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlorien ». Dopo un altro sguardo il re corse dalla compagnia mentre io rimasi a guardarmi attorno. Una distesa di roccia ci circondava, ma lontano riuscivo a vedere foreste e fiumi. La vita ci aspettava. I miei compagni mi affiancarono mentre Frodo e Aragorn si apprestavano a raggiungerci. Boromir mi rivolse un occhiata di fuoco e mi sorpassò con una spallata, lasciandomi di stucco. Sam, si mise davanti a me, carico di bagagli che rallentavano il suo passo. « Sam », lo richiamai mentre procedevamo. Il giardiniere si voltò, gli occhi rossi di pianto ma un sorriso leggero sulle labbra. « Si? », chiese debolmente. M’inginocchiai davanti a lui e senza dire nulla gli presi lo zaino dalle spalle, per dopo abbracciarlo. Il piccolo uomo pianse fragilmente sulla mia spalla e alla fine, quando si staccò, mi ringraziò in un sussurro. Riprendemmo il nostro cammino. Passammo ore in viaggio. Attraversammo distese di roccia, e poi distese verdi con piccoli fiumiciattoli. Attraversammo un torrente e corremmo giù da una collina. Davanti a noi si innalzò il limite di un enorme foresta, dalla quale provenivano quiete e fresco. Ci inoltrammo.
I grandi alberi secolari di quel luogo lasciavano entrare pochi raggi del sole. Tutta via non eravamo al buio. Alcune foglie secche cadevano dall’alto posandosi sul terreno, e finendo poi sotto i nostri piedi. Strinsi lo zaino in spalla e procedetti silenziosa dietro Aragorn. « Lo sai che il silenzio non è un buon segno? », sussurrò Legolas, accostandomisi. Lo guardai per qualche secondo e poi tornai a fissare la strada davanti a me. Lui non si diede per vinto e continuò: « Puoi dirmi cosa ti ho fatto, mia signora? Mi tratti sempre male e non ne capisco il motivo ».  « Mio signore, ti sei  dimenticato di aver attaccato me e il mio drago mentre ero diretta al concilio? », domandai e mi fermai ad accarezzare una corteccia che aveva attirato la mia attenzione. Bhe, a dire la verità, ora tutto attirava la mia attenzione visto che non volevo parlare con l’elfo. « Mi dispiace, Eleonora. Quante volte dovrò ripetertelo? », indagò. « Tante quanti sono gli alberi che popolano questa foresta, Legolas », risposi prontamente guardandolo negli occhi. Erano bellissimi. Ripresi a camminare dandogli le spalle. « Ascolta », sospirò prendendomi il polso fra le dita. Aveva un stretta leggera e morbida, mi era tanto familiare. « Possiamo ricominciare daccapo? ». Indagai sul suo volto, aspettandomi di trovare una smorfia che tradisse la sua richiesta, invece era serio.  « Va bene », acconsentii rilassandomi. Lui sorrise e mi lasciò andare. « Ma resta fuori dalla mia testa! Ok? », ordinai puntandogli un dito contro. Lui ridacchiò e alzò le braccia in aria in segno di resa. Riprendemmo a camminare silenziosi.
« Shhh. State vicini giovani hobbit », mormorò Gimli a un tratto, « Dicono che un grande fattucchiera vive in questi boschi. Una strega elfo con poteri straordinari, tutti quelli che la guardano cadono sotto il suo incantesimo e non li si vede più ». Scossi il capo e non potei trattenermi: « E i folletti dove li hai lasciati, Gimli? Ricordati che i folletti vanno sempre ovunque ». Lui mi ignorò di proposito e continuò: « Bhe, ecco un nano che non intrappolerà facilmente. Ho gli occhi di un falco e le orecchie di una volpe, io ». Una freccia venne puntata al mio petto. Sobbalzai e feci un passo indietro, mentre fulminavo con gli occhi un elfa che mi stava davanti. « Questo è il colmo », dissi incrociando le braccia al petto. « Il nano respira così forte che potevamo colpirlo nel buio », commentò un altro elfo, sorpassando la linea di arcieri e facendosi avanti. Era alto e muscoloso. Aveva le spalle larghe, capelli biondi, quasi bianchi, e occhi azzurri. Era stupendo. Arrossii, imbarazzata, senza saperne il motivo e abbassai il capo. Legolas vicino a me mi gettò un occhiata e abbassò l’arco. Aragorn cominciò a parlare in elfico, ma Gimli borbottò: « Aragorn questi boschi sono pericolosi! Torniamo indietro! », per una volta ero in disaccordo con il nano. Insomma, io, ero curiosa di sapere chi fosse quell’elfo che mi aveva affascinata fin da subito, mentre tutti gli altri sembravano ansiosi di andare via. Legolas più di tutti. « Siete entrati nel reame della Dama dei Boschi, non potete tornare indietro », affermò l’elfo biondo. O ma che peccato, pensai rialzando il volto, vorrà dire che avrò più tempo per conoscerti.
Non fare la bambina!, mi riprese una voce sicura e irritata. Sganciai a Legolas un occhiataccia e poi gli rifilai un calcio nel polpaccio. Lui tirò su l’aria dai denti e poi ridusse le labbra a una sottile linea. I nostri battibecchi avevano portato l’attenzione su di noi. Incrociai lo sguardo fiero del biondo e lui sbatté le palpebre sorpreso. Si fece avanti fino ad arrivare a noi.  « Voi, non credevo ci fosse una dama nella compagnia », mi baciò leggermente la mano. Sorrisi e diventai rossa quando udii la voce di pipino: “ Secondo me l’ha appena messa incinta”. Avrei voluto rifilargli un ceffone ma ormai ero talmente in imbarazzo che non riuscivo più a parlare o muovermi. « Qual è il vostro nome, mia signora? », domandò poi l’elfo ignorando i risolini del piccolo hobbit. Socchiusi le labbra per rispondere ma una mano si poggiò sulla mia spalla e io mi ammutolii. « Eleonora, Haldir », rispose per me Legolas, tirandomi indietro. « Ora se non ti dispiace potremmo proseguire? », si lanciarono uno sguardo che non seppi riconoscere. Haldir, così si chiamava allora lui, rizzò la schiena e mi sorrise poi tornò a guardare Aragorn e gli altri: « Venite, lei vi aspetta ».
 


°  °
 


Ai miei occhi le scale che stavamo percorrendo erano infinite. Giravamo attorno a un grosso albero sulle quale sostavano, come i criceti girono in continuo su una ruota, e ormai il sole era tramontato. Il reame della dama dei boschi era stupendo. Ovunque, i grandi alberi, risplendevano di una luce argentea innaturale e molti elfi si fermavano a guardarci. Haldir era in testa al gruppo, mentre io ero infilata tra Boromir, che aveva deciso di non parlarmi più, senza dirmi il motivo, e Legolas, che era sempre in mezzo.
Mi hai fatto fare la figura della bambina!, protestai nella mia mente, diretta verso di lui. Non rispose ma sapevo che era in ascolto. Tu sei l’essere più antipatico, imbranato e impiccione che io abbia mai conosciuto, Legolas Verdefoglia!
Stavate flirtando davanti a tutti, spudoratamente. Cosa avrei dovuto fare?, ringhiò lui scocciato. Mi trattenni dal tirargli un pugno e risposi: Potevamo anche fare sesso, ma tu non dovevi intrometterti!
Non dire una cosa del genere nemmeno per scherzo, ragazza drago!, abbaiò. Legolas ma che ti prende, eh? Io non sono di tua proprietà. Ho il diritto di avere delle cotte!
Ma non lui!, protestò agitato. Oh mio Dio!, gridai, Legolas tu sei… ma non finii la frase perché ci ritrovammo su una piazzetta posta davanti a delle scale. Dopo di esse si ergeva una meravigliosa abitazione, una reggia, fatta di sottili e resistenti rami d’albero intrecciati. E risplendeva come una luna in terra. Mi ammutolii e rimasi ammaliata. Era stupenda. Non mi accorsi neanche che Haldir si era messo accanto alle scale e ci fissava. Due figure vestite di bianco scesero gli scalini e si pararono di fronte a noi. Portavano due corone in testa, segno che erano i regnanti. Lui e lei avevano gli stessi capelli biondi come l’oro e chiari come il sale. Gli stessi penetranti occhi azzurro cielo e la stessa grazia innata. Mi voltai per guardare i miei compagni e trovai Marri con la bocca spalancata. Alzai per la centesima volta gli occhi al cielo e gliela richiusi.
« Otto sono qui eppure nove si sono allontanati da Gran Burrone. Ditemi dov’è Gandalf, perché molto desidero parlare con lui », chiese il re.
Un piccolo filamento, di un ricordo, si accese nel mio cervello. Loro erano Dama Galdriel e Sire Celeborn. La Dama stava parlando con Boromir e Aragorn, e infine Frodo tramite pensiero. Ma possibile che non si fosse accorta di me?  « Egli è caduto nell’ombra », disse lei. Sembrava sorpresa e smarrita al tempo stesso. « La vostra missione è appesa sulla lama di un coltello. Una piccola deviazione ed essa fallirà, per la rovina di tutti ». L’elfa spostò il suo sguardo da Boromir a Sam: « Ma la speranza permane, fin quando la compagnia sarà fedele », continuò a guardare i compagni e infine giunse a me.
Lo stupore aleggiò sul suo viso candido per qualche secondo, poi scomparve e tornò agli altri. « Ora andate a riposare, perché siete logori dal dolore e dalla molta fatica. Stanotte dormirete in pace ». Haldir si apprestò a  raggiungerci, s’inchinò, e poi si mise in testa al gruppo per guidarci.
« Aspetta, giovane ragazza », mi richiamò la voce vellutata della Dama. Mi voltai e m’inchinai leggermente. « Vieni qui, Isil. Il tuo corpo è più debole degli altri perché l’anello consuma il tuo animo già distrutto », la regina mi pose la sua mano e io la presi, seguendola sulle scale. Il sovrano era di fianco a me e lo guardai, imbarazzata e curiosa al tempo stesso. « Molte lune sono passate, Isil, e noi non credevamo più nel tuo ritorno », mi rivelò Celeborn avanzando nella sala principale della sua dimora. Era grande, e raffinata. I muri rilucevano come se le pareti fossero fatte di luna e un odore di fiori aleggiava nell’aria. « Ricordi tutto, mia cara? », sussurrò Dama Galadriel mentre mi portava in un'altra ala del castello, su per una rampa di scale e poi in un nuovo corridoio. « A volte ho dei ricordi della mia vita passata, mia signora, ma nulla di più », ammisi. « E’ meglio che il passato resti dov’è, Isil », sussurrò lei aprendo una porta, « Non è mai un bene quando questo torna a farsi presente nelle nostre vite. Porta distruzione e rimpianti, odio e tristezza » mi spinse con gentilezza oltre la porta e davanti a me si aprì una stanza. C’era un balcone nascosto dietro una tenda, che ondeggiava lievemente al fievole vento, e un letto grande. Lo guardai e sospirai. Non dormivo in un letto da quasi due mesi, pensai, ma il mio pensiero fu spazzato via dalla vista di un abito. Era poggiato con cura sulle coperte, dal posto in cui ero riuscivo a scorgerne il colore, di un bianco accecante, dai ricami d’argento. Rimasi a fissarlo ammaliata.
 «Ora, mia cara, riposati e riprendi le forze per domani. Sarete nostri ospiti per tre giorni, in modo che possiate riprendervi e continuare », la voce dell’elfo si fece fievole, segno che stava per congedarsi. Mi voltai verso la dama di fretta. « Mia signora », sussurrai, « Non posso accettare tanto », ammisi indicando l’abito. Il re, che fino ad allora era stato in silenzio al fianco della sposa disse: « I tuoi vestiti sono logori, il tuo corpo necessita di cure. Quando avrai finito il bagno indosserai quel vestito, perché non combatterai per tre giorni. Al momento di ripartire ti verranno dato nuovi abiti, Isil ».
M’inchinai, capendo che non avrebbero accettato di essere ribattuti, e ringraziai. « Dimmi ancora un’ultima cosa, giovane ragazza », mormorò il re, « Leggi ancora i pensieri della gente? ». La domanda mi colse alla sprovvista. « Ogni tanto, sire. Ma non riesco a decidere io come e quando ».
« Capisco », annuì l’elfo. Dopo di che, quando se ne furono andati,  richiusi la porta alle mie spalle e mi diressi verso la vasca da bagno pronta a rilassarmi.
 

 
°  °
 


Il canto per Gandalf era cessato da parecchi minuti e Legolas era seduto sulla grossa radice di un albero. Aveva poggiato i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle dita chiuse a pungo. Un pensiero si faceva largo nella sua mente: perché lei non è qui. L’aveva scorta risalire le scale della reggia con la Dama e Sire Celeborn e poi l’aveva vista scomparirne all’interno. Non se n’era curato molto all’inizio, pensando che magari volevano interrogarla sulla sua vita, visto che prima non l’avevano notata nella compagnia, ma mano a mano che il tempo passava capì che non sarebbe scesa per venire da loro. Il suo pensiero lo stava corrodendo dentro come mai nessun’altra , dopo che Isil se n’era andata, era stato in grado di fare.  Chissà cosa sta facendo ora?, si domandò, magari è con Haldir!, il pensiero lo fece innervosire. Si  decise ad alzarsi e procedere verso la reggia. Eleonora, dove sei?, chiese ma non ottenne risposta. Irritato dal suo comportamento accelerò il passo e si ritrovò a salire i gradini che portavano alla residenza reale a due a due. La corta tunica bianca che gli avevano dato gli elfi silvani frusciava con insistenza contro i pantaloni di pelle nera che portava. Eleonora!, chiamò ancora, ho bisogno di parlarti!, ma lei lo ignorò. La sentì ergere attorno alla sua mente delle mura solide e invalicabili, e lo tagliò fuori. Lui sorrise davanti a quel comportamento, ormai ci era abituato, e salì più velocemente le scale. Quando arrivò davanti alla reggia la trovò deserta. Deciso a scovarla cominciò a girare attorno a quella finché non entrò nei giardini reali. Attorno a lui era tutto verde, ben curato, e c’era profumo di fiori. La luna illuminava il suo percorso, rendendo il tutto talmente innaturale che gli faceva quasi paura. Il vento soffiò e trascinò alle sue orecchie un risata cristallina che gli fece fremere il cuore. La riconobbe e si voltò. Con grazia corse nella direzione di questa e fece per uscire allo scoperto, raggiungerla, ma un’altra figura gli si parò davanti. Haldir porse una rosa rossa a Eleonora, che l’accettò sorridente. Legolas provò un tuffo al cuore e si nascose dietro un tronco, osservandoli. Lei era bellissima: aveva un lungo abito bianco dalle ricamature argentee che le lasciava scoperta molta schiena. Davanti aveva uno scollo rotondo impreziosito da fili argentei incrociati fra loro, che parevano rami sinuosi. Le lunghe maniche, larghe in fondo, frusciarono quando portò il fiore al naso e l’annusò. Era davvero bellissima, come non l’aveva mai vista.
« Voglio mostrarti una cosa », le disse l’arciere mentre una folata di vento gli faceva svolazzare i capelli biondi a casaccio. Quelli di lei, invece, volarono alle sue spalle come serpenti, flessuosi e leggiadri, o così parve al principe. Risvegliato dal suono di un fischio, il giovane elfo batté le palpebre e stette a guardare. Dal folto del bosco si udì un nitrito e poco dopo apparve una sagoma nell’oscurità. Andava veloce e i suoi passi smuovevano il terreno. Quando fu meglio visibile, Legolas, si accorse che era un cavallo. L’animale era grande e robusto, con forti zampe e un portamento possente. Il suo manto sembrava sabbia, la sua criniera sciroppo e gli occhi ghiaccio. Sentii sospirare e rivolse lo sguardo alla giovane che si era alzata, non lasciando la rosa. « E’ bellissimo », mormorò sognante. Si avvicinò alla cavalcatura e questa poggiò il muso contro il suo petto. Lei rise, dolce come mai lui l’aveva vista o sentita e prese ad accarezzare l’animale. Haldir, intanto, era intento a dare piccole pacche sul collo delle bestia ma i suoi occhi erano solo per lei, notò con rammarico Legolas. La guardava con ammirazione e desiderio, come anche il principe stesso faceva. Una fitta profonda si insinuò nel suo petto e strinse, strinse la presa più che mai lasciandolo senza fiato. Stava provando gelosia, e non era la prima volta. La provava ogni qual volta Bormir o Aragorn le stavano vicino. La provava quando la sera la sentiva mormorare e poi vedeva uno degli hobbit andare da lei e abbracciarla per qualche minuto, di nascosto, in modo da farla calmare. La provava quando leggeva i pensieri del figlio del governatore di Gondor. « Lui è un Mearas, la razza equina più forte e bella di tutte », le spiegò il capo delle guardie, « E’ il mio cavallo, ma se lo desideri potrai farci un giro », le rivolse uno dei sorrisi da “repertorio” che Legolas gli aveva visto sfoggiare poche volte. Eleonora era ancora intenta a coccolare l’animale quando domandò:  « Come si chiama? ». Il capo delle guardie smise di accarezzare il destriero e fece il giro del suo collo, arrivando a fianco di lei. « Lui è Barahir », si scambiarono uno sguardo, « Significa: “il signore delle terre” », spiegò lui. « E’ davvero un gran bel nome, per un gran bel cavallo, Haldir », mormorò rossa in viso lei.
 

 
°  °
 


Le foglie fremettero sotto i miei piedi quando mi avvicinai alla groppa dell’animale. Haldir poggiò la sue mani sui miei fianchi e mi sollevò, mettendomi a sedere sulla schiena di Barahir. Il cavallo rimase fermo ma voltò il collo in modo da poter vedere chi vi fosse salito sopra. Intimorita presi tra le mani un ciuffetto di criniera e mi posizionai meglio. Le mie gambe cadevano ai lati della pancia del cavallo e io le dondolavo con non curanza. « Perfetto, e ora? », domandai incerta rivolgendo uno sguardo a Haldir. Lui sorrise e accarezzò il muso del cavallo mormorandogli qualcosa nelle orecchie. Quando si allontanò di qualche passo questo prese a camminare tranquillamente. Sentivo i suoi muscoli muoversi leggeri, con poco sforzo, segno che pesavo poco. « Dove mi porta? », chiesi vedendo che il cavallo si dirigeva verso il palazzo. « Gli ho chiesto di farti fare un giro del palazzo, tornerai tutta intera tranquilla », ridacchiò il biondo sedendosi sulla panchina dove prima stavo io. Alzai le spalle, sorridente, e lasciai che l’animale facesse quello che gli era stato ordinato. Girammo attorno alla dimora dei sovrani e, quando tornammo verso il luogo di partenza, mi accorsi che c’era un’altra figura accanto alla guardia. « Ferma », sussurrai a Barahir e lui ubbidì. Scesi con un po’ di fatica dalla sua groppa e mi misi a origliare, curiosa.
La nuova figura era più piccola di Haldir rispetto a massa muscolare, ma era della stessa altezza e aveva le spalle larghe anch’essa. I capelli biondi gli ricadevano sulle spalle, lisci e perfetti, e la postura era fiera. Non mi ci volle molto a capire che era Legolas.  « Non puoi farlo », la voce me ne diede conferma. E ti pareva, pensai scocciata. Quando c’era qualcosa che poteva andare bene, a me, lui doveva intervenire e farla andare male. Tentai di origliare qualcosa di più ma i due si erano messi a parlare in elfico e io non ci capivo nulla. Quando alla fine conclusero di parlare il principe aveva i pugni stretti sui fianchi e se ne andava borbottando fra se e se. Tentando di sembrare il più innocente possibile tornai da Haldir, dicendogli che ero scesa perché avevo rischiato di cadere e mi ero spaventata. « Mi dispiace molto, mia signora », mi disse lui, « Ma credo che la nostra serata si debba concludere qui », si inchinò a baciarmi la mano, mormorò qualcosa al cavallo e si voltò di spalle lasciandomi sola. Sentii il sangue affluirmi alle guance, per la rabbia, e dopo essermi tirata su il vestito con le mani corsi nella direzione di Legolas. Lo raggiunsi mentre era ancora sulle scale, illuminate dalle luci lunari, così avevo soprannominato i lampioni che splendevano su di esse. « Ehy! Principino dei mei stivali, vieni un po’ qui! Io e te dobbiamo parlare! », gli gridai dietro. Lui si voltò e io rimasi sconcertata dal suo volto. Era una maschera fredda di ghiaccio e rabbia: le labbra erano racchiuse in una sottile linea rosata, gli occhi sembravano neri e la mascella era tesa. « Ma qual è il tuo problema? », sbottò prendendomi alla sprovvista. Sobbalzai spaventata e tentai di riprendere il controllo, ma lui urlò di nuovo facendomi sobbalzare ancora. « Me lo spieghi, eh?  Te ne vai in giro a elargire sentenze velenose sugli altri, gli affibi nomignoli idioti e offensivi, credendo di sembrare una dura mentre sembri solo una ragazzina e nulla di più! », una vena gli pulsò sul collo. Spaventata feci un passo indietro e lasciai andare il vestito, che ricadde ai miei piedi come una cascata di stoffa bianco latte. « Ti cacci nei guai, picchi la gente e flirti con uomini che non conosci nemmeno da qualche ora! Credi che tutti siano ai tuoi comodi, Eleonora? Bhe allora cambia opinione perché non è così, nessuno ti sopporta più nella compagnia, nemmeno Pipino, e la cosa è grave! Il tuo comportamento da sui nervi a tutti! Nessuno ti sopporta più! IO non ti sopporto più! », restò in silenzio per qualche minuto, il tempo per riprendersi. « Oh », mormorai assalita da una tristezza nuova, ma conosciuta. Sentii il mio cuore cominciare a battere più piano e le lacrime affluirmi agli occhi. Mi imposi di non piangere davanti a lui e mi sforzai di assumere un espressione decisa. « Grazie della… », la mia voce tremò tradendomi, « confessione. La terrò a mente ». Strizzai le palpebre e mi voltai, risalendo i gradini verso la reggia. Non scappai via, non sarebbe servito a nulla se non a fare una scena drammatica, ma non era quello che volevo in quel momento.  Lui sbatté le palpebre e allungò una mano in avanti, afferrandomi la gonna e bloccandomi. « Aspetta », mi disse soltanto e sentii i suoi passi farsi vicini. Rimasi ferma e mi voltai soltanto quando percepii la sua presenza al mio fianco. Nelle sue iridi aleggiava il mio riflesso. Il volto di una ragazza diciasettenne, distrutta. Sentivo l’anello formicolarmi sulla mano, nascosta dalla grande manica bianca, ma lo ignorai trattenendo lo sguardo di Legolas. « Scusami, ero arrabbiato », si giustificò allungando una mano verso il mio volto. Mi scostai prima che la poggiasse sulla mia guancia. « Coloro che sono arrabbiati dicono sempre la verità, non lo sapeva mio signore? », risposi fredda e distaccata. Una scintilla di tristezza balenò nel suo sguardo. « Non parlarmi così, ti prego Eleonora », mormorò riavvicinando la mano, e questa volta riuscì a poggiarla sulla mia gota. « La prego di non toccarmi, mio signore », sussurrai poco convinta. I miei occhi vagarono nuovamente sui suoi, percorsero poi i suoi lineamenti fino a bloccarsi sulle labbra rosee per un po’ troppo tempo. Il mio cuore riprese a battere più forte di prima, e io mi sentii riempire di una gioia che non sapevo di poter provare. Ritornai ai suoi occhi. « Non volevo dire quelle cose, ero solo… geloso. Mi dispiace averti offesa, nulla di quello che ho detto era vero », confessò. Mosse il pollice sulla mia pelle e sentii qualcosa di umido venir spazzato via. Lacrime, pensai maledicendomi, dannazione non dovevo piangere! Non davanti a lui!
« Geloso? », domandai stupita, « Perché dovresti essere geloso, Legolas? », sussurrai. Lui alzò leggermente le spalle e arricciò le labbra in una breve smorfia . « Perché Haldir stava per fare quello che avrei voluto fare io », poggiò anche l’altra mano sul mio volto e asciugò le ultime lacrime. Rimasi a guardarlo mentre le sue pupille si spostavano sulle piccole gocce salate. Con un gesto improvviso poggiai le mie mani sulle sue, sorprendendolo. Credo che sorrise imbarazzato così perché non ero mai stata gentile nei suoi confronti, nei mesi passati, mentre ora eravamo soli e io gli permettevo di asciugarmi le lacrime. « E cosa stava per fare Haldir? », dissi flebilmente, la mia voce fu portata via da un leggero venticello. « Baciarti », mormorò bloccando gli occhi azzurri sulle mie labbra. « Tu vorresti baciarmi? », domandai a bassa voce. Lui non rispose ma tornò a guardarmi e allora capii che la risposta era “si”. Mi avvicinai a lui, che non levò le mani dalla mia pelle, e piegai leggermente la testa di lato. Lui socchiuse gli occhi e poggiò le labbra sulle mie con dolcezza. Sentii il cuore esplodere del tutto, sfondarmi la cassa toracica e iniziare a gridare “era oraaaa”, senza che ne capissi il motivo. Erano tutti sentimenti nuovi quelli che stavo provando, davvero nuovi ma vecchi al tempo stesso. Si erano risvegliati in me dopo un lungo letargo grazie all’anello, che ora brillava al mio dito come una diamante di luna. Non me ne curai e portai le mani al collo di Legolas, spingendolo verso di me.  Il giovane elfo sorrise nel bacio e spostò le mani: una dietro il mio collo, insinuata fra i miei capelli, l’altra sulla mia vita. Quando ci staccammo socchiusi gli occhi, notando che la luce dell’anello era scomparsa, per qualche minuto. « Questo non me l’aspettavo », mormorò e io risi sorpresa dopo che mi ebbe  abbracciato. Mi ritrovai stretta fra le sue braccia con  il calore del suo corpo premuto contro il mio. Abbandonai tutte le mie difese, fisiche e mentali, e poggiai le testa sotto il suo collo. Lui ci poggiò sopra una guancia e continuò ad accarezzarmi i capelli e la schiena. « Neanche io, principino », mormorai chiudendo gli occhi.

 
 
 
 
 



Allurssssssssssssssss. Domani:  11 settembre 2013 inizio la scuola, perciò ho deciso di dare un tempo di aggiornamento alla storia. Aggiornerò ogni sabato, modo da rimanere costante con i capitoli e continuare tranquillamente.
Vabbè, bando alle ciance: che ne dite di questo capitolo dolce? E’ diverso dagli altri, lo so, ma oggi mi è venuta voglia di dolciosità.
P.s: Vi presento Barahir.
 

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